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da Lenin, Opere Complete, vol. 25, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp.. 215-230
trascrizione a cura del CCDP nel 90° anniversario della rivoluzione d’ottobre

 
Lenin
 
Gli insegnamenti della rivoluzione
 
Scritto alla fine di luglio; il poscritto il 6 (19) settembre 1917.
Pubblicato il 30 e 31 agosto (12 e 13 settembre) 1917 nel Raboci, nn. 8 e 9,
 
Firmato: nel n. 8: N.-kov, nel n. 9: N. Lenin
Poscritto, nel 1917 nell'opuscolo: N. Lenin - Gli insegnamenti della rivoluzione, edizione Priboi.
 
Ogni rivoluzione segna una svolta repentina nella vita delle grandi masse popolari. Finché questa svolta non è matura, una vera rivoluzione non può avvenire. E come una svolta nella vita di qualunque individuo è, per lui, piena di ammaestramenti e gli fa vivere e sentire molte cose, così la rivoluzione dà in poco tempo a tutto il popolo gli insegnamenti più sostanziali e preziosi.
 
Durante la rivoluzione milioni e decine di milioni di uomini imparano in una settimana più che in un anno di vita ordinaria, sonnolenta, perché una svolta brusca nella vita di tutto un popolo permette di rendersi conto chiaramente dei fini perseguiti dalle classi sociali, delle loro forze e dei mezzi con i quali esse agiscono.
 
Ogni operaio, soldato, contadino cosciente deve riflettere attentamente sugli insegnamenti della rivoluzione russa, soprattutto ora, alla fine di luglio, quando è diventato evidente che la prima fase della nostra rivoluzione è finita con uno scacco.
 
I
 
Vediamo, infatti: che cosa reclamavano le masse operaie e contadine facendo la rivoluzione? Che cosa aspettavano dalla rivoluzione? È noto che aspettavano la libertà, la pace, il pane, la terra.
 
Che cosa vediamo oggi?
Invece della libertà si comincia a ristabilire il vecchio regime di arbitrio. Si istituisce la pena capitale per il soldati al fronte, si citano in giudizio i contadini che, per moto spontaneo, si sono impadroniti delle terre dei grandi proprietari fondiari. Si devastano le tipografie dei giornali operai. Si sospendono, senza processo, i giornali operai. Si arrestano i bolscevichi e spesso non ci si prende neppure la briga di incolparli di qualche reato o si presentano accuse palesemente calunniose.
 
Ci si obietterà forse che le persecuzioni scatenate contro i bolscevichi non violano la libertà, perché colpiscono solo determinate persone per determinate accuse. Ma questa obiezione è una falsità evidente e palese perché non si può devastare una tipografia né sopprimere un giornale per delitti commessi da qualche individuo, anche se questi delitti fossero provati e riconosciuti dai tribunali. Diversa sarebbe la situazione se il governo avesse dichiarato criminoso con una legge tutto il partito bolscevico, la sua tendenza, le sue opinioni. Ma tutti sanno che il governo della libera Russia non poteva fare e non ha fatto nulla di simile.
 
Ora, è di estrema importanza il fatto che i giornali dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti si siano abbandonati a furiosi attacchi contro i bolscevichi per l'azione svolta da questi contro la guerra, contro i grandi proprietari fondiari, contro i capitalisti, ed abbiano reclamato ad alta voce l'arresto e la repressione contro i bolscevichi quando ancora nessuna accusa era stata montata contro nessun bolscevico.
 
Il popolo vuole la pace. Ma il governo rivoluzionario della libera Russia ha ricominciato la guerra di conquista in base ai trattati segreti che l'ex zar Nicola II aveva concluso coi capitalisti inglesi e francesi per dare ai capitalisti russi la possibilità di saccheggiare popoli stranieri. Questi trattati segreti non sono ancora stati pubblicati. Il governo della libera Russia ha cercato mille pretesti e finora non ha proposto una pace equa a tutti i popoli.
 
