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Friedrich Engels: Anti-Dühring – [ Indice ]

 

Prima Sezione: Filosofia

 

VII. Filosofia della natura. Mondo organico

 

"Dalla meccanica della pressione e dell'urto al legame delle sensazioni e dei pensieri si stende un'unica e unitaria serie di gradini intermedi".

 

Con questa assicurazione Dühring si risparmia di dire qualche cosa di più sull'origine della vita, sebbene da un pensatore che è risalito, seguendo lo sviluppo del mondo, sino allo stato eguale a se stesso e che si sente tanto a casa sua sugli altri corpi celesti, ci si dovessero pur aspettare anche delle informazioni precise. Del resto quell'asserzione è esatta solo per metà, finché non venga integrata dalla linea nodale delle relazioni di misura di Hegel, della quale abbiamo già fatto menzione. Malgrado ogni gradualità, il passaggio da una forma di movimento ad un'altra rimane sempre un salto, una svolta decisiva. Così il passaggio dalla meccanica dei corpi celesti a quella delle masse minori che esistono su un singolo corpo celeste; altrettanto il passaggio dalla meccanica delle masse alla meccanica delle molecole, includendo le forme di movimento che indaghiamo nella fisica propriamente detta: calore, luce, elettricità, magnetismo; egualmente, il passaggio dalla fisica delle molecole alla fisica degli atomi, la chimica, si compie a sua volta con un salto netto, e questo è ancor più chiaramente il caso del passaggio dall'azione chimica ordinaria al chimismo dell'albume [34] che chiamiamo vita [35]. Nell'interno della sfera della vita i salti diventano sempre più rari ed insensibili. È quindi di nuovo Hegel che Dühring deve correggere.

 

Il passaggio concettuale al mondo organico viene fornito a Dühring dal concetto di finalità. Questo concetto è a sua volta preso a prestito da Hegel che nella "Logica", Dottrina del concetto, passa dal chimismo alla vita mediante la teleologia o dottrina della finalità. Dovunque gettiamo lo sguardo, in Dühring ci imbattiamo sempre in una "credenza" hegeliana che disinvoltamente spaccia per quella sua propria scienza che va alle radici. Andremmo troppo in là se indagassimo qui in che misura sia giustificata ed opportuna l'applicazione delle idee di finalità e di mezzo al mondo organico. In ogni caso, anche l'applicazione della "finalità interna" hegeliana, cioè di una finalità che non è introdotta nella natura mediante un terzo che agisce intenzionalmente, come sarebbe la saggezza della provvidenza, ma invece è insita nella necessità della cosa stessa, porta costantemente in gente non perfettamente ferrata in filosofia, all'interpolazione inconsiderata di azione cosciente e intenzionale. Lo stesso Dühring che, di fronte al più piccolo moto "spiritistico" altrui, cade in un'indignazione morale smisurata, assicura "con decisione che le sensazioni istintive (...) essenzialmente sono state create per la soddisfazione che è legata alla loro attività". E ci racconta che la povera natura "deve sempre ricominciare da capo a mantenere in ordine il mondo oggettivo", e che inoltre ha anche da sbrigare più di un affare "che esige da parte della natura una sottigliezza maggiore di quella che di solito le si concede". Ma la natura non solo sa perché fa or questa or quella cosa, non solo deve sbrigare i servizi di una domestica tuttofare, non solo ha della sottigliezza, ciò che è già un simpatico grado di perfezione nel pensiero soggettivo consapevole, ma ha anche una volontà. Infatti l'ulteriore attributo degli istinti, cioè che essi compiano inoltre reali funzioni naturali, nutrizione, propagazione, ecc., questo ulteriore attributo "dobbiamo ritenere che sia voluto non direttamente, ma solo indirettamente". Con ciò siamo arrivati ad una natura che pensa ed agisce consapevolmente, siamo quindi già sul ponte, ma non sul ponte che porta dallo statico al dinamico, bensì su quello che porta dal panteismo al deismo. O forse aggrada a Dühring fare, una volta tanto, un po' di quella "semipoesia che è propria della filosofia della natura"?

