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Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania, Edizioni Rinascita, Roma, 1949 - Traduzione di Giovanni De Caria
da marx-karl.com/spgm/v_gallery.html - Trascrizione di Valerio e pubblicazione a cura del CCDP per l'anniversario della nascita di Engels (28/11/1820)

 
Friedrich Engels: La guerra dei contadini in Germania – [Indice]
 
Capitolo II
 
Il raggruppamento delle classi, allora così varie, in unità più comprensive era già reso quasi impossibile dal decentramento, dalle autonomie locali e provinciali, dalla reciproca estraneità industriale e commerciale delle provincie e, finalmente, dalla difficoltà delle comunicazioni. Questo raggruppamento si costituì solo con la diffusione delle idee rivoluzionarie politico-religiose durante la riforma. Diversi ceti che aderirono o si opposero a queste idee, raggrupparono, sia pure molto faticosamente e approssimativamente, la nazione in tre grandi campi: il cattolico o reazionario, il luterano riformista borghese e il rivoluzionario. Se in questa divisione della nazione scopriamo poca consequenziarietà, se nei primi due campi troviamo in parte i medesimi elementi, questo si spiega con lo stato di dissolvimento in cui si trovavano la maggior parte degli strati sociali ufficiali residuati dal Medioevo e col decentramento esistente, che avviava i medesimi strati sociali nei diversi luoghi in direzione momentaneamente opposte. Negli ultimi anni abbiamo avuto così spesso l’occasione di vedere in Germania fatti assolutamente analoghi, che un tale intreccio apparente di strati e di classi nelle condizioni molto ingarbugliate del secolo decimosesto non può meravigliarci.
 
L’ideologia tedesca, malgrado le recenti esperienze, continua sempre a vedere nelle lotte a cui soggiacque il Medioevo, solo accanite dispute teologiche.
 
Secondo i nostri patri storiografi e statisti, se la gente di quell’epoca avesse potuto intendersi sulle cose celesti, non ci sarebbe stata nessuna ragione di litigare sulle cose di questo mondo. Questi ideologi sono abbastanza creduloni per prendere per moneta sonante tutte le illusioni che un’epoca si fa su se stessa, o che gli ideologi di un’epoca si fanno su quell’epoca. Questa stessa categoria di persone vede, per esempio, nella rivoluzione francese del 1789, un acceso dibattito intorno ai vantaggi della monarchia costituzionale sulla monarchia assoluta, una controversia pratica sulla insostenibilità del diritto «per grazia di Dio»; nella rivoluzione di febbraio, il tentativo di soluzione della questione «repubblica o monarchia? », ecc. Delle lotte delle classi, che effettivamente si combattono in questi sovvolgimenti, e delle quali la frase politica scritta di volta in volta sulle bandiere, è solo una semplice espressione, di queste lotte delle classi, perfino oggi, i nostri ideologi hanno appena un lontano sentore, malgrado la voce ne risuoni abbastanza percettibile e non soltanto venga dall’estero, ma si elevi anche dal brontolio, simile a tuono, che prorompe dal petto di molte migliaia di proletari del nostro paese.
 
Anche nelle cosiddette guerre di religione del secolo decimosesto si trattò, anzitutto, di interessi di classi, molto concreti, molto materiali, e queste guerre furono lotte di classi precisamente come le successive collisioni interne in Inghilterra e in Francia. Se queste lotte di classi portarono allora parole di ordine religiose, se gli interessi, i bisogni, le aspirazioni delle singole classi si nascosero sotto una maschera religiosa, questo non altera per niente la sostanza della cosa e si spiega facilmente con le condizioni dell’epoca.
 
Il Medioevo si era completamente svincolato dalla rozzezza; aveva fatto piazza pulita della civiltà, della filosofia, della politica e della giurisprudenza del mondo antico, per poter così ricominciare in tutto da principio. L’unica cosa che dal mondo antico ormai tramontato il Medioevo aveva ereditato era il cristianesimo e un certo numero di città semidistrutte e spogliate di tutta la loro civiltà. La conseguenza di questo fatto fu che, come in tutte le tappe primitive dello sviluppo storico, anche qui i preti acquisirono il monopolio della cultura, e con ciò la cultura stessa prese un carattere essenzialmente teologico. Tra le mani dei preti, la politica e la giurisprudenza, come tutte le altre scienze, rimasero semplici rami della teologia e furono trattate secondo gli stessi principi che avevano validità nella teologia. I dogmi della chiesa furono ad un tempo assiomi politici, e in ogni corte di giustizia passi della Bibbia ebbero forza di legge. Anche allorché si costituì una particolare classe di giuristi, la giurisprudenza rimase per lungo tempo ancora sotto la tutela della teologia. Questo sovrano potere della teologia in tutto il dominio dell’attività intellettuale fu ad un tempo la necessaria conseguenza della posizione della chiesa come sintesi universalissima e sanzione del dominio feudale.
 
E’ evidente, dunque, che tutti gli attacchi a carattere dichiaratamente generale mossi contro il feudalesimo dovevano rappresentare anzitutto attacchi contro la chiesa; tutte le dottrine sociali e politiche rivoluzionarie dovevano rappresentare anzitutto e squisitamente eresie teologiche. Quindi per poter toccare la struttura sociale esistente, bisognava togliere l’apparenza di cosa sacra.
 
L’opposizione rivoluzionaria contro la feudalità si svolge lungo tutto il Medioevo. Essa si presenta, a seconda delle circostanze, come mistica, come eresia apertamente dichiarata, come insurrezione armata. Per quanto riguarda la mistica, si sa quanto i riformatori del XVI secolo dipendessero da essa, ed anche Münzer vi attinse largamente. Le eresie furono in parte l’espressione della reazione dei patriarcali pastori delle Alpi contro la feudalità che li incalzava (i valdesi[1]); in parte, l’espressione dell’opposizione al feudalesimo da parte delle città che si erano sottratte al suo dominio (gli albigesi[2], Arnaldo da Brescia); in parte l’espressione di insurrezioni dirette dei contadini (Giovanni Bali, il maestro ungaro di Piccardia ecc.). L’eresia patriarcale dei valdesi, analogamente all’insurrezione degli svizzeri, possiamo lasciarla da parte, poiché per forma e contenuto rappresenta un tentativo reazionario di opporsi al corso della storia, ed ebbe solamente valore locale. Del resto nelle altre due forme di eresie medioevali, troviamo già nel secolo decimosecondo i prodromi del grande antagonismo tra l’opposizione borghese e quella plebeocontadina, causa del fallimento della guerra dei contadini. Questo antagonismo dura per tutto il tardo Medioevo.
 
