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a 110 anni dalla scomparsa di Friedrich Engels
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Engels: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato – [ Indice ]



VII. La gens tra i Celti e i Tedeschi


Lo spazio ci vieta di addentrarci nello studio delle istituzioni gentilizie che ancor oggi in una forma più o meno chiara si trovano in vigore tra i più diversi popoli selvaggi e barbari, e ci vieta altresì di metterci sulle loro tracce nella più remota storia dei popoli civili dell'Asia (1). Le une e le altre si trovano ovunque. Solo pochi esempi basteranno: prima ancora che la gens fosse riconosciuta, l'uomo che più si è preso la briga di fraintenderla, McLennan, l'aveva segnalata e, nel complesso, esattamente descritta tra i Calmucchi, i Circassi, i Samoiedi e fra tre popoli indiani : i Varali, i Magari e i Munnipuri (2). Recentemente M. Kovalevski l'ha scoperta e descritta tra gli Psciavi, gli Scevsuri, gli Svaneti ed altre tribù del Caucaso. Diamo qui solo alcune brevi notizie sulla presenza della gens tra i Celti e i Germani.

Le più antiche leggi celtiche che si sono conservate ci mostrano la gens ancora in pieno vigore. In Irlanda essa vive ancor oggi, per lo meno istintivamente, nella coscienza popolare dopo che gli Inglesi l'hanno spezzata con la violenza. Nella Scozia, ancor verso la metà del secolo scorso, la gens era nel suo pieno fiorire, e anche qui soggiacque solo alle armi, alle leggi e ai tribunali inglesi.

Le antiche leggi dei Galles che vennero scritte parecchi secoli prima della conquista inglese (3), al più tardi nell'XI secolo, mostrano ancora l'agricoltura in comune da parte di interi villaggi, sia pure solo come residuo eccezionale di un costume in passato generale. Ogni famiglia aveva cinque campi che coltivava per sé; inoltre un appezzamento veniva coltivato in comune e il prodotto distribuito. Che queste comunità di villaggio rappresentino gentes o suddivisioni di gentes, non è da porre in dubbio, data l'analogia con l'Irlanda e la Scozia, anche se un nuovo esame delle leggi del Galles, che non ho il tempo di fare (i miei estratti sono del 1869 (4)), non dovesse direttamente provarlo. Ma ciò che direttamente provano le fonti gallesi e con esse le irlandesi è che nell'XI secolo tra i Celti il matrimonio di coppia non era ancora stato soppiantato dalla monogamia.Nel Galles un matrimonio non diventava indissolubile, o meglio non aveva possibilità di divorzio, che dopo sette anni. Mancando solo tre notti al compimento dei sette anni, i coniugi potevano separarsi. Poi veniva effettuata la divisione: la donna divideva, l'uomo sceglieva la sua parte. I mobili venivano divisi secondo certe regole assai umoristiche. Se era l'uomo che scioglieva il matrimonio, doveva restituire alla moglie la dote con qualche aggiunta; se era la donna, riceveva di meno. Dei figli due spettavano all'uomo; uno, e precisamente quello di mezzo, alla donna. Se, dopo la separazione, la donna prendeva un altro marito e il primo marito se la voleva riprendere, essa doveva seguirlo anche se era già con un piede nel nuovo talamo. Ma se i due erano stati insieme sette anni, erano marito e moglie anche senza precedente matrimonio formale. La castità delle fanciulle prima del matrimonio non era affatto né rigorosamente osservata, né richiesta; le leggi in proposito sono di natura estremamente frivola e per nulla conformi alla morale borghese. Se una donna commetteva adulterio, il marito poteva bastonarla (era uno dei tre casi in cui gli era permesso, altrimenti incorreva in una pena), ma non poteva poi pretendere alcun'altra soddisfazione, poiché «per un medesimo fallo doveva esservi espiazione o vendetta, ma non l'una e l'altra cosa insieme (5)». I motivi per cui la donna poteva chiedere il divorzio senza perdere le sue pretese al momento della separazione erano i più svariati: bastava il cattivo alito del marito. Il denaro del riscatto da pagarsi al capotribù o al re per il diritto della prima notte (gobr merch, donde il nome medievale marcheta, in francese marquette) ha una parte importante nel codice. Le donne avevano il diritto di voto nelle assemblee popolari. Se aggiungiamo che in Irlanda sono attestate condizioni analoghe, che pure là i matrimoni temporanei erano cosa assai comune, e che alla donna in caso di separazione erano assicurati grandi privilegi perfettamente regolati, perfino un'indennità per il suo servizio domestico; che là esiste una «prima moglie» accanto ad altre, e che nella divisione dell'eredità non viene fatta nessuna differenza tra figli legittimi e illegittimi, abbiamo un quadro del matrimonio di coppia di fronte al quale la forma di matrimonio vigente nell'America del Nord appare severa; ma ciò non può meravigliare in un popolo dell'XI secolo che, al tempo di Cesare, praticava ancora il matrimonio di gruppo.

