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Stato e polizia (*)

Pietro Secchia | Secchia, La Resistenza accusa 1945-1973, Mazzotta Editore, Milano, 1973
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

22/05/1967

Non credo superfluo, signor presidente, on. colleghi, richiamare alla vostra attenzione due punti fondamentali introduttivi della relazione che accompagna il disegno di legge che il sen. Terracini ed altri di noi abbiamo avuto occasione di presentare tre anni or sono.

A vent'anni dall'abbattimento del fascismo, a diciotto dalla cacciata della monarchia e dalla proclamazione della Repubblica, proclamazione fatta per volontà di popolo, non è più tempo di adeguamenti parziali della legge di PS, ma urge una legge nuova e generale. Il testo unico vigente venne posto a presidio di uno Stato eretto sulla radicale negazione della democrazia, dei diritti e delle libertà politiche, a presidio di un ordinamento fondato non sulla sovranità popolare, ma sulla dittatura, sulla gerarchla dall'alto e sul più stretto accentramento politico e amministrativo. Fuori del codice civile, l'esercizio della più gran parte delle attività consentite al cittadino doveva dipendere dal consenso discrezionale dell'esecutivo e, per esso, dal placet dell'autorità di PS o del prefetto. Questi erano i cardini dell'ordine pubblico in regime monarchico e fascista.

Lo Stato repubblicano si fonda invece su princìpi radicalmente opposti, sulla effettiva sovranità popolare, sull'esercizio a tutti garantito della libertà politica e religiosa e dei diritti costituzionali; sul diritto di tutti i cittadini ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale; sul diritto di libera manifestazione del pensiero, di stampa, di propaganda, di riunione, di circolazione, di sciopero, nonché sul decentramento, sulle autonomie locali, sulla imparzialità della pubblica amministrazione, sulla garanzia di conformità delle leggi ai dettati costituzionali e sulle responsabilità di ogni cittadino, sia privato che investito di funzioni pubbliche.

È chiaro a tutti, on. colleghi, che con tali premesse il testo unico vigente non poteva e non può essere adattato con parziali, seppure larghi mutamenti, all'attuale nostro ordinamento democratico, repubblicano, ma deve essere, dovrebbe essere interamente sostituito.

Il sen. Airoldi ci informa, nella sua impegnata relazione, come, in sede di commissione, dopo ampia discussione sia prevalsa la scelta non di proporre nel suo insieme una nuova legge di PS, ma di introdurre in quella esistente quelle modifiche determinate dalla nuova struttura dello Stato. Il fatto stesso che si sia atteso vent'anni per modificare soltanto in parte l'attuale legge di PS è sintomatico e sta a dimostrare che non la si voleva modificare, che quanto meno quella legge fascista andava benissimo anche adesso. Dopo essere venuti meno per vent'anni, tutti i governi che si sono succeduti, al giuramento prestato, alla parola solennemente data al Parlamento ed al paese (non c'è stato governo che non abbia annunciato tra i suoi impegni programmatici l'adeguamento delle leggi di PS all'ordinamento democratico repubblicano dello Stato); dopo vent'anni di parole, di giuramenti mancati, di insincerità e di inganni, si arriva oggi a presentare, a discutere non un testo sostitutivo, ma il vecchio testo fascista modificato e integrato. Tale scelta - ci assicura il sen. Airoldi - non comporta alcun detrimento alla sostanza, ma tutti sappiamo che la forma è sempre anche sostanza. Si tratta di antica discussione, da Aristotele a san Tommaso d'Aquino, a Hegel, a Spinoza, a Marx, la forma non soltanto è una unità organica, ma anche la sua unità con la materia, con la sostanza, è una unità originaria ed è vana la ricerca di un principio unificatore ove forma e sostanza siano separate.

Ma, dal momento che si è preferito scegliere la strada di modificare il vecchio testo anziché sostituirlo con uno nuovo, sembra a me che sarebbe stato necessario, anzi indispensabile, premettere al disegno di legge una introduzione, almeno un preambolo, che richiamasse i princìpi fondamentali della Costituzione ed i diritti dei cittadini che l'autorità di PS è chiamata a tutelare. Tanto meglio poi se quei diritti e quei princìpi fossero di volta in volta richiamati direttamente, sia pure con concise parole, nelle formulazioni degli articoli della legge che ad essi si riferiscono. Depurare ogni articolo, ogni formulazione da qualsiasi nota, precisazione, sfumatura politica, ridurre tutto ad un arido linguaggio, a frasi puramente tecniche significa in realtà evitare, svigorire la sostanza, significa formulare degli articoli atti a tutti gli usi, a tutelare l'ordine pubblico in senso astratto, tanto in uno Stato dittatoriale che in uno Stato democratico.