 

Impossibile. Tutto ciò che il nostro filosofo della realtà ci sa dire sulla natura organica, si limita alla lotta contro questa semipoesia della filosofia della natura, contro "la ciarlataneria con le sue superficiali facilonerie e con le sue mistificazioni pseudo-scientifiche", contro i "caratteri di pura poesia" del darwinismo.

 

Prima di ogni altra cosa si rimprovera a Darwin di trasferire la teoria malthusiana della popolazione dall'economia alla scienza della natura, di essere prigioniero delle idee degli allevatori di animali, di fare, sulla lotta per l'esistenza, della semipoesia non scientifica; e inoltre tutto il darwinismo, toltone quanto è stato mutato da Lamarck, è un atto di brutalità diretta contro l'umanità.

 

Darwin aveva riportato dai suoi viaggi scientifici l'idea che le specie vegetali e animali, anziché essere costanti, sono variabili. Per proseguire nello sviluppo di questi pensieri dopo il suo ritorno, non gli si offriva miglior campo di osservazione che l'allevamento delle piante e degli animali. Per questo scopo l'Inghilterra è proprio il paese classico; ciò che si è fatto in altri paesi, per es. in Germania, non può dare neanche lontanamente la misura di ciò che a questo riguardo è stato raggiunto in Inghilterra. Inoltre la maggior parte dei successi appartengono agli ultimi cento anni, cosicché la constatazione dei fatti presenta poche difficoltà. Ora, Darwin trovò che tale allevamento aveva provocato artificialmente, in piante ed animali della stessa specie, differenze maggiori di quelle che si presentavano tra specie che in generale sono riconosciute come differenti. Quindi, da una parte era dimostrata la modificabilità delle specie sino ad un certo grado, dall'altra la possibilità di antenati comuni per organismi che possedevano caratteri specifici differenti. Darwin si diede ora ad indagare la possibilità che nella natura si trovino cause che, senza l'intenzione cosciente dell'allevatore, tuttavia alla lunga provochino negli organismi viventi modificazioni analoghe a quelle provocate dall'allevamento artificiale. Queste cause egli le trovò nella sproporzione tra il numero enorme di germi prodotti dalla natura e il numero ristretto di organismi che effettivamente raggiungono la maturità. Ma poiché ogni germe tende allo sviluppo, sorge necessariamente una lotta per l'esistenza che si presenta non solo come l'atto diretto, corporeo, di combattersi o di mangiarsi, ma anche, perfino nelle piante, come lotta per lo spazio e per la luce. Ed è evidente che in questa lotta avranno la migliore prospettiva di raggiungere la maturità e di riprodursi quegli individui che posseggono certe particolarità individuali che, per insignificanti che siano, sono però vantaggiose nella lotta per l'esistenza. Queste proprietà individuali hanno perciò la tendenza a trasmettersi ereditariamente e, se si presentano in più individui della stessa specie, ad incrementarsi, per trasmissione ereditaria accumulata, nella direzione che hanno preso; mentre gli individui che non posseggono queste proprietà, soccombono più facilmente nella lotta per l'esistenza e gradualmente spariscono. In questa maniera una specie si modifica per selezione naturale, mediante la sopravvivenza del più adatto.