La gens irlandese (sept, la tribù si chiama clainne, clan) è confermata e descritta non solo dagli antichi codici, ma anche dai giuristi inglesi del XVII secolo, inviati per trasformare il paese dei clan in dominio del re d'Inghilterra. Fino a quel tempo il suolo era stato proprietà comune del clan e della gens, nella misura in cui i capi non lo avevano già trasformato in loro dominio privato. Se un membro della gens moriva, e quindi un'amministrazione domestica si dissolveva, il capo (caput cognationis lo chiamarono i giuristi inglesi) procedeva ad una nuova divisione fondiaria di tutto il territorio tra le altre amministrazioni domestiche. Probabilmente questa divisione era eseguita all'ingrosso secondo le regole vigenti in Germania. Ancora oggi si trovano alcuni campi comunali - quaranta o cinquant'anni fa assai numerosi - i cosiddetti rundali. I contadini di un rundale, fittavoli individuali del suolo una volta appartenente in comune alla gens e rapinato dal conquistatore inglese, pagano il fitto, ognuno per il suo pezzo di terra, ma riuniscono il terreno arativo e prativo di tutti gli appezzamenti, lo dividono secondo la posizione e la qualità in gewann, come si chiamano in riva alla Mosella, e dànno a ciascuno la sua parte di ogni gewann. Il terreno paludoso e da pascolo viene utilizzato in comune. Ancora cinquanta anni fa, di tempo in tempo, talvolta ogni anno, veniva effettuata una nuova divisione. La carta catastale di un tale villaggio di rundali sembra precisamente quella di una Gehöferschaft (Comunità rurale) tedesca delle rive della Mosella o dello Hochwald. Anche nelle factions sopravvive la gens. I contadini irlandesi si dividono spesso in partiti che si fondano su differenze apparentemente assurde o prive di senso, del tutto incomprensibili agli Inglesi e sembrano non avere altro scopo fuorché le solenni bastonature in voga tra una fazione e l'altra. Sono riviviscenze artificiose, surrogati postumi delle gentes distrutte, che provano, a modo loro, il perdurare dell'istinto gentilizio ereditato. In molte località, del resto, i membri della gens si trovano ancora insieme pressapoco nell'antico territorio; cosi, ancora dopo il 1830, la grande maggioranza degli abitanti della contea di Monaghan aveva solo quattro cognomi, cioè discendeva da quattro gentes o clan (6).

In Scozia il tramonto dell'ordinamento gentilizio data dalla repressione dell'insurrezione del 1745 (7). Quale anello di questo ordinamento rappresenti specialmente il clan scozzese rimane ancora da indagare, ma che tale sia stato è fuori dubbio. Nei romanzi di Walter Scott (8) vediamo rappresentati in piena vita questi clan dell'Alta Scozia. È, dice Morgan,

« ...un modello eccellente della gens, nella sua organizzazione e nel suo spirito; un esempio evidente del dominio della vita della gens sui suoi membri... Nelle loro contese e nelle vendette di sangue, nella spartizione del terreno per clan, nella loro utilizzazione comune del suolo, nella fedeltà dei membri del clan verso il capo e tra loro, noi troviamo i tratti, ricorrenti dovunque, della società gentilizia... La discendenza si calcolava secondo il diritto patriarcale, cosicché i figli dei maschi rimanevano nei clan, mentre quelli delle donne passavano nei clan dei rispettivi padri.»

Ma che in Scozia anteriormente dominasse il diritto matriarcale lo prova il fatto che nella famiglia reale dei Pitti vigeva, secondo Beda (9), la successione ereditaria femminile. Anzi, perfino un elemento della famiglia punalua si era conservato, come tra i Gallesi, così tra gli Scoti fin nel Medioevo, nel diritto della prima notte, che il capo del clan o il re era autorizzato ad esercitare su ogni sposa come ultimo rappresentante dei mariti comuni di un tempo; a meno che questo diritto non fosse stato riscattato.

Che i. Tedeschi, fino all'epoca delle migrazioni, fossero organizzati in gentes, è fuor di dubbio. È probabile che essi abbiano occupato, solo pochi secoli prima della nostra era, il territorio tra il Danubio, il Reno, la Vistola e il Mare del Nord; i Cimbri e i Teutoni (10) erano ancora in piena migrazione, e gli Svevi trovarono sedi stabili solo al tempo di Cesare. Di essi Cesare dice espressamente che si erano insediati per gentes e parentele (gentibus cognationibusque (11)), e sulla bocca di un Romano della gens Julia questo vocabolo gentibus ha un significato determinato incontrovertibile. Questo valeva per tutti i Tedeschi; sembra che anche lo stanziamento nelle province romane conquistate (12) sia avvenuto ancora per gentes. Nel diritto popolare alemanno (13) viene confermato che il popolo si insediò nel territorio conquistato a sud del Danubio per stirpi (genealogiae); genealogiae viene adoperato assolutamente nello stesso senso in cui più tardi si parlerà di comunità di marca o di villaggio. Recentemente Kovalevski (14) ha espresso l'opinione che queste genealogiae sarebbero le grandi comunità domestiche tra cui la terra sarebbe stata divisa, dalle quali si sarebbero più tardi sviluppate le comunità di villaggio. Lo stesso valeva probabilmente anche per la fara, con la quale espressione, presso i Burgundi e i Longobardi, cioè presso un popolo gotico ed uno erminonico (15) o alto tedesco, si indicava pressapoco, se non proprio, la stessa cosa che il codice alemanno indica con la parola genealogia. Se qui si tratti effettivamente di una gens o di una comunità domestica è cosa che deve essere esaminata ancora più da vicino.

