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da Karl Marx – Friedrich Engels, Opere Complete, vol. 44, Lettere 1870-1873, Editori Riuniti, Roma, 1991
Trascrizione a cura del CCDP per l'anniversario della nascita di Engels (28/11/1820)

Engels a August Bebel
a Hubertusburg (1)
 
Londra, 20 giugno 1873
 
Caro Bebel,
rispondo per primo alla Sua lettera perché quella di Liebknecht si trova ancora da Marx che sul momento non riesce a trovarla.
 
Non Hepner ma la lettera di Yorck a nome del comitato a lui diretta, ci ha fatto temere che il fatto della vostra prigionia sarebbe stato sfruttato dalle istanze dirigenti del partito, sfortunatamente completamente in mano ai lassalliani, per trasformare il «Volksstaat» in un «leale» «Neuer Social-Demokrat». Yorck ammetteva chiaramente questa intenzione e poiché il comitato si presentava come l'autorità cui spetta assumere e licenziare i redattori, il pericolo era sicuramente grande abbastanza. L'imminente espulsione di Hepner (2) offriva un ulteriore pretesto a questi piani. In queste condizioni dovevamo assolutamente sapere a che punto eravamo, da cui questa corrispondenza (3)
 
Non deve dimenticare che Hepner, e tantomeno Seiffert, Blos, ecc., non ha affatto, rispetto a Yorck, la stessa posizione di forza Sua e di Liebknecht, i fondatori del partito, e che se voi potete semplicemente ignorare tali pretese, tanto più difficilmente ciò può essere richiesto da loro. Le autorità di partito hanno pur sempre un certo diritto formale di controllo sopra l'organo del partito, che non è stato esercitato nei vostri confronti, ma che stavolta e stato tentato indubbiamente e in una direzione nociva per il partito. Ci è sembrato dunque nostro dovere fare quanto era in nostro potere per opporci. Hepner può aver fatto qualche errore tattico in questioni particolari, per lo più solo dopo aver ricevuto la lettera del comitato, ma nel merito dobbiamo dargli decisamente ragione. Non posso neanche rimproverargli di esse re stato debole poiché se il comitato gli fa capire chiaramente che deve lascia re la redazione e considerato che diversamente avrebbe dovuto lavorare sotto Blos, allora non vedo quale resistenza lui potesse ancora opporre. Non si poteva certo barricare nella redazione per resistere al comitato. Dopo una simile lettera categorica delle sue autorità superiori trovo perfino scusabile la nota di Hepner sul «Volksstaat» da Lei riportata e che già mi era suonata sgradevole.
 
Ciò che è certo è che dopo l'arresto e l'allontanamento di Hepner da Lipsia, il «Volksstaat» è diventato assai peggiore e che il comitato, invece di litigare con lui, avrebbe fatto meglio a fornirgli ogni possibile aiuto. Il comitato chiedeva perfino che il «Volksstaat» fosse diretto diversamente, che fossero eliminati gli articoli scientifici per essere sostituiti da articoli di fondo à la «Neuer» (4) e ha minacciato dirette sanzioni repressive. Non conosco affatto Blos ma se lo stesso comitato nomina lui si deve ritenere che questo comitato si sia scelto una persona che gli va.
 
Per quanto riguarda ora la posizione del partito verso il lassallismo Lei può naturalmente giudicare la tattica da seguire meglio di noi, specialmente in singoli casi. Bisogna però tener conto anche di questo. Se ci si trova, come Lei, in una certa posizione di concorrenza con l'Associazione generale degli operai tedeschi, è facile prendere troppo in considerazione i concorrenti e abituarsi a pensare innanzitutto a loro in ogni occasione. Ora, però, sia la Associazione generale degli operai tedeschi che il Partito operaio socialdemocratico, messi insieme, rappresentano pur sempre una minoranza molto piccola della classe operaia tedesca. Secondo la nostra convinzione, che abbiamo visto confermata nel corso di una lunga pratica, la giusta tattica nella propaganda non è quella di strappare qua e là all'avversario singole persone e gruppi di aderenti, ma di agire sulle grandi masse ancora disorganizzate. Un solo elemento nuovo che si riesce a educare togliendolo dall'ignoranza, ha maggior valore di dieci disertori lassalliani, che portano sempre con sé nel partito il seme delle loro errate posizioni. Magari si potessero raggiungere le masse facendo a meno dei dirigenti locali. Cosi invece bisogna sempre accollarsi un mucchio di simili dirigenti che sono vincolati, se non dalle loro precedenti concezioni, dalle loro precedenti prese di posizione pubbliche e devono quindi innanzitutto dimostrare che non loro hanno rinnegato i loro principi ma che semmai il Partito operaio socialdemocratico predica il vero lassallismo. Questo fu la sfortuna ad Eisenach, che forse allora non poteva essere evitata; ma questi elementi hanno indubbiamente nuociuto al partito e io non so se oggi, anche senza il loro ingresso, non sarebbe almeno altrettanto forte. In ogni caso giudicherei una vera disdetta se questi elementi venissero rafforzati.
 
