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Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania, Edizioni Rinascita, Roma, 1949 - Traduzione di Giovanni De Caria
da marx-karl.com/spgm/v_gallery.html - Trascrizione di Valerio e pubblicazione a cura del CCDP per l'anniversario della nascita di Engels (28/11/1820)

 
Friedrich Engels: La guerra dei contadini in Germania – [Indice]
 
Capitolo VI
 
Subito dopo lo scoppio dei primi movimenti in Svevia, Tommaso Münzer era ritornato in tutta fretta in Turingia sin dalla fine di febbraio o dai primi di marzo aveva preso residenza nella città libera di Mühlhausen, dove il suo partito era fortissimo. Egli aveva tra le mani le fila di tutto il movimento, sapeva quale generale tempesta stesse per scoppiare nella Germania meridionale e aveva il proposito di trasformare la Turingia nel centro del movimento per la Germania settentrionale. Qui egli trovò un terreno di altissimo rendimento. La stessa Turingia centro del movimento della riforma era agitata al massimo grado; mentre le correnti dottrine religiose e politiche rivoluzionarie e, in misura non minore, le necessità materiali dei contadini oppressi avevano preparato per una sollevazione generale i paesi vicini: l’Assia, la Sassonia e il Harz. Specialmente a Mühlhausen la massa della piccola borghesia era stata guadagnata alla corrente estremistica münzeriana e non vedeva il momento di poter far valere la propria superiorità numerica sui petulanti notabili. Münzer stesso, per non compromettere il momento giusto, fu costretto ad agire da moderatore. Ma il suo discepolo Pfeifer, che qui dirigeva il movimento, si era già talmente compromesso che non poté impedire lo scoppio insurrezionale, e così il 17 marzo 1525, ancora prima della sollevazione generale della Germania meridionale, Mühlhausen fece la sua rivoluzione. Il vecchio consiglio patrizio fu rovesciato e il governo fu messo nelle mani del «Consiglio eterno» di nuova elezione, del quale Münzer fu nominato presidente.
 
Il peggio che possa accadere al capo di un partito estremo è di essere costretto a prendere il potere in un momento in cui il movimento non è ancora maturo per il dominio della classe che egli rappresenta e per l’attuazione di quelle misure che il dominio di questa classe esige. In questo caso, ciò che egli può fare dipende non dalla sua volontà, ma dal grado raggiunto dai contrasti tra le singole classi e dal grado di sviluppo delle condizioni materiali di esistenza e dei rapporti di produzione e di scambio, su cui poggia lo sviluppo dei contrasti delle classi. Ciò che egli deve fare, ciò che il suo partito esige da lui, a sua volta, non dipende da lui, e neppure dal grado di sviluppo raggiunto dalla lotta delle classi e dalle condizioni su cui è basata questa lotta: egli è legato alle dottrine che ha professato e alle esigenze che ha posto sino a quel momento, le quali, a loro volta, non derivano dalla posizione reciproca in cui le classi sociali si trovano in quel momento, né dal temporaneo e più o meno accidentale stato dei rapporti di produzione e di scambio, ma dall’esame più o meno penetrante che egli compie sui risultati generali del movimento sociale e politico. Egli si trova quindi necessariamente di fronte ad un dilemma insolubile: ciò che egli può fare contraddice a tutto ciò che ha fatto sino ad ora, ai suoi principi e agli interessi immediati del suo partito. e ciò che deve fare è inattuabile. In breve, egli è costretto a rappresentare, non il suo partito la sua classe, ma la classe per il cui dominio il movimento è maturo. Nell’interesse del movimento egli deve fare gli interessi di una classe che gli è estranea, e sbrigarsela con la propria classe con frasi, con promesse, con l’affermazione che gli interessi di quella classe ad essa estranea sono i suoi interessi. Chi incorre in questa falsa posizione è irrimediabilmente perduto.
 
