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Biblioteca digitale Mels
 
Copertina     Colombi
 
Socialismo e riformismo (1900-1914)
 
CDS, 1948
 
 
 
 
 
Digitalizzazione per Mels - Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Colombi Arturo Raffaello (22/07/1900 - 06/12/1983)

Francesco M. Biscione * | treccani.it

COLOMBI, Arturo Raffaello. - Nacque a Massa Carrara il 22 luglio 1900 da Luigi e Polissena Bonuccelli. Di famiglia operaia (il padre era socialista e la madre, lavoratrice tessile, morì di tubercolosi quando lui era ancora bambino), si trasferì a Vergato (Bologna) nel 1909 e, finite le scuole. elementari, trovò lavoro come manovale in un'impresa di costruzioni. Simpatizzante socialista fin da giovanissimo, visse da militante il travaglio del movimento operaio di quegli anni. Iscritto alla federazione giovanile socialista di Vergato a quattordici anni, ne divenne segretario a sedici; nel 1919 divenne responsabile della lega muratori e membro del direttivo della Camera del lavoro ed entrò nel direttivo provinciale bolognese del sindacato edili.

Già sulle posizioni della frazione astensionista del Partito socialista italiano, aderì dalla fondazione al Partito comunista d'Italia (gennaio 1921) - formazione politica alla quale sarebbe restato legato per tutta la vita - e fu segretario della locale sezione. La sua milizia rivoluzionaria, il clima rovente di quegli anni e la sua determinazione a rispondere alla forza con la forza, avrebbero movimentato la sua esistenza per tutto il periodo fascista. Scontò sei mesi di carcere nel 1921 per l'accusa, in realtà non provata, di aver attentato al segretario fascista locale e nel febbraio 1923 fu nuovamente arrestato nel corso di un'operazione di polizia contro il partito comunista su scala nazionale. Assolto in istruttoria, emigrò in Francia nel maggio 1923, prima a Reims, dove lavorò come muratore, poi a Lione, dove entrò a far parte del gruppo dirigente comunista italiano della regione e partecipò ai lavori del III congresso del PCd'I, tenutosi appunto a Lione nel gennaio 1926. Delegato italiano al IV congresso dell'Internazionale comunista (Mosca, luglio-agosto 1928), frequentò la Scuola leninista nella capitale sovietica dal 1929 all'aprile 1931.

Con la svolta della politica comunista dei primi anni Trenta (e, in particolare, dopo il IV congresso del PCd'I, svoltosi a Colonia nell'aprile 1931), fu fra le decine di quadri dei quali venne organizzato il rientro in Italia dall'estero sulla prospettiva di un prossimo crollo del regime. Con lo pseudonimo di Bruno, il C. fu fra i responsabili del centro interno, lavorò clandestinamente al rafforzamento del partito in Emilia prima e poi in Liguria e tenne i contatti tra il centro interno e il centro estero a Parigi (nel 1932, già cooptato nel comitato centrale, divenne membro candidato dell'ufficio politico del partito). Dopo lunghe ricerche, la polizia lo arrestò a Genova nel settembre 1933. Iniziò cosi un lungo pellegrinaggio nelle carceri e nei luoghi di confino.

Dopo un periodo di confino, in attesa del processo, nell'isola di Ponza, fu condannato nel luglio 1934 a diciotto anni di carcere dal Tribunale speciale. Fu dapprima nella prigione di Civitavecchia, fino al marzo 1941, con Umberto Terracini, Emilio Sereni, Gian Carlo Pajetta, poi, scarcerato per amnistia, venne inviato al confino di polizia nell'isola di Ventotene dove assunse la responsabilità dell'organizzazione clandestina del Partito comunista italiano (avrebbe raccontato le sue vicende di recluso in un fortunato volume dal titolo Nelle mani del nemico, Roma 1950).

Liberato con gli altri confinati il 20 luglio 1943, il C. tornò a Bologna dove rimase qualche settimana alla testa della federazione comunista.