Non c'è pane. La carestia incombe nuovamente. Tutti vedono che i capitalisti e i ricchi frodano sfrontatamente lo Stato con le forniture di guerra (la guerra costa oggi al popolo 50 milioni di rubli al giorno) e realizzano, con il rialzo dei prezzi, guadagni favolosi, mentre nulla, assolutamente nulla è stato fatto per organizzare un controllo serio della produzione e della ripartizione dei prodotti da parte degli operai. I capitalisti, sempre più impudenti, gettano gli operai sulla strada, mentre il popolo soffre per mancanza di merci.
 
L'immensa maggioranza dei contadini ha nettamente e categoricamente dichiarato in vari congressi di considerare la grande proprietà fondiaria un'iniquità e una forma di rapina. Ma il governo, che si dice rivoluzionario e democratico, e che continua da mesi a ingannare i contadini, li mena per il naso con promesse e dilazioni. Per parecchi mesi i capitalisti non hanno permesso al ministro Cernov di promulgare la legge che proibisce la compravendita delle terre. E quando tale legge è stata finalmente promulgata, i capitalisti hanno cominciato contro Cernov l'odiosa campagna di diffamazione che continua ancora oggi. Il governo difende i grandi proprietari fondiari con tanta sfacciataggine, da citare in giudizio i contadini per occupazione «arbitraria» delle terre.
 
Si menano i contadini per il naso raccomandando loro di attendere l'Assemblea costituente. I capitalisti continuano intanto a differirne la convocazione. Oggi che, sotto la pressione dei bolscevichi, la convocazione è stata fissata per il 30 settembre, i capitalisti gridano che è impossibile accettare un termine così breve e reclamano la proroga della Costituente a una data ulteriore... I membri più influenti del partito dei capitalisti e dei grandi proprietari fondiari, del partito dei «cadetti» o del partito della «libertà del popolo», per esempio i Panin, propugnano apertamente il rinvio dell'Assemblea costituente alla fine della guerra.
 
Per la terra, aspetta l'Assemblea costituente. Per l'Assemblea costituente, aspetta la fine della guerra. Perché la guerra finisca, aspetta la vittoria completa. Ecco il risultato! I capitalisti e i grandi proprietari fondiari che hanno la maggioranza nel governo si beffano apertamente dei contadini.
 
II
 
Ma come è potuto avvenire questo in un paese libero, dopo l'abbattimento del potere zarista?
 
In un paese non libero, il monarca e un pugno di capitalisti, di grandi proprietari fondiari, di funzionari che nessuno ha eletto, governano il popolo.
In un paese libero il popolo è governato solo da coloro che esso ha eletto a tale scopo. Durante le elezioni il popolo si divide in partiti ed ogni classe della popolazione costituisce di solito il proprio partito. Per es., i grandi proprietari fondiari, i contadini, i capitalisti, gli operai costituiscono partiti distinti. Perciò nei paesi liberi il popolo è governato attraverso la lotta aperta dei partiti e i liberi accordi tra di essi.
 
Dopo l'abbattimento del potere zarista, avvenuto il 27 febbraio 1917, la Russia per circa 4 mesi fu governata, come tutti i paesi liberi, precisamente attraverso la lotta aperta dei partiti liberamente formati e i liberi accordi tra di essi. Per comprendere lo sviluppo della rivoluzione russa, è soprattutto necessario studiare metodicamente quali erano i principali partiti, quali interessi di classe difendevano e quali erano i loro rapporti reciproci.
 
III
 
Rovesciato il potere zarista, il potere statale passò al primo governo provvisorio. Quel governo era formato dai rappresentanti della borghesia, cioè dai capitalisti, ai quali si erano uniti anche i grandi proprietari fondiari. Il partito dei «cadetti», il principale partito dei capitalisti, era in prima fila come partito dirigente e governante della borghesia.
 
Il potere non gli era capitato fra le mani per caso, quantunque gli operai, i contadini, i marinai e i soldati - e non i capitalisti - avessero versato il loro sangue per la libertà, combattendo contro le truppe dello zar. Il partito dei capitalisti giungeva al potere perché questa classe aveva la forza della ricchezza, dell'organizzazione e dell'istruzione. Dopo il 1905, e soprattutto durante la guerra, la classe capitalistica e i proprietari fondiari che si erano uniti ad essa, avevano compiuto in Russia dei progressi, soprattutto nel campo dell'organizzazione.
 