Di ciò abbiamo avuto anche di recente degli esempi . Ci basterà richiamarci alla memoria la posizione assunta nell’ultimo governo provvisorio francese dai rappresentanti del proletariato, sebbene essi stessi non rappresentassero che un grado molto basso nello sviluppo del proletariato. Chi, dopo le esperienze del governo di febbraio — per non parlare dei nostri nobili governi provvisori tedeschi — può ancora fare delle speculazioni su posizioni ufficiali, deve essere o limitato d’intelligenza oltre ogni dire, o appartenere al partito rivoluzionario estremo tutt’al più con la frase.
 
La posizione di Münzer a capo del Consiglio eterno di Mühlhausen era tuttavia ancora più difficile di quella di qualsiasi governante rivoluzionario dei tempi moderni. Non solo il movimento di allora, ma perfino tutto quanto il secolo erano immaturi per l’attuazione di idee, di cui egli stesso aveva cominciato appena ad aver sentore. La classe che egli rappresentava, ben lungi dall’essere pienamente sviluppata e capace di soggiogare e di trasformare tutta quanta la società, era solo appena sul nascere. Il repentino mutamento sociale che stava davanti agli occhi della sua fantasia, aveva tante poche basi nei rapporti materiali allora vigenti, che, anzi, questi preparavano un ordinamento sociale che era precisamente il contrario dell’ordinamento sociale che egli sognava. Ma tuttavia egli rimaneva sempre legato alle sue prediche sull’eguaglianza cristiana e sulla evangelica comunanza dei beni. Doveva quindi fare almeno il tentativo di attuarle. E fu proclamata la comunanza di tutti i beni, l’obbligo, eguale per tutti. al lavoro e la soppressione di ogni autorità. Ma in realtà Mühlhausen rimase una città imperiale repubblicana con una costituzione alquanto democratizzata, con un senato eletto a suffragio universale, che però era sottoposto al controllo del foro e con un’assistenza materiale ai poveri improvvisata in tutta fretta. Il rivolgimento sociale che i borghesi protestanti di quel tempo guardavano con tanto terrore, in realtà non andò mai al di là di un debole e inconsapevole tentativo di instaurare prematuramente la società borghese futura.
 
Münzer stesso mostra di aver sentito l’abisso tra la sua teoria e la realtà che immediatamente gli stava davanti, abisso che tanto meno poteva rimanergli celato, quanto più travisate dovevano rispecchiarsi le sue geniali intuizioni nelle rozze teste della massa dei suoi seguaci. Egli si gettò con un ardore inaudito anche per lui stesso nella diffusione e nell’organizzazione del movimento, scrisse lettere e mandò emissari in tutte le direzioni. I suoi scritti e le sue prediche traspiravano un fanatismo rivoluzionario, che anche dopo i suoi primi scritti sbalordiva. L’ingenuo spirito giovanile dei suoi opuscoli rivoluzionari qui è completamente scomparso. Il linguaggio sereno, dignitoso del pensatore, che prima non gli era estraneo, non appare più. Münzer ora è interamente un profeta della rivoluzione: attizza incessantemente l’odio contro le classi dominanti, eccita le passioni più selvagge e parla solo con quei passaggi violenti che il delirio religioso e nazionale metteva sulle labbra dei profeti del vecchio testamento. Dallo stile che da ora egli dovette usare si vede a quale livello di cultura fosse il pubblico su cui egli doveva agire.
 
L’esempio di Mühlhausen e l’agitazione di Münzer esercitarono rapidamente la loro azione anche in paesi lontani. Nella Turingia, nell’Eichsfeld, nel Harz, nei ducati Sassonia nell’Assia e a Fulda, nell’Alta Franconia e nel Vogtland i contadini insorsero dovunque, si radunarono in schiere, incendiarono castelli e conventi. Più o meno Münzer era riconosciuto come capo di tutto il movimento e Mühlhausen rimaneva il punto centrale, mentre ad Erfurt vinceva un movimento prettamente borghese e il partito dominante si manteneva in una posizione ambigua verso i contadini.
 
