Sono passati
15 anni dalla sua scomparsa. Difficile
dimenticare la vita e l’opera di questa eccezionale figura di comunista che ha
lasciato un segno indelebile nella storia del movimento operaio. La sua lunghissima vita di militante,
iniziatasi a metà degli anni 20, si è conclusa settanta anni più tardi nei
giorni caotici che hanno segnato la dissoluzione del PCI e la nascita di
Rifondazione comunista.
E’ stata una lunga cavalcata attraverso le varie fasi, non sempre vittoriose e
gratificanti, del movimento comunista del secolo 20°. Galeotto nelle carceri
fasciste, quando il regime sembrava dovesse durare secoli, generale delle
Brigate internazionali nella guerra di Spagna, comandante partigiano durante la
resistenza: più di dieci anni trascorsi a combattere una guerra feroce e
sanguinosa contro il dilagare del nazifascismo in Europa.
Infine, negli anni del dopoguerra, infaticabile costruttore del Partito
comunista di massa a Milano e in Lombardia di cui è stato un dei dirigenti più
autorevoli e prestigiosi. Poi la sua
emarginazione dai gruppi dirigenti al termine di un aspro scontro politico
interno alla federazione di Milano, troppo sbrigativamente etichettato come
resa dei conti tra un ala “operista”, cosiddetta settaria - perdente -, e i cosiddetti “rinnovatori” -
vincenti -, fautori, si diceva, di una larga politica di alleanze. Anche se lo spessore della cultura
marxista di Vaia rendono assai poco credibili le accuse di settarismo che gli
furono mosse. Quella vicenda ebbe
comunque conseguenze strategiche importanti sul futuro assetto politico del PCI
e può essere considerata come l’inizio – allora impercettibile – della sua
svolta a destra.
Come era facilmente prevedibile, per chiunque lo conoscesse, il tentativo di
emarginare Vaia, di estrometterlo dalla politica attiva e di collocarlo a
riposo a custodire i suoi ricordi di un socialismo ormai ritenuto impossibile,
si trasformò invece in un clamoroso
boomerang.
Benché arrivato in una fase crepuscolare della propria vita, un’età nella quale
è facile cedere alla tentazione di sedersi in poltrona, abbandonandosi ai
rimpianti e macerandosi per le tante delusioni patite, il compagno Vaia, senza
minimamente indugiare nei ricordi nostalgici, ha ricominciato col grintoso
impegno di sempre il suo lavoro di militante e di educatore comunista. Curatore meticoloso dei diari di Pietro
Secchia, ci ha fornito una chiave di lettura non banale delle cause che
provocarono, dapprima in misura impercettibile, poi in maniera sempre più
evidente la deriva a destra del PCI fino al nefasto epilogo del suo
scioglimento a Rimini nel 1991.
Una ricerca ed una critica – quella di Vaia – che sebbene accompagnata da
frequenti richiami all’unità del partito, non gli fu mai perdonata dai gruppi
dirigenti decisi ormai a consumare fino in fondo la mutazione antropologica del
partito. E perciò insofferenti a
qualsiasi forma di opposizione interna.
Un impegno durato fino al giorno della sua morte con inesauribile
energia ma anche con una metamorfosi sorprendente del suo carattere che, da
inflessibile e superesigente quale era (soprattutto con se stesso) divenne un
modello pedagogico di relazioni umane tra i compagni che gli consentì di
conquistarsi la fiducia e la stima dei giovani comunisti raggruppati intorno
alla scomoda ma lungimirante esperienza di Interstampa.
Molti di quei giovani sono diventati dirigenti comunisti autorevoli e
conservano un ricordo immutato del nostro piccolo, grande Sandro.
Non ci resta
che raccomandare di leggere, o di rileggere il suo libro autobiografico
(A.Vaia, Da galeotto a generale, Ed. Teti).
Sergio Riccaldone