www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - biblioteca digitale mels - 22-11-13 - n. 476

Biblioteca digitale Mels

Copertina     André Marty

Il caso Marty
(Conflitto di due politiche)

Schwarz editore - 1955


Introduzione alla lettura
Consulta il libro

Digitalizzazione per Mels - Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Introduzione alla lettura del "Caso Marty" (da leggersi)

Renato Ceccarello

novembre 2013

E' su mia iniziativa che il Centro di Cultura e Documentazione Popolare rende disponibile nella biblioteca Mels-Resistenze.org questo vecchio e introvabile libro del grande militante comunista e combattente antifascista francese Andrè Marty.

Marty, figlio di genitori proletari e militanti socialisti, fu l'eroico marinaio che (insieme ad altri, si è sempre schernito) diede origine all'ammutinamento della flotta francese nel Mar Nero ivi inviata dal governo reazionario di allora per farvi sbarcare truppe ed aggredire dal quel lato la giovane repubblica dei Soviet.

Per quell'episodio passò difficili anni a carcere duro. Iu seguito fu uno dei segretari generali del PCF, dirigente dell'I.C. al VII congresso, organizzatore delle Brigate Internazionali in Spagna, del Fronte Popolare in Francia, quindi membro alla direzione del PC nella Francia libera ad Algeri e da li l'organizzatore della resistenza  contro l'occupazione nazista e il governo fantoccio di Vichy. Un curricolo militante di tutto rispetto che quando cadde in disgrazia distrutto dalle calunnie di lui scrisse (come riporta nel suo libro) un giornale dall'epoca : "Era ora che la Francia si liberasse di questo personaggio che per 30 anni ha seminato disordini". Egli pagò questo suo attivismo con frequenti "soggiorni" nelle patrie galere.

Ebbene, nel suo libro "il caso Marty" egli non solo si difende dalle pesanti accuse e macchinazioni, formulate a fine 1952, la principale della quale era di essere una spia poliziesca, accuse che lo portarono all'espulsione dal PCF , ma contrattacca, accusando, in modo argomentato, di opportunismo la direzione del partito di quel tempo. Ma non riuscì a portare avanti la sua opera perché nel 56 morì di tumore.

Una vicenda simile, come noto, ebbe a subire in anni successivi in Italia Pietro Secchia, pur se meno pesante sul piano personale, con l' emarginazione di quello che fino ad allora era il primo dirigente dopo Tagliatti.

Scoprire o riscoprire Marty è di grande importanza per due motivi.

Sul piano storico egli è stato il principale militante francese del '900. Ovunque ci fossero scioperi ed agitazioni operaie e contadine c'era o l'appoggio o la mano di Marty. Col pretesto del suo "brutto carattere", che in realtà significava rigore nella condotta personale e fedeltà ai principi marxisti-leninisti, unione di teoria e pratica, ardente internazionalismo, ma anche il ripudio di circonlocuzioni e bizantinismi quando si trattava di esprimere nelle dovute sedi il proprio disaccordo su questo o su quell'argomento, e persino sulla linea generale del Partito, la sua censura in Italia è stata a 360 gradi. Dal PCI ai gruppi dell'estrema sinistra (persino Hemingway in "per chi suona la campana" su di lui ha avuto da ridire) egli è stato tacciato da cocciuto avventurista e barricadiero senza cervello. In realtà perché far conoscere il suo operato, le sue posizioni, la sua coerenza, la sua schiettezza disturbava capi e capetti dell'opportunismo nostrano.

Sul piano dell'attualità ci sono invece importanti insegnamenti da cogliere, che ben risaltano dall'accostamento all'altro insigne dirigente dell' I.C.. Dimitrov e Marty sono stati maestri nel delineare un filo rosso, una continuità in tutti i congressi segnata dell'interesse fondamentale della classe e delle masse, pur nel mutare profondo delle situazioni concrete, dalla fase offensiva seguita per tre anni alla rivoluzione d'ottobre (da noi nota come "biennio rosso") al riflusso ed alla successiva fase difensiva. Un modo di interpretare la nostra storia che è stata una lezione anche per chi scrive queste note. Perché questo non è eclettismo opportunista ma presa d'atto che situazioni differenti si affondano con modalità diverse. E' prezioso insegnamento al rivoluzionario che le situazioni si devono affrontare con duttilità, sempre mettendo al primo piano la lotta di classe.

Come Dimitrov Marty interpreta il Fronte Unico essenzialmente come politica unitaria dal basso, a partire dagli interessi immediati delle masse per coniugarli con gli interessi più generali, mettendo in conto (come nel caso dei fronti popolari) che tale coniugazione poteva e può aprire a delle alleanze con altri partiti e movimenti.