I monumenti linguistici ci lasciano il dubbio se presso tutti i Tedeschi esistesse una espressione comune per indicare la gens, e quale essa fosse. Al greco genos, al latino gens corrisponde etimologicamente il gotico kuni, medio alto tedesco künne, e viene adoperato anche nello stesso senso. Il fatto che il nome della donna derivi sempre dalla stessa radice, in greco gyne, in slavo zena, in gotico qvino, in nordico antico kona, küna, ci rimanda ai tempi del diritto matriarcale. Tra i Longobardi e i Burgundi troviamo, come abbiamo detto, fara, che Grimm fa derivare da un'ipotetica radice fisan, generare. Io preferirei ritornare alla derivazione più evidente di faran, fahren, cioè camminare, viaggiare, ritornare, come designazione di un reparto compatto nella marcia migratoria, naturalmente composto di consanguinei; designazione che nel corso della migrazione plurisecolare prima verso est, poi verso ovest, passò poco per volta alla stessa unione gentilizia. Inoltre abbiamo il gotico sibja, l'anglosassone sib, l'antico alto tedesco sippia, sippa, stirpe. L'antico nordico ha solo il plurale sifjar, parenti; il singolare sif, si usa solo come nome di una dea, Sif. E infine si ha nel Canto di Ildebrando (16) ancora un'altra espressione, nel punto in cui Ildebrando chiede ad Adubrando «chi sia tra gli uomini del popolo suo padre... o di quale schiatta tu sia» (eddo huêlîhhes cnuosles du sîs). Se è esistito un comune nome tedesco per gens, esso deve essere stato probabilmente il gotico kuni; questa ipotesi è avvalorata non solo dalla sua identità con l'espressione corrispondente delle lingue affini, ma anche dalla circostanza che da kuni deriva la parola kuning, re, che originariamente indica un capo di gens o di tribù. La parola sibja, stirpe, sembra non debba esser presa in considerazione; comunque nell'antico nordico sifjar non significa solo consanguinei, ma anche parenti d'acquisto, e abbraccia dunque gli appartenenti a due gentes per lo meno. Sif dunque, non può essere stata l'espressione usata per gens.

Come tra i Messicani e i Greci, così tra i Tedeschi l'ordine di battaglia tanto dello squadrone di cavalleria quanto della colonna di punta della fanteria, era organizzato per gruppi gentilizi. Se Tacito dice «per famiglie e parentele (17)», questa espressione imprecisa si spiega col fatto che ai suoi tempi, a Roma, la gens aveva cessato da molto di costituire un'associazione effettiva.

Decisivo è un passo di Tacito (18) in cui si dice che il fratello della madre considera suo nipote come suo figlio; alcuni anzi ritengono il vincolo di sangue tra zio materno e nipote ancora più sacro e stretto di quello esistente tra padre e figlio; cosicché, quando vengono richiesti degli ostaggi, il figlio della sorella vale come garanzia maggiore del figlio carnale di colui che si vuoi vincolare. Qui abbiamo una prova effettiva di qualcosa che caratterizza particolarmente i Tedeschi (19), della gens organizzata secondo il diritto matriarcale, dunque della gens originaria. Se veniva dato dal membro di una tale gens, come pegno di una promessa, il proprio figlio e questi cadeva vittima per rottura del patto da parte del padre, costui doveva risponderne a se stesso. Ma se veniva sacrificato il figlio della sorella, veniva violato allora il più sacro diritto della gens e il più prossimo parente gentilizio, che più di tutti gli altri aveva il dovere di proteggere il fanciullo o il giovinetto, era incolpato della sua morte: o non doveva consegnarlo come ostaggio o doveva mantenere il patto. Se anche non avessimo altre tracce della costituzione gentilizia tra i Tedeschi, questo solo passo sarebbe sufficiente (20).

Ancor più decisivo, perché di circa 800 anni posteriore, è un passo del poema antico-nordico sul crepuscolo degli dèi e sulla fine del mondo, la Völuspâ (21). In questa «visione della profetessa», nella quale, come ora Bang e Bugge (22) hanno provato, sono mescolati anche elementi cristiani nella descrizione dell'epoca di universale degenerazione e corruzione che porta alla grande catastrofe, così si dice: Broedhr munu berjask ok at bönum verdask,munu systrungar sfjum spilla «I fratelli si faranno la guerra e diverranno assassini l'uno dell'altro, i figli di sorelle infrangeranno la loro parentela». Systrungar si chiama il figlio della sorella della madre, e che costoro rinneghino la reciproca consanguineità viene considerato dal poeta come un aggravamento perfino del delitto di fratricidio. L'aggravamento sta nel systrungar che mette in rilievo la parentela per parte di madre. Se al suo posto vi fosse syskinabörn, prole di fratelli e sorelle o syskinasynir, figli di fratelli e sorelle, la seconda riga non offrirebbe nessun aggravamento rispetto alla prima, ma al contrario offrirebbe un'attenuazione. Dunque, anche ai tempi dei Vichinghi, quando fu composta la Völuspâ, il ricordo del diritto matriarcale non era ancora sparito in Scandinavia.

Del resto, il diritto matriarcale ai tempi di Tacito aveva già ceduto il posto al diritto patriarcale, per lo meno tra i Tedeschi, a lui più noti : i figli ereditavano dal padre; dove non c'erano figli, ereditavano i fratelli, gli zii per parte di madre e di padre (23). L'ammissione del fratello della madre alla eredità coincide con la conservazione del già ricordato costume, e prova insieme come il diritto patriarcale tra i Tedeschi fosse a quest'epoca ancora recente. Anche sino al Medioevo inoltrato troviamo tracce di diritto matriarcale. Pare che ancora allora non ci si fidasse molto della paternità, specie tra i servi. Se quindi un feudatario reclamava da una città un servo della gleba fuggiasco, bisognava che, per esempio ad Augusta, Basilea e Kaiserslautern, la condizione di servo della gleba dell'accusato venisse affermata con giuramento da sei dei suoi consanguinei più prossimi, e, cioè, esclusivamente di parte materna (Maurer, Städteverfassung (24), I, p. 381).