L’eresia delle città — e questa è l’eresia specificamente ufficiale del Medioevo — si volse specialmente contro i preti, di cui attaccava le ricchezze e la posizione politica. Come ora la borghesia esige un gouvernement à bon marché, un governo a buon mercato, così la borghesia medioevale esigeva anzitutto une église à bon marché, una chiesa a buon mercato. Reazionaria nella forma come ogni eresia che nello sviluppo progressivo della chiesa e dei dogmi vede solo una degenerazione, l’eresia borghese esigeva il ristabilimento della costituzione della chiesa cristiana delle origini e la soppressione del clero come casta esclusiva. Questo ordinamento a buon mercato eliminava i monaci, i prelati, la corte romana, in breve tutto ciò che nella chiesa era costoso. Le città, repubbliche, se anche erano sotto la protezione di sovrani, con i loro attacchi contro il papato, dichiaravano per la prima volta in forma generale, che per la borghesia la forma normale della sovranità è la repubblica. La loro ostilità contro una serie di dogmi e dileggi della chiesa si spiega, in parte con quello che si è detto, in parte con le condizioni di vita loro proprie. Ad esempio perché lottassero tanto accanitamente contro il celibato, nessuno lo ha illustrato meglio di Boccaccio. Arnaldo da Brescia in Italia e in Germania, gli albigesi nella Francia meridionale, Giovanni Wycliffe in Inghilterra, Huss e i calistini[3] in Boemia furono i più autorevoli rappresentanti di questo indirizzo. Che l’opposizione contro il feudalesimo si presenti qui come opposizione diretta contro la feudalità ecclesiastica, si spiega molto semplicemente col fatto che le città costituivano dappertutto un ceto ormai riconosciuto, e quindi avevano nei loro privilegi, nelle armi e nelle loro assemblee mezzi sufficienti per combattere la feudalità laica.
 
Anche qui vediamo già, tanto nella Francia meridionale che in Inghilterra e in Boemia, che la massima parte della piccola nobiltà, nella lotta contro i preti e nell’eresia, si allea alle città, fenomeno, questo, che si spiega con la dipendenza della piccola nobiltà dalle città e con la comunione di interessi di entrambe contro i principi e i prelati: lo ritroveremo nella guerra dei contadini.
 
Un carattere completamente diverso aveva l’eresia che esprimeva direttamente i bisogni dei contadini e dei plebei e fu quasi sempre legata ad un’insurrezione. Certo essa condivideva tutte le esigenze dell’eresia borghese riguardo ai preti, al papato e alla restaurazione della costituzione della chiesa cristiana primitiva, ma nello stesso tempo andava infinitamente più lontano. Essa esigeva che fosse restaurata l’eguaglianza tra i membri della comunità, propria del cristianesimo primitivo, e che il riconoscimento di questa eguaglianza fosse una norma generale anche per la società. Dall’«eguaglianza dei figli di Dio» essa faceva discendere l’eguaglianza civile e, in parte, perfino già l’eguaglianza sociale. Eguaglianza della nobiltà con i contadini, dei patrizi e dei cittadini privilegiati con i plebei, abolizione delle prestazioni feudali, dei censi fondiari, delle imposte, e dei privilegi, almeno, delle diseguaglianze sociali più stridenti erano le aspirazioni che, con maggiore o minore previsione, venivano avanzate ed affermate come conseguenze della originaria dottrina cristiana. Questa eresia plebeo-contadina, che nel periodo dell’apogeo del feudalesimo, per esempio negli albigesi, non è possibile che a fatica distinguere dall’eresia borghese, nei secoli XIV e XV si sviluppa in un programma di partito nettamente individuato. In questo periodo essa si presenta in una posizione di assoluta indipendenza dall’eresia borghese. Così vediamo: in Inghilterra John Ball, il predicatore dell’insurrezione di Wat Tyler accanto al movimento di Wycliffe, in Boemia i taboriti, accanto ai calistini. Nei taboriti la tendenza repubblicana si presenta già con un’incorniciatura teocratica, che in Germania tra la fine del XV e il principio del XVI secolo fu ulteriormente sviluppata dai rappresentanti dei plebei.
 
A questa forma di eresia si legò il fanatismo delle sette misticizzanti dei flagellanti[4], dei lollardi[5] ecc. che, nei periodi di repressione, propagarono la tradizione rivoluzionaria.
 
I plebei erano allora l’unica classe completamente esclusa dalla società ufficiale: essi erano fuori tanto del mondo feudale quanto dal mondo borghese, non avevano né privilegi né proprietà, e neppure, come i contadini e i piccoli borghesi, un pezzo di terreno, sia pure gravato di pesi oppressivi. Quindi, sotto tutti i rapporti, essi erano senza beni e senza diritti. Le loro condizioni di vita non li mettevano mai in contatto diretto con le istituzioni vigenti, dalle quali erano completamente ignorati. Essi erano il simbolo vivente della dissoluzione della società feudale e borghese corporativa, e, nello stesso tempo, i primi precursori della società borghese moderna.
 
Con questa posizione si spiega perché la frazione plebea, già allora, non si fermava alla semplice lotta contro il feudalesimo e la borghesia privilegiata, e perché essa, almeno nella fantasia, oltrepassava perfino la nascente società borghese moderna. Si spiega anche perché essa, la frazione completamente priva di beni, dovette mettere in discussione istituzioni, concezioni e idee che sono comuni a tutte le forme di società fondate su antagonismi di classi. Le esaltazioni chiliastiche[6] del primo cristianesimo ci offrono inoltre un agevole addentellato. Ma questa azione, intesa ad oltrepassare non solo il presente ma perfino il futuro, non poteva essere che violenta, fantastica e, al primo tentativo di pratica attuazione, doveva ricadere nei limiti ristretti che le condizioni dell’epoca permettevano. L’attacco alla proprietà privata e l’aspirazione alla comunanza dei beni doveva risolversi in una comune organizzazione di beneficenza; la vaga eguaglianza cristiana poteva, tutto al più, condurre alla «eguaglianza giuridica» borghese; la soppressione di ogni autorità si trasformava, in conclusione, nell’instaurazione di governi repubblicani eletti dal popolo. L’anticipazione del comunismo, nella fantasia, diventava, nella realtà, un’anticipazione della moderna organizzazione borghese. Questa anticipazione della storia futura, che si presenta con un carattere violento, ma che è facilmente spiegabile con la reale posizione sociale della frazione plebea, noi la troviamo per la prima volta in Germania in Tommaso Münzer e nel suo partito. C’era stata, è vero, nei taboriti una specie di chiliastica comunità dei beni, ma solo come una misura di ordine puramente militare. Solo con Münzer queste reminiscenze comunistiche diventano espressione di aspirazioni di una frazione reale della società, solo da lui esse vengono formulate con una certa precisione; e solo dopo di lui le ritroviamo in ogni grande sovvolgimento popolare, sino a che esse si fondono a poco a poco col movimento proletario moderno. In modo perfettamente analogo, nel Medioevo le lotte dei liberi contadini contro il dominio feudale che sempre più li irretiva si fondeva con le lotte dei servi della gleba e degli affrancati per il totale abbattimento del dominio feudale
 