Dotato di notevole energia fisica e di buone attitudini politico-militari, si trasferì a metà settembre a Torino, dove assunse la segreteria dei comitato federale comunista clandestino (con lo pseudonimo di Alfredo) dando impulso sul terreno militare e politico alla lotta di liberazione. Diresse il giornale clandestino Il Grido di Spartaco, promosse la costituzione dei guerriglieri Gruppi di azione partigiana, ma soprattutto tese a costituire una rete efficiente di quadri di fabbrica allo scopo di superare il divario tra l'elevato prestigio morale dei comunisti in seno alla classe operaia torinese e la carenza di militanti in grado di guidarne la spontanea, diffusa e radicata pulsione antifascista. Dopo gli scioperi, solo in parte spontanei, dei novembre 1943, lavorò alla formazione dei comitati di agitazione, trait d'union tra classe e partito, organismi che avrebbero diretto in gran parte, con parole d'ordine economiche e politiche e con una solida struttura clandestina, i grandi scioperi del marzo 1944.

Dopo la liberazione di Roma (giugno 1944), divenne membro del triunivirato insurrezionale del Piemonte (direzione militare del PCI) e partecipò alla direzione della guerra partigiana del Nord. Seguì anche, per tutto il periodo, le relazioni con gli altri partiti del Comitato di liberazione nazionale, coordinò le attività delle bande partigiane nelle campagne, prestando particolare attenzione al rapporto con i contadini, e tra queste e la lotta politico-sociale nelle città.

Ai primi del 1945, prevalentemente per motivi di sicurezza cospirativa, fu trasferito a Milano quale direttore dell'agitprop e delle edizioni clandestine dell'Unità e della Nostra Lotta, insieme con Eugenio Curiel. Cooptato alla fine del 1944 nella direzione del PCI per l'Italia occupata (con Luigi Longo, Pietro Secchia, Giorgio Amendola, Giovanni Roveda e Luigi Grassi), rimase fino al maggio 1945 direttore dell'edizione settentrionale dell'Unità e dopo la Liberazione entrò nella direzione del partito costituitasi nell'agosto 1945. L'anno stesso sposò Nella Marcellino, anche lei militante nella clandestinità.

Dirigente politico quasi leggendario, dalla Liberazione in poi il C. sarebbe stato ininterrottamente nella direzione del PCI e avrebbe svolto attività parlamentare fino al 1979- Membro della Consulta nazionale e deputato alla Costituente, fu senatore di diritto nel periodo 1948-1953; confermato al Senato nel 1953, fu deputato nella III legislatura (1958-1963) e rieletto successivamente al Senato per la IV, V, VI e VII legislatura.

Ma è all'attività di partito che avrebbe dedicato le maggiori energie. Segretario della federazione di Bologna fino al 1947, diresse il comitato regionale dell'EmiliaRomagna fino all'autunno del 1948, allorché assunse la segreteria del comitato regionale lombardo. In Emilia il C. si cimentò in un recupero critico della tradizione politico-amministrativa del riformismo socialista dando così un forte impulso al radicamento del partito comunista nella società e in Lombardia fu particolarmente attento ad evitare l'isolamento operaio nel periodo della controffensiva padronale e ai problemi della cultura e del ceto medio.

Nel 1950 fu protagonista di un episodio rilevante: insieme con Secchia si recò a Mosca per comunicare a Togliatti, convalescente nella capitale sovietica, la decisione della segreteria del PCI - decisione poi respinta dallo stesso Togliatti - di accettare il trasferimento del leader italiano all'Informbureau, come richiesto dai comunisti sovietici.

Di un certo rilievo la sua attività storiografica, volta anche al recupero critico della tradizione popolare e operaia non comunista. Pubblicò infatti, soprattutto tra il 1947 e il 1953, una serie di saggi su alcuni momenti e aspetti del movimento operaio e socialista italiano ed europeo, giungendo (dicembre 1954) a sovrapporre la sua attività di dirigente a quella di studioso nel sostenere lo staliniano "breve corso" sulla Storia del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS quale modello storiografico e a chiedere agli storici comunisti una ricerca ispirata a rigorosi principi marxisti leninisti (vedi la relazione "Orientamenti e compiti della storiografia marxista in Italia", presso l'Istituto Gramsci di Roma).

