www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - iper-classici - 28-07-09 - n. 284

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Friedrich Engels: Anti-Dühring – [ Indice ]

 

Prima Sezione: Filosofia

 

XIV Conclusione

 

Con la filosofia siamo ormai alla fine; quel tanto di fantasie avveniristiche che ancora si trova nel "Corso" ci occuperà quando avremo occasione di trattare del dühringiano rivoluzionamento del socialismo. Che cosa ci ha promesso Dühring? Tutto. E che cosa ha mantenuto? Assolutamente nulla. "Gli elementi di una filosofia positiva e conseguentemente rivolta alla realtà della natura e della vita", la "visione del mondo rigorosamente scientifica", le "idee creatrici di sistema", e tutte le altre gesta di Dühring, da Dühring strombazzate in frasi altisonanti, tutte queste cose, ovunque ci abbiamo messo le mani, si sono rivelate puro imbroglio. La schematizzazione del mondo che "senza rinunziare in niente alla profondità del pensiero, ha stabilito saldamente le forme fondamentali dell'essere" si è rivelata una cattiva copia, infinitamente superficiale, della logica hegeliana, e di questa condivide la superstizione che tali "forme fondamentali" o categorie logiche conducano una misteriosa esistenza in qualche luogo prima e fuori del mondo, al quale debbono essere "applicate". La filosofia della natura ci ha offerto una cosmogonia il cui punto di partenza è "uno stato eguale a se stesso della materia", stato che si può rappresentare solo facendo la più disperata confusione sul nesso di materia e movimento, e inoltre solo ammettendo un dio personale extramondano, l'uomo che può aiutare questo stato a raggiungere il movimento. Nel trattare la natura organica, la filosofia della realtà, dopo aver rigettato la lotta per l'esistenza e la selezione naturale di Darwin come "un campione di brutalità diretta contro l'umanità", è costretta a farle rientrare entrambe per la porta di servizio, come fattori efficienti della natura, se anche fattori di second'ordine. La filosofia della realtà, inoltre, ha trovato modo di dar saggio, nel campo della biologia, di un'ignoranza che, da quando non si può più sfuggire alle conferenze scientifiche popolari, bisognerebbe cercare col lanternino persino tra le ragazze di buona famiglia. Nel campo della morale e del diritto, la filosofia della realtà non è stata più felice nel rendere banale Rousseau di quanto non lo fosse stata prima nel rendere superficiale Hegel e, anche per quanto riguarda le scienze giuridiche, malgrado ogni assicurazione in contrario, ha dimostrato un'ignoranza che solo raramente si potrebbe trovare tra i più comuni giuristi della vecchia Prussia.

 

La filosofia "che non ammette orizzonti meramente apparenti" si accontenta, nel campo del diritto, di un orizzonte reale che coincide col territorio in cui vige il Landrecht prussiano. Le "stelle e i cieli della natura esterna ed interna" che questa filosofia ha promesso di dispiegare davanti a noi nel suo moto possentemente rivoluzionario, li stiamo sempre aspettando, non meno delle "verità definitive di ultima istanza" e di "ciò che è assolutamente fondamentale". Il filosofo la cui maniera di pensare "esclude ogni velleità di rappresentare il mondo in modo fantastico e soggettivamente limitato" si rivela soggettivamente limitato non solo, come si è dimostrato, per l'estrema deficienza delle sue conoscenze, per la sua maniera di pensare angustamente metafisica e per la sua istrionesca presunzione, ma persino per le sue fanciullesche ubbie personali. Costui non può venire a capo della sua filosofia della realtà senza imporre come una legge universalmente valida la sua avversione per il tabacco, i gatti e gli ebrei a tutto il resto dell'umanità, inclusi gli ebrei. Il suo "punto di vista realmente critico" di fronte agli altri consiste nell'attribuir loro con insistenza cose che essi non hanno mai detto e che sono invece prodotti assolutamente esclusivi e propri di Dühring. Le sue ampie elucubrazioni su temi piccolo-borghesi, come il valore della vita e la miglior maniera di goder la vita, sono di un filisteismo che spiega la sua ira contro il Faust di Goethe. È stato certamente imperdonabile da parte di Goethe l'aver preso come suo eroe l'immortale Faust anziché il grave filosofo della realtà Wagner. In breve la filosofia della realtà, presa nel suo complesso, si rivela, per dirla con Hegel, il "più superficiale sottoprodotto illuministico del superficiale illuminismo tedesco", sottoprodotto la cui insipidità e i cui trasparenti luoghi comuni sono resi solo più grossolani e più torbidi dai brani smozzicati di retorica oracoleggiante che vi sono mescolati. E quando siamo alla fine del libro, ne sappiamo proprio quanto ne sapevamo prima e siamo costretti a confessare che la "nuova maniera di pensare", cioè "i risultati e le vedute originali sin dalle fondamenta" e le "idee che creano un sistema" ci hanno certo presentato vari assurdi nuovi ma neanche una riga da cui avremmo potuto imparare qualche cosa. E quest'uomo che decanta le sue arti e le sue merci a suon di timpani e di trombe come il più volgare ciarlatano e dietro alle cui parole non c'è niente, ma proprio assolutamente niente, quest'uomo si permette di chiamar ciarlatani uomini come Fichte, Schelling e Hegel, il più piccolo dei quali è sempre un gigante di fronte a lui. Ciarlatano in effetti, -ma chi?

 

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