Mentre nel primo dei tre grandi campi, nel cattolico-conservatore si trovavano riuniti tutti gli elementi che erano interessati al mantenimento dell’ordine esistente, e quindi il potere imperiale, i principi ecclesiastici, una parte dei principi laici, la nobiltà più ricca, i prelati e il patriziato cittadino; intorno alla bandiera della riforma luterana borghese moderata si raccoglievano gli elementi possidenti dell’opposizione, la massa della piccola nobiltà, la borghesia e perfino una parte dei principi laici che sperava di arricchirsi con la confisca dei beni ecclesiastici e voleva inoltre sfruttare l’occasione per conquistare una maggiore indipendenza dall’impero. Finalmente, i contadini e i plebei si univano insieme al partito rivoluzionario, le cui aspirazioni e le cui dottrine furono formulate nel modo più netto da Münzer.
 
Lutero e Münzer rappresentavano, nel modo più perfetto, sia per la loro dottrina che per il loro carattere e la loro azione, i due partiti che ciascuno singolarmente dirigeva.
 
Lutero percorse, negli anni che vanno dal 1517 al 1525, lo stesso cammino che hanno percorso i moderni costituzionali tedeschi dal 1846 al 1849, e che in generale percorre ogni partito borghese, che, dopo essere stato per un momento alla testa del movimento, è sorpassato da quel partito plebeo o proletario che sino a quel punto lo aveva spalleggiato.
 
Quando Lutero, nel 1517, scese per la prima volta in campo contro i dogmi e la costituzione della chiesa cattolica, la sua opposizione non aveva ancora un carattere ben determinato. Pur senza oltrepassare le aspirazioni delle precedenti eresie borghesi, essa non escludeva e non avrebbe potuto escludere nessun indirizzo più avanzato. Nel primo momento, tutti gli elementi dell’opposizione dovevano essere riuniti, doveva essere impiegata la più decisa energia rivoluzionaria, e tutte le eresie che sino allora erano apparse dovevano essere difese contro l’ortodossia cattolica. In questa maniera precisa erano rivoluzionari i nostri liberali borghesi dopo il 1847: si dicevano socialisti e comunisti e si entusiasmavano per l’emancipazione della classe operaia.
 
La forte natura contadinesca di Lutero si manifestò nel modo più irruento in questo primo periodo della sua attività.
 
Ecco ad esempio, che cosa dice parlando dei preti romani: «Se la loro furia pazzesca dovesse andare avanti, mi sembra che il miglior consiglio e la migliore medicina per frenarla sarebbe che i re e i principi facessero ricorso alla forza e attaccassero questa gente malefica che ammorba tutto il mondo, e una buona volta mettessero fine al giuoco, con le armi e non con le parole. Se puniamo i ladri con la spada, gli assassini con la corda, gli eretici col fuoco, perché allora non attacchiamo specialmente questi perniciosi maestri di corruzione che sono papi, cardinali, vescovi e l’orda della romana Sodoma, con tutte le armi, e non ci laviamo le mani nel loro sangue?»
 
Ma questo primo infocato fervore rivoluzionario non durò a lungo. Il fulmine che Lutero aveva scagliato scoppiò; tutto il popolo tedesco si mise in movimento. Da una parte i contadini e i plebei videro nei suoi appelli contro i preti, nella sua predicazione sulla libertà cristiana, il segnale dell’insurrezione; dall’altra parte i borghesi, che pure erano più moderati, e una gran parte della piccola nobiltà si unirono a lui, e perfino i principi furono trascinati dalla corrente. Ma mentre gli uni credevano che fosse venuto il giorno di regolare i conti con i loro oppressori, gli altri volevano solamente spezzare la potenza dei preti ed arricchirsi con la confisca dei beni della chiesa. Così i partiti si divisero e trovarono i loro esponenti. Lutero dovette scegliere tra di essi. Egli, il protetto del grande elettore di Sassonia, lo stimato professore di Wittenberg, che ad un tratto era diventato potente e famoso, circondato da una folla di sue creature e di adulatori, non esitò un solo istante: abbandonò gli elementi popolari del movimento e si alleò con la parte dei borghesi, dei nobili e dei principi. Gli appelli alla guerra di sterminio contro Roma tacquero. Lutero ora predicava il pacifico sviluppo e la resistenza passiva (cfr., ad esempio: Alla nobiltà della nazione tedesca, 1520, ecc.). All’invito di Hutten di recarsi da lui e da Sickingen ad Ebernburg, centro della congiura della nobiltà contro preti e principi, Lutero rispose: «Io non posso approvare che il Vangelo si propugni con la violenza e lo spargimento di sangue. Il mondo è stato vinto dalla parola, con la parola la chiesa si è mantenuta e con la parola sarà ricostituita, e l’Anticristo, come ha acquistato il suo regno senza violenza, così senza violenza cadrà».
 
Da questa svolta o piuttosto da questo più deciso consolidamento dell’orientamento di Lutero ebbe inizio quel mercanteggiamento, quel patteggiamento sulle istituzioni e sui dogmi che si sarebbero dovuti mantenere o riformare, quel ripugnante giuoco di diplomazia, di concessioni, di intrighi, di accordi, il cui risultato fu la Confessione di Augusta, la costituzione della chiesa borghese riformata, che finalmente fu pattuita. E’ lo stesso traffico che nei nostri giorni si è ripetuto sino alla nausea in forma politica, nelle assemblee nazionali tedesche, nelle assemblee d’intesa, nelle camere di revisione e nei parlamenti di Erfurt. Il carattere piccolo-borghese in questi mercanteggiamenti emerse nel modo più aperto.
 