Nel 1955, in virtù dell'esperienza fatta nel dirigere le lotte agrarie della fine degli anni Quaranta in Emilia-Romagna e in Lombardia, gli venne affidata la responsabilità della commissione agraria del PCI, responsabilità che avrebbe mantenuto fino al 1969, allorché egli divenne presidente della commissione centrale di controllo, incarico che ricoprì fino al 1979.

Il C., dirigente della "vecchia guardia" e per più versi di formazione staliniana, svolse nel PCI negli anni Sessanta e Settanta soprattutto una funzione di "continuità" tra la tradizione comunista dell'emigrazione e della clandestinità e le nuove fasi della lotta politica, in una situazione, però, in cui la cultura di cui era esponente appariva sempre più datata. La sua stessa formazione, d'altra parte, lo tratteneva dal varcare i limiti del centralismo (Secchia scrisse che per il C., "per un motivo o per un altro, non viene mai il momento in cui un compagno può avere delle posizioni critiche nei confronti del partito. Sempre si tira in ballo, in ogni occasione, il problema dell'unità": Archivio P. Secchia 1945-1973, p. 545).

II C. morì a Roma il 6 dic. 1983.

Fonti e Bibl.: Le fonti principali sono: Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 1413, ad nomen; le Discussioni della Camera dei deputati e del Senato per le legislature in cui svolse attività parlamentare; si veda inoltre la sua autobiografia Vita di militante, Roma 1975, che narra gli avvenimenti fino all'agosto 1943. Per una bibliografia dei suoi scritti si veda: Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Bibliografia del socialismo…, II, 1-4, Roma-Torino 1962-1968, ad nomen, ad Indicem, e Supplemento 1953-1967, I-III, Roma 1975-1980, ad nomen, ad Indicem, nonché lo schedario della biblioteca dell'Istituto Gramsci di Roma, ad nomen. Su di lui vedi: R. Luraghi, Il movimento operaio torinese durante la Resistenza, Torino 1958, ad Indicem; P. Secchia-F. Frassati, Storia della Resistenza, I-II, Roma 1965, ad Indicem; G. Pesce, Senza tregua, Milano 1967, pp. 68, 73 s., 111; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-V, Torino 1967-1975, ad Indices; E. Ragionieri, Il PCI nella Resistenza: la nascita del "partito nuovo", in Studi storici, X (1969), pp. 93, 95 s., 99; P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la lotta di liberazione 1943-1945, in Annali dell'Ist. G. Feltrinelli, XIII (1971), ad Indicem; G. Amendola, Lettere a Milano, Roma 1973, pp. 154, 231, 468, 476, 495 s., 500 s., 504 s., 507, 520, 525 s.; L. Longo, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Roma 1973, ad Indicem; C. Dellavalle, Torino, in Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-1944, Milano 1974, ad Indicem; G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia, Milano 1976, ad Indicem; G. Galli, Storia del PCI, Milano 1976, ad Indicem; G. Amendola, Storia del Partito comunista italiano 1921-1943, Roma 1978, ad Indicem; Archivio P. Secchia 1945-1973, a cura di E. Collotti, in Annali della Fondazione G. Feltrinelli, XIX (1978), ad Indicem; Le brigate Garibaldi nella Resistenza, I-III, Milano 1979, ad Indicem; S. Bertelli, Il gruppo. La formazione del gruppo dirigente del PCI 1936-1948, Milano 1980, ad Indicem; G. Amyot, The Italian Communist Party, London 1981, ad Indicem; E. Trivelli, in A. Colombi, Il partito nuovo a Bologna, Bologna 1982, pp. 7-16; G.C. Pajetta, Il ragazzo rosso, Milano 1983, ad Indicem; M. Mafai, L'uomo che sognava la lotta armata, Milano 1984, ad Indicem; P. Spriano, Quel rivoluzionario di professione nel "partito nuovo", in l'Unità, 5 dic. 1984.

* Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

Achivio Pietro Secchia, Feltrinelli Editore, 1979, pag 544-545

5 maggio (1970)

Colloquio con A. Colombi e G. Pajetta. Vedi mia lettera in data 6 maggio.(108). Sono venuti a tastare il terreno. La mia postilla è uno sfogo o qualcosa d'altro? Discussione con Colombi il quale critica tutto il libro. Pajetta invece insiste solo sulla postilla. Col. dice: le misure nei tuoi confronti sono state prese per l'affare Seni ga e non per lo "stalinismo". Rispondo che le misure per l'affare Seniga furono prese alla conferenza nazionale del gennaio 1955, dove fu eletta ina nuova direzione del partito ed una nuova segreteria. Della segreteria non facevo più parte, della direzione si. E fui destituito da vicesegretario nazionale e segretario regionale. Queste erano le misure.

Ma un anno dopo, dopo il XX congresso, al VII congresso del partito, io venni tolto dalla direzione e non si può giustificare questa seconda misura ancora con la provocazione Seniga. L'affare non può restare aperto per tutta la vita. Ma di nuovo c'era stato il XX congresso con tutte le conseguenze nei partiti comunisti e anche nel partito comunista italiano.

Mi si parla anche del mio articolo sul "Calendario del popolo".(109). In una parola, senza dirlo esplicitamente, essi vogliono sottolineare che nei miei scritti ricorre insistentemente il problema della lotta armata. Tutto ciò influisce sui giovani, ecc., ecc. Rispondo che non sono certo d'opinione che oggi si possa condurre la lotta armata, ma che la situazione è seria, il nemico esiste all'interno e all'esterno e il precipitare della situazione potrebbe farci trovare davanti ad una repressione in grande stile (colpi di stato realizzati in forme diverse), di fronte alla quale i compagni non possono essere fatti trovare improvvisamente, senza un orientamento che li prepari a rispondere se del caso con efficacia.

Sempre sull'affare Seniga ho detto che non sostengo che T.... mi abbia colpito per l'affare del 1951 con un pretesto, ma che tuttavia l'affare è molto pasticciato. Intanto T.... era in possesso di un rapporto contro Seniga che Seniga venne a conoscere, ma T.... non mi avvisò. Le responsabilità circa l'utilizzazione di Seniga non erano soltanto mie. Nessun dirigente politico fu mai colpito per aver avuto tra i piedi un provocatore o un traditore. Infine: le misure per l'affare Seniga erano limitate, ma due anni dopo se ne presero altre che non possono più essere attribuite all'affare Seniga. Col. dice che certe cose occorre dimenticarle (l'affare di T.... che non credeva al tradimento di Tito, ma fece fare quel che fece fare). Si parla dell'unità del partito. Gli rispondo che sono diverso da lui in quanto per lui, per un motivo o per un altro, non viene mai il momento in cui un compagno può avere delle posizioni critiche nei confronti del partito. Sempre si tira in ballo, in ogni occasione, il problema dell'unità. Risponde che in direzione parla anche lui e dice cose che non sempre fanno piacere.

Accenno alle conferenze che vado tenendo, dicendo che io vado quando sezioni e federazioni mi chiamano, perché altrimenti, se attendessi loro, non andrei mai. Col. dice che si può andare purché le federazioni sappiano e non si tratti di sezioni contestatrici per cui tu diventi la bandiera.

Note:
108) Testo della lettera in data 5 maggio 1970 a Colombi e Pajetta in Archivio Secchia. Replica a proposito delle critiche rivolte al suo volume più volte citato L'azione svolta dal partito comunista in Italia durante il fascismo: "Chi ha voluto ha colto benissimo quello che c'è di nuovo e cioè il tentativo di portare un contributo alla storia del parlito, facendo anche parlare le organizzazioni di base, considerando il partito come un tutto (il centro e la base) con le sue contraddizioni, con la sua dialettica, con i suoi successi ed i suoi limiti, con il suo lavoro e lo sue lotte. L'altro tentativo è quello di riesaminare criticamente la nostra attività alla luce delle esperienze che abbiamo acquisito in seguito e non restando fermi a quegli anni".
109) Cfr. nota 101.
101) Si tratta certamente dell'articolo di Pietro Secchia, Lenin e la scienza militare, in "Il Calendario del popolo", aprile 1970, a.XXVI, n.306, pp.2592-2596


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