Un ulteriore residuo del diritto matriarcale, che proprio allora volgeva alla fine, ce lo offre il rispetto dei Tedeschi per il sesso femminile, che riusciva quasi incomprensibile ai Romani. Nei trattati coi Tedeschi le giovani di famiglie nobili erano considerate gli ostaggi più vincolanti; l'idea che le loro mogli o le loro figlie potessero cadere prigioniere o divenire schiave era per i tedeschi terribile e stimolava più di ogni altra cosa il loro coraggio in battaglia; essi vedevano qualcosa di sacro e di profetico nella donna, e ne ascoltavano il consiglio anche negli affari più importanti. Così Veleda, sacerdotessa dei Bructeri, sulla Lippe, fu l'animatrice di tutta l'insurrezione batava, con la quale Civile, alla testa di Tedeschi e Belgi, scosse l'intero dominio romano nella Gallia. Nella casa il dominio della donna appare incontestato; essa, insieme ai vecchi ed ai fanciulli, deve certo prendersi cura di tutti i lavori, mentre il marito va a caccia o beve o sta in ozio. Così dice Tacito (25); ma, poiché egli non dice chi si cura dei campi e afferma decisamente che gli schiavi pagavano soltanto un tributo senza prestare lavoro servile di sorta (26) la massa degli uomini adulti deve avere svolto dunque quel poco lavoro che richiedeva la coltivazione del suolo.

La forma del matrimonio era, come abbiamo detto sopra, quella del matrimonio di coppia che si avvicinava a poco a poco alla monogamia. Non era ancora monogamia in senso stretto, poiché la poligamia era permessa ai nobili. In complesso si teneva rigorosamente alla castità delle fanciulle (al contrario dei Celti) e Tacito parla, del pari, con calore particolare dell'indissolubilità del vincolo coniugale tra i Tedeschi. Solo l'adulterio da parte della donna è motivo di divorzio, secondo Tacito (27). Ma il suo resoconto lascia qui qualche lacuna ed è fin troppo evidente che egli addita ai Romani dissipati questo specchio di virtù. Una cosa è certa: se i Tedeschi erano, nelle loro foreste, questi eccezionali cavalieri di virtù, è bastato però solo un piccolo contatto con il mondo esterno perché essi si abbassassero al livello degli altri europei medi. L'ultima traccia della morigeratezza dei costumi scomparve in mezzo al mondo romano ancor più rapidamente della lingua tedesca. Basta leggere a questo proposito Gregorio di Tours (28). Che nelle foreste vergini della Germania non potesse dominare la raffinata lussuria dei piaceri dei sensi che dominava a Roma, si capisce da sé, e anche sotto questo rapporto rimane ancora ai Tedeschi una superiorità sufficiente di fronte al mondo romano, senza che ci sia nessun bisogno di attribuire loro nelle cose carnali una continenza che mai e in nessun luogo è stata praticata da un intero popolo.

Dalla costituzione gentilizia è sorto l'obbligo di ereditare le inimicizie così come le amicizie del padre o dei parenti; del pari è sorto il guidrigildo, l'ammenda al posto della vendetta di sangue per uccisione o per ferimento. Di questo guidrigildo che, ancora fino ad una generazione fa, veniva considerato come un'istituzione specificamente tedesca, e stata provata ora l'esistenza presso centinaia di popoli, come forma generale attenuata della vendetta di sangue che ha origine nell'ordinamento gentilizio. Noi lo troviamo, insieme al dovere di ospitalità, tra l'altro, presso gli Indiani d'America. La descrizione del modo come, secondo Tacito (Germania, cap. 21 (29)), veniva esercitata l'ospitalità è, fin quasi nei minimi particolari, la stessa che Morgan ci dà dei suoi Indiani.

La controversia accesa e interminabile se i Tedeschi di Tacito avessero effettuato o no una definitiva ripartizione della terra coltivabile e del modo di interpretare i passi che vi si riferiscono, appartiene ormai al passato. Dopo che la coltivazione in comune della terra da parte della gens, e più tardi da parte di comunità familiari comunistiche, che Cesare attesta esistente anche tra gli Svevi, e la susseguente assegnazione di terra a famiglie singole con ridistribuzione periodica, sono state dimostrate presso quasi tutti i popoli; da quando è stato assodato che questa ridistribuzione periodica della terra coltivabile nella Germania stessa si è mantenuta localmente fino ai nostri giorni, su tale argomento non c'è bisogno di spendere altre parole. Se i Tedeschi, dalla coltivazione in comune della terra che Cesare attribuisce espressamente agli Svevi (tra loro non si trovano né campi divisi né campi privati, egli dice (30)), erano passati, nei 150 anni che intercorrono tra quest'epoca e quella di Tacito, alla coltivazione individuale con ridistribuzione annuale del suolo, questo fatto rappresenta un reale progresso. Il passaggio da questo stadio alla piena proprietà privata del suolo in quel breve intervallo di tempo e senza alcuna intrusione straniera, è veramente impossibile. Mi limito quindi a leggere in Tacito ciò che egli dice con aride parole: essi cambiano (o ridistribuiscono) la terra coltivata ogni anno, ma vi resta accanto abbastanza terra comune (31). È questo lo stadio della coltivazione e dell'appropriazione del suolo che corrisponde esattamente alla costituzione gentilizia di allora dei Tedeschi (32).

