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Antonio Gramsci, Scritti politici II, a cura di Paolo Spriano, Editori Riuniti, Roma 1973
 
Il Partito comunista
 
di Antonio Gramsci
 
L’Ordine Nuovo, 4 settembre e 9 ottobre 1920
 
- I -
 
Dopo il Sorel è divenuto luogo comune riferirsi alle primitive comunità cristiane per giudicare il movimento proletario moderno. Occorre subito dire che il Sorel non è in modo alcuno responsabile della grettezza e della rozzezza spirituale dei suoi ammiratori italiani, come Carlo Marx non è responsabile delle assurde pretese ideologiche dei «marxisti». Sorel è, nel campo della ricerca storica, un «inventore», egli non può essere imitato, egli non pone al servizio dei suoi aspiranti discepoli un metodo che possa sempre e da tutti applicarsi meccanicamente con risultati di scoperte intelligenti. Per il Sorel, come per la dottrina marxista, il cristianesimo rappresenta una rivoluzione nella pienezza del suo sviluppo, una rivoluzione cioè che è giunta fino alle sue estreme conseguenze, fino alla creazione di un nuovo ed originale sistema di rapporti morali, giuridici, filosofici, artistici, assumere questi risultati come schemi ideologici di ogni rivoluzione, ecco il rozzo e inintelligente tradimento della intuizione storica soreliana, la quale può dare solo origine a una serie di ricerche storiche sui «germi» di una civiltà proletaria che devono esistere, se è vero (come è vero per il Sorel) che la rivoluzione proletaria è immanente nel seno della società industriale moderna, e se è vero che anche da essa risulterà una regola di vita originale e un sistema di rapporti assolutamente nuovi, caratteristici della classe rivoluzionaria. Che significato può dunque avere l’affermazione che, a differenza dei primi cristiani, gli operai non sono casti, non sono temperanti, non sono originali nel loro metodo di vita? A parte la generalizzazione dilettantesca, per cui gli «operai metallurgici torinesi» ti diventano un’accozzaglia di bruti, che ogni giorno mangiano un pollo arrosto, che ogni notte si ubbriacano nei postriboli, che non amano la famiglia, che ricercano nel cinematografo e nell’imitazione scimmiesca delle abitudini borghesi la soddisfazione dei loro ideali di bellezza e di vita morale — a parte questa generalizzazione dilettantesca e puerile, l’affermazione non può affatto diventare presupposto di un giudizio storico: essa equivarrebbe, nell’ordine dell’intelligenza storica, a quest’altra: poiché i cristiani moderni mangiano polli, vanno a donne, si ubbriacano, dicono falso testimonio, sono adulteri ecc. ecc., perciò è una leggenda che siano esistiti gli asceti, i martiri, i santi. Ogni fenomeno storico, insomma, deve essere studiato per i suoi caratteri peculiari, nel quadro della attualità reale, come sviluppo della libertà che si manifesta in finalità, in istituti, in forme che non possono essere assolutamente confuse e paragonate (altro che metaforicamente) con la finalità, gli istituti, le forme dei fenomeni storici passati. Ogni rivoluzione, la quale, come la cristiana e come la comunista, si attua e può solo attuarsi con un sommovimento delle piú profonde e vaste masse popolari, non può che spezzare e distruggere tutto il sistema esistente di organizzazione sociale; chi può immaginare e prevedere le conseguenze immediate che provocherà l’apparizione nel campo della distruzione e della creazione storica delle sterminate moltitudini che oggi non hanno volontà e potere? Esse, perché non hanno mai «voluto e potuto», pretenderanno vedere materializzati in ogni atto pubblico e privato la volontà e il potere conquistato; esse troveranno misteriosamente ostile tutto l’esistente e vorranno distruggerlo dalle fondamenta; ma appunto per questa immensità della rivoluzione, per questo suo carattere di imprevedibilità e di sconfinata libertà, chi può arrischiare anche una sola ipotesi definitiva sui sentimenti, sulle passioni, sulle iniziative, sulle virtú che si foggeranno in una tale fucina incandescente? Ciò che oggi esiste, ciò che oggi noi vediamo, all’infuori della nostra volontà e della nostra forza di carattere, quali mutamenti potrà subire? Ogni giorno di una tale intensa vita non sarà una rivoluzione? Ogni mutamento nelle coscienze individuali, in quanto ottenuto simultaneamente per tutta l’ampiezza della massa popolare, non avrà risultati creativi inimmaginabili?
 