Le leggi e le autorità di PS sono invece chiamate a tutelare l'ordine del nostro Stato democratico ed i diritti dei cittadini della Repubblica democratica fondata sul lavoro; le leggi e le autorità di PS non possono e non devono assolutamente servire a sovvertire l'ordinamento esistente; non possono e non debbono servire a funzionari o ad ufficiali di qualsiasi grado per farsi ubbidire qualora essi attentassero o avessero attentato alla nostra Costituzione, alla Repubblica democratica fondata sul lavoro. Immaginiamo, ad esempio, che in una o più città del nostro paese le autorità civili o militari, con uno di quei «colpi» che si usa chiamare di Stato si impadronissero con la violenza del potere, mediante l'arresto di tutti o di una parte dei ministri o delle autorità che sono alla testa degli organi costituzionali dello Stato e proclamassero, per il cosiddetto mantenimento dell'ordine pubblico, lo stato di emergenza. Sarebbero tenuti gli agenti e i funzionari di polizia, i soldati e gli ufficiali ad ubbidire agli ordini di chi si facesse forte del potere usurpato con un colpo di mano, per procedere all'arresto illegittimo dei cittadini e comunque per costringerli a restare impassibili, inerti, volenti o nolenti, impotenti, di fronte ai sovvertitori dell'ordinamento della Repubblica?

La Grecia insegni

Di fronte ad un avvenimento analogo a quello verificatosi in Grecia alcune settimane or sono, gli agenti di polizia, gli ufficiali comandati all'arresto di personalità e autorità politiche, di dirigenti e militanti dei partiti democratici, all'occupazione di edifici pubblici, a mantenere lo stato d'assedio, ad eseguire con la violenza ordini illegali, liberticidi e delittuosi, dovrebbero si o no ubbidire? Evidentemente no. Il giuramento prestato alla Costituzione, alle leggi dello Stato democratico e repubblicano e soprattutto la loro stessa coscienza civica dovrebbero spingerli a negare l'obbedienza, anzi dovrebbero essere un imperativo categorico per ognuno di loro a dare man forte a tutti i cittadini che in quel momento si erigessero ad attivi difensori della Repubblica, della democrazia, del nostro Stato democratico fondato sul lavoro.

Ma come potrebbero essere in grado di fare questo se le stesse leggi della nostra Repubblica, per il modo come sono elaborate. non aiutano la formazione della coscienza civica di ogni cittadino e, in primo luogo, di coloro che sono chiamati a tutelare la difesa dell'ordinamento esistente?

Nel momento stesso in cui noi stiamo per approvare un nuovo testo delle leggi di PS, dobbiamo avere coscienza che stiamo ponendo uno dei pilastri portanti dell'ordinamento democratico e repubblicano, che stiamo costruendo su nuove basi i rapporti tra i cittadini e lo Stato. Orbene, in tutto il testo del disegno di legge non ricorre mai, mai una sola volta la parola Repubblica, non ricorre mai la parola democrazia: sempre e soltanto si parla di Stato, senza aggettivazioni, sempre si parla di ordine pubblico senza mai precisare che si tratta dell'ordine pubblico nella Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Si dirà che ciò è superfluo ed invece superfluo non è. Se c'è una legge che più di qualsiasi altra esige di essere formulata in termini chiari e precisi questa è proprio la legge di PS poiché essa stabilisce, fissa, regola i rapporti tra i cittadini e le autorità e per essere chiara ha bisogno che le stesse sue formulazioni dicano chiaro a tutti i cittadini ed alle autorità, al semplice lavoratore, agli ufficiali e ai soldati, ad ogni agente di PS o milite dell'arma dei carabinieri qual è lo Stato, qual è l'ordine che essi sono chiamati ad osservare o a tutelare.

Il carattere profondamente democratico della nostra Repubblica, delle nostre istituzioni deve balzare fuori in modo chiaro e inequivocabile anche dalle stesse formulazioni, anche dallo stesso linguaggio, anche dalle stesse espressioni che si impiegano nel redigere le nostre leggi, specie le fondamentali, come quelle che stiamo discutendo.