Ma non alleanze immodificabili e senza principio perché ciò che conta è che il movimento operaio muova verso stadi più avanzati della lotta di classe, nel senso di più vicini alla presa del potere, contro la propria borghesia.

Di più, Marty non è contro la partecipazione a governi non comunisti, così come avvenne all'epoca della Francia Libera contro i nazifascismo, purchè con l'appoggio ( ed anche la partecipazione) a questo tipo di governi si rafforzi l'approvazione di misure popolari che galvanizzino le masse nelle battaglie economiche e politiche contro la grande borghesia. Ad esempio per favorire la nazionalizzazione dei monopoli, senza tuttavia confonderle con l'introduzione di "elementi di socialismo" in una società dominata ancora dalla borghesia; e senza che ciò significhi alcuna apertura alla teoria del passaggio graduale e pacifico dal capitalismo al socialismo. Per tale teoria, da leninista quale era, non poteva mancare da parte di Marty la squalifica di "tradimento socialdemocratico".

Conseguentemente egli non è contro la partecipazione al parlamento, purchè esso sia limitato ad una istanza dove i comunisti avanzano richieste popolari, e dove si denunciano malefatte e politica generale della borghesia e dei suoi accoliti. E non diventi cretinismo parlamentare, dove gli interessi popolari, se qualche volta emergono, la fanno attraverso vie traverse, bizantinismi e compromessi a perdere.

Un'ultima cosa dell'insegnamento di Marty verte sul rapporto partito-masse. Sono le masse che, a partire dalla rivendicazione dei bisogni che il capitale non vuole – o non può – soddisfare, fanno la rivoluzione. Ma essa può avere luogo solo se esiste un'avanguardia preparata che le galvanizza, le sostiene, le coordina. Perciò il partito deve essere sempre preparato e questa eventualità  ne deve dettare tattica e strategia generale.

Non ci vuole molto a capire che la fedeltà di Marty a queste posizioni lo portava in rotta di collisione con la direzione di allora del PCF, che sotto un velo di formale fedeltà ai principi (ben altro rispetto al nascente revisionismo togliattiano – il policentrismo, le vie nazionali al socialismo, …), dicevamo, sotto questo velo praticava già quella politica opportunista in seguito rafforzatasi sotto la direzione di Marchais.

Un opportunismo che si muoveva tra due poli:
- L'ambiguità al posto di un coerente internazionalismo circa la questione coloniale (Nord Africa, Indocina)
- L'ambiguità nella politica parlamentare, perché già allora il PCF ammiccava e quel Mendez-France, esponente di un ceto socialisteggiante per il quale in Francia è sempre esistito - ed esiste tutt'ora - uno spazio politico governativo (Mitterand, Josphin….) mettendo gli interessi delle masse in subordine e quelli che Marty definiva "alta politica" perché la Francia rivendica da sempre una sua autonomia nel condurre la politica imperialista. A riprova dell'esattezza della linea di Marty, quando questi era già fuori, ci fu nell'agosto 1953 il grande sciopero mosso dai settori dei trasporti e dei servizi che, opportunamente sostenuto e allargato, avrebbe potuto creare una situazione insurrezionale . Cosa che il PCF non fece.

Un'ultima annotazione prima che il lettore acceda al testo: abbiamo lasciato, integra, l'introduzione di allora di Azione Comunista. Il lettore può ben vedere le posizioni di quel gruppo di militanti del PCI e confrontarne le grandi diversità con le attuali di chi ne rivendica la continuità. Non è affare nostro giustificare questa mancanza di coerenza.

Su quell'introduzione, tuttavia, ci sono delle inesattezze su Stalin e l'Unione Sovietica a pag.21. L'attuale storiografia sui rapporti Russia-Cina ha chiarito che, prima della liberazione cinese, mentre i sovietici mandavano "ufficiali" consigli di prudenza e di compromesso tra Mao e Chang Kai Schek, regolarmente intercettati dagli americani, dei corrieri  portavano messaggi opposti a Mao del tipo "disobbedite al nostro ordine". Nel caso della Yugoslavia A.C. avrebbe poi potuto essere più generosa verso l'URSS le cui truppe avevano liberato un intera regione, compresa Belgrado. E anche avrebbe potuto ricordare che tale politica "prudente" avveniva da parte di una nazione impegnata contro l'imperialismo in un fronte molto pericoloso quale quello coreano dove gli americani minacciavano l'uso dell'arma atomica.

Buona lettura.

Renato Ceccarello

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