In un primo tempo, nella Turingia i principi erano tanto imbarazzati e impotenti di fronte ai contadini, quanto lo erano nella Franconia e nella Svevia. Solo negli ultimi di aprile il langravio dell’Assia riuscì a raccogliere un corpo. Quello stesso langravio Filippo, la cui pietà tanto celebrano le storie della Riforma protestanti e borghesi, ma sulle cui infamie verso i contadini saremo noi a far sentire adesso qualche parolina. Il langravio Filippo, con poche marce e con decisione, sottomise presto la maggior parte del suo paese, quindi radunò nuove truppe e si volse verso il territorio dell’abate di Fulda che sin ad ora era il suo signore feudale. Il 3 maggio nel Frauenberg batté le bande dei contadini di Fulda, sottomise tutto il paese e approfittò dell’occasione non solo per svincolarsi dalla sovranità dell’abate, ma perfino per trasformare l’abbazia di Fulda in un feudo dell’Assia, salva naturalmente la sua futura secolarizzazione. Quindi prese Eisenach e Langensalza e mosse, insieme alle truppe del duca di Sassonia, contro la sede principale della ribellione, contro Mühlhausen. Münzer radunò presso Frankenhausen le sue forze che assommavano a circa 8.000 uomini e pochi cannoni. La banda della Turingia era molto lontana dal possedere quella capacità di urto di cui avevano dato prova le bande dell’Alta Svevia e della Franconia di fronte a Truchsess, era male armata, mal disciplinata, contava pochi soldati agguerriti ed era assolutamente priva di capi militari. Münzer stesso mostrava chiaramente di non possedere le minime conoscenze militari. Tuttavia, i principi trovarono opportuno usare, anche qui, quella tattica che così spesso aveva aiutato Truchsess a raggiungere la vittoria, lo spergiuro. Il 16 maggio intavolarono trattative, conclusero un armistizio e poi improvvisamente attaccarono i contadini ancora prima che l’armistizio fosse scaduto.
 
Münzer stava con i suoi sul monte che anche oggi si chiama Schlachtberg[1], trincerato dietro una barricata di carri. Lo scoraggiamento già cresceva notevolmente nella sua banda. I principi promisero l’amnistia se la banda avesse consegnato loro vivo Münzer. Questi allora fece formare dai suoi un circolo per discutere le proposte dei principi. Un cavaliere ed un prete si pronunziarono per la capitolazione: Münzer li fece portare in mezzo al circolo e decapitare. Quest’atto d’energia terroristica fu accolto con gioia dai rivoluzionari decisi; ma infine si sarebbero ancora per la massima parte dispersi se non si fosse osservato che i lanzichenecchi dei principi, malgrado la tregua, avevano circondato il monte e avanzavano in colonne serrate. Subito dietro ai carri si formò il fronte, ma già le palle di cannone e di archibugio piombavano sui contadini quasi privi di armi e non adusati al combattimento, già i lanzi erano arrivati davanti alla barricata. Dopo breve resistenza la linea fu spezzata, i contadini furono sbaragliati, i loro cannoni catturati. Fuggirono allora in selvaggio disordine, ma per andare tanto più facilmente a cadere tra le mani delle colonne di accerchiamento e della cavalleria che fecero una carneficina. Su 8.000 contadini 5.000 furono uccisi. Il resto rientrò a Frankenhausen, ma insieme vi entrò anche la cavalleria dei principi. La città fu presa, Münzer, ferito alla testa fu nascosto in una casa dove fu catturato. Il 25 maggio si arrese anche Mühlhausen. Pfeifer che vi era rimasto, fuggì, ma fu poi catturato nella zona dell’Eisenach.
 
Münzer fu sottoposto alla tortura alla presenza dei principi e decapitato. Egli salì sul patibolo con lo stesso coraggio con cui era vissuto: quando fu giustiziato aveva al massimo 28 anni.
 
Anche Pfeifer fu decapitato e, oltre a loro due, infiniti altri. A Fulda l’uomo di Dio Filippo d’Assia diede inizio al suo tribunale sanguinario. Costui e i principi della Sassonia fecero giustiziare, tra gli altri, ad Eisenach, 24 ribelli, a Langensalza 41, e 300 dopo la battaglia di Frankenhausen, a Mühlhausen più di 100, presso Germa 26, presso Tungeda 50, presso Sangerhausen 12, a Lipsia 8, per non parlare delle mutilazioni e delle altre dolcezze impiegate, né dei saccheggi e degli incendi di villaggi e città.
 