Il partito cadetto è sempre stato - nel 1905 come dal 1905 al 1917 - un partito monarchico. Dopo la vittoria del popolo sulla tirannide zarista, si dichiarò repubblicano. La storia mostra che i partiti capitalistici, dopo che il popolo ha vinto la monarchia, consentono sempre a essere repubblicani, purché possano difendere i privilegi dei capitalisti e la loro onnipotenza sul popolo.
 
A parole il partito cadetto è per la «libertà del popolo». In realtà esso sta dalla parte dei capitalisti, e i grandi proprietari fondiari, i monarchici, i centoneri si sono tutti immediatamente posti al suo fianco. Lo provano i giornali e le elezioni. Dopo la rivoluzione tutta la stampa borghese e tutti i giornali dei centoneri fanno coro ai cadetti. Tutti i partiti monarchici, non osando presentarsi apertamente alle elezioni, per esempio a Pietrogrado, hanno appoggiato i cadetti.
 
Ottenuto il potere governativo, i cadetti tesero tutti i loro sforzi per la continuazione della guerra di conquista e di brigantaggio cominciata dallo zar Nicola II, che aveva concluso trattati segreti di rapina con i capitalisti inglesi e francesi. Quei trattati promettevano ai capitalisti russi, in caso di vittoria, Costantinopoli, la Galizia, l'Armenia, ecc. Il governo dei cadetti si accontentò di fare al popolo dichiarazioni vaghe, rinviando la soluzione delle grandi questioni di interesse vitale per gli operai e per i contadini all'Assemblea costituente, di cui, d'altra parte, non stabiliva la data di convocazione.
 
I1 popolo, approfittando della libertà, incominciò a organizzarsi da sé. I soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini erano l'organizzazione principale degli operai e dei contadini i quali formano l'immensa maggioranza della popolazione della Russia. I soviet avevano cominciato a costituirsi durante la rivoluzione di febbraio e, qualche settimana dopo, nella maggior parte delle grandi città e in molti distretti, tutti gli operai e i contadini progrediti e coscienti erano riuniti in soviet.
 
I soviet erano eletti in piena libertà. I soviet erano le vere organizzazioni delle masse popolari operaie e contadine. I soviet erano le vere organizzazioni dell'immensa maggioranza del popolo. Gli operai e i contadini in uniforme erano armati.
 
Naturalmente i soviet potevano e dovevano prendere nelle loro mani tutto il potere statale. Nello Stato non avrebbe dovuto esservi nessun altro potere fino alla riunione dell'Assemblea costituente. Solo così la nostra rivoluzione sarebbe stata veramente popolare, veramente democratica. Solo così le masse lavoratrici, che aspirano realmente alla pace, che non hanno alcun interesse alla continuazione di una guerra di conquista, avrebbero potuto cominciare a svolgere fermamente, risolutamente, una politica capace di por termine alla guerra di conquista e di portare alla pace. Solo così gli operai e i contadini avrebbero potuto domare i capitalisti che guadagnano somme favolose «sulla guerra» e trascinano il paese alla rovina e alla fame. Ma in seno ai soviet il partito degli operai rivoluzionari, il partito socialdemocratico bolscevico, che esigeva il passaggio di tutto il potere statale ai soviet, aveva dalla sua parte solo una minoranza dei deputati. La maggioranza dei deputati era favorevole ai partiti socialdemocratico menscevico e socialista-rivoluzionario, che si dichiaravano contrari al passaggio del potere ai soviet. Invece di togliere di mezzo il governo della borghesia e sostituirlo con un governo dei soviet, quei partiti sostenevano il governo borghese, l'accordo con esso, la formazione di un governo di coalizione. Questa politica di intesa con la borghesia, seguita dai partiti socialista-rivoluzionario e menscevico, in cui aveva fiducia la maggioranza del popolo, è in sostanza il fenomeno fondamentale dello sviluppo della rivoluzione in tutti e cinque i mesi trascorsi dal suo inizio.
 