 

Contro questa teoria darwiniana Dühring dice che l'origine di quest'idea per la lotta dell'esistenza debba, come Darwin stesso avrebbe confessato, ricercarsi in una generalizzazione delle vedute dell'economista Malthus, teorico del fenomeno della popolazione, e che conseguentemente sarebbe affetta da tutte quelle pecche che sono proprie delle vedute di sapore sacerdotale di Malthus sulla pressione demografica. Ora, a Darwin, neanche da lontano è mai venuto in mente di dire che l'origine dell'idea della lotta per l'esistenza si debba ricercare in Malthus. Egli dice solamente che la sua teoria della lotta per l'esistenza è la teoria di Malthus applicata a tutto il mondo animale e vegetale. Per quanto grosso possa essere il granchio preso da Darwin nell'accettare ingenuamente, senza averla esaminata, la dottrina di Malthus, ognuno vede a prima vista che non occorrono gli occhiali di Malthus per percepire la lotta per l'esistenza nella natura, la contraddizione, cioè, tra l'innumerevole quantità di germi che la natura produce a profusione e il ristretto numero di essi che in generale può arrivare a maturità; contraddizione che si risolve in effetti, per la massima parte, in una lotta, a volte straordinariamente crudele, per l'esistenza. E come la legge del salario ha conservato il suo valore anche dopo che da gran tempo sono screditati gli argomenti di Malthus sui quali la faceva poggiare Ricardo, così nella natura può egualmente aver luogo la lotta per l'esistenza, anche senza nessuna interpretazione maltusiana. Del resto gli organismi della natura hanno egualmente le loro leggi demografiche, le quali vengono poco o niente indagate, ma la cui constatazione sarà di importanza decisiva per la teoria dell'evoluzione delle specie. E chi ha dato anche in questa direzione l'impulso decisivo? Nessun altro che Darwin.

 

Dühring si guarda bene dall'entrare in questo lato positivo della questione. Invece deve sempre ritornare in discussione la lotta per l'esistenza. È escluso a priori che si possa parlare di una lotta per l'esistenza tra piante prive di coscienza e bonari erbivori: "ora in senso preciso e determinato la lotta per l'esistenza rientra nella brutalità se e in quanto l'alimentazione avviene rapinando e divorando". E, dopo aver ridotto il concetto di lotta per l'esistenza a questi limiti angusti, Dühring può lasciar libero corso alla sua indignazione sulla brutalità di questo concetto, che egli stesso ha limitato alla brutalità. Ma questa indignazione morale colpisce solo Dühring, che invero è il solo autore della lotta per l'esistenza ridotta a questi limiti, e perciò ne è il solo responsabile. Non è dunque Darwin colui "che cerca nel dominio delle fiere le leggi e l'intelligenza di ogni azione della natura", ché anzi Darwin aveva incluso nella lotta precisamente tutta la natura organica, ma è invece uno spauracchio fantastico allestito da Dühring stesso. Il nome di lotta per l'esistenza può del resto essere volentieri sacrificato alla collera altamente morale di Dühring. Che la cosa esista anche tra le piante glielo può provare ogni prato, ogni campo di grano, ogni bosco; e non si tratta del nome, se, cioè, tutto questo debba chiamarsi "lotta per l'esistenza" o "mancanza di condizioni per l'esistenza e suoi effetti meccanici", si tratta invece di sapere come questo fatto agisca sulla conservazione o sulla modificazione delle specie. Su questo Dühring persiste in un silenzio perfettamente eguale a se stesso. Quindi provvisoriamente bisognerà accontentarsi della selezione naturale.

 

Ma il darwinismo "produce dal nulla le sue trasformazioni e le sue differenziazioni". In verità Darwin, laddove tratta della selezione naturale, astrae dalle cause che hanno provocato le modificazioni dei singoli individui, e tratta anzitutto del modo e della maniera in cui tali variazioni individuali a poco a poco diventano caratteristiche di una razza, di una varietà, di una specie. Per Darwin, prima di ogni altra cosa, si tratta di trovare non tanto queste cause, le quali sinora sono in parte del tutto sconosciute, in parte possono essere indicate soltanto in una maniera del tutto generale, quanto invece una forma razionale nella quale i loro effetti si fissino e acquistino un valore durevole. Che Darwin abbia inoltre attribuito alla sua scoperta una sfera d'azione esagerata, che ne abbia fatta una leva per la modificazione della specie, e che abbia trascurato le cause delle modificazioni individuali ripetute, per occuparsi della forma in cui si generalizzano, è un errore che ha in comune con tutti quelli che compiono un progresso. Inoltre, se Darwin fa uscire dal nulla le sue trasformazioni individuali, e vi applica esclusivamente "la pazienza del selettore", il selettore deve perciò egualmente far nascere dal nulla le sue trasformazioni delle specie animali e vegetali, non solamente immaginate, ma reali. Ma chi ha dato l'impulso per indagare da dove propriamente sorgano queste trasformazioni e queste differenziazioni, ancora una volta non è altro che Darwin.