Lascio immutato il precedente capoverso come sta nelle precedenti edizioni. Nel frattempo però la questione ha preso un altro indirizzo. Da quando Kovalevski (cfr. più sopra) ha indicato l'esistenza assai diffusa, se non generale, della comunità domestica patriarcale, come stadio intermedio tra la famiglia comunistica matriarcale e la famiglia moderna isolata, non si discute più, come avveniva ancora tra Maurer e Waitz (33), di proprietà comune o privata del suolo, ma della forma della proprietà comune.

Che ai tempi di Cesare esistesse tra gli Svevi non solo proprietà comune, ma anche coltivazione comune, non vi è dubbio alcuno. Si discuterà ancora a lungo se l'unità economica fosse la gens o la comunità domestica, o un gruppo comunistico parentale intermedio tra i due, o se, secondo le condizioni del suolo, tutti e tre i gruppi esistessero. Ma ora Kovalevski sostiene che lo stato di cose descritto da Tacito non presuppone la comunità di marca o di villaggio, ma la comunità domestica; la comunità di villaggio si sarebbe sviluppata molto più tardi di questa, in seguito all'incremento della popolazione.

Ne conseguirebbe che le colonie dei Tedeschi sul territorio da essi occupato al tempo dei Romani, come su quello sottratto più tardi a questi ultimi, non consistevano in villaggi, ma in grandi comunità familiari che comprendevano parecchie generazioni, coltivavano un tratto adeguato di terreno e insieme ai vicini utilizzavano la terra incolta circostante, come marca comune. Il passo di Tacito sull'alternarsi della terra coltivata dovrebbe dunque in effetti intendersi in senso agronomico: la comunità coltivava ogni anno un nuovo tratto di terreno e lasciava la terra coltivata l'anno prima a maggese addirittura la lasciava rinselvatichire. Data la scarsa popolazione, ci sarebbe rimasta sempre terra incolta bastante da rendere superfluo qualsiasi conflitto per il possesso terriero. Solo dopo secoli, quando il numero dei membri delle comunità familiari crebbe a tal punto che un'economia comune nelle condizioni di produzione del tempo non era più possibile, queste comunità si sarebbero dissolte. Campi e prati, fino allora comuni, sarebbero stati distribuiti con i criteri noti tra i nuclei familiari singoli ormai in formazione, dapprincipio temporaneamente, più tardi una volta per sempre, mentre boschi, pascoli, acque sarebbero rimasti in comune.

Per la Russia questo processo di sviluppo sembra un fatto del tutto provato storicamente. Per ciò che concerne la Germania, e in seconda linea tutti gli altri paesi germanici, non si può negare che questa ipotesi, per molti aspetti, illumina meglio le fonti e risolve le difficoltà più agevolmente dell'ipotesi finora sostenuta che fa risalire ai tempi di Tacito la comunità di villaggio. I più antichi documenti, p. es. il Codex Laureshamensis (34), si spiegano meglio in termini di comunità familiare che di comunità di marca e di villaggio. Questa ipotesi d'altra parte solleva nuove difficoltà e pone nuovi problemi che non sono ancora stati risolti. Solo nuove indagini possono portare ad una soluzione; non posso tuttavia negare che è assai verosimile anche per la Germania, la Scandinavia e l'Inghilterra l'esistenza dello stadio intermedio della comunità familiare.

Mentre in Cesare i Tedeschi parte hanno appena preso dimora stabile, e parte ancora la cercano, ai tempi di Tacito hanno già dietro di sé un intero secolo di stabilità, a cui corrisponde un progresso evidente nella produzione dei mezzi di sostentamento. Abitano in case di tronchi d'albero, le loro vesti ricordano ancora le originarie dimore nei boschi: un rozzo mantello di lana, pelli di animali, sottovesti di lino per le donne e i nobili. Si nutrono di latte, carne, frutti selvatici e, come aggiunge Plinio, di pappa di avena (35) (ancora oggi cibo nazionale celtico nell'Irlanda e nella Scozia). La loro ricchezza consiste in bestiame che è, però, di cattiva razza, i bovini sono piccoli, di aspetto misero, senza corna; i cavalli sono piccoli ponies e sono poco veloci. Il denaro era usato raramente e scarsamente, ed era solo denaro romano. Essi non lavoravano l'oro e l'argento e neppure li tenevano in conto; raro era il ferro, che, a quanto pare, era soltanto importato e non estratto, per lo meno tra le tribù del Reno e del Danubio. La scrittura runica (36) (imitata dai caratteri greci o latini) era conosciuta solo come scrittura segreta e veniva adoperata solo per sortilegi religiosi. Erano ancora in uso sacrifici umani.

In breve, qui abbiamo davanti a noi un popolo che si è appena sollevato dallo stadio medio della barbarie a quello superiore. Mentre però le tribù confinanti direttamente con i Romani, data la facilità d'importare prodotti industriali romani, furono ostacolate nello sviluppo di una industria metallurgica e tessile autonoma, senza dubbio una tale industria si formò nel nord-est, sulle rive del Baltico. I pezzi di armatura trovati nelle paludi dello Schleswig (lunga spada di ferro, corazza a maglie, elmo d'argento, ecc., insieme a monete romane della fine del secondo secolo) e gli oggetti di metallo tedeschi, diffusi mediante la migrazione dei popoli, mostrano, anche dove derivano da un modello in origine romano, un tipo del tutto particolare di non scarso grado di perfezionamento.