IV
 
Vediamo innanzi tutto come si svolgeva questa politica di intesa tra i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi da una parte e la borghesia dall'altra, e poi cercheremo di spiegare come mai la maggioranza del popolo aveva fiducia in questi partiti.
 
V
 
I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari hanno applicato la loro politica di intesa con i capitalisti, in una forma o nell'altra, in tutti i periodi della rivoluzione russa.
 
Negli ultimi giorni del febbraio 1917, appena il popolo ebbe vinto e il potere zarista fu distrutto, il governo provvisorio dei capitalisti incluse Kerenski nel ministero, come «socialista». In realtà Kerenski non era mai stato socialista: non era che un trudovik e passò ai «socialisti-rivoluzionari» soltanto nel marzo 1917, cioè quando l'adesione al partito socialista-rivoluzionario non era più pericolosa né svantaggiosa. I1 governo provvisorio capitalistico tentò subito, per mezzo di Kerenski, vicepresidente del soviet di Pietrogrado, di accattivarsi il soviet e di addomesticarlo. Il soviet, cioè, i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi che vi predominavano, si lasciò addomesticare e acconsenti, subito dopo la formazione del governo provvisorio capitalistico, a «sostenerlo» «nella misura in cui» avrebbe mantenuto i suoi impegni.
 
Il soviet si considerava un organo di verifica e di controllo degli atti del governo provvisorio. I capi del soviet crearono la cosiddetta commissione di «contatto» per assicurare il collegamento con il governo. In questa commissione, i capi socialisti-rivoluzionari e menscevichi che erano, in realtà, dei ministri senza portafoglio o dei ministri ufficiosi, mercanteggiavano continuamente con il governo capitalistico.
 
Questa situazione durò tutto il mese di marzo e quasi tutto il mese di aprile. I capitalisti tergiversavano e temporeggiavano cercando di guadagnare tempo. Durante quel periodo, il governo capitalistico non fece neppure un gesto serio per sviluppare la rivoluzione. Non fece niente, assolutamente niente, neppure per adempiere il suo compito immediato, convocare l'Assemblea costituente. Non pose la questione dinanzi alle organizzazioni locali, non costituì neppure la commissione centrale che avrebbe dovuto studiarla. Il governo aveva una sola preoccupazione: rinnovare segretamente i trattati briganteschi che lo zar aveva concluso con i capitalisti di Francia e d'Inghilterra, frenare nel modo più prudente e meno avvertibile la rivoluzione, promettere tutto e nulla mantenere. Nella «commissione di contatto» i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi facevano la parte degli ingenui che si accontentano con delle frasi, con delle promesse, con dei «domani». I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi abboccavano come il corvo della favola e ascoltavano compiacenti e fiduciosi i capitalisti che protestavano la loro grande stima per i soviet e assicuravano di non far nulla senza di essi.
 
Ma in realtà il tempo passava senza che il governo dei capitalisti facesse la minima cosa per la rivoluzione. Contro la rivoluzione, però, riuscì in tale periodo a rinnovare i trattati segreti briganteschi o, più esattamente, a confermarli e a «rinnovarli» mediante trattative complementari, non meno segrete, con i diplomatici dell'imperialismo franco-inglese. Contro la rivoluzione il governo riuscì in quel periodo a spingere all'organizzazione gl'industriali, i padroni di officine, i fabbricanti che si vedevano costretti a cedere passo passo sotto la spinta degli operai, ma che cominciavano a sabotare la produzione ed a prepararne l'arresto per il momento opportuno.
 
D'altra parte, però, l'organizzazione degli operai e dei contadini coscienti nei soviet progrediva ininterrottamente. I migliori rappresentanti delle classi oppresse sentivano che il governo, malgrado l'accordo con il soviet di Pietrogrado, malgrado la retorica di Kerenski, malgrado l'esistenza della «commissione di contatto», rimaneva un nemico del popolo, un nemico della rivoluzione. Le masse sentivano che la causa della pace, della libertà, della rivoluzione sarebbe stata infallibilmente perduta se non si fosse spezzata la resistenza dei capitalisti. L'impazienza e la collera crescevano nelle masse.
 