 

Di recente, specialmente nell'opera di Haeckel, l'idea della selezione naturale è stata estesa e la variazione della specie è stata intesa come risultato dell'azione reciproca dell'adattamento e della trasmissione ereditaria, rappresentandosi nel processo l'adattamento come l'aspetto che produce le modificazioni, la trasmissione ereditaria come l'aspetto che le conserva. Ma per Dühring neanche questo, ancora una volta, è giusto.

 

"Un vero e proprio adattamento alle condizioni di vita, quali vengono fornite o sottratte dalla natura, postula istinti e attività che sono idealmente determinati. In caso contrario l'adattamento è solo un'apparenza e la causalità che allora agisce non si eleva al disopra dei gradi inferiori del mondo della fisica, della chimica e della fisiologia generale".

 

Di nuovo è il nome quello che fa dispetto a Dühring. Ma quale che sia il nome da dare al processo, la questione qui è questa: mediante tali processi sono o non sono provocate modificazioni nelle specie organiche? E ancora una volta Dühring non dà nessuna risposta.

 

"Se una pianta, nel suo sviluppo, prende una direzione nella quale riceve la maggior quantità di luce, questo effetto dello stimolo non è stato che una combinazione di forze fisiche e di agenti chimici, e se qui si vuol parlare non metaforicamente ma propriamente di un adattamento, ciò significa portare nei concetti una confusione spiritistica."

 

Così severo è contro gli altri lo stesso uomo che sa in modo assolutamente preciso per volontà di chi la natura fa una cosa o l'altra, che parla della sottigliezza della natura, anzi della sua volontà; confusione spiritistica, in effetti, ma dove? In Haeckel o in Dühring?

 

E non solo confusione spiritistica, ma anche logica. Abbiamo visto che Dühring insiste con tutte le sue forze a far valere nella natura il concetto di fine: "La relazione di mezzo e fine non postula in nessun modo una intenzione cosciente". Ma che cos'è dunque l'adattamento senza intenzione cosciente, senza quella meditazione di idee, contro la quale egli si infervora tanto, se non una siffatta attività finalistica incosciente?

 

Se quindi le raganelle e gli insetti erbivori sono verdi, se gli animali del deserto sono giallo-sabbia, se gli animali polari sono prevalentemente del colore bianco della neve, è certo che essi non si sono appropriati di questi colori intenzionalmente o seguendo una qualche idea; al contrario i colori si possono spiegare partendo da forze fisiche e da agenti chimici. Eppure è innegabile che questi animali sono adattati secondo un fine, con quei colori, al mezzo nel quale vivono e, precisamente, perché in tal modo sono molto meno visibili ai loro nemici. Del pari gli organi con cui certe piante catturano e mangiano gli insetti che si posano su di esse, sono adattati a questa attività e adattati persino secondo un fine. Se ora Dühring insiste sul fatto che l'adattamento deve essere effettuato da idee, egli non fa che dire con altre parole che l'attività secondo un fine deve essere del pari mediata da idee, cosciente, intenzionale. E con questo siamo arrivati ancora una volta, come avviene di solito nella filosofia della realtà, al creatore che agisce finalisticamente, a dio. "Nel passato un siffatto modo di intendere lo si chiamava deismo e non era tenuto in gran conto" (dice Dühring); "ma oggi anche sotto questo rapporto sembra che ci si sia sviluppati a rovescio".