Nel testo da noi presentato, all'art. 2 si dice esplicitamente che l'autorità di PS dipende dal governo della Repubblica e non, putacaso, da un governo che potrebbe essersi insediato contro la Repubblica. È stupefacente che questa nostra formulazione, con la quale si stabilisce che l'autorità di PS dipende dal governo della Repubblica e non da un governo che potrebbe essersi insediato contro la Repubblica, non sia stata accettata.

Sempre nel nostro testo si aggiunge: «Nei limiti delle leggi e salvo quanto è stabilito negli ordinamenti regionali a statuto speciale.» Ma anche questa precisazione è stata respinta. Ogni commento è superfluo. Tutti gli agenti, gli ufficiali, i soldati, i militi della PS e dei carabinieri, tutti i cittadini indistintamente devono sapere da chi dipende l'autorità di PS; leggendo il testo della legge devono sapere per prima cosa a chi essi devono rivolgersi, a chi debbono prestare ascolto, a chi debbono ubbidire. Devono sapere che il loro dovere non è quello di ubbidire in ogni caso, ma che vi possono essere dei casi, delle situazioni in cui non devono ubbidire. On. Taviani, le voglio porre una domanda, come vede mi preoccupo anche di lei. Se dovesse accadere — e non accadrà — quello che è accaduto in Grecia, e cioè se improvvisamente qualche colonnello al servizio di un aspirante dittatore venisse al suo ministero per arrestarla, quel colonnello ed i suoi subordinati dovrebbero conoscere quale sarebbe il loro dovere. In tal caso, il loro dovere sarebbe quello di non ubbidire, anzi di ribellarsi all'ordine, darle aiuto. Ma ciò che vale per i ministri deve valere anche per il più semplice, per il più modesto cittadino della Repubblica minacciato nella sua libertà, nei suoi diritti, nella sua vita.

Le forze armate: presidio della Repubblica democratica

Gli ufficiali e gli agenti di PS devono sapere che essi sono tenuti all'osservanza di ordini e di disposizioni conformi alle leggi dettate dalla nostra Costituzione e non a ordini e a disposizioni .in contrasto con i princìpi della Repubblica e con i dettami delia Costituzione.

In occasione delle manifestazioni avvenute venerdì scorso a Roma, a Milano e in altre città — se non sono male informato — mi risulta che i reparti di polizia si sono comportati correttamente, come sempre dovrebbero comportarsi agenti e ufficiali responsabili di tutelare l'ordine, rispettando i diritti dei cittadini. Non è accaduto di conseguenza nessun incidente, come non sarebbero accaduti tante altre volte, se i cittadini che hanno diritto, in base alla Costituzione, di esprimere la loro volontà anche manifestando, non fossero stati ostacolati nelle loro manifestazioni.

Orbene, io mi permetto di ritenere, on. colleghi, che ciò è avvenuto per disposizioni superiori, del che mi compiaccio e credo che tutti ce ne compiacciamo. Ma non posso non chiedermi perché in tanti altri casi ciò non avviene, ciò non è avvenuto.

Ufficiali e agenti di PS a chi devono ubbidire? Agli ordini che, di volta in volta, ad essi vengono impartiti o devono ubbidire in primo luogo e soprattutto al dettame della legge? Ecco perché abbiamo il dovere di operare tutti per dare un'educazione civica, democratica e repubblicana a tutti i cittadini indistintamente, ufficiali, soldati e agenti di PS compresi.

Questo lo dobbiamo fare anche elaborando delle leggi che, per le loro stesse formulazioni, esprimano chiaramente il contenuto e lo spirito della nostra Costituzione, il contenuto e lo spirito della nostra democrazia; dicano chiaramente, specialmente a chi ha il dovere di assicurare ai cittadini il libero esercizio dei loro diritti, che cosa può e che cosa deve fare, e ciò che non può e ciò che non deve fare, Ufficiali, soldati e agenti di polizia e di tutte le forze armate devono sapere che essi sono a presidio della Repubblica e delle istituzioni democratiche, e non al servizio di un partito che, col voto e senza voto, monopolizza il potere, e con tale monopolio tende a dimostrare, con l'aiuto di leggi infide, equivoche o volutamente reticenti, che con la prepotenza tutto si può fare. La prepotenza può chiamarsi SIFAR, SID, CIA, può chiamarsi in tanti altri modi.