VI
 
L'impazienza e la collera scoppiarono il 20-21 aprile. Il movimento fu spontaneo; nessuno l'aveva preparato. Era così nettamente diretto contro il governo, che un reggimento armato si recò al palazzo Mariinski per arrestare i ministri. Tutti compresero chiaramente che il governo non poteva più resistere. I soviet potevano (e dovevano) prendere il potere senza che nessuna resistenza potesse esser loro opposta da chicchessia. Ma i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi preferirono sostenere il crollante governo dei capitalisti, legarsi ancor più ad esso con patteggiamenti, e fare passi ancora più fatali, che avrebbero condotto la rivoluzione alla rovina.
 
La rivoluzione ammaestra le classi sociali con una rapidità e con un vigore sconosciuti in tempi normali, in tempo di pace. I capitalisti, meglio organizzati e più esperti di chiunque altro nella lotta delle classi e nella politica, impararono più rapidamente delle altre classi. Vedendo che la situazione del governo era insostenibile, ricorsero a un sistema di cui per interi decenni, dopo il 1848, i capitalisti degli altri paesi si erano serviti per ingannare, dividere e indebolire gli operai. Il sistema consiste nel formare un ministero detto di «coalizione», che riunisce, cioè, rappresentanti della borghesia e transfughi del socialismo.
 
Nei paesi in cui la libertà e la democrazia esistono da lungo tempo accanto al movimento operaio rivoluzionario, in Inghilterra e in Francia, i capitalisti hanno adoperato tale sistema molte volte e con gran successo. I capi «socialisti» entrati in un ministero borghese si sono sempre rivelati marionette, fantocci che servono a ingannare gli operai, uomini di paglia dietro i quali si nascondono i capitalisti. I capitalisti «democratici e repubblicani» di Russia ricorsero a tale sistema. I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi si lasciarono subito giuocare: il 6 maggio il ministero di «coalizione», che comprendeva Cernov, Tsereteli e soci era un fatto compiuto.
 
Gli ingenui socialisti-rivoluzionari e menscevichi gongolavano, esaltati dallo splendore dell'aureola ministeriale dei loro capi. I capitalisti si fregavano le mani con soddisfazione giacché si erano assicurati contro il popolo l'aiuto dei «capi dei soviet», ottenendone la promessa di sostenere «l'offensiva al fronte», cioè la ripresa della brigantesca guerra imperialistica, interrotta di fatto. I capitalisti conoscevano bene la boriosa impotenza di quei capi, sapevano che le promesse fatte dalla borghesia - sul controllo e sulla stessa organizzazione della produzione, sulla politica di pace, ecc. - non sarebbero mai state mantenute.
 
E così avvenne. La seconda fase dello sviluppo della rivoluzione, che va dal 6 maggio al 9 o al 18 giugno, ha confermato completamente i calcoli dei capitalisti che avevano puntato sulla stupidità dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi.
 
Mentre Pescekhonov e Skobelev ingannavano se stessi e il popolo con frasi pompose, parlando di prelevare il 100% sui profitti dei capitalisti, affermando che la loro «resistenza era spezzata», ecc., i capitalisti continuavano a rafforzarsi. In realtà nulla fu fatto durante questo periodo, assolutamente nulla per imbrigliare i capitalisti. I transfughi del socialismo diventati ministri si dimostravano macchine parlanti destinate a ingannare le classi oppresse, mentre tutta la direzione dell'apparato statale rimaneva di fatto nelle mani della burocrazia e della borghesia. Il famigerato Palcinski, sottosegretario all'industria, era un rappresentante tipico di quell'apparato che si opponeva a tutti i provvedimenti che potessero colpire i capitalisti. I ministri chiacchieravano e la situazione rimaneva immutata.
 