 

Dall'adattamento veniamo all'ereditarietà. Anche qui il darwinismo, secondo Dühring, è completamente su falsa strada. Tutto il mondo organico, affermerebbe Dühring, discende da un essere primitivo, per così dire sarebbe la progenie di un solo essere. Per Darwin non esisterebbe assolutamente coordinazione per sè stante di prodotti naturali della stessa specie, senza la mediazione di una discendenza comune, e perciò con le sue vedute retrospettive Darwin dovrebbe alla fine trovarsi ben presto al punto in cui il filo della generazione o di altra propagazione gli si spezza tra le mani.

 

L'affermazione che Darwin faccia derivare tutti gli organismi attualmente esistenti da un essere primitivo è, per esprimerci cortesemente, "una libera creazione e una libera immaginazione" di Dühring. Darwin dice espressamente nella penultima pagina della "Origin of Species", 6ª edizione, che egli considera "tutti gli esseri non come creazioni particolari, ma come i discendenti, in linea diretta, di alcuni pochi esseri [35b]". E Haeckel va ancora notevolmente avanti e ammette "in ceppo assolutamente indipendente per il regno vegetale e un secondo per il regno animale" e tra l'uno e l'altro "un certo numero di ceppi indipendenti di protesti, ciascuno dei quali si è sviluppato in modo assolutamente indipendente da quelli, partendo da una forma peculiare di monera archigonia" [36] ("Storia della creazione", pag. 397). Questo essere primitivo è stato inventato da Dühring, solo per screditarlo il più possibile mediante il parallelo con l'ebreo primitivo, Adamo; ma in quanto a lui, cioè a Dühring, è capitata la disgrazia che gli è rimasto ignoto in che modo, attraverso le scoperte assirologiche di Smith, questo ebreo primitivo si rivela semita primitivo; e che tutta la storia biblica della creazione e del diluvio si presenta come un frammento del ciclo degli antichi riti religiosi pagani, comune agli ebrei e ai babilonesi, ai caldei e agli assiri.

 

È certo un rimprovero duro contro Darwin, ma inevitabile, che alla fine egli si trovi ben presto al punto in cui il filo della discendenza gli si spezza tra le mani. Disgraziatamente tutta la nostra scienza della natura merita questo rimprovero. Là dove il filo della discendenza le si spezza tra le mani, essa è "alla fine". Sinora essa non è ancora riuscita a creare essere organici senza farli discendere da altri; anzi non è ancora mai riuscita a produrre un semplice protoplasma o altre sostanze albuminose derivandole dagli elementi chimici. Sinora sull'origine della vita non può dire con precisione più di questo: che essa deve essersi compiuta per via chimica. Ma forse la filosofia della realtà è in condizione di poterle venire in aiuto, poiché essa dispone di prodotti della natura coordinati in modo indipendente e che non hanno l'intermediario di una discendenza comune. Come possono essersi originati? Per generazione spontanea? Ma sinora anche i più temerari rappresentanti della generazione spontanea non hanno avuto la pretesa che produrre altro che batteri, germi di funghi e altri organismi molto primitivi e non insetti, pesci, uccelli o mammiferi. Ora se questi prodotti naturali della stessa specie -beninteso organici, che di questi solamente qui si parla- non sono connessi tra loro mediante discendenza, essi, o ciascuno dei loro antenati, debbono essere venuti al mondo, là "dove il filo della discendenza si spezza", mediante uno speciale atto di creazione. Ed eccoci di nuovo al creatore e a ciò che si chiama deismo.