Gli ufficiali, i soldati, gli agenti di PS, i carabinieri, graduati o no, devono sapere che essi commettono un delitto, violano la legge quando, con o senza violenza fisica, impongono ai cittadini disposizioni ed ordini che siano in contrasto con la Costituzione e con le leggi della Repubblica; e devono altresì sapere che essi hanno il dovere di non ubbidire a ordini, da chiunque impartiti, che siano in contrasto con le leggi della Repubblica.

Che vale, on. colleghi, affermare e sancire, come fa l'art. 52 della Costituzione, che l'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica? Che vale ripetere ad ogni momento che le forze armate sono il presidio della nostra Repubblica, se poi noi facciamo delle leggi di PS che, quando non dicono il contrario, sono monche, sono equivoche, si prestano a qualsiasi interpretazione?

Noi abbiamo bisogno di avere delle leggi chiare che parlino all'intelligenza, che parlino al cuore di ogni cittadino, di ogni soldato, di ogni ufficiale, di ogni agente; che parlino in modo talmente chiaro da garantire che essi ubbidiranno sempre in difesa della Repubblica, in difesa della nostra Costituzione, in difesa della democrazia, e che non ubbidiranno mai a danno della Repubblica e contro i nostri ordinamenti democratici e repubblicani. Le nostre forze armate devono sentire soprattutto come dettame di coscienza, ma anche perché sta scritto nelle nostre leggi, che esse sono veramente a presidio non di un qualsiasi Stato, ma dello Stato democratico e repubblicano, sono a presidio delle istituzioni democratiche del nostro paese.

Che vale sciacquarsi continuamente la bocca con parole solenni quali «il senso dello Stato», quando poi noi elaboriamo delle leggi che, anziché creare, distruggono o quanto meno non aiutano il cittadino a formarsi il senso dello Stato? Ha il senso dello Stato chi intanto sa che cosa è questo Stato, da che cosa esso è sorto, su che cosa poggiano le nostre istituzioni. E non si venga a dire che noi vogliamo sovvertire o anche soltanto politicizzare le forze armate e le forze di polizia. Sono altri che le vogliono politicizzare e sovvertire; siete voi colleghi della maggioranza che le sovvertite quando presentate e sostenete il disegno di legge governativo, quando mettete queste forze armate al servizio di un partito o di un preteso Stato di diritto al di fuori e al di sopra della Costituzione.

La funzione delle forze armate e dell'autorità di PS è di essere a presidio e a tutela dello Stato democratico — l'aggettivo ci vuole — della Repubblica fondata sul lavoro, a tutela dei cittadini di questa Repubblica i quali, in base alla nostra Costituzione, devono altresì sapere quali sono i loro diritti e i loro doveri. Questi princìpi noi dobbiamo ribadire in ogni momento, nella scuola, nella vita e, in primo luogo, nelle leggi che noi elaboriamo: ed è su questi princìpi che devono basarsi i rapporti tra i cittadini e lo Stato, i rapporti tra i cittadini e le autorità.

Non dobbiamo mai avere il timore di essere troppo chiari in proposito. Noi abbiamo troppi precedenti, e non soltanto in Spagna o in Grecia o in altri continenti, ma anche in Italia. II nostro paese ha pagato troppo cara la mancanza di educazione civica dei cittadini e delle stesse forze armate, ha pagato troppo cara l'ubbidienza non alle leggi dello Stato, non allo statuto, ma l'ubbidienza cieca alla violenza, agli ordini illegali di coloro che avevano usurpato il potere, l'ubbidienza cieca agli arbitrii e alle violenze della tirannide. Basterebbe ricordare la situazione in cui ci siamo trovati nel nostro paese dopo l'8 settembre 1943 (senza parlare dell'ottobre 1922). A chi avrebbero dovuto ubbidire le autorità di PS, gli ufficiali, gli agenti, i militi, i carabinieri e tutti i cittadini? Alle ordinanze del governo Badoglio o a quelle del fantomatico governo di Mussolini e della Repubblica di Salò?

Contro la schedatura e lo spionaggio

Ed è estremamente sbalorditivo che da parte vostra si siano respinti gli articoli cosi chiaramente conformi ai dettami della nostra Costituzione, come quelli da noi presentati nel nostro disegno di legge, ossia gli artt. 3, 5, 6 e 7.

L'art. 3 del nostro disegno di legge dice: «Al fine di garantire ai cittadini l'imparzialità della pubblica amministrazione, è vietato in qualsiasi circostanza, per qualsiasi fine e sotto ogni forma, impartire ordini, disposizioni, istruzioni che comportino un'attività comunque contraria all'uguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.» Ecco un principio della nostra Costituzione tradotto in un articolo della nostra legge.