Mühlhausen dovette rinunziare alla sua condizione di città libera dell’impero e fu incorporata ai paesi sassoni, precisamente come l’abbazia di Fulda al Langraviato d’Assia.
 
I principi marciarono ora sulla selva della Turingia dove i contadini franconi del campo di Bildhaus si erano uniti con quelli della Turingia ed avevano incendiati molti castelli. Davanti a Meiningen si venne a battaglia; i contadini, battuti, si ritirarono verso la città, ma questa chiuse loro improvvisamente le porte e minacciò di attaccarli. La banda, presa dallo sgomento per questo tradimento dei suoi alleati, capitolò nelle mani dei principi e si sciolse mentre ancora duravano le trattative. La schiera di Bildhaus si era già dispersa da lungo tempo, e così, con lo sbaragliamento di questa schiera, fu annientato il resto degli insorti della Sassonia, dell’Asia, della Turingia e dell’Alta Franconia.
 
Nell’Alsazia la sollevazione scoppiò più tardi che sulla destra del Reno. Solo verso la metà di aprile si sollevarono i contadini del vescovato di Strasburgo e subito dopo di loro quelli dell’Alta Alsazia e del Sundgau. Il 18 aprile una banda di contadini della Bassa Alsazia saccheggiò il convento di Altorf. Altre bande si costituirono presso Ebersheim e Barr e così nella valle del Willer e dell’Urbis. Esse si unirono presto alla grande banda della Bassa Alsazia e organizzarono la presa delle città e dei borghi e la distruzione dei conventi. Dovunque fu fatta la leva di un terzo degli uomini. I dodici articoli di questa banda sono notevolmente più radicali di quelli svevo-franconi.
 
Mentre al principio di maggio una colonna d’insorti della Bassa Alsazia si concentrava presso Santo Ippolito e, dopo un vano tentativo di prendere questa città, il 10 maggio, d’accordo con i borghesi, s’impadroniva di Barken, il 13 di Rappoltsweiler e il 14 di Reichenweier; una seconda colonna, agli ordini di Erasmo Gerber, partiva per prendere di sorpresa Strasburgo. Il tentativo fallì. La colonna, allora si volse verso i Vosgi, devastò il convento di Mauergmünzer e assediò Zabern che si arrese il 13 di maggio. Da qui mosse verso la frontiera lorenese e fece insorgere la zona confinante del ducato di Lorena, mentre nello stesso tempo fortificava i valichi montani. Grandi accampamenti furono costituiti presso Herbolzheim sulla Saar e presso Neuburg; 4.000 contadini germano-lorenesi si trincerarono nei pressi di Saargemünd. Finalmente due bande avanzate, la banda di Kolben presso Stürzelbrunn e la banda di Kleeburg presso Weissenburg coprivano la fronte e il fianco destro, mentre il fianco sinistro era sostenuto dalla colonna dell’Alta Alsazia.
 
Quest’ultima, in movimento dal 10 aprile, aveva costretto ad entrare nella fratellanza dei contadini, il 10 maggio Sulz, il 12 Gebweiler, il 15 Sennheim e la zona circostante. E’ vero che il governo austriaco e le città imperiali della zona si erano subito uniti contro i contadini, ma erano troppo deboli per opporre loro una seria resistenza e meno ancora erano in condizioni di poterli attaccare. Così, ad eccezione di poche città, alla metà di maggio, tutta l’Alsazia era in mano ai ribelli.
 