Niente può essere preveduto, nell’ordine della vita morale e dei sentimenti, partendo dalle constatazioni attuali. Un solo sentimento, divenuto ormai costante, tale da caratterizzare la classe operaia, è dato oggi verificare: quello della solidarietà. Ma la intensità e la forza di questo sentimento possono essere solo valutate come sostegno della volontà di resistere e di sacrificarsi per un periodo di tempo che anche la scarsa capacità popolare di previsione storica riesce, con una certa approssimazione, a commisurare; esse non possono essere valutate, e quindi assunte come sostegno della volontà storica per il periodo della creazione rivoluzionaria e della fondazione della società nuova, quando sarà impossibile fissare ogni limite temporale nella resistenza e nel sacrifizio, poiché il nemico da combattere e da vincere non sarà piú fuori del proletariato, non sarà piú una potenza fisica esterna limitata e controllabile, ma sarà nel proletariato stesso, nella sua ignoranza, nella sua pigrizia, nella sua massiccia impenetrabilità alle rapide intuizioni, quando la dialettica della lotta delle classi si sarà interiorizzata e in ogni coscienza l’uomo nuovo dovrà, in ogni atto, combattere il «borghese» agli agguati. Perciò il sindacato operaio, organismo che realizza e disciplina la solidarietà proletaria, non può essere motivo e base di previsioni per l’avvenire della civiltà; esso non contiene elementi di sviluppo per la libertà; esso è destinato a subire mutamenti radicali in conseguenza dello sviluppo generale: è determinato, non determinante.
 
Il movimento proletario, nella sua fase attuale, tende ad attuare una rivoluzione nell’organizzazione delle cose materiali e delle forze fisiche; i suoi tratti caratteristici non possono essere i sentimenti e le passioni diffuse nella massa e che sorreggono la volontà della massa; i tratti caratteristici della rivoluzione proletaria possono essere ricercati solo nel partito della classe operaia, nel Partito comunista, che esiste e si sviluppa in quanto è l’organizzazione disciplinata della volontà di fondare uno Stato, della volontà di dare una sistemazione proletaria all’ordinamento delle forze fisiche esistenti e di gettare le basi della libertà popolare.
 
Il Partito comunista è, nell’attuale periodo, la sola istituzione che possa seriamente raffrontarsi alle comunità religiose del cristianesimo primitivo; nei limiti in cui il Partito esiste già, su scala internazionale, può tentarsi un paragone e stabilirsi un ordine di giudizi tra i militanti per la Città di Dio e i militanti per la Città dell’Uomo; il comunista non è certo inferiore al cristiano delle catacombe. Anzi! Il fine ineffabile che il cristianesimo poneva ai suoi campioni è, per il suo mistero suggestivo, una giustificazione piena dell’eroismo, della sete di martirio, della santità; non è necessario entrino in gioco le grandi forze umane del carattere e della volontà per suscitare lo spirito di sacrifizio di chi crede al premio celeste e alla eterna beatitudine. L’operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni, disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto ore per il Partito, per il sindacato, per la cooperativa, è, dal punto di vista della storia dell’uomo, piú grande dello schiavo e dell’artigiano che sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera. Allo stesso modo Rosa Luxemburg e Carlo Liebknecht son piú grandi dei piú grandi santi di Cristo. Appunto perché il fine della loro milizia è concreto, umano, limitato, perciò i lottatori della classe operaia sono piú grandi dei lottatori di Dio: le forze morali che sostengono la loro volontà sono tanto piú smisurate quanto piú è definito il fine proposto alla volontà. Quale forza di espansione potranno mai acquistare i sentimenti dell’operaio, che, piegato sulla macchina, ripete per otto ore al giorno il gesto professionale, monotono come lo sgranamento del chiuso circolo di una coroncina di preghiera, quando egli sarà «dominatore», quando sarà la misura dei valori sociali? Il fatto stesso che l’operaio riesca ancora a pensare, pur essendo ridotto a operare senza sapere il come e il perché della sua attività pratica, non è un miracolo? Questo miracolo dell’operaio che quotidianamente conquista la propria autonomia spirituale e la propria libertà di costruire nell’ordine delle idee, lottando contro la stanchezza, contro la noia, contro la monotonia del gesto che tende a meccanizzare e quindi a uccidere la vita interiore, questo miracolo si organizza nel Partito comunista, nella volontà di lotta e di creazione rivoluzionaria che si esprime nel Partito comunista.
 