Perché lo si respinge?

Leggo l'art. 5: «È vietato schedare i cittadini, in base alla fede religiosa, alle opinioni politiche, all'appartenenza ad organizzazioni politiche, sindacali, cooperative, assistenziali e culturali: nonché in base alle attività che essi svolgono appartenendo alle predette organizzazioni o simpatizzando per esse.» È ancora un altro dei princìpi fondamentali della nostra Costituzione tradotto in un articolo di questa legge; perché lo si respinge? Art. 6: «È vietato a chiunque, anche se investito di pubbliche funzioni, agli organi politici dello Stato nonché agli organi della pubblica amministrazione, chiedere per qualsiasi finalità all'autorità di PS, alla polizia giudiziaria, alle agenzie di investigazioni o agli investigatori privati, informazioni sulla fede religiosa o politica, nonché sull'attività religiosa, politica, sindacale del cittadino.

«Se le predette informazioni sono richieste non devono essere fornite. Se sono fornite, nonostante il divieto, di esse non si deve tener conto.

«È vietato all'autorità di PS, alla polizia giudiziaria, alle agenzie di investigazioni e agli investigatori privati, fornire le informazioni di cui al primo comma, anche nelle denunce, nei rapporti, nelle testimonianze dell'autorità giudiziaria o amministrativa, nonché alle autorità politiche e agli organi della pubblica amministrazione.»

Questi sono tutti principi della nostra Costituzione che vengono tradotti letteralmene, senza una parola in più o in meno, in articoli della legge di PS, ma vengono tutti respinti, il che significa che per qualcuno in quest'aula la nostra Costituzione è soltanto un pezzo di carta, la si accetta come una enunciazione generica, ma quando si tratta di tradurla in articoli di legge, allora la si respinge!

Il rifiuto di accogliere uno solo di questi articoli è la migliore conferma, anzi è la confessione piena — come potreste negarlo? — della esistenza dei servizi di segnalazione, di informazione, di schedatura di cittadini onesti, incensurati ma registrati soltanto perché professano fede religiosa e ideali o militano in un partito o associazioni politiche, sindacali, cooperative, culturali non gradite al gruppo di maggioranza della Democrazia Cristiana che detiene le leve del potere; questa è una piena confessione, da parte vostra, della discriminazione, della persecuzione in atto nei riguardi di cittadini italiani in base alle loro opinioni politiche e della vostra proterva volontà di continuare tali discriminazioni e persecuzioni, perché di questo si tratta, Molti di noi, della nostra parte politica, siamo schedati da 50 anni, ma questo non ci fa né caldo né freddo, né ci interessa conoscere se queste schedature si trovino presso il SIFAR, il ministero dell'Interno o l'OVRA, non ci importa nulla; ma per gran parte di cittadini che devono trovare un impiego, un lavoro, una occupazione presso aziende pubbliche o private, quelle segnalazioni, quelle schedature, quelle informazioni che vanno da una caserma all'altra e dalle caserme spesso direttamente alle direzioni aziendali, non soltanto sono causa di una iscrizione qualsiasi, ma spesso determinano la non assunzione al lavoro o il licenziamento e la disoccupazione.

Quante volte noi abbiamo portato qui a lei, on. Taviani, prove, documenti inoppugnabili, fotocopie sull'esistenza di questi servizi di informazioni, di queste schedature, lei sa benissimo che si tratta di documenti autentici anche se mai una sola volta abbiamo avuto la più scarna delle giustificazioni, né vale la pena di portarne altre per provare ciò che tra l'altro nessuno nega.

L'on. Andreotti, ad un deputato che l'aveva interrogato sui licenziamenti avvenuti da parte del ministero della Difesa di dirigenti attivisti sindacali, ex partigiani, ex decorati soltanto per la loro appartenenza a sindacati o a partiti di sinistra, ha risposto con parole che, per non usare altri termini, io definirei spiritose: «Non risulta che il ministero abbia mai licenziato chicchessia per i motivi lamentati dagli interroganti», come se fosse il ministero a licenziare direttamente! Non si possono efficacemente difendere le istituzioni democratiche se non ci si preoccupa di difendere tutti i cittadini e tutti i lavoratori che sono la forza principale sulla quale queste istituzioni possono contare, dobbiamo preoccuparci di difendere i diritti e le libertà di ogni cittadino.