Ma già si avvicinava l’esercito che doveva infrangere il criminale ardimento dei contadini alsaziani. Furono i francesi a restaurare qui il potere della nobiltà. Il duca Antonio di Lorena si mise in moto il 6 maggio con un esercito di 30.000 uomini, nel quale c’era il fiore della nobiltà francese e mercenari spagnoli, piemontesi, lombardi, greci e albanesi. Il 16 maggio, a Lützelstein, venne in contatto con 4.000 contadini che batté senza fatica e il 17 costrinse alla resa Zabern già occupata dai contadini. Ma mentre era ancora in corso l’ingresso dei lorenesi in città e il disarmo dei contadini, furono infrante le condizioni di resa: i contadini disarmati furono attaccati e in massima parte uccisi dai lanzichenecchi. Le restanti colonne della Bassa Alsazia si dispersero e il duca Antonio marciò contro i contadini dell’Alta Alsazia. Questi, che si erano rifiutati di muovere in aiuto ai contadini della Bassa Alsazia, a Zabern, furono attaccati da tutte le forze lorenesi presso Scherweiler. Si batterono con grande valore, ma l’enorme preponderanza numerica degli avversari — 30.000 contro 7.000 — e il tradimento di un certo numero di cavalieri, e specialmente del podestà di Reichenweier resero vana ogni bravura: furono totalmente battuti e sbaragliati. Il duca con orribile crudeltà pacificò ora tutta l’Alsazia. Solo al Sundgau fu risparmiata la sua presenza. Il governo austriaco, minacciando di chiamare nel loro paese il duca, al principio di giugno indusse i contadini della regione alla stipulazione dell’accordo di Ensisheim. Ma da parte sua il governo austriaco ruppe subito l’accordo e fece impiccare in massa i predicatori e i capi del movimento. I contadini, in seguito a ciò fecero una nuova insurrezione, che finalmente ebbe termine con l’inclusione dei contadini del Sundgau nel patto di Offenburg (18 settembre).
 
Ci resta ora da riferire sulla guerra dei contadini nella regione delle Alpi austriache. Queste zone, come il confinante arcivescovato di Salisburgo, dal tempo degli stara prava erano in permanente opposizione verso il governo e la nobiltà e le dottrine riformate avevano trovato qui un terreno favorevole. Persecuzioni religiose e arbitrarie oppressioni fiscali portarono allo scoppio dell’insurrezione.
 
La città di Salisburgo, sostenuta dai contadini e dai minatori, già dal 1522 era in lotta con l’arcivescovo per questioni riguardanti i suoi privilegi cittadini e l’esercizio del culto. Alla fine del 1524, l’arcivescovo attaccò la città con i lanzichenecchi che aveva reclutati, la terrorizzò con i cannoni del castello e perseguitò i predicatori di eresie. Contemporaneamente impose nuove ed opprimenti imposte e così eccitò straordinariamente tutta la popolazione. Nella primavera del 1525, mentre l’insurrezione scoppiava nella Sassonia e nella Turingia, improvvisamente i contadini e i montanari di tutto il paese si sollevarono, si organizzarono in bande al comando dei due capipopolo, Prossler e Weitmoser, liberarono la città e misero l’assedio al castello di Salisburgo. Come i contadini della Germania occidentale, anche questi si strinsero in una lega cristiana e sintetizzarono le loro rivendicazioni in articoli, che qui furono quattordici.
 
Anche nella Stiria, nell’Alta Austria,nella Carinzia e nella Carnia, dove imposte, dogane e ordinanze illegali avevano gravemente danneggiato il popolo nei suoi più prossimi interessi, nella primavera del 1525 i contadini si sollevarono. Presero una grande quantità di castelli e batterono colui che aveva trionfato degli stara prava, il vecchio capitano Dietrichstein, presso Gryss. Malgrado il governo riuscisse a sedare con false promesse una parte degli insorti, la massa rimase compatta e si unì con i salisburghesi, cosicché l’intera regione di Salisburgo e la massima parte dell’Alta Austria, della Stiria, della Carnia e della Carinzia era nelle mani dei contadini e dei minatori.
 
Nel Tirolo le dottrine riformate avevano trovato gran seguito. Qui avevano lavorato, con successo anche maggiore che nelle altre zone delle Alpi austriache, gli emissari di Münzer. Anche qui l’arciduca Ferdinando perseguitò i predicatori della nuova dottrina e, con nuovi arbitrari regolamenti fiscali, portò grave pregiudizio ai privilegi della popolazione. La conseguenza fu, come dappertutto l’insurrezione, che scoppiò qui nella primavera dello stesso anno 1525. Gli insorti, il cui capo supremo, Geismaier, l’unico comandante dei contadini che fosse provvisto di un notevole talento militare, era un seguace di Münzer, presero una gran quantità di castelli e, particolarmente nel Sud, nella valle dell’Adige, agirono molto energicamente contro i preti. Anche i montanari del Vorarlberg si sollevarono e si unirono agli insorti dell’Allgäu.
 
