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da Pietro Secchia, Le armi del fascismo 1921-1971, Feltrinelli, 1973
trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Pietro Secchia
Le armi del fascismo 1921-1971 - indice
 
Il programma fascista del 1919
 
In questa atmosfera rivoluzionaria e nel pieno del susseguirsi delle lotte operaie e contadine, Mussolini convoca il 23 marzo 1919 l'assemblea di Piazza S. Sepolcro a Milano in una sala messa a disposizione dal Circolo degli Interessi Industriali e Commerciali.
 
Vi partecipano poco più di un centinaio di "fascisti," anarco-sindacalisti, massoni, futuristi, ed è in questa riunione che nasce il programma che sarà alla base della nuova organizzazione a carattere nazionale: i fasci italiani di combattimento.
 
Si tratta di un programma di riforme e di rinnovamento che tende a guadagnare la simpatia tra la piccola borghesia, gli studenti e anche tra i lavoratori, e che con le sue rivendicazioni contribuì a mascherare all'inizio la vera natura del fascismo.
 
Tale programma rivendica:
 
- Il suffragio universale con rappresentanza proporzionale; il voto alle donne, l'abolizione del Senato, la convocazione di un'Assemblea nazionale il cui compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato; la formazione di Consigli nazionali tecnici del lavoro.
 
- La giornata legale di otto ore di lavoro; i minimi di paga, la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria; affidamento. alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici; assicurazione di invalidità e vecchiaia a partire da 55 anni.
 
- Istituzione di una milizia nazionale, con brevi periodi di istruzione e compito esclusivamente difensivo; politica estera nazionale intesa a valorizzare nelle competizioni pacifiche della civiltà la nazione italiana nel mondo.
 
- Forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze; sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e abolizione di tutte le mense vescovili; revisione di tutti i contratti di forniture di guerra e sequestro dell'85 per cento dei profitti di guerra.
 
Nulla naturalmente di quanto era rivendicato in questo programma venne poi mantenuto dal fascismo dopo che ebbe conquistato il potere con la violenza. In realtà il fascismo che si presentava con un programma di riforma agraria e addirittura di espropriazione delle ricchezze, di gestione delle industrie da parte delle .organizzazioni proletarie, sarà per oltre vent'anni il più forte baluardo a sostegno del grande capitale e dei gruppi monopolici in Italia, e tutta la sua azione sarà rivolta contro la classe operaia, i contadini, gli intellettuali, contro i giovani sottoposti a un intenso sfruttamento e impossibilitati per la maggior parte a frequentare le scuole medie e superiori. Sulla classe operaia e sui lavoratori instaurerà una dittatura oppressiva e totalitaria.
 
Nel corso della sua azione violenta e poi dopo la conquista del potere il fascismo dimostrerà di essere la "dittatura terrorista aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti, più imperialisti del capitale finanziario."
 
Molti all'inizio sottovalutarono il fenomeno fascista, diedero qualche credito al suo programma, lo giudicarono soltanto sotto l'aspetto dell'uso della violenza ritenendo si trattasse di un male passeggero, il risultato dell'esasperazione per le sofferenze e le delusioni patite durante la guerra.
 
Tre settimane dopo l'assemblea di Piazza S. Sepolcro, il 15 aprile, mentre gli operai milanesi si trovavano all'Arena ad ascoltare un comizio socialista, un centinaio di fascisti, ufficiali, arditi e borghesi armati, assaltavano improvvisamente la sede dell'"Avanti!" distruggendo e incendiando tutto. All'indomani scoppiavano scioperi di protesta in diverse località d'Italia e la direzione del Partito socialista lanciava una sottoscrizione per dare una nuova sede al giornale. Ma tutto fini lì. La gravità dell'episodio fu sottovalutata, tanto più che tutti ne attribuivano la responsabilità a Mussolini. Commentando il fatto alla fine del 1919, Egidio Gennari, allora segretario del Partito socialista, scrisse: "Il proletariato rispose con la calma dei forti. Al suo foglio di battaglia offri più di un milione. I nemici allibirono, i loro calcoli erano falliti". (1)
 
Lo stesso "Ordine Nuovo," in polemica con Gaetano Salvemini che lamentava non vi fosse stata una risposta fulminea, dura e adeguata, scriveva:
 