Se Lutero, rappresentante ormai dichiarato della riforma borghese, predicava il progresso nella legalità, aveva le sue buone ragioni. Il complesso delle città era favorevole alla riforma moderata, la piccola nobiltà vi si legava sempre più, una parte dei principi l’approvava, un’altra parte era esitante. Così il suo successo sarebbe stato assicurato almeno in una grande parte della Germania. Mantenendosi sul piano di un pacifico sviluppo progressivo, anche gli altri circoli non avrebbero potuto, alla lunga, contrastare alla spinta dell’opposizione moderata. Mentre ogni sovvolgimento violento avrebbe messo sicuramente il partito moderato in conflitto con il partito più avanzato dei plebei e dei contadini, avrebbe certamente allontanato dal movimento i principi, la nobiltà e un certo numero di città e, finalmente, avrebbe limitato la chance a questa alternativa: o avanzata del partito dei plebei e dei contadini con lo scavalcamento del partito borghese, o repressione di tutto il movimento di opposizione con la restaurazione cattolica. Ora, negli ultimi anni noi abbiamo avuto sufficienti esempi del fatto che i partiti borghesi, non appena hanno conseguito una vittoria della più stretta misura, cercano sempre di barcamenarsi con la formula del progresso nella legalità, tra Scilla e Cariddi, tra la rivoluzione e la restaurazione.
 
Poiché nella situazione politica e sociale di allora i risultati di ogni mutamento dovevano necessariamente tornare a vantaggio dei principi ed accrescere la loro potenza, la riforma borghese, nella misura in cui si distaccava dagli elementi borghesi e contadini, doveva cadere sempre più sotto il controllo dei principi riformati. Lo stesso Lutero divenne sempre più il loro servo, e il popolo sapeva bene che cosa faceva, quando diceva che Lutero era diventato servitore dei principi e quando ad Orlamünde lo prese a sassate.
 
Quando scoppiò la guerra dei contadini, e specialmente nelle regioni in cui i principi e la nobiltà erano in maggioranza cattolici, Lutero cercò di prendere una posizione mediatrice. Egli attaccò decisamente i governi accusandoli di essere responsabili, con la loro politica oppressiva, della sollevazione; non erano i contadini ad opporsi, ma Dio stesso. Dall’altra parte si diceva che la sollevazione non era certo voluta da Dio ed era contro il Vangelo. Infine, consigliava i due partiti di cedere e di mettersi d’accordo.
 
Ma la sollevazione, malgrado queste bene intenzionate proposte di mediazione, si estese rapidamente, commosse persino paesi protestanti, dominati da principi, signori e città che seguivano Lutero e rapidamente sorpassò la «ragionevole» riforma borghese. Proprio nella regione più vicina a Lutero, nella Turingia, installò il suo quartiere generale la frazione più decisa degli insorti, guidata da Münzer. Ancora pochi successi e tutta la Germania sarebbe stata in fiamme, Lutero accerchiato e forse cacciato a colpi di picche come traditore, e la riforma borghese spazzata via dalla mareggiata della rivoluzione dei contadini e dei plebei. Non c’era più da riflettere. Di fronte alla rivoluzione tutte le vecchie ostilità furono dimenticate; paragonati alla masnada dei contadini, i servi dalla romana Sodoma erano degli agnelli innocenti, dei miti figli di Dio. Borghesi e principi, nobili e preti, Lutero e il papa si unirono contro la masnada assassina e brigantesca dei contadini. «Si devono sterminare, strangolare, pugnalare, occultamente e palesemente, appena possibile, come si uccide un cane rabbioso!», grida Lutero. «Perciò, miei cari signori, partite, accorrete! Appena puoi, pugnala, colpisci, sgozza e se cadrai, gloria a te! Morte più santa non potresti mai incontrare!». Nessuna falsa compassione per i contadini. Coloro che hanno pietà di quelli dei quali Dio non ha pietà, e che anzi punisce e stermina, sono alleati dei rivoltosi. Poi i contadini stessi ringrazieranno Dio se hanno dovuto sacrificare una vacca per poter tranquillamente godere dell’altra; e i principi attraverso la sedizione riconosceranno quale sia lo spirito del popolo che solo con la forza si deve governare. «Il saggio dice: cibus, onus et virga asino, i contadini hanno poco sale nella zucca. Non ascoltano le parole, sono insensati, ma devono ascoltare la verga e l’archibugio e sarà un bene per loro. Preghiamo perché ascoltino; e se no, nessuna pietà! Fate fischiare su loro solo le palle dell’archibugio, se no faranno infinitamente peggio».
 
Proprio così parlavano i nostri borghesi già socialisti e filantropi, quando il proletariato, doto le giornate di marzo, reclamava la sua parte dei frutti della vittoria.
 
Lutero aveva messo un’arma potente tra le mani del movimento plebeo, con la sua traduzione della Bibbia. Nella Bibbia egli aveva contrapposto al cristianesimo feudale dell’epoca il modesto cristianesimo dei primi secoli, alla società feudale in dissolvimento l’immagine di una società che ignorava la macchinosa ed artificiosa gerarchia feudale. E i contadini avevano usato di quest’arme in tutte le direzioni, contro principi, nobiltà, preti. Ma ora Lutero la rivolse contro di loro e dalla Bibbia trasse un ditirambo sull’autorità stabilita da Dio, come nessun leccapiatti della monarchia assoluta aveva fatto sino allora. La sovranità per grazia di Dio, l’obbedienza passiva, e perfino la schiavitù fu sanzionata dalla Bibbia. Non solo la sollevazione dei contadini, ma perfino la ribellione di Lutero stesso contro l’autorità ecclesiastica e laica fu rinnegata; non solo il movimento popolare, ma anche il movimento borghese fu tradito a vantaggio dei principi.
 
Dobbiamo richiamarci ai borghesi che di recente ci hanno dato ancora una volta degli esempi di questo rinnegamento del loro passato?
 
Opponiamo ora al riformatore borghese Lutero il rivoluzionario plebeo Münzer.
 
