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Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania, Edizioni Rinascita, Roma, 1949 - Traduzione di Giovanni De Caria
da marx-karl.com/spgm/v_gallery.html - Trascrizione di Valerio e pubblicazione a cura del CCDP per l'anniversario della nascita di Engels (28/11/1820)

 
Friedrich Engels: La guerra dei contadini in Germania – [Indice]
 
Capitolo IV
 
Nello stesso periodo in cui nella Selva Nera veniva repressa la quarta cospirazione del Bundschuh, a Wittenberg Lutero dava il segnale del movimento che doveva trascinare nel vortice tutte le classi sociali e scuotere tutto l’impero. Le tesi dell’agostiniano della Turingia appiccarono il fuoco come un fulmine in una polveriera. Le molteplici aspirazioni che si intrecciavano tra di loro, dei cavalieri e dei borghesi, dei contadini e dei plebei, dei principi che aspiravano alla sovranità e del basso clero, delle sette clandestine misticheggianti e degli scrittori dotti o burlesco-satirici dell’opposizione trovarono in esse un’espressione generale, provvisoriamente comune, intorno alla quale si raggrupparono con sorprendente rapidità. Questa alleanza di tutti gli elementi dell’opposizione, stretta in un solo istante, per quanto fosse di breve durata, rivelò bruscamente la forza spaventosa del movimento e tanto più rapidamente lo spinse avanti.
 
Ma proprio questo rapido sviluppo del movimento doveva anche far risaltare molto presto i germi del dissidio che giacevano in esso, doveva separare ancora l’uno dall’altro almeno quegli elementi costituivi della massa in fermento, i quali per la loro posizione reale, erano in diretto dissidio reciproco e riportarli alla loro normale posizione di ostilità. Questa polarizzazione della massa variopinta dell’opposizione intorno a due centri di attrazione emerse già nei primi anni della Riforma. Nobili e borghesi si raggrupparono incondizionatamente intorno a Lutero; contadini e plebei, senza vedere ancora in Lutero un nemico diretto, costituirono un partito d’opposizione rivoluzionario. Solo, ora il movimento era molto più generale e più profondo che prima di Lutero, e con ciò era posta la necessità di un antagonismo nettamente dichiarato, di una lotta diretta tra i due partiti. Questo antagonismo immediato si manifestò subito. Lutero e Münzer si combatterono pubblicamente dalla stampa e dal pulpito, del pari che gli eserciti dei principi, dei cavalieri e delle città, composti in massima parte di forze luterane o che inclinavano al luteranesimo, batterono le schiere dei contadini e dei plebei.
 
Quanto divergessero gli interessi e i bisogni dei diversi elementi che avevano accettato la riforma, lo mostrò, già prima della guerra dei contadini, il tentativo fatto dalla nobiltà di appagare le proprie esigenze contro i principi e i preti.
 
Abbiamo già visto quale fosse la posizione della nobiltà tedesca sul principio del secolo sedicesimo. Con la potenza sempre maggiormente crescente dei principi laici ed ecclesiastici, essa era in procinto di perdere la propria indipendenza. Ma nello stesso tempo vedeva che, nella misura in cui essa affondava, affondava anche il potere imperiale e l’impero si dissolveva in una quantità di principati sovrani. Per la nobiltà, il suo tramonto coincideva col tramonto della Germania come nazione. A questo si aggiungeva che la nobiltà, e particolarmente la nobiltà imperiale, era lo stato che, tanto per la sua funzione militare, quanto per la sua posizione di fronte ai principi, rappresentava specificamente l’impero e il potere imperiale. Essa era lo stato più nazionale, e tanto più era potente, quanto più era forte il potere imperiale, quanto più erano deboli e meno numerosi i principi, quanto più unita era la Germania. Da qui il risentimento generale della cavalleria per la miserevole situazione politica della Germania, per l’impotenza dell’impero verso l’estero, risentimento che cresceva nella misura in cui la casa imperiale, per via ereditaria, annetteva all’impero una provincia dopo l’altra. Da qui ancora il risentimento dei cavalieri per gli intrighi di potenze straniere nell’interno della Germania e per i complotti che i principi tedeschi ordivano con l’estero contro il potere imperiale. Le esigenze della nobiltà si compendiavano anzitutto nell’esigenza di una riforma dell’impero, alla quale dovevano essere sacrificati i principi e l’alto clero. La formulazione complessiva di queste esigenze fu intrapresa da Ulrico von Hutten, rappresentante delle teorie della nobiltà tedesca, in comunione con il suo emissario politico militare Francesco von Sickingen.
 