 

Inoltre Dühring dichiara che è una grande superficialità di Darwin "il fare del semplice atto di composizione sessuale di alcune proprietà, il principio fondamentale della genesi di queste proprietà". Questa è ancora una volta una libera creazione e una libera immaginazione del nostro filosofo che va alle radici. Al contrario Darwin dichiara decisamente che l'espressione selezione naturale include solo la conservazione di modificazioni e non la loro produzione (p. 63). Questa nuova interpolazione di cose che Darwin non ha mai dette, serve però ad aiutarci ad intendere la seguente profonda riflessione di Dühring:

 

"Se si fosse cercato nello schematismo interno della generazione qualche principio della modificazione per sé stante, quest'idea sarebbe stata assolutamente razionale; infatti è un'idea conforme a natura il raccogliere in unità il principio della genesi intesa in generale e quella della propagazione sessuale e il considerare da un punto di vista più alto la così detta generazione spontanea, non come un'antitesi assoluta della riproduzione, ma precisamente come una produzione".

 

E l'uomo che ha potuto scrivere questi guazzabugli non ha soggezione di rimproverare a Hegel il suo "gergo"!

 

Ma ora basta con questi brontolii e con questi cavilli noiosi e contraddittori con cui Dühring esprime il suo dispetto per lo slancio colossale che la scienza della natura deve all'impulso avuto dalla teoria darwiniana. Né Darwin né i naturalisti suoi seguaci pensano di sminuire in qualche modo i meriti di Lamarck; sono proprio loro che per primi lo hanno ancora una volta levato sugli scudi. Ma non dobbiamo dimenticare che al tempo di Lamarck la scienza era ancora bel lontana dal disporre di un materiale sufficiente per poter dare alla questione dell'origine della specie una risposta che non fosse un'anticipazione e, per così dire, una profezia. Oltre all'enorme materiale tratto dal dominio della botanica e della zoologia, sia descrittive che anatomiche, e che da allora si è accumulato, dopo Lamarck sono sorte due scienze completamente nuove, che sono qui di importanza decisiva: l'indagine dello sviluppo dei germi vegetali e animali (embriologia) e quella dei resti organici conservati nei diversi strati della superficie terrestre (paleontologia). Si trova cioè un singolare accordo tra lo sviluppo graduale mediante il quale i germi organici diventano organismi maturi e l'ordine con cui piante e animali sono comparsi successivamente nella storia della terra. E precisamente questo accordo ha dato alla teoria dell'evoluzione la sua base più solida. Ma la stessa teoria dell'evoluzione è ancora molto giovane, ed è perciò indubitabile che l'indagine ulteriore modificherà notevolmente le idee attuali, anche quella strettamente darwiniana sul processo evolutivo della specie.

 

Che cosa ha ora da dirci di positivo la filosofia della realtà sullo sviluppo della vita organica?

 

"La (...) variabilità delle specie è un postulato accettabile." Ma parallelamente vale anche "la coordinazione per sé stante di prodotti naturali della stessa specie senza l'intermediario di una discendenza comune". Conseguentemente si dovrebbe ritenere che i prodotti naturali non della stessa specie, non le specie che si modificano, discenderebbero l'uno dall'altro; quelli della stessa specie invece no. Ma neppure questo è assolutamente esatto; infatti anche nelle specie che si modificano "la mediazione per discendenza dovrebbe essere soltanto un atto assolutamente secondario della natura". Quindi ancora discendenza, ma di "seconda classe". Rallegriamoci allora che la discendenza, dopo che Dühring le ha attribuito tanti mali e tanta oscurità, alla fine venga riammessa per la porta di servizio. Con la selezione naturale non accade diversamente: infatti, dopo tutta l'indignazione morale sulla lotta per l'esistenza, in virtù della quale si compie in vero la selezione naturale, d'un tratto ci si dice: "La base più profonda della costituzione degli esseri deve per conseguenza cercarsi nelle condizioni di vita e nelle relazioni economiche, mentre la selezione naturale, messa in rilievo da Darwin, può venire solo in seconda linea". Quindi ancora selezione naturale se anche di seconda classe; e dunque con la selezione naturale anche la lotta per l'esistenza e conseguentemente anche sacerdotale pressione demografica di Malthus! Questo è tutto; per il resto Dühring ci rimanda a Lamarck.