Tommaso Münzer nacque a Stolberg nello Harz verso l’anno 1498. Suo padre forse morì sul patibolo, vittima degli arbitri del conte di Stolberg. Aveva quindici anni, quando nella scuola di Halle fondò una lega segreta contro l’arcivescovo di Magdeburgo e la chiesa romana in genere. La sua conoscenza della teologia di allora lo condusse presto ad ottenere il grado di dottore e un posto di cappellano in un convento di monache di Halle. Qui egli trattava già i dogmi e i riti della chiesa col più grande disprezzo; nella messa tralasciava le parole della transustanziazione e, secondo ciò che dice di lui Lutero, si comunicava con le ostie non consacrate. Oggetto principale di studio erano per lui i mistici medioevali e particolarmente gli scritti chiliastici del calabrese Goacchino. Il regno millenario, il giudizio finale sulla chiesa degenerata e sul mondo corrotto che Gioacchino aveva annunziato e dipinto, sembrava a Münzer che si fossero molto avvicinati con la riforma e con la sollevazione generale di quell’epoca. Münzer predicava nella regione con molto successo. Nel 1520 andò, primo predicatore evangelico, a Zwickau. Qui egli incontrò una di quelle sette fanatiche di chiliasti che in molte regioni continuavano silenziosamente ad esistere e nascondevano dietro la loro momentanea modestia e riservatezza l’opposizione sempre più fiorente dei più bassi strati sociali contro la situazione esistente. Queste sette ora, con l’agitazione che cresceva, venivano alla luce sempre più apertamente e tenacemente. La setta che Münzer incontrò era quella degli anabattisti, alla cui testa stava Nicola Storch. Essi predicavano l’avvicinarsi del giudizio universale e del regno millenario e avevano «sembianti, estasi e lo spirito della profezia». Ben presto vennero in conflitto con il consiglio di Zwickau, e Münzer li difese, pur non alleandosi incondizionatamente con loro, ché anzi riuscì ad attrarli sotto la sua influenza. Il consiglio, però, procedette energicamente contro di loro ed essi dovettero abbandonare la città e Münzer con loro. Era la fine del 1521.
 
Münzer andò allora a Praga e qui cercò di guadagnare terreno legandosi ai resti del movimento hussita. Ma la sua professione di fede ebbe come conseguenza che egli dovette fuggire anche dalla Boemia. Nel 1522 diventò predicatore ad Allstedt in Turingia. Qui egli cominciò col riformare il culto. Ancora prima che Lutero osasse andare tanto avanti, egli abolì completamente il latino e lesse tutta quanta la Bibbia e non solamente secondo le prescrizioni, i vangeli e le epistole domenicali. Nello stesso tempo organizzò la propaganda nei dintorni. Da ogni parte il popolo accorreva a lui e presto Allstedt diventò il centro del movimento popolare anticlericale di tutta la Turingia.
 
In quel tempo Münzer era ancora anzitutto teologo e dirigeva i suoi attacchi quasi esclusivamente contro i preti. Ma invece di predicare, come già allora faceva Lutero, le calme discussioni e il pacifico progresso, continuava le vecchie prediche violente di Lutero e chiamava i principi e il popolo della Sassonia alla lotta armata contro i preti di Roma. «Dice Cristo, io non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Ma per che cosa dovete voi (i principi della Sassonia) fare uso della spada? Nient’altro che per sopprimere ed annientare i malvagi che sono di ostacolo al Vangelo, se veramente volete essere servi di Dio, Cristo ha ordinato con grande energia (Luc. 19, 27): “Prendete i miei nemici e strangolateli davanti ai miei occhi...”. Non dateci ad intendere le scipite buffonate secondo cui la potenza di Dio può fare questo senza l’aiuto della vostra spada; altrimenti essa vi si arrugginirà nella guaina. Coloro che si ergono contro la rivelazione di Dio, bisogna toglierli dalla vita senza pietà, come Isaia, Ciro, Giosia, Daniele ed Elia hanno sterminato i sacerdoti di Baal. Se no la chiesa cristiana non potrà ritornare alle sue origini. Le erbacce vanno eliminate dalla vigna di Dio all’epoca del raccolto. Dio ha detto a Mosè (5, 7): “Non dovete avere pietà degli idolatri, spezzate i loro altari, infrangete i loro idoli e bruciateli perché la mia ira non si abbatta su voi”».
 
Ma questi appelli ai principi non avevano seguito, mentre il fermento rivoluzionario nel popolo cresceva di giorno in giorno. Münzer, le cui idee diventavano sempre più nette, sempre più ardite, si separò decisamente dalla riforma borghese e da allora si mise sul piano dell’agitazione politica.
 
La sua dottrina filosofico-teologica abbracciava tutti i punti centrali, non solo del cattolicesimo, ma del cristianesimo in generale. Sotto le forme cristiane, egli insegnava un panteismo che presenta sorprendenti analogie con le concezioni speculative moderne ed in parte rasenta persino l’ateismo. Infatti egli rigettava la Bibbia come rivelazione esclusiva quanto infallibile. L’unica rivelazione, la rivelazione vivente, era per lui la ragione. E’ questa una rivelazione che è sempre esistita in tutti i popoli ed esiste ancora oggi. Contrapporre la Bibbia alla ragione, significa uccidere lo spirito con la lettera. Infatti lo spirito santo di cui parla la Bibbia, non è qualche cosa di esistente fuori di noi, lo spirito santo è propriamente la ragione. La fede non è altro che la ragione che nell’uomo diventa vita, e perciò anche i pagani poterono avere la fede. Con la fede, con la ragione l’uomo diventa vivente, l’uomo si trasforma in una creatura divina e santa. Perciò il cielo non si deve cercare nell’al di là, ma in questa vita, e il compito del fedele è quello di instaurare questo cielo, il regno di Dio, qui sulla terra. Come non c’è il cielo nell’al di là, così non c’è l’inferno, la dannazione. Quindi il diavolo non è altro che i cattivi istinti e i cattivi desideri degli uomini. Cristo è stato un uomo come noi, un profeta e un maestro, e la sua cena è semplicemente una cena commemorativa nella quale si gusta il pane e il vino senza nessuna mistica aggiunta.
 
Münzer insegnava queste dottrine per la massima parte celandole dietro quella stessa fraseologia cristiana dietro alla quale per lungo tempo si è dovuta nascondere la filosofia moderna. Ma il suo pensiero fondamentalmente eretico fa capolino qua e là dai suoi scritti ed è chiaro che egli prendeva molto meno sul serio la mascheratura biblica di quanto non facciano ai nostri tempi alcuni scolari di Hegel. Eppure tra Münzer e la filosofia moderna ci sono di mezzo tre secoli.
 