L’operaio nella fabbrica ha mansioni meramente esecutive. Egli non segue il processo generale del lavoro e della produzione; non è un punto che si muove per creare una linea; è uno spillo conficcato in un luogo determinato e la linea risulta dal susseguirsi degli spilli che una volontà estranea ha disposto per i suoi fini. L’operaio tende a portare questo suo modo di essere in tutti gli ambienti della sua vita; si acconcia facilmente, da per tutto, all’ufficio di esecutore materiale, di «massa» guidata da una volontà estranea alla sua; è pigro intellettualmente, non sa e non vuole prevedere oltre l’immediato, perciò manca di ogni criterio nella scelta dei suoi capi e si lascia illudere facilmente dalle promesse; vuol credere di poter ottenere senza un grande sforzo da parte sua e senza dover pensare troppo. Il Partito comunista è lo strumento e la forma storica del processo di intima liberazione per cui l’operaio da esecutore diviene iniziatore, da massa diviene capo e guida, da braccio diviene cervello e volontà; nella formazione del Partito comunista è dato cogliere il germe di libertà che avrà il suo sviluppo e la sua piena espansione dopo che lo Stato operaio avrà organizzato le condizioni materiali necessarie. Lo schiavo o l’artigiano del mondo classico «conosceva se stesso», attuava la sua liberazione entrando a far parte di una comunità cristiana, dove concretamente sentiva di essere l’eguale, di essere il fratello, perché figlio di uno stesso padre; cosí l’operaio, entrando a far parte del Partito comunista, dove collabora a «scoprire» e a «inventare» modi di vita originali, dove collabora «volontariamente» alla attività del mondo, dove pensa, prevede, ha una responsabilità, dove è organizzatore oltre che organizzato, dove sente di costituire un’avanguardia che corre avanti trascinando con sé tutta la massa popolare.
 
Il Partito comunista, anche come mera organizzazione si è rivelato forma particolare della rivoluzione proletaria. Nessuna rivoluzione del passato ha conosciuto i partiti; essi sono nati dopo la rivoluzione borghese e si sono decomposti nel terreno della democrazia parlamentare. Anche in questo campo si è verificata l’idea marxista che il capitalismo crea forze che poi non riesce a dominare. I partiti democratici servivano a indicare uomini politici di valore e a farli trionfare nella concorrenza politica; oggi gli uomini di governo sono imposti dalle banche, dai grandi giornali, dalle associazioni industriali; i partiti si sono decomposti in una molteplicità di cricche personali. Il Partito comunista, sorgendo dalle ceneri dei partiti socialisti, ripudia le sue origini democratiche e parlamentari e rivela i suoi caratteri essenziali che sono originali nella storia: la rivoluzione russa è rivoluzione compiuta dagli uomini organizzati nel Partito comunista, che nel partito si sono plasmati una personalità nuova, hanno acquistato nuovi sentimenti, hanno realizzato una vita morale che tende a divenire coscienza universale e fine per tutti gli uomini.
 