Non bisogna farsi fuorviare dalle invocazioni all'«unità». Coloro che hanno sempre in bocca questa parola sono i più grandi fomentatori di discordia, come proprio adesso i bakuninisti svizzeri del Giura, gli autori di tutta la scissione, non fanno altro che gridare all'unità. Questi fanatici dell'unità sono o menti limitate che vogliono mescolare tutto in un miscuglio indistinto che basta solo che si depositi per riprodurre le differenze in contrasti ben più aspri, proprio perché si trovano in un unico vaso (in Germania avete un bell'esempio con la gente che predica la riconciliazione degli operai con i piccoli borghesi), oppure è gente che vuole falsare, inconsapevolmente (come per es. Mülberger) o consapevolmente, il movimento. Per questo i più grandi settari e i più grandi mestatori e furfanti sono, in determinati momenti, coloro che invocano più forte l'unità. Con nessuno, nella nostra vita, abbiamo avuto più difficoltà e scontri che non con i fanatici dell'unità.
 
Naturalmente ogni gruppo dirigente di partito vuole vedere risultati, e ciò è anche bene. Ma ci sono circostanze in cui bisogna avere il coraggio di sacrificare il successo momentaneo a cose più importanti. Specialmente in un partito come il nostro la cui vittoria finale è cosi assolutamente certa e si è sviluppata in modo cosi colossale nel corso della nostra vita e sotto i nostri occhi, non c'è affatto bisogno, sempre e a tutti i costi, del successo momentaneo. Prenda ad esempio l'Internazionale. Dopo la Comune essa ha conosciuto un successo colossale. Perfino l'attonita borghesia riconobbe la sua onnipotenza. La grande massa dei membri credeva che sarebbe durata in eterno. Ma noi sapevamo molto bene che il pallone doveva scoppiare. Tutta la marmaglia si attaccava ad esso. I settari in essa presenti, rialzarono la testa, cercarono di servirsi dell'Internazionale nella speranza che sarebbero state loro permesse le più grandi sciocchezze e bassezze. Noi non lo tollerammo.
 
Ben sapendo che il pallone doveva scoppiare, non si trattava per noi di rimandare la catastrofe ma di badare che l'Internazionale ne uscisse pura e genuina. All'Aja il pallone scoppiò e Lei sa che la maggioranza dei delegati se ne tornò a casa con la sgradevole sensazione della disillusione. Eppure quasi tutti questi disillusi, che pensavano di trovare nell'Internazionale l'ideale della fratellanza e della riconciliazione generale, avevano a casa propria contrasti ben più aspri di quello che era scoppiato all'Aja! Adesso i rissosi settari predicano la riconciliazione e imprecano contro di noi, intrattabili e dittatori! Ma se all'Aja ci fossimo comportati in modo conciliante, se avessimo soffocato la scissione, quale sarebbe stata la conseguenza? I settari, cioè i bakuninisti, avrebbero ricevuto un lungo anno di tempo per compiere in nome dell'Internazionale sciocchezze e infamie ancora più grandi; gli operai dei paesi più sviluppati si sarebbero allontanati nel disgusto; il pallone non sarebbe esploso, si sarebbe sgonfiato lentamente, a forza di punture di spillo; e il congresso successivo, che pure avrebbe evidenziato la crisi, sarebbe diventato lo scandalo dei personaggi più volgari perché all'Aja era già stato sacrificato il principio! 
 
Allora l'Internazionale sarebbe senza dubbio morta: morta per l'«unità»! Invece adesso ci siamo liberati degli elementi bacati, con onore per noi - i membri della Comune presenti all'ultima seduta decisiva, dicono che nessuna riunione della Comune ha lasciato loro un'impressione così terribile come questa udienza di tribunale contro i traditori del proletariato europeo - abbiamo lasciato loro raccogliere per dieci mesi tutte le loro forze per mentire, per diffamare, per intrigare: e a che punto sono arrivati? Loro, i presunti rappresentanti della grande maggioranza dell'Internazionale, proprio loro adesso dichiarano che non osano venire al prossimo congresso (particolari in un articolo che parte con la presente per il «Volksstaat»(2). E se ci ritrovassimo nella stessa situazione non ci comporteremmo diversamente nell'insieme - errori tattici, naturalmente, si fanno sempre.
 