La sua dottrina politica era perfettamente aderente a questa concezione religiosa rivoluzionaria e sorpassava le condizioni sociali e politiche in cui si viveva, di tanto di quanto la sua teologia sorpassava le rappresentazioni religiose in voga nel suo tempo. Come la filosofia della religione di Münzer rasentava l’ateismo, così il suo programma politico rasentava il comunismo. Tanto che più di una setta comunista moderna, anche alla vigilia della rivoluzione di febbraio, non poteva disporre di un arsenale teorico più ricco di quello di «Münzer» che è del secolo XIV. Questo programma, che più che una sintesi delle aspirazioni dei plebei di allora, era una geniale anticipazione delle condizioni per l’emancipazione degli elementi proletari che cominciavano appena a svilupparsi tra questi plebei, questo programma esigeva: l’immediata instaurazione sulla terra del regno di Dio, del regno di Dio delle profezie millenaristiche, attraverso il ritorno della chiesa alla sua origine e l’eliminazione di tutte le istituzioni che erano in contraddizione con questa chiesa che in apparenza era la primitiva chiesa cristiana, ma in realtà era assolutamente nuova. Per Münzer il regno di Dio è un’organizzazione della società in cui non ci sono più né differenze sociali, né proprietà privata, né autorità statale estranea e indipendente, contrapposta ai membri della società. Tutte quante le autorità vigenti, che non volessero adattarsi e unirsi alla rivoluzione dovevano essere rovesciate, e si dovevano instaurare la comunanza delle attività e dei beni e la più completa eguaglianza. Per attuare tutto questo si doveva fondare un’unione che abbracciasse non solo tutta la Germania, ma tutta li cristianità. I principi e i signori dovevano essere invitati ad aderire e, in caso contrario, alla prima occasione, l’unione, armi alla mano, li doveva rovesciare o uccidere.
 
Münzer si diede subito da fare per organizzare questa unione. Le sue prediche assunsero un carattere rivoluzionario sempre più accanito. Oltre ad attaccare i preti, con eguale passione tuonava contro i principi, la nobiltà, il patriziato e dipingeva con i colori più accesi l’oppressione che vigeva e, in contrasto con essa, il quadro fantastico del regno millenario della eguaglianza sociale repubblicana. Frattanto pubblicava un opuscolo rivoluzionario dopo l’altro e spediva emissari in tutte le direzioni, mentre egli stesso ad Allstedt e nei dintorni organizzava l’unione.
 
Il primo frutto di questa propaganda fu la distruzione della cappella di Maria a Mellerbach presso Allstedt, giusta le parole della scrittura: «Voi dovete spezzare i loro altari, infrangere le loro colonne e bruciare con le fiamme i loro idoli, poiché voi siete un popolo santo» (Deut. 7, 6). I principi della Sassonia vennero personalmente ad Allstedt per sedare il tumulto e convocarono Münzer al castello. Ma qui egli tenne una predica quale essi non erano abituati a sentire da Lutero, che Münzer chiamava «la pasta frolla di Wittenberg». Egli predicava la necessità di uccidere i superiori empi, specialmente preti e monaci, che il Vangelo tratta da eretici, e per questo si richiamava al nuovo testamento. Gli empi non hanno diritto di vivere se non per grazia degli eletti. Se i principi non stermineranno gli empi, Dio toglierà loro la spada, perché la potenza della spada appartiene all’intera comunità. La sentina di ogni usura, di ogni ladreria, di ogni brigantaggio sono i principi e i signori: essi si appropriano di tutte le creature, dei pesci del mare, degli uccelli dell’aria, dei frutti della terra. E son proprio loro a predicare ai poveri il comandamento «non rubare», mentre assi arraffano dove trovano, scorticano e grattano il contadino e l’artigiano e, se questo fa un minimo gesto minaccioso, lo impiccano e il dottor Lügner[7] approva tutto questo con un amen. «Proprio i signori sono responsabili del fatto che i poveri diventino loro nemici. Se non vogliono sopprimere la causa della sedizione, come pretendono che la cosa alla lunga vada bene? Oh, cari signori, che bei colpi menerà il Signore con una sbarra di ferro tra le vecchie pentole! In verità vi dico che insorgerà. Salute!» (Cfr. Zimmermann, La guerra dei contadini, II, p. 75). Münzer fece stampare la sua predica. Il suo stampatore di Allstedt fu costretto a esulare dal duca Giovanni di Sassonia, e tutti gli scritti di Münzer furono sottoposti alla censura del governo di Weimar.
 
Ma egli non osservò quest’ordine, e poco dopo nella città imperiale di Mühlhausen fece stampare uno scritto terribilmente violento in cui invitava il popolo «ad allargare ancora maggiormente la crepa perché tutto il mondo possa vedere e comprendere chi sono i nostri grandi Giovanni che ampiamente hanno fatto di Dio un omiciattolo dipinto», e conclude con queste parole: «Tutto il mondo deve sopportare un colpo molto forte; si verificherà una siffatta congiuntura che gli empi saranno rovesciati di seggio, gli umili saranno innalzati». «Tommaso Münzer dal martello» scriveva sul titolo, come motto: «Ascolta, io ho posto sulle tue labbra le mie parole perché tu sradichi e infranga, distrugga e rovesci, costruisca e pianti. Un muro di ferro si erge contro i re, i principi, i preti e contro il popolo... Combattano pure! Meravigliosa sarà la vittoria che segnerà la fine dei potenti ed empi tiranni».
 
La rottura di Münzer con Lutero e il suo partito era già da lungo tempo un fatto compiuto. Lutero aveva dovuto accettare alcune riforme della chiesa che Münzer aveva introdotte senza chiederglielo, ed osservava l’attività di Münzer con la sfiducia dispettosa del riformatore moderato verso il partito più energico, e più avanzato. Già nella primavera del 1524 Münzer aveva scritto a Melantone, questo prototipo di filisteo tisicuzzo e sedentario, che né lui né Lutero comprendevano niente del movimento. Essi cercavano di soffocare il movimento nella fedeltà alla lettera della Bibbia, e la loro dottrina era tarlata. Ecco che cosa egli diceva loro: «Cari fratelli, abbandonate le vostre attese e le vostre esitazioni; è ormai tempo, l’estate è già alla porta. Non vogliate intrattenere rapporti di amicizia con gli empi; impedite che essi rendano assolutamente inefficiente la parola di Dio. Non adulate i vostri principi, se no, voi stessi vi perderete insieme a loro. Voi dolci scribi, non vogliatemene, io non posso fare diversamente».
 