- II -
 
I partiti politici sono di riflesso e la nomenclatura delle classi sociali. Essi sorgono, si sviluppano, si decompongono, si rinnovano, a seconda che i diversi strati delle classi sociali in lotta subiscono spostamenti di reale portata storica, vedono radicalmente mutate le loro condizioni di esistenza e di sviluppo, acquistano una maggiore e piú chiara consapevolezza di sé e dei propri vitali interessi. Nell’attuale periodo storico e in conseguenza della guerra imperialista che ha profondamente mutato la struttura dell’apparecchio nazionale e internazionale di produzione e di scambio, è divenuta caratteristica la rapidità con cui si svolge il processo di dissociazione dei partiti politici tradizionali, nati sul terreno della democrazia parlamentare, e del sorgere di nuove organizzazioni politiche: questo processo generale ubbidisce a una intima logica implacabile, sostanziata dalle sfaldature delle vecchie classi e dei vecchi ceti e dai vertiginosi trapassi da una condizione ad un’altra di interi strati della popolazione in tutto il territorio dello Stato, e spesso in tutto il territorio del dominio capitalistico.
 
Anche le classi sociali storicamente piú pigre e tarde nel differenziarsi, come la classe dei contadini, non sfuggono all’azione energica dei reagenti che dissolvono il corpo sociale; sembra anzi che queste classi, quanto piú sono state pigre e tarde nel passato, tanto piú oggi vogliano celermente giungere alle conseguenze dialetticamente estreme della lotta delle classi, alla guerra civile e alla manomissione dei rapporti economici. Abbiamo visto, in Italia, nello spazio di due anni, sorgere come dal nulla un potente partito della classe contadinesca, il Partito popolare, che nel suo nascere presumeva rappresentare gli interessi economici e le aspirazioni politiche di tutti gli strati sociali della campagna, dal barone latifondista al medio proprietario terriero, dal piccolo proprietario al fittavolo, dal mezzadro al contadino povero. Abbiamo visto il Partito popolare conquistare quasi cento seggi in Parlamento con liste di blocco, nelle quali avevano l’assoluta prevalenza i rappresentanti del barone latifondista, del grande proprietario dei boschi, del grosso e medio proprietario di fondi, esigua minoranza della popolazione contadina. Abbiamo visto iniziarsi subito e rapidamente diventare spasmodiche nel Partito popolare le lotte interne di tendenza, riflesso della differenziazione che si attuava nella primitiva massa elettorale; le grandi masse dei piccoli proprietari e dei contadini poveri non vollero piú essere la passiva massa di manovra per l’attuazione degli interessi dei medi e grandi proprietari; sotto la loro energica pressione il Partito popolare si divise in un’ala destra, in un centro e in una sinistra, e abbiamo visto quindi, sotto la pressione dei contadini poveri, l’estrema sinistra popolare atteggiarsi a rivoluzionaria, entrare in concorrenza con il Partito socialista, divenuto anch’esso rappresentante di vastissime masse contadine; vediamo già la decomposizione del Partito popolare, la cui frazione parlamentare e il cui Comitato centrale non rappresentano piú gli interessi e la acquistata coscienza di sé delle masse elettorali e delle forze organizzate nei sindacati bianchi, rappresentate invece dagli estremisti, i quali non vogliono perderne il controllo, non possono illuderle con una azione legale in Parlamento e sono quindi portati a ricorrere alla lotta violenta e ad auspicare nuovi istituti politici di governo. Lo stesso processo di rapida organizzazione e rapidissima dissociazione si è verificato nell’altra corrente politica che volle rappresentare gli interessi dei contadini, l’associazione degli ex combattenti: esso è il riflesso della formidabile crisi interna che travaglia le campagne italiane e si manifesta nei giganteschi scioperi dell’Italia settentrionale e centrale, nell’invasione e spartizione dei latifondi pugliesi, negli assalti a castelli feudali e nell’apparizione nelle città di Sicilia di centinaia e migliaia di contadini armati.
 