La borghesia si serviva in modo particolare del ministro Tsereteli per combattere la rivoluzione. Lo si mandò «a calmare» Kronstadt, dove i rivoluzionari avevano osato destituire il commissario del governo. La stampa borghese scatenò contro Kronstadt, accusata di volersi separare» dalla Russia, - questa sciocchezza fu ripetuta su tutti i toni, - una campagna clamorosa, accanita, piena di odio, di menzogne, di calunnie, di diffamazione, destinata a intimorire la piccola borghesia e i filistei. Tsereteli, il più tipico rappresentante dei filistei ottusi e atterriti, si lasciò «coscienziosamente» prendere all'amo delle calunnie borghesi e si sforzò con il più grande zelo di «fulminare e pacificare» Kronstadt, senza comprendere di essere cosìI diventato un lacchè della borghesia controrivoluzionaria. Egli divenne lo strumento mediante il quale la borghesia concluse con Kronstadt rivoluzionaria un «accordo», per cui il commissario governativo di quella città non sarebbe stato puramente e semplicemente nominato dal governo, ma sarebbe stato eletto sul posto e confermato dal governo. Questi miserabili compromessi assorbivano tutto il tempo dei ministri passati dal socialismo alla borghesia.
 
Dove un ministro borghese non avrebbe potuto presentarsi a difendere il governo dinanzi agli operai rivoluzionari o nei soviet, là si presentava (o meglio: veniva inviato dalla borghesia) il ministro «socialista», Skobelev, Tsereteli, Cernov o un altro, che adempiva coscienziosamente il compito di servire la borghesia, sudava sangue, difendeva il ministero, discolpava i capitalisti, ingannava il popolo ripetendogli promesse, promesse e promesse, e raccomandandogli di aspettare, aspettare e aspettare.
 
Il ministro Cernov era soprattutto assorbito dai mercanteggiamenti con i suoi colleghi borghesi: fino al luglio, fino alla nuova «crisi del potere» che avvenne dopo il movimento del 3-4 luglio, fino alle dimissioni dei ministri cadetti, il ministro Cernov «esortò» continuamente - ed era questo il lavoro utile e interessante al quale egli si consacrava nell'interesse superiore del popolo - i suoi colleghi borghesi ad acconsentire almeno alla proibizione della compravendita della terra. Questo provvedimento fu solennemente promesso ai contadini al congresso (soviet) dei delegati contadini della Russia, a Pietrogrado. Ma la promessa rimase una promessa. Cernov non poté mantenerla né in maggio né in giugno, fino a quando l'ondata rivoluzionaria del 3-4 luglio, esplosione spontanea che coincise con le dimissioni dei ministri cadetti, non gli permise di applicare tale provvedimento. Ma anche allora questo provvedimento rimase isolato, incapace di migliorare seriamente la situazione dei contadini in lotta per la terra contro i grandi proprietari fondiari.
 
Nello stesso tempo, al fronte, il compito controrivoluzionario, il compito imperialistico di ricominciare la guerra brigantesca, il compito che un Guckov detestato dal popolo non aveva potuto adempiere, veniva adempiuto brillantemente dal «democratico rivoluzionario» Kerenski, recentissimo membro del partito socialista-rivoluzionario. Kerenski si inebriava della propria eloquenza: gli imperialisti lo incensavano, lo lusingavano, lo idolatravano e giuocavano con lui come con una pedina sulla scacchiera, perché egli serviva anima e corpo i loro interessi, incitando le «truppe rivoluzionarie» a riprendere la guerra per attuare i trattati conclusi dallo zar Nicola II con i capitalisti di Francia e d'Inghilterra, con lo scopo di far ottenere ai capitalisti russi Costantinopoli e Leopoli, Erzerum e Trebisonda.
 
Questi avvenimenti si susseguivano nella seconda fase della rivoluzione russa, dal 6 maggio al 9 giugno. La borghesia controrivoluzionaria sotto l'egida dei ministri «socialisti», preparò l'offensiva contro il nemico esterno e contro il nemico interno, cioè contro gli operai rivoluzionari.
 