Gaetano Salvemini, professore di storia, è rimasto tutto scombussolato per l'assalto e l'incendio dell'"Avanti!" e si meraviglia che i socialisti abbiano firmato la ricevuta e non proclamato nientemeno che la rivoluzione. Se il Salvemini fosse stato ancora un "compagno" assai probabilmente avrebbe cercato di convincerci che le rivoluzioni non sono mica mezzi di ordinaria amministrazione con cui si pareggiano i conti correnti [...] che il Partito socialista sia oggi solidamente impiantato, che la smobilitazione di ogni classe [i militari che ritornavano dal fronte, N.d.A.] segni un vero rifluire di energie verso il nostro movimento e un ripullulare di circoli e sezioni, che il movimento giovanile socialista sia cresciuto quasi del doppio pur avendo quasi tutti i soci da vent'anni in su sotto le armi, che la Confederazione del lavoro sia salita da 300 mila a circa un milione di soci, che un fervore rigoglioso vada trasformando la vita interna delle fabbriche, la fisionomia dei piccoli e grandi centri, le tendenze delle masse operaie e contadine, l'animo della nuova generazione: tutto ciò non conta. Quattro delinquenti sono entrati in una casa indifesa e hanno fatto tutto il male che hanno potuto e voluto; ciò ha per gli "unitari" (Salvemini) uno straordinario significato. I socialisti per la sorpresa dell'attacco e per la convinzione ben radicata, già da prima, che non bisogna accettare la lotta quando lo vorrebbero i nemici, ma imporla quando i nemici ne farebbero volentieri a meno, i socialisti, diciamo, hanno fatto tutto per comprimere lo sdegno delle masse e non lasciarlo erompere, in un'azione che sarebbe stata, caro Salvemini, una sommossa e non una rivoluzione, come lei ci potrebbe insegnare. Per noi l'aver resistito alle pressioni degli impazienti e l'aver per ora "firmato la ricevuta" è stato uno degli atti di maggior coscienza che il partito abbia saputo compiere in questo periodo.(2)
 
La critica, dal punto di vista teorico, a Salvemini è senza dubbio giusta, tuttavia balza evidente una certa sotto-valutazione della gravità dell'assalto dato dai fascisti all'"Avanti!" e anche una certa sopravalutazione della forza reale delle organizzazioni socialiste che non può essere misurata soltanto dal numero degli aderenti.
 
Gli ex combattenti ai quali, nel momento del pericolo e dell'invasione del suolo nazionale, la grande borghesia aveva promesso la terra erano giustamente indignati. Le promesse non erano mantenute e mentre gli uni con la guerra si erano arricchiti, gli altri erano ritornati dalle trincee feriti, mutilati, malandati in salute, più poveri di prima; molti, sia intellettuali che lavoratori, senza la possibilità di trovare un'occupazione, una sistemazione dignitosa.
 
Pertanto all'inizio il fascismo fu visto come un movimento di ex combattenti che, abituati in guerra ad usare la violenza, volevano con la violenza conquistare quanto loro era stato promesso, i diritti che venivano loro negati.
 
Vi contribuirono anche gli errori del Partito socialista che, essendo stato contrario alla guerra, sottovalutava, e in qualche caso offendeva, l'orgoglio di chi, essendovi stato favorevole per patriottismo, o soltanto per averla fatta, andava fiero del suo sacrificio e rivendicava il riconoscimento di socrosanti diritti, compreso quello di voler partecipare alla direzione della vita politica ed economica del paese. Il Partito socialista abbandonò nelle mani dei gruppi sciovinisti e nazionalisti la bandiera della difesa degli interessi nazionali e degli ex combattenti.
 
Si trattò di un'abile manovra da parte dei nemici della classe operaia e dei lavoratori; in realtà, chi sin dal primo momento organizzò, finanziò, sostenne il fascismo furono i gruppi più forti della grande borghesia industriale e agraria che, di fronte al dilagare del movimento democratico, alla forza sempre crescente del Partito socialista, dei sindacati di classe, temevano gli sviluppi rivoluzionari e la conquista del potere da parte degli operai e dei contadini italiani.
 
Mussolini, sin dal primo momento, non si considerò vincolato dal programma del marzo 1919, ma affermò apertamente che sarebbe stato di volta in volta per la lotta di classe o per la collaborazione di classe a seconda delle esigenze del momento; più che sui principi avrebbe poggiato sull'azione.
 
I giovani, soprattutto gli studenti e gli universitari, chiamati ad agire sono attratti dal movimento, mossi da motivi "patriottici," da interessi di classe o anche per amore della azione, e diventeranno avanguardie dello squadrismo. Alla loro testa sono per lo più ex ufficiali di estrazione borghese, molti dei quali avevano fatto la guerra e pagato di persona, che si proponevano, nel clima generale di rivoluzione democratica e di marcia a sinistra del 1919, finalità nazionali indirizzate verso un programma di restaurazione dell'autorità dello Stato che stava sfuggendo dalle mani della classe dirigente liberale.
 
Note
 
1) Egidio Gennari, Almanacco socialista, 1920, p. 386.
2) "L'Ordine Nuovo," 28 giugno-5 luglio 1919, n. 8.
 
 

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