Questo profondo sommovimento delle classi contadine scuote fin dalle fondamenta l’impalcatura dello Stato parlamentare democratico. Il capitalismo, come forza politica, viene ridotto alle associazioni sindacali dei proprietari di fabbriche; esso non ha piú un partito politico la cui ideologia abbracci anche gli strati piccolo-borghesi della città e della campagna, e permetta quindi il permanere di uno Stato legale a larghe basi. Il capitalismo si vede ridotto ad avere una rappresentanza politica solo nei grandi giornali (400 mila copie di tiratura, mille elettori) e nel Senato, immune, come formazione, dalle azioni e reazioni delle grandi masse popolari, ma senza autorità e prestigio nel paese; perciò la forza politica del capitalismo tende a identificarsi sempre piú con l’alta gerarchia militare, con la guardia regia, con gli avventurieri molteplici, pullulanti dopo l’armistizio e aspiranti, ognuno contro gli altri, a diventare il Kornilov e il Bonaparte italiano, e perciò la forza politica del capitalismo non può oggi attuarsi che in un colpo di Stato militare e nel tentativo di imporre una ferrea dittatura nazionalista che spinga le abbrutite masse italiane a restaurare l’economia col saccheggio a mano armata dei paesi vicini.
 
Esaurita e logorata la borghesia come classe dirigente, coll’esaurirsi del capitalismo come modo di produzione e di scambio, non esistendo nella classe contadina una forza politica omogenea capace di creare uno Stato, la classe operaia è ineluttabilmente chiamata dalla storia ad assumersi la responsabilità di classe dirigente. Solo il proletariato è capace di creare uno Stato forte e temuto, perché ha un programma di ricostruzione economica, il comunismo, che trova le sue necessarie premesse e condizioni nella fase di sviluppo raggiunta dal capitalismo con la guerra imperialista 1914-18; solo il proletariato può, creando un nuovo organo del diritto pubblico, il sistema dei Soviet, dare una forma dinamica alla fluida e incandescente massa sociale e restaurare un ordine nel generale sconvolgimento delle forze produttive. È naturale e storicamente giustificato che appunto in un periodo come questo si ponga il problema della formazione del Partito comunista, espressione dell’avanguardia proletaria che ha esatta coscienza della sua missione storica, che fonderà i nuovi ordinamenti, che sarà l’iniziatore e il protagonista del nuovo e originale periodo storico.
 
Anche il tradizionale partito politico della classe operaia italiana, il Partito socialista, non è sfuggito al processo di decomposizione di tutte le forme associative, processo che è caratteristico del periodo che attraversiamo. L’aver creduto di poter salvare la vecchia compagine del Partito dalla sua intima dissoluzione è stato il colossale errore storico degli uomini che dallo scoppio della guerra mondiale ad oggi hanno controllato gli organi di governo della nostra associazione. In verità il Partito socialista italiano, per le sue tradizioni, per le origini storiche delle varie correnti che lo costituirono, per il patto d’alleanza, tacito o esplicito, con la Confederazione generale del lavoro (patto che nei congressi, nei Consigli e in tutte le riunioni deliberative serve a dare un potere e un influsso ingiustificato ai funzionari sindacali), per l’autonomia illimitata concessa al gruppo parlamentare (che dà, anche ai deputati nei congressi, nei Consigli e nelle deliberazioni di piú alta importanza un potere e un influsso simile a quello dei funzionari sindacali e altrettanto ingiustificato), il Partito socialista italiano non differisce per nulla dal Labour Party inglese ed è rivoluzionario solo per le affermazioni generali del suo programma. Esso è un conglomerato di partiti; si muove e non può non muoversi pigramente e tardamente; è esposto continuamente a diventare il facile paese di conquista di avventurieri, di carrieristi, di ambiziosi senza serietà e capacità politica; per la sua eterogeneità, per gli attriti innumerevoli dei suoi ingranaggi, logorati e sabotati dalle serve-padrone, non è mai in grado di assumersi il peso e la responsabilità delle iniziative e delle azioni rivoluzionarie che gli avvenimenti incalzanti incessantemente gli impongono. Ciò spiega il paradosso storico per cui in Italia sono le masse che spingono e «educano» il Partito della classe operaia e non è il Partito che guida ed educa le masse.
 