In ogni caso credo che i migliori elementi tra i lassalliani verranno a voi spontaneamente col tempo e che sarebbe perciò sciocco cogliere il frutto prima che sia maturo, come vogliono i sostenitori dell'unità.
 
Già il vecchio Hegel, d'altra parte, ha detto: un partito rimane vincente quando si scinde e può sopportare la scissione. Il movimento del proletariato percorre necessariamente diversi livelli di sviluppo; ad ogni livello una parte delle persone rimane attaccata e non va più avanti; già da questo si capisce perché la «solidarietà del proletariato», nella realtà, si realizza ovunque tramite diversi raggruppamenti di partito che si combattono per la vita o per la morte, come le sette cristiane nell'impero romano in mezzo alle più aspre persecuzioni.
 
Inoltre non deve dimenticare, se per es. il «Neuer» ha più abbonati del «Volksstaat», che ogni setta, è necessariamente fanatica e grazie a questo fanatismo particolarmente in territori in cui ènuova (come l'Associazione generale degli operai tedeschi nello Schlewig-Holstein, per es.) consegue successi momentanei ben più grandi del partito che, senza la particolarità della setta, rappresenta semplicemente il vero movimento. Ma il fanatismo non basta alla lunga.
 
Devo terminare, la posta sta per partire. In fretta solo un'altra cosa: Marx non può occuparsi del Lassalle (6) finché la traduzione francese (7) non è terminata (circa alla fine di luglio) ed avrà poi certamente bisogno di rilassarsi perché è molto provato dal lavoro.
 
Che Lei sopporti stoicamente la sua prigionia e studi, è molto bello. Noi tutti ci rallegriamo di rivederla qui l'anno prossimo. Cordiali saluti a Liebknecht.
 
Sinceramente Suo F. Engels
 
 
Note:
1) A fine marzo 1872, dopo che era stato respinto il ricorso per nullità dalla Corte di Appello di Dresda, il giudizio della Corte di Assise di Lipsia contro August Bebel e Wilhelm Liebknecht entrò in vigore. Il 29 maggio 1872 Liebknecht scrisse a Engels: "Mi è stata appena comunicata ufficialmente la decisione della Corte di Appello: il giudizio è confermato…Se la mia richiesta di sospensione della pena fino al 1° luglio non sarà accolta tra otto giorni dovrò andare Hubertusburg". Liebknecht iniziò la carcerazione il 15 giugno 1872 e rimase fino al 15 aprile 1874 nella fortezza di Hubertusburg. Bebel rimase dall'8 luglio 1872 al 23 aprile 1874 a Hubertusburg e fino al 14 maggio nella fortezza di Konigstein.
2) Adolf Hepner fu condannato a quattro settimane di carcere ed espulso da Lipsia nella primavera del 1873, per "attività in favore dell'Internazionale" e per aver partecipato al congresso dell'Aia dell'Associazione Internazione degli Operai nel settembre 1872. Egli rimase per qualche tempo nei dintorni di Lipsia, ma, sottoposto a persecuzioni poliziesche, fu costretto a trasferirsi a Breslau.
3) L'11 aprile 1873 Adolf Hepner inviò a Engels la lettera di Theodor York a nome del comitato del Partito Operaio Socialdemocratico. Come emerge da una lettera di Hepner a Engels, questi aveva inviato tramite Hepner una lettera a Wilhelm Liebknecht prima del 23 aprile 1873. Non si dispone di questa lettera.
4) «Neuer Social-Demokrat»
5) Engels, «Dall'Internazionale»
6) Nel corso del 1872 e del 1873 Wilhelm Liebknecht e Adolf Hepner chiesero ripetutamente a Marx di sottoporre a critica le idee di Ferdinand Lassalle con un opuscolo o con articoli per il "Volksstaat".
7) La traduzione francese del primo libro del "Capitale" fu opera di Joseph Roy. Nella sua "premessa e postscritto all'edizione francese" e nella lettera a N.F. Danielson del 28 maggio 1872, Marx da un giudizio su questa traduzione e descrive il peso e il carattere del lavoro da lui fatto per la preparazione della edizione francese. Secondo il contratto con l'editore Maurice Lachatre "Il Capitale" doveva uscire in 44 fascicoli di un foglio di stampa ciascuno. Essi furono poi pubblicati a 5 per volta, cosicché l'edizione francese uscì dal 1872 fino al novembre del 1875 come fascicoli 1-IX.