Più di una volta Lutero invitò Münzer a disputare con lui, ma questi, sempre pronto a lottare alla presenza del popolo, non aveva il minimo desiderio di lasciarsi trascinare ad una discussione teologica alla presenza del pubblico partigiano dell’università di Wittenberg. Egli non voleva «portare testimonianza dello spirito esclusivamente davanti all’alta scuola». Se Lutero era sincero doveva impiegare la sua influenza a far cessare le persecuzioni contro il suo stampatore e far revocare la censura sui suoi scritti perché la lotta potesse condursi liberamente sulla stampa.
 
Ma ora, dopo la pubblicazione dell’opuscolo rivoluzionario di Münzer di cui abbiamo parlato, Lutero si mise apertamente ad accusano. Nella Lettera a principi della Sassonia contro lo spirito di sedizione che diede alle stampe, Lutero indicava in Münzer uno strumento di Satana e chiedeva ai principi dì intervenire e di cacciare i provocatori della sedizione, poiché essi non si accontentano di predicare le loro perverse dottrine, ma invitano alla rivolta, alla resistenza armata contro l’autorità.
 
Il 1° agosto Münzer fu convocato al castello di Weimar per rispondere, alla presenza dei principi, all’accusa di mene sediziose. Contro di lui c’erano dei fatti fortemente compromettenti: si era rintracciata la sua unione segreta e si era scoperta la sua mano nelle associazioni dei minatori e dei contadini. Lo si minacciò di bando. Era appena ritornato ad Allstedt, quando venne a sapere che il duca Giorgio di Sassonia chiedeva la sua consegna; erano state intercettate delle lettere dell’unione, scritte di suo pugno, nelle quali egli incitava i sudditi di Giorgio alla resistenza armata contro i nemici del Vangelo. Se Münzer non avesse lasciato in tempo la città, il consiglio lo avrebbe consegnato al duca.
 
Frattanto, l’agitazione che andava crescendo tra i contadini e i plebei aveva reso straordinariamente facile la propaganda di Münzer. Per questa propaganda egli aveva acquistato negli anabattisti degli agenti di inestimabile valore. Questa setta, senza dogmi positivi precisi, tenuta insieme solo dalla comune opposizione a tutte le classi dominanti e dal simbolo del nuovo battesimo, asceticamente rigida nel suo tenore di vita, instancabile, fanatica e intrepida nell’agitazione, si era sempre più raggruppata intorno a Münzer. Esclusa a causa delle persecuzioni da ogni stabile residenza, essa vagava per tutta la Germania e dappertutto annunziava la nuova dottrina con la quale Münzer le aveva rese chiare le sue esigenze e le sue aspirazioni. In numero infinito gli anabattisti furono torturati, arsi o subirono altri supplizi, ma il coraggio e la fermezza di questi emissari erano incrollabili e smisurato era il successo della loro attività, nella situazione determinata dalla crescente agitazione popolare. Perciò Münzer al momento della sua fuga dalla Turingia trovò da per tutto il terreno favorevole; poteva andare dove voleva.
 
A Norimberga, dove Münzer andò dapprima, da appena un mese era stata soffocata in germe un’insurrezione di contadini. Münzer cominciò a dar vita ad un movimento clandestino di agitazione. Subito entrarono in scena degli uomini che difendevano le sue posizioni più ardite sulla non obbligatorietà della Bibbia, e sulla nullità dei sacramenti e che dichiaravano che Cristo era solamente un uomo e che il potere dell’autorità terrena è d’origine divina. «Si vede aggirarsi Satana, lo spirito di Allstedt», gridò Lutero. E Münzer fece stampare qui a Norimberga una risposta a Lutero. Lo accusava di adulare i principi e di sostenere, con la sua indecisione, il partito reazionario. Ma il popolo acquisterà la libertà e il dottor Lutero finirà come la volpe presa in trappola. Lo scritto fu fatto sequestrare dal consiglio e Münzer dovette lasciare Norimberga.
 
Attraverso la Svevia, Münzer andò ora in Alsazia e dopo in Svizzera, per far ritorno poi all’alta Selva Nera, dove già da alcuni mesi era scoppiata un’insurrezione fomentata in gran parte dai suoi emissari anabattisti. Questo viaggio di propaganda di Münzer aveva chiaramente contribuito in modo sostanziale all’organizzazione del partito del popolo, alla chiarificazione del programma, e, finalmente, alla preparazione dello scoppio dell’insurrezione dell’aprile 1525. Emerse qui in modo particolarmente chiaro la duplice attività di Münzer che si indirizzava da una parte al popolo, al quale egli parlava nel linguaggio del profetismo, che era l’unico che allora esso poteva intendere, dall’altra agli iniziati, ai quali poteva liberamente manifestare quali fossero i suoi fini precisi. Se già precedentemente in Turingia, egli aveva riunito intorno a sé, e posta alla testa dell’unione clandestina, una cerchia di gente decisa tratta non solo dal popolo, ma anche dal basso clero, qui egli diventò il centro di tutto il movimento rivoluzionario della Germania sudoccidentale. Organizzò i collegamenti tra la Sassonia e la Turingia, attraverso la Franconia o la Svevia, sino all’Alsazia e ai confini della Svizzera e annoverò, tra i suoi discepoli e i capi dell’unione, agitatori della Germania meridionale come Hubmaier a Waldshut, Corrado Grebel di Zurigo, Francesco Rabmann a Griessen, Schappler a Memmingen, Giacomo Wehe a Leipheim, il dottor Mantel a Stoccarda, in massima parte parroci rivoluzionari. Egli risiedette per lo più a Griessen sul confine del cantone di Sciaffusa e da lì percorse lo Hegau, il Klettgau ecc. Le sanguinose persecuzioni che i principi e i signori disturbati nella loro vita, intrapresero da per tutto contro questa nuova eresia plebea, contribuirono in misura non piccola a fomentare lo spirito di ribellione e a rinsaldare i legami. Così Münzer, per cinque mesi sommosse la Germania meridionale, e quando lo scoppio insurrezionale della congiura si avvicinò, ritornò in Turingia, dove volle capitanare egli stesso la sollevazione e dove lo incontreremo ancora.
 