Il Partito socialista si dice assertore delle dottrine marxiste; il Partito dovrebbe quindi avere, in queste dottrine, una bussola per orientarsi nel groviglio degli avvenimenti, dovrebbe possedere quella capacità di previsione storica che caratterizza i seguaci intelligenti della dialettica marxista, dovrebbe avere un piano generale di azione basato su questa previsione storica, ed essere in grado di lanciare alla classe operaia in lotta parole d’ordine chiare e precise; invece il Partito socialista, il partito assertore del marxismo in Italia, è, come il Partito popolare, come il partito delle classi piú arretrate della popolazione italiana, esposto a tutte le pressioni delle masse e si muove e si differenzia quando già le masse si sono spostate e differenziate. In verità questo Partito socialista, che si proclama guida e maestro delle masse, altro non è che un povero notaio che registra le operazioni compiute spontaneamente dalle masse; questo povero Partito socialista, che si proclama capo della classe operaia, altro non è che gl’impedimenta dell’esercito proletario.
 
Se questo strano procedere del Partito socialista, se questa bizzarra condizione del partito politico della classe operaia non hanno finora provocato una catastrofe, gli è che in mezzo alla classe operaia, nelle sezioni urbane del Partito, nei sindacati, nelle fabbriche, nei villaggi, esistono gruppi energici di comunisti consapevoli del loro ufficio storico, energici e accorti nell’azione, capaci di guidare e di educare le masse locali del proletariato; gli è che esiste potenzialmente, nel seno del Partito socialista, un Partito comunista, al quale non manca che l’organizzazione esplicita, la centralizzazione e una sua disciplina per svilupparsi rapidamente, conquistare e rinnovare la compagine del partito della classe operaia, dare un nuovo indirizzo alla Confederazione generale del lavoro e al movimento cooperativo.
 
Il problema immediato di questo periodo, che succede alla lotta degli operai metallurgici e precede il congresso in cui il Partito deve assumere un atteggiamento serio e preciso di fronte all’Internazionale comunista, è appunto quello di organizzare e centralizzare queste forze comuniste già esistenti e operanti. Il Partito socialista, di giorno in giorno, con una rapidità fulminea, si decompone e va in isfacelo; le tendenze, in un brevissimo giro di tempo, hanno già acquistato una nuova configurazione; messi di fronte alle responsabilità dell’azione storica e agli impegni assunti nell’aderire all’Internazionale comunista, gli uomini e i gruppi si sono scompigliati, si sono spostati; l’equivoco centrista e opportunista ha guadagnato una parte della direzione del Partito, ha gettato il turbamento e la confusione nelle sezioni. Dovere dei comunisti, in questo generale venir meno delle coscienze, delle fedi, della volontà, in questo imperversare di bassezze, di viltà, di disfattismi è quello di stringersi fortemente in gruppi, di affiatarsi, di tenersi pronti alle parole d’ordine che verranno lanciate. I comunisti sinceri e disinteressati, sulla base delle tesi approvate dal II Congresso della III Internazionale, sulla base della leale disciplina alla suprema autorità del movimento operaio mondiale, devono svolgere il lavoro necessario perché, nel piú breve tempo possibile, sia costituita la frazione comunista del Partito socialista italiano, che, per il buon nome del proletariato italiano, deve, nel Congresso di Firenze, diventare, di nome e di fatto, Partito comunista italiano, sezione della III Internazionale comunista; perché la frazione comunista si costituisca con un apparecchio direttivo organico e fortemente centralizzato, con proprie articolazioni disciplinate in tutti gli ambienti dove lavora, si riunisce e lotta la classe operaia, con un complesso di servizi e di strumenti per il controllo, per l’azione, per la propaganda che la pongano in condizione di funzionare e di svilupparsi fin da oggi come un vero e proprio partito.
 
I comunisti, che nella lotta metallurgica hanno, con la loro energia, e il loro spirito d’iniziativa, salvato da un disastro la classe operaia, devono giungere fino alle ultime conclusioni del loro atteggiamento e della loro azione: salvare la compagine primordiale (ricostruendola) del Partito della classe operaia, dare al proletariato italiano il Partito comunista che sia capace di organizzare lo Stato operaio e le condizioni per l’avvento della società comunista.
 

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