L'emigrazione nel civile impero romano segnò ovunque la fine di questa industria indigena, meno che in Inghilterra. Come questa industria sia nata ed abbia progredito in maniera unitaria lo mostrano per esempio le fibbie di bronzo. Quelle trovate in Borgogna, Rumenia o sulle rive del Mare d'Azov potrebbero provenire dalla stessa officina di quelle trovate in Inghilterra e in Svezia e sono egualmente, senza alcun dubbio, di origine germanica.

Anche la costituzione corrisponde allo stadio superiore della barbarie. Esisteva in generale, secondo Tacito (37), il consiglio dei capi (principes), che decideva degli affari meno importanti e preparava quelli di maggior peso, per sottoporli alla decisione dell'assemblea popolare. Questa stessa assemblea popolare, nello stadio inferiore della barbarie, per lo meno là dove noi la conosciamo, tra gli Americani, esiste dapprima solo per la gens e non ancora per la tribù e per la federazione di tribù. I capi (principes) si distinguono inoltre nettamente dai capi militari (duces) del tutto come tra gli Irochesi. I primi vivono già in parte di doni di omaggio dei membri della loro tribù, consistenti in bestiame, grano, ecc.; essi vengono eletti, come in America, per lo più dalla stessa famiglia; il passaggio al diritto patriarcale favorisce, come in Grecia e a Roma, la graduale trasformazione dell'elezione in ereditarietà e quindi la formazione di una famiglia nobile in ogni gens.

Questa antica nobiltà, la cosiddetta nobiltà di stirpe, scomparve in gran parte al tempo della migrazione dei popoli o subito dopo. I capi militari venivano eletti senza riguardo alla loro discendenza, solo in virtù della loro valentìa. Essi avevano poco potere e dovevano agire con la forza dell'esempio. Espressamente Tacito attribuisce ai sacerdoti il vero e proprio potere disciplinare nell'esercito. Il potere effettivo risiede nella assemblea popolare. Il re o il capotribù presiede, il popolo decide, per il no con i mormorii, per il sì con acclamazioni e rumori di armi. L'assemblea popolare è nello stesso tempo corte di giustizia: ad essa si sporgono le querele, essa giudica, in essa vengono emesse le sentenze di morte, e a dir vero la pena di morte viene inflitta solo per codardia, tradimento verso il popolo e vizi contro natura (38). Anche nelle gentes e nelle altre suddivisioni la collettività giudica sotto la presidenza del capo che, come in tutti i tribunali primitivi tedeschi, può soltanto dirigere il dibattito e porre domande. Fin da tempo immemorabile tra i Tedeschi la sentenza è emessa dalla collettività.

Fin dal tempo di Cesare si erano formate federazioni di tribù; in alcune di esse c'erano già i re; il capo militare supremo, come tra i Greci e i Romani, tendeva già alla tirannide, e talvolta ci riusciva. Tali fortunati usurpatori non erano affatto sovrani assoluti, tuttavia cominciavano già a infrangere i vincoli della costituzione gentilizia. Mentre una volta gli schiavi affrancati occupavano un posto subordinato, perché non potevano far parte di una gens, ora questi favoriti giungevano spesso, con i nuovi re, a dignità, ricchezze ed onori. Lo stesso accadde dopo la conquista dell'impero romano da parte dei capi militari diventati ora re di vasti paesi. Tra i Franchi, schiavi e liberti del re ebbero una parte importante, dapprima nella corte, e poi nello Stato; la nuova nobiltà in gran parte discende da costoro.

Un'istituzione favorì il sorgere della monarchia: le compagnie militari. Già tra i Pellirosse americani vediamo come, accanto alla costituzione gentilizia, si formino compagnie private che conducono la guerra di loro propria iniziativa. Queste compagnie private erano già divenute, tra i Tedeschi, associazioni permanenti. Il capo militare che si era fatto un nome, raccoglieva intorno a sé una schiera di giovani avidi di bottino, legati a lui, come egli lo era a loro, da vincoli di fedeltà personale. Il capo si prendeva cura di loro, faceva loro doni, li ordinava gerarchicamente: una guardia del corpo e truppa agguerrita per le piccole spedizioni, un corpo di ufficiali addestrati per quelle più grandi. Per quanto deboli debbano essere state queste compagnie militari, e deboli appaiono anche più tardi, p. es. in Italia ai tempi di Odoacre (39), esse costituivano tuttavia già il germe della decadenza dell'antica libertà popolare e tale prova dettero di sé durante e dopo le migrazioni dei popoli. Esse infatti favorirono in primo luogo il sorgere del potere regio. In secondo luogo, però, come già osserva Tacito, potevano essere tenute insieme solo mediante continue guerre e razzie. La rapina divenne un fine. Se il capitano non aveva da fare nei paraggi dove si trovava, si trasferiva con i suoi uomini presso altri popoli dove c'era guerra e prospettiva di bottino. Le truppe ausiliarie tedesche che, sotto la bandiera romana, combatterono numerose perfino contro i Tedeschi, erano in parte composte di queste compagnie. I lanzichenecchi, vergogna e maledizione dei Tedeschi, esistevano già in germe in queste compagnie. Dopo la conquista dell'impero romano, questi uomini al seguito del re, insieme ai cortigiani, schiavi e romani, costituirono il secondo elemento principale della futura nobiltà.