VII
 
Il partito degli operai rivoluzionari, il partito bolscevico, preparava per il 9 giugno una manifestazione a Pietrogrado per dar modo alle masse di affermare ad alta voce il loro malcontento e la loro indignazione che crescevano irresistibilmente. I capi socialisti-rivoluzionari e menscevichi, impegolati nei loro accordi con la borghesia, legati alla politica imperialistica dell'offensiva, furono atterriti vedendo irrimediabilmente compromessa la loro influenza sulle masse. Da ogni parte si levò contro la manifestazione un coro di proteste, che stavolta unì i cadetti controrivoluzionari con i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi. Sotto la direzione dei partiti socialista-rivoluzionario e menscevico, e come conseguenza della loro politica d'intesa con i capitalisti, la svolta delle masse piccolo-borghesi verso l'alleanza con la borghesia controrivoluzionaria si precisò in modo nettissimo. Tale è la portata storica, tale è il significato di classe della crisi del 9 giugno.
 
I bolscevichi, che non desideravano affatto condurre gli operai a una lotta disperata contro i cadetti, i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi uniti, rinunciarono alla manifestazione. I socialisti-rivoluzionari e i menscevichi però, volendo conservare almeno qualche residuo d'influenza sulle masse, si videro obbligati a fissare per il 18 giugno una manifestazione generale. La borghesia era fuori di sé perché si rendeva conto, molto giustamente, che la democrazia piccolo-borghese oscillava in quel momento verso il proletariato. Essa decise di paralizzare l'azione della democrazia scatenando l'offensiva al fronte.
 
Il 18 giugno, infatti, le parole d'ordine del proletariato rivoluzionario, le parole d'ordine del bolscevismo riportarono una vittoria veramente imponente tra le masse di Pietrogrado. Il 19 giugno la borghesia e il bonapartista (*) Kerenski annunciarono solennemente che, proprio il 18 giugno, un'offensiva era stata scatenata al fronte.
 
L'offensiva significava praticamente la ripresa della guerra brigantesca nell'interesse dei capitalisti e contro la volontà dell'immensa maggioranza dei lavoratori. Perciò all'offensiva erano inevitabilmente legati, da una parte, un formidabile rafforzamento dello sciovinismo e il passaggio del potere militare (e, per conseguenza, politico) a una cricca militare di bonapartisti, e dall'altra parte, il ricorso alla violenza contro le masse, alla persecuzione contro gli internazionalisti, alla soppressione della libertà di agitazione, agli arresti e alle esecuzioni dei nemici della guerra.
 
Se la giornata del 6 maggio aveva legato i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi al carro trionfale della borghesia, la giornata del 18 giugno ve li incatenò come servitori dei capitalisti.
 
VIII
 
La ripresa della guerra brigantesca doveva accrescere ancor più rapidamente e violentemente la collera delle masse. Il 3 e il 4 luglio avvenne lo scoppio dell'indignazione delle masse, che i bolscevichi tentarono di contenere e al quale essi dovevano sforzarsi, naturalmente, di dare la forma più organizzata possibile.
 
Schiavi della borghesia, incatenati ai loro padroni, i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi sottoscrissero tutto ciò che fu loro proposto: sottoscrissero l'entrata delle truppe reazionarie a Pietrogrado, il ristabilimento della pena di morte, il disarmo degli operai e delle truppe rivoluzionarie, gli arresti, le persecuzioni, la soppressione arbitraria dei giornali. Il potere, di cui la borghesia non poteva impadronirsi interamente in seno al governo e che i soviet non volevano prendere, cadde nelle mani della cricca dei generali bonapartisti sostenuti senza riserve, naturalmente, dai cadetti, dai centoneri, dai grandi proprietari fondiari e dai capitalisti.
 
Di gradino in gradino, una volta postisi sul piano inclinato dell'intesa con la borghesia, i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi continuarono a scivolare irresistibilmente e sempre più in giù, fino in fondo. Il 28 febbraio, al soviet di Pietrogrado, promettevano un appoggio condizionato al governo borghese. Il 6 maggio lo salvavano dal fallimento e, acconsentendo all'offensiva, si lasciavano trasformare in difensori e in servi del governo. Il 9 giugno si univano alla borghesia contro-rivoluzionaria nella campagna velenosa di menzogne e di calunnie scatenata contro il proletariato rivoluzionario. Il 19 giugno approvavano la ripresa, già iniziata, della guerra brigantesca. Il 3 luglio acconsentivano a che si chiamassero le truppe reazionarie: inizio dell'abbandono definitivo del potere ai bonapartisti. Di gradino in gradino.
 