 

Infine egli ci mette in guardia sull'abuso delle parole metamorfosi ed evoluzione. Metamorfosi sarebbe un concetto non chiaro e il concetto di evoluzione sarebbe ammissibile solo nella misura in cui si può realmente provare che ci sono leggi dell'evoluzione. Invece di usare questi due termini dobbiamo dire: "composizione", e allora tutto andrà bene. È di nuovo la vecchia storia: le cose rimangono com'erano e Dühring è completamente soddisfatto purché modifichiamo i nomi. Se parliamo dell'evoluzione del pulcino nell'uovo, facciamo confusione, perché solo in modo incompleto possiamo provare le leggi dell'evoluzione. Parliamo invece della sua composizione e tutto diventa chiaro. Quindi non diremo più che questo bambino si sviluppa magnificamente, ma che si compone eccellentemente, e possiamo congratularci con Dühring che è degno di stare a fianco dell'autore dell'Anello di Nibelungo, non solo nella nobile stima di se stesso, ma anche nella sua qualità di compositore dell'avvenire [37]

 

Note

 

34. Engels adopera i termini "albume", "sostanze albuminose" ecc. là dove oggi si direbbe invece "sostanze proteiche". Qui e altrove si è però mantenuta la traduzione letterale.

 

35. Nel 1885, mentre preparava la seconda edizione dell'"Anti-Dühring", Engels pensò di mettere a questo punto una nota, il cui abbozzo ("Sulla concezione "meccanica" della natura") fu poi da lui incluso nei materiali per la "dialettica della natura".

 

35b. Corsivo di Engels.

 

36. Secondo la classificazione di Haeckel i protisti formano un ampio gruppo di organismi del tipo più semplice, unicellulari o anche acellulari, costituenti un terzo regno speciale accanto ai due regni pluricellulari (regno vegetale e animale). Le monere, secondo Haeckel, sono le "fonti primigenie di tutta la vita organica", "granuli albuminosi perfettamente omogenei, privi di struttura e di forma", che compiono tutte le funzioni vitali essenziali come assorbimento del cibo, movimento, reazione a stimoli, propagazione. Haeckel distingueva tra monere originarie, estinte, sorte per autogenesi o autogonia (archigonia) "dal mare primordiale, per opera di condizioni puramente fisiche e chimiche concomitanti, di movimenti molecolari della materia" (monere archigonie), e monere ancora viventi. Nelle prime Haeckel vedeva il punto di partenza dello sviluppo di tutti e tre i regni della natura organica, perché credeva che dalla monera archigonia si fosse sviluppata storicamente la cellula. Le seconde erano da lui assegnate al regno dei protisti, nel quale formerebbero la prima classe, la più semplice. Le supposte monere attuali erano suddivise da Haeckel in varie specie: Protamoeba primitiva, Protomyxa aurantica, Bathybius Haeckelii.

I termini "protisti" e "monere" furono introdotti da Haeckel nel 1866 ma non sono mai stati accettati dalla scienza. Gli organismi definiti protesti da Haeckel sono oggi classificati come piante o animali. Tuttavia egli contribuì molto a diffondere il concetto di evoluzione.

 

37. L'"Anello del Nibelungo" è la tetralogia di Richard Wagner, comprendente le opere: "L'oro del Reno", "La Valchiria", "Sigfrido", "Il crepuscolo degli dèi". Nell'agosto 1876 l'esecuzione dell'"Anello del Nibelungo" inaugurò il teatro modello fatto costruire da Wagner a Bayreuth. Con l'espressione ironica "compositore dell'avvenire" Engels allude alla lettera indirizzata da Wagner a Frédéric Villot, conservatore dei musei francesi, che fu pubblicata come libro sotto il titolo "Musica dell'avvenire. A un amico francese", e al libro di Wagner "L'opera d'arte dell'avvenire", Lipsia, 1850.

 

 

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