Hutten ha espresso molto precisamente e concepito in modo molto radicale la sua riforma dell’impero, richiesta in nome della nobiltà. Si trattava di una bagatella, come l’eliminazione dei principi, la secolarizzazione dei principati ecclesiastici e dei loro beni, l’instaurazione di una democrazia nobiliare con un monarca alla testa, come ai giorni migliori della defunta repubblica polacca. Con l’instaurazione della sovranità dei nobili, classe militaresca per eccellenza, con l’allontanamento dei principi, rappresentanti del frazionamento, con l’annientamento della potenza dei preti e con lo svincolamento della Germania dalla sovranità spirituale di Roma, Hutten e Sickingen credevano di riunificare l’impero e di renderlo di nuovo libero e potente.
 
La democrazia nobiliare, che poggia sulla servitù della gleba, quale esistette in Polonia e, in una forma alquanto modificata, nei primi secoli della conquista germanica dell’impero è una delle forme più rozze di società, e la sua più normale evoluzione porta alla gerarchia feudale nel suo più completo sviluppo; che è già una fase notevolmente superiore. Ma questa pura democrazia nobiliare era impossibile nel secolo XVI. Già era resa impossibile dal fatto che esistevano in Germania delle città importanti e potenti. D’altra parte poi era impossibile anche quell’alleanza della piccola nobiltà e delle città, che in Inghilterra aveva portato alla trasformazione della monarchia feudale in monarchia costituzionale-borghese. Infatti, in Germania la vecchia nobiltà si era mantenuta mentre in Inghilterra essa era stata sradicata dalla Guerra delle due Rose[1] a eccezione di 28 famiglie, ed era stata sostituita da una nuova nobiltà di origine borghese; in Germania continuava ad esistere la servitù della gleba e la nobiltà aveva fonti di entrate feudali, mentre in Inghilterra esse erano state quasi eliminate e il nobile era semplicemente un proprietario terriero borghese con fonte di entrate borghese: la rendita fondiaria. Finalmente, l’accentramento della monarchia assoluta, che, determinato dal conflitto tra la nobiltà e la borghesia, esisteva in Francia dal tempo di Luigi XI e si sviluppava sempre più, in Germania sarebbe stata impossibile perché qui le condizioni per l’accentramento nazionale o non esistevano affatto o erano solo in germe.
 
In questa situazione, quanto più Hutten si slanciava nella realizzazione pratica del suo ideale, tanto più concessioni doveva fare e tanto più indeterminati gli diventavano i contorni della sua riforma dell’impero. La nobiltà da sola, non era capace di portare a buon esito l’impresa; e questo prova la sua debolezza crescente di fronte ai principi. Si dovevano dunque trovare degli alleati e gli unici possibili erano le città, i contadini e gli influenti teorici del movimento della riforma. Ma le città conoscevano abbastanza la nobiltà per non fidarsi di essa o per respingere ogni legame con essa. I contadini vedevano, e con buone ragioni, nella nobiltà, che li spogliava e li maltrattava, il nemico peggiore. E i teorici erano o con i borghesi e i principi, o con i contadini. Quali promesse positive poteva fare la nobiltà ai borghesi e ai contadini, con una riforma dell’impero la quale aveva sempre, come suo fine primario, l’innalzamento della nobiltà stessa? Date queste circostanze, a Hutten non rimaneva altro nella sua propaganda, che tacere o quasi sulla futura posizione dei rapporti della nobiltà, delle città e dei contadini tra di loro; attribuiva tutto il male ai principi, ai preti e alla soggezione a Roma e dimostrava ai borghesi che il loro interesse li consigliava di mantenersi almeno neutrali nella lotta imminente tra principi e nobiltà. Della soppressione del servaggio e dei gravami che i contadini dovevano alla nobiltà, Hutten non ne faceva parola.
 