Questa fine ignobile dei partiti socialista-rivoluzionario e menscevico non avviene per caso; è il risultato, più volte confermato dall'esperienza dell'Europa, della situazione economica dei piccoli proprietari, della piccola borghesia.
 
IX
 
Tutti hanno potuto osservare, naturalmente, che i piccoli padroni fanno l'impossibile per riuscire a «farsi strada», per diventare dei veri padroni, per elevarsi alla situazione di «grossi» proprietari, alla posizione della borghesia. Finché esiste il regime capitalistico, per i piccoli padroni non vi è altra soluzione: o devono elevarsi all'altezza dei capitalisti (e questo, nel migliore dei casi, è possibile a un'azienda su cento) o devono discendere al livello dei piccoli padroni rovinati, dei semiproletari e infine dei proletari. Così pure in politica: la democrazia piccolo-borghese, soprattutto nella persona dei suoi capi, si trascina a rimorchio della borghesia. I capi della democrazia piccolo-borghese cullano le masse con promesse e con assicurazioni sulla possibilità di un'intesa con i grandi capitalisti: nel migliore dei casi dai capitalisti ottengono qualche concessione insignificante per pochissimo tempo e per il piccolo strato superiore delle masse lavoratrici. Ma in tutte le questioni decisive, in tutte le questioni importanti, la democrazia piccolo-borghese è sempre stata a rimorchio della borghesia, rimanendone sempre una appendice impotente o un docile strumento maneggiato dai re della finanza. L'esperienza dell'Inghilterra e della Francia ha confermato più volte questa verità.
 
L'esperienza della rivoluzione russa, durante la quale gli avvenimenti, influenzati soprattutto dalla guerra imperialistica e dalla crisi profonda che ne è conseguita, si sono svolti con una rapidità stupefacente, quest'esperienza del febbraio-luglio 1917 ha confermato in modo straordinariamente luminoso ed evidente il vecchio assioma marxista dell'instabilità della piccola borghesia.
 
L'insegnamento della rivoluzione russa è questo. Le masse operaie non si salveranno dalla ferrea morsa della guerra, dalla fame e dal giogo dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti se non rompendo completamente con i partiti socialista-rivoluzionario e menscevico, prendendo chiara coscienza della funzione di tradimento di questi partiti, respingendo ogni accordo con la borghesia, schierandosi risolutamente accanto agli operai rivoluzionari. Solo gli operai rivoluzionari, se saranno sostenuti dai contadini poveri, potranno spezzare la resistenza della borghesia, condurre il popolo alla conquista della terra senza indennizzo, alla libertà completa, alla vittoria sulla carestia, alla vittoria sulla guerra, a una pace giusta e duratura.
 
POSCRITTO
 
Questo articolo è stato scritto, come si vede dal testo, alla fine di luglio.
Lo sviluppo della rivoluzione in agosto ha pienamente confermato quanto si dice nell'articolo. Poi, alla fine di agosto, l'ammutinamento di Kornilov ha determinato una nuova svolta della rivoluzione, rivelando nel modo più chiaro a tutto il popolo che i cadetti, uniti con i generali controrivoluzionari, aspirano a sciogliere i soviet e a ristabilire la monarchia. Nel prossimo avvenire si vedrà qual è la forza della nuova svolta della rivoluzione e se essa riuscirà a porre termine alla nefasta politica d'intesa con la borghesia...
 
N. Lenin
 
6 settembre 1917
 
 
Note:
 
*) Si chiama bonapartista (dal nome dei due imperatori francesi Bonaparte) un governo che cerca di sembrare estraneo ai partiti, approfittando della lotta estremamente aspra che i partiti capitalistici ed operai conducono gli uni contro gli altri. Tale governo, di fatto al servizio dei capitalisti, inganna soprattutto gli operai con promesse e piccole elemosine.