L'on. Taviani recentemente ha dichiarato qui e alla Camera di assumersi tutta intera la responsabilità di quanto è stato fatto dai servizi della Difesa nel periodo in cui egli ha retto quel dicastero. Ciò però equivale anche a dire che le schedature sono state fatte e che oggi l'on. Taviani, come ministro dell'Interno, continua a far schedare i cittadini che egli e le autorità subordinate ritengono appartenere a determinati partiti di sinistra.

Non sono trascorsi molti giorni da quando l'on. Tremelloni proclamava nell'altro ramo del Parlamento che la fiducia nelle istituzioni non viene scossa quando si scopre che qualche cosa nella macchina dello Stato ha funzionato male se, nel medesimo tempo, si ha la certezza che a quel difetto viene posto severo riparo. Ma quale fiducia possono mai avere i cittadini nelle nostre istituzioni quando vedono che noi elaboriamo delle leggi difettose, in stridente contrasto con i dettami della Costituzione, delle leggi che non parlano chiaro, che non affermano neppure il principio che la nostra è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, che sembrano fatte apposta per favorire, per consolidare dei metodi, dei costumi, dei sistemi che erano si in armonia col regime dittatoriale, ma che suonano offesa ai principi basilari della nostra Costituzione democratica e repubblicana e che, quanto meno, non aiutano tutti i cittadini, dai lavoratori, contadini, operai, intellettuali agli agenti, ai militi, agli ufficiali di PS, ai soldati e agli ufficiali delle forze armate, a formarsi una profonda coscienza civica?

È con questo spirito che noi discutiamo questo disegno di legge e che presenteremo gli emendamenti che esso esige. È vero — l'abbiamo detto tante volte (e forse qualche volta ripetere giova) — che nessuna legge scritta sulla carta è mai servita a garantire i diritti dei cittadini, a salvare le libertà e la democrazia se a presidio di questi diritti, a presidio della democrazia e della nostra Repubblica non stanno la coscienza democratica di chi sta in alto e di chi sta in basso, la coscienza e la fede democratica di tutto un popolo.

Se questo è vero, non è però meno vero che noi abbiamo tuttavia il dovere di elaborare delle leggi che corrispondano nella lettera e nello spirito ai dettami di quella Costituzione e di quella Resistenza spesso da tutti richiamate nelle celebrazioni, ma dimenticate quando si tratta di operare in modo conseguente per il consolidamento della Repubblica democratica, della libertà e della pace.

*) Discorso tenuto al Senato, il 22 maggio 1967.
L'on. Taviani, ministro dell'Interno (del terzo ministero Moro) aveva presentato al Parlamento il 12 luglio 1966, di concerto col ministro di Grazia e Giustizia on. Reale, un disegno di legge di riforma della legge di PS.
Esso aggravava per alcuni aspetti la legge di PS, ancora in vigore, promulgata dal regime fascista il 18 giugno 1931, legittimando gli arbitri e le vessazioni poliziesche contro i singoli cittadini, e chiedendo una delega in bianco concessa al governo di poter instaurare con decreto-legge lo stato di emergenza.
L'editore Feltrinelli pubblicava i due discorsi del sen. Secchia, quello del 22 maggio e quello che segue del 16 giugno 1967 con un commento nel quale tra l'altro era detto: «Per questo bisogna lottare oggi contro la legge proposta dall'on. Taviani, a nome e per conto della destra italiana e dell'imperialismo americano. Illudersi che la battaglia di oggi sia una battaglia definitiva sarebbe sbagliato. Ma sarebbe un'imperdonabile colpa illudersi che si possa rimandare a domani tale battaglia: ciò significherebbe comprometterne irrimediabilmente e fin da oggi l'esito.

«Gli interventi dell'on. Secchia, vice-presidente del Senato, sul progetto di legge attualmente in discussione puntualizzano efficacemente i pericoli della riforma proposta dall'on. Taviani. Essi rappresentano il contributo più concreto offerto finora dall'opposizione per chiarire la portata negativa di questa legge e per sottolineare la necessità di opporsi alla sua promulgazione. Sono quindi lieto di presentarli al pubblico italiano, che certo non ha ancora avuto occasione di leggerli e di studiarli.»

Non può non essere sottolineato che tale disegno di legge dell'on. Taviani venne presentato da un governo di centro-sinistra, ma venne poi insabbiato e non ottenne l'approvazione del Parlamento.


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