Vedremo con quanta fedeltà il carattere e l’azione dei due capi rispecchiasse l’atteggiamento dei due partiti; vedremo come l’indecisione, la paura di fronte alla serietà del movimento, il vile servilismo di Lutero verso i principi corrispondesse precisamente alla politica ondeggiante, doppia della borghesia, e come invece l’energia e la decisione rivoluzionaria di Münzer si riscontrasse nella frazione più avanzata dei plebei e dei contadini. La differenza è solo che, mentre Lutero si accontentò di esprimere le concezioni e le aspirazioni della maggioranza della sua classe, e con ciò guadagnò una popolarità molto a buon mercato, Münzer, per contro, andò molto al di là delle concezioni e delle aspirazioni immediate dei plebei e dei contadini, e con l’élite degli elementi rivoluzionari preesistenti formò un partito che, del resto, nella misura in cui era all’altezza delle sue idee e partecipava della sua stessa energia, rimase sempre una piccola minoranza nella massa degli insorti.
 

 
Friedrich Engels: La guerra dei contadini in Germania – [Indice]


Note:
 
[1] Secondo una leggenda un ricco mercante di Lione Pierre de Vaud o Valdo, di fronte alla corruzione dilagante del clero, decise di seguire i consigli evangelici,. distribuì ai poveri i suoi beni e con un gruppo di seguaci iniziò nel 1176 la sua predicazione. E’ probabile che la setta che prese il nome di Pierre de Vaud esistesse già prima della sua predicazione, e del resto essa si fuse con altre sette esistenti in Italia, i catari e i patarini. In un primo tempo i valdesi non ebbero alcuna coscienza della loro opposizione alla chiesa, ma il carattere della loro predicazione, la lettura libera del Vangelo, l’ostilità al mistero della transustanziazione e il carattere laico della loro predicazione spinsero la chiesa a perseguitarli. Una crociata fu organizzata contro di loro da Pio IV nel 1477 e le persecuzioni si susseguirono sino al secolo XVIII. Solo nel 1848 essi ottennero il riconoscimento dei diritti di cittadinanza e la libertà religiosa in Piemonte e nella Savoia. La chiesa valdese esiste anche oggi e conta qualche migliaio di adepti.
[2] Questa setta i cui caratteri sono molto simili a quelli dei valdesi trae il suo nome dalla città di Albi nella Linguadoca. Il terreno è dunque sempre la Francia meridionale. Gli albigesi professavano il cristianesimo apostolico e ispiravano la loro vita alla semplicità del Vangelo. Il papa Calisto II li scomunicò nel concilio di Tolosa del 1119 e il papa Innocenzo II nel 1139. Nel 1209 Innocenzo III bandì una crociata contro di loro. Fu una vera e propria guerra che si protrasse per venti anni A spiegarne il carattere basta tener presente che la crociata fu capeggiata dal signori della Francia settentrionale, che, in uno stadio di sviluppo notevolmente meno avanzato del mezzogiorno, era legata alla chiesa romana così come a tutto il modo di vita feudale e trovava nella crociata un pretesto per distruggere la potenza economica e politica del Sud. La pace fu conclusa nel 1229 dopo una serie di crudeltà inaudite commesse specialmente da Simone di Monfort e dai legati del papa: la presa di Bezier fu seguita dalla strage di 20.000 albigesi.
[3] Il supplizio di Huss fu seguito in Boemia dall’esplosione di un movimento rivoluzionarlo i cui obiettivi erano la lotta contro l’autorità del papa e per la riforma della chiesa, la lotta contro i tedeschi per l’indipendenza nazionale del cechi. La parola d’ordine del movimento fu «il calice ai laici». Secondo il rito cattolico infatti la comunione si somministra al laici nella specie del pane e al clero sotto le due specie del pane e del vino. Il significato dunque di questa esigenza espressa nella parola d’ordine degli insorti era la soppressione di un privilegio del clero in materia sacramentale. Dal nome latino calix gli insorti si chiamarono calistini. Sul principio tutto il popolo boemo scese in lotta: i nobili speravano di arricchirsi con i beni dei clero, i ricchi borghesi speravano di estendere la loro influenza economica alle città tedesche e i contadini, appoggiati dalla piccola borghesia urbana e dagli strati proletari, aspiravano al possesso della terra. Questi ultimi, dal nome del monte Tabor, presero il nome di taboriti. Dopo aver riportato una grande vittoria a Tauss, i taboriti, i quali avevano un programma non corrispondente alle possibilità di sviluppo della società del tempo, si trovarono isolati dagli altri gruppi sociali che avevano raggiunto i loro obiettivi e, battuti dal re Sigismondo, si dispersero rapidamente.
[4] Le prime notizie che abbiamo di questa setta risalgono al secolo XI, ma solo nei secoli XIII e XIV s’irradiò dall’Italia nel mezzogiorno della Francia, nell’Alsazia e nella Lorena. I flagellanti. così chiamati perché praticavano la flagellazione, volevano rendere perfetto il loro distacco dal mondo e riprodurre in sé le sofferenze di Cristo. La chiesa in principio non avversò questa pratica, seguita anche da Gregorio VII, ma quando i flagellanti cominciarono a manifestare la loro ostilità agli ordini monastici e ad esigere riforme della chiesa; furono condannati dal Concilio di Costanza.
[5] Setta che si sviluppò tra i poveri tessitori inglesi nel secolo XIV ed ebbe ramificazioni nel Paesi Bassi, nella Fiandra e nel Brabante. I lollardi chiedevano la riforma della chiesa inglese e la comunità dei beni. Si andarono estinguendo sebbene lentamente, dopo che Giovanni Ball, loro massimo rappresentante fu ucciso durante il grande movimento insurrezionale del 1358.
[6] Nei secolo X all’avvicinarsi dell’anno 1000, si diffuse la cosiddetta dottrina millenaristica (o chilialistica, dall’equivalente termine greco) che, traendo lo spunto dall’Apocalisse annunciava che nel secolo prossimo tutti i mali dell’umanità. sarebbero stati guariti dal ritorno di Cristo sulla terra. Il millenarismo, che interpretava il bisogno di rigenerazione sociale sentito profondamente dallo masse oppresse, ebbe larga diffusione e costituì il precedente ideologico di tutti i movimenti riformatori sviluppatisi nei secoli successivi.
[7] «Mentitore»