L’arciduca, stretto da tutte le parti, fece concessioni su concessioni ai ribelli, che prima avrebbe voluto sterminare col ferro e col fuoco. Convocò la dieta dei paesi ereditari e concluse con i contadini un armistizio che doveva durare sino alla riunione della dieta. Frattanto si armava per potere al più presto usare un altro linguaggio con quei criminali.
 
L’armistizio naturalmente non fu osservato a lungo. Negli arciducati, Dietrichstein, al quale era venuto a mancare il denaro, cominciò a prelevare contributi di guerra. Le sue truppe slave e ungheresi si permisero le più spudorate atrocità verso la popolazione. Gli stiriani allora ritornarono ad insorgere; nella notte tra il 2 e il 3 luglio attaccarono di sorpresa Dietrichstein a Schladming e uccisero tutti coloro che parlavano tedesco. Dietrichstein stesso fu fatto prigioniero. La mattina del 3 i contadini costituirono un tribunale, 40 nobili cechi e croati furono condannati a morte e immediatamente decapitati. La cosa fece effetto: l’arciduca accedette a tutte le rivendicazioni degli stati dei cinque arciducati (Alta e Bassa Austria, Stiria, Carinzia e Carnia).
 
Anche nel Tirolo furono approvate tutte le rivendicazioni poste nella dieta e così il Nord fu pacificato. Il Sud invece, di fronte alle decisioni moderate della dieta, rimase fermo nelle sue originarie rivendicazioni e non depose le armi. Solo in dicembre l’arciduca poté, con la forza, ristabilire l’ordine in questa regione. Né tralasciò di far giustiziare un gran numero di agitatori e di capi dell’insurrezione che erano caduti nelle sue mani.
 
In agosto 10.000 bavaresi, al comando di Giorgio von Frundsberg, mossero contro Salisburgo. Questa imponente forza militare e le divergenze che erano scoppiate tra i contadini indussero i salisburghesi a concludere con l’arcivescovo un accordo che fu perfezionato il 1° settembre e approvato anche dall’arciduca. Tuttavia molto presto i due principi, che frattanto avevano rafforzato sufficientemente le loro truppe, ruppero questo accordo e, con ciò, spinsero i contadini salisburghesi a una rinnovata insurrezione. Gli insorti resistettero per tutto l’inverno; nella primavera venne a mettersi alla loro testa Geismaier ed aperse una brillante campagna contro le truppe che arrivavano da tutte le parti. In una serie di brillanti combattimenti nel maggio e nel giugno del 1526 egli batté successivamente bavaresi, austriaci, truppe della lega sveva e i lanzichenecchi dell’arcivescovo di Salisburgo e per lungo tempo impedì ai diversi corpi di riunirsi. Frattanto trovava anche il tempo di assediare Radstadt. Infine, circondato da tutte le parti da truppe numericamente superiori, dovette ritirarsi. Si aperse un varco attraverso le Alpi austriache, condusse gli avanzi delle sue truppe in territorio veneziano. La repubblica di Venezia e la Svizzera offersero a questo instancabile capo dei contadini dei punti d’appoggio per nuovi intrighi. Per un anno fece dei tentativi di trascinarle in una guerra contro l’Austria, il che avrebbe dovuto dare l’occasione per una nuova sollevazione dei contadini. Ma durante queste trattative lo raggiunse la mano di un assassino. L’arciduca Ferdinando e l’arcivescovo di Salisburgo non erano tranquilli sino a che Geismaier fosse in vita. Assoldarono un sicario che nel 1527 riuscì a togliere dalla scena del mondo il pericoloso ribelle.
 

 
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Note:
[1] «Monte della battaglia»