La posizione della nobiltà tedesca di fronte ai contadini in quell’epoca era uguale alla posizione della nobiltà polacca verso i propri contadini nel periodo dell’insurrezione del 1830-1846. Come per la moderna insurrezione polacca, anche allora il movimento avrebbe dovuto condursi con un’alleanza tra tutti i partiti d’opposizione e particolarmente tra la nobiltà e i contadini. Ma in entrambi i casi, proprio questa alleanza era impossibile. Infatti, né la nobiltà si trovava nella necessità di dover rinunciare a tutti i suoi privilegi politici e a tutti i suoi diritti feudali sui contadini, né i contadini rivoluzionari potevano, sulla base di prospettive generiche ed indeterminate, gettarsi in un’alleanza con la nobiltà, cioè con la classe che massimamente li opprimeva. Come nel 1830 in Polonia, così nel 1522 in Germania la nobiltà non poteva conquistare i contadini. Solo la totale eliminazione dei servi della gleba e degli affrancati e la rinunzia a tutti i privilegi feudali avrebbero potuto unire il popolo delle campagne alla nobiltà, ma la nobiltà, come tutti i ceti privilegiati, non aveva la minima voglia di rinunziare ai suoi privilegi, alla sua posizione assolutamente eccezionale e alla massima parte delle fonti delle sue entrate.
 
Ecco finalmente perché, quando la lotta scoppiò, la nobiltà si trovò sola di fronte ai principi. Era quindi da prevedere che, anche questa volta, i principi, che per due secoli avevano sempre guadagnato terreno nei suoi confronti, la dovessero schiacciare senza molta fatica.
 
Lo svolgimento della lotta è noto. Hutten e Sickingen, che erano riconosciuti già come capi militari della Germania centrale, conclusero a Landau nel 1522 una lega della durata di sei anni con la nobiltà renana, sveva e francone con fini apparenti di autodifesa. Sickingen mise insieme un esercito, in parte con mezzi propri, in parte in collegamento con i cavalieri delle vicinanze, organizzò arruolamenti e rinforzi in Franconia, nella Bassa Renania, nei Paesi Bassi e in Vestfalia e nel settembre del 1522 aperse le ostilità con una dichiarazione di guerra all’arcivescovo elettore di Treviri. Ma mentre egli era accampato davanti a Treviri, i suoi rinforzi furono fatti a pezzi da una improvvisa irruzione dei principi. Il langravio di Assia e l’elettore del Palatinato vennero in aiuto di quello di Treviri e Sickingen dovette rinchiudersi nel suo castello di Landstuhl. Malgrado tutti gli sforzi di Hutten e degli altri suoi amici, la nobiltà, sua alleata, lo lasciò in asso, spaventata dall’azione concentrica e improvvisa dei principi. E così Sickingen, ferito a morte, cedette il castello di Landstuhl e subito dopo morì. Hutten dovette rifugiarsi in Svizzera e morì pochi mesi dopo nell’isola di Ufnau nel lago di Zurigo.
 
Con questa sconfitta e con la morte dei due capi, la potenza della nobiltà, come classe indipendente dai principi, fu infranta. Da ora in poi la nobiltà agirà al servizio e sotto la direzione dei principi. La guerra dei contadini, che scoppiò subito dopo, ancor più la costrinse a porsi, direttamente o indirettamente sotto la protezione dei principi e dimostrò, nello stesso tempo, che la nobiltà tedesca preferiva continuare a sfruttare i contadini sotto la sovranità dei principi, che rovesciare i principi e i preti con una aperta alleanza con i contadini emancipati.
 

 
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Note:
[1] La guerra che si svolse in Inghilterra, negli anni 1455-1485, tra la dinastia dei Lancaster, simboleggiata da una rosa rossa, e la dinastia degli York, simboleggiata da una rosa bianca. I Lancaster, i quali rappresentavano gli interessi dei grandi feudatari del Galles e del Nord, miravano a dividere l’Inghilterra in tanti stati feudali. Gli York, i quali rappresentavano gli interessi della borghesia delle città sudorientali e dei contadini, miravano a costituire uno stato unitario retto da una dinastia assoluta. La Guerra delle due Rose si concluse con la vittoria degli York e l’ascesa al trono di Edoardo IV.