Nel complesso dunque vige per le tribù tedesche federate in popoli quella stessa costituzione che si era sviluppata tra i Greci dell'età eroica e i Romani della cosiddetta età dei re: assemblea popolare, consiglio dei capi delle gentes, capo militare che aspira ad ottenere un effettivo potere regio. Era la più perfetta costituzione che l'ordinamento gentilizio in generale potesse sviluppare; era la costituzione modello dello stadio superiore della barbarie. Se la società superava i limiti entro i quali questa costituzione era adeguata, per l'ordinamento gentilizio non rimaneva più nulla da fare; veniva distrutto; e al suo posto subentrava lo Stato.


Note:

1) Le righe che seguono, fino a «Diamo qui solo alcune brevi notizie ecc.», sono un'aggiunta di Engels alla quarta edizione.

2) I Varali vivono nella regione degli attuali Stati di Bombay e Madhya Pradesh; i Magari nel Nepal occidentale; i Munnipuri (Manipuri) nello Stato di Manipur e nelle vicine regioni dell'Unione Indiana e dell'Unione Birmana.

3) La conquista inglese del Galles fu condotta a termine negli anni 1282-84 sotto Edoardo l.

4) ln quell'anno Engels preparava un'ampia storia dell'Irlanda.

5) Ancient Laws and Institutes of Wales (Antiche leggi e istituti del Galles), vol. I, s. 1., 1841, p. 93. Su queste leggi Marx aveva richiamato l'attenzione di Engels in due lettere del 10 e 11 maggio 1870 (Carteggio cit, vol. VI, p. 79 sg.), commentando: «Si trattava assolutamente (fino ai secoli XI XII) della fantasia del Fourier mise en pratique

6) Durante alcuni giorni passati in Irlanda ho potuto avere viva coscienza di come il popolo delle campagne viva laggiù ancora nelle idee dell'età gentilizia. Il proprietario terriero di cui il contadino è fittavolo, è ancora per costui una specie di capo clan che deve amministrare la terra nell'interesse di tutti, al quale il contadino paga il tributo sotto forma di fitto, ma dal quale deve ricevere soccorso in caso di necessità. E cosi pure ogni benestante ha il dovere di soccorrere i suoi vicini più poveri quando essi cadono in miseria. Tale aiuto non è elemosina, ma è ciò che di diritto spetta al più povero da parte del più ricco membro del clan o capo del clan. Si comprendono i lamenti degli economisti e dei giuristi per l'impossibilità di inculcare nel contadino irlandese il concetto della moderna proprietà borghese; una proprietà che ha solo diritti e nessun dovere non entra assolutamente in un cervello irlandese. Si capisce però anche perché gli Irlandesi, immersi bruscamente con tali ingenue idee di provenienza gentilizia nella vita delle grandi città inglesi o americane, tra una popolazione fornita di una concezione della morale e del diritto del tutto differente dalla loro, facilmente perdano il senno su ciò che riguarda morale e diritto, dimentichino ogni limite e cadano spesso nella demoralizzazione. [Nota di Engels alla quarta edizione].

7) L'insurrezione ispirata dai sostenitori degli Stuart, che volevano elevare al trono Carlo Edoardo, nipote di Giacomo II.

8) Walter Scott (1771-1832), il grande scrittore scozzese, creatore del romanzo storico moderno, uno dei romanzieri preferiti di Marx. Il suo romanzo Waverley si svolge al tempo dell'insurrezione del 1745; in Rob Roy è descritta la dissoluzione dei clan.

9) Beda Il Venerabile (circa 672-735), monaco anglosassone, santo e dottore della Chiesa. Engels si riferisce alla sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum (Storia ecclesiastica del popolo degli Angli), libro I, cap. 1. I Pitti erano antiche popolazioni celtiche della Scozia.

10) I Cimbri, tribù germanica originaria dello Jutland settentrionale, alla fine del II secolo a. C. emigrarono verso sud insieme con i Teutoni loro vicini; dopo alcuni anni l'esercito romano comandato da Gaio Mario sconfisse i Teutoni ad Aquae Sextiae (AixenProvence) e i Cimbri presso Vercelli (102-101 a. C.). Gli Svevi, grande gruppo proveniente dal Brandeburgo, raggiunsero il Reno verso il 100 a. C.

11) Cesare, La guerra gallica, libro VI, cap. 22.

12) Da questo punto fino al capoverso «Come tra i Messicani e i Greci ecc.» il testo è stato notevolmente ampliato da Engels nella quarta edizione.

13) Codificazione, risalente ai secoli VI-VlI e VIII, del diritto consuetudinario degli Alemanni, popolazione sveva che mosse nel lI secolo a. C. dal Brandeburgo, nei secoli seguenti attaccò ripetutamente le frontiere dell'impero romano e infine si trovò divisa in vari gruppi stabiliti in Alsazia, nel Palatinato, in parte della Svizzera e della Germania meridionale.

14) In Maxim Kovalevski, Pervobytnoe pravo. Vypusk I. (Diritto primitivo, fascicolo I), Moskva, 1886.

15) Secondo Tacito e Plinio il Vecchio i Germani erano divisi in tre grandi gruppi etnici: Erminoni, lngevoni e Istevoni. I primi comprendevano gli Svevi, i Catti, i Cherusci ecc.

16) Poema eroico tedesco dell'VIII secolo.

17) Germania, cap. 7.

18) lvi, cap. 20.

19) La natura particolarmente intima dei vincoli tra zio materno e nipote, proveniente dal tempo in cui era in vigore il diritto matriarcale, e che si trova tra parecchi popoli, è conosciuta dai Greci solo nella mitologia dell'età eroica. Secondo Diodoro, IV, 34, Meleagro uccide i figli di Testio, fratelli di sua madre Altea. Costei vede in questa azione un delitto talmente inespiabile che maledice l'assassino, che è suo figlio, e gli augura la morte. «Gli dei, a quello che si racconta, esaudirono i suoi desideri e posero fine alla vita di Meleagro.» Secondo lo stesso Diodoro (IV, 44), gli Argonauti sbarcano sotto Eraclea nella Tracia e trovano colà che Fineo, istigato dalla sua nuova moglie, maltratta vergognosamente i due figli che aveva avuto dalla sua consorte repudiata, la Boreade Cleopatra. Ma tra gli Argonauti vi sono anche dei Boreadi, fratelli di Cleopatra, dunque zii materni dei maltrattati. Questi prendono subito le parti dei loro nipoti e li liberano, uccidendo i loro guardiani [Nota di Engels).
Diodoro Siculo, storico del I secolo a. C., scrisse in greco una Biblioteca storica in 40 libri, storia universale che ci è rimasta solo in parte.

20) La parte che segue, fino al capoverso «Del resto, il diritto matriarcale ecc.», e un'aggiunta di Engels alla quarta edizione.

21) E un canto dell'Edda antica, risalente all'anno 1000 circa; in esso un'indovina racconta le vicende degli dèi dalle origini fino alla fine del mondo e alla sua palingenesi. Engels cita i primi versi della strofa 45. Per gli elementi cristiani di questa predizione cfr. il Vangelo di Marco. XllI, 12: «E il fratello darà il fratello alla morte. e il padre il figliuolo».

22) Anton Christian Bang. Voluspaa og de Sibylliniske Orakler (Völuspâ e gli oracoli sibillini). Christiania 1879; Sophus Bugge, Studier over de nordiske Gude-og Heltesagns oprindelse (Studi sull'origine dei canti mitologici ed eroici nordici), Christiania 1881-89. Il Bang (1840-1913) era un teologo e storico norvegese; il Bugge (1833-1907), filologo norvegese, professore a Cristiania (Oslo), scrisse numerosi saggi sull'antica letteratura scandinava.

23) Tacito, Germania, cap. 20.

24) Georg Ludwig Von Maurer, Geschichte der Städteverfassung in Deutschland (Storia degli ordinamenti delle città in Germania), 4 voll.. Erlangen 1869-1871.

25) Germania, capp. 8 e 15. Nel 69 d. C. Gaio Giulio Civile, un nobile Batavo, capeggiò contro i Romani un'insurrezione che ebbe l'appoggio di Germani d'oltre Reno. Dopo una prima sconfitta, la rivolta si estese ancora, trascinando tribù galliche, finché le truppe romane riportarono una vittoria decisiva presso Treviri e infine Civile dovette capitolare. Veleda fu condotta prigioniera a Roma.

26) Ivi, cap. 25.

27) Ivi, capp. 18 e 19.

28) Vescovo di Tours nel VI secolo, autore di una Storia dei Franchi in cinque libri.

29) Scrive Tacito: «Nessuna altra gente e più larga nell'offrire banchetti e ospitalità. Si considera un'empietà chiudere la porta a chiunque: ognuno accoglie preparando mense proporzionate ai suoi mezzi. Se le provviste vengono a mancare, colui che aveva dato ospitalità indica all'invitato un'altra casa ospitale e ve l'accompagna, e vanno non invitati alla casa più vicina. Ne si fa differenza: vengono accolti con uguale cortesia. Riguardo al diritto d'ospitalità nessuno distingue fra persone conosciute e sconosciute. E consuetudine offrire all'ospite in partenza ciò che egli può chiedere; e anche dall'altra parte si chiede con la stessa facilità. Gradiscono i regali, ma non mettono in conto quelli offerti ne si sentono obbligati per quelli ricevuti».

30) La Guerra gallica, libro IV, cap. I.

31) Germania, cap. 26.

32) I tre capoversi seguenti, fino a «Mentre in Cesare i Tedeschi ecc.», sono un'aggiunta di Engels alla quarta edizione.

33) Georg Waitz (1813-1886), storico tedesco, professore a Kiel e a Gottinga, scrisse fra l'altro una Deutsche Verfassungsgeschichte (Storia delle costituzioni tedesche), 1844-1878, fondata su una vasta raccolta di documentazione.

34) Registro di documenti su donazioni, privilegi, ecc., raccolto nel XII secolo nel convento benedettino di Lorsch, presso Worms.

35) Plinio Il Vecchio, Storia naturale, libro XVIII, cap. 17. In questa sua opera di compilazione in 37 libri l'erudito Plinio (23/24-79 d.C.) ci ha lasciato una gran massa di notizie utili sulle scienze e sulla vita pratica nell'antichità.

36) Le rune sono i segni alfabetici dell'antica scrittura germanica e scandinava. Presso i popoli primitivi la scrittura generalmente considerata di origine soprannaturale, e anche alle rune si attribuivano poteri magici.

37) Germania, cap. 11.

38) Ivi, cap. 12.

39) Odoacre (434-493), il condottiero germanico che assunse il governo dell'Italia e pose fine all'Impero romano d'occidente (476).