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a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino


Dizionario enciclopedico marxista


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G

Gauchismo, Genere e specie, Giacobinismo, Guerra, Guerriglia,

 

Gauchismo

 

Per gauchismo s'intende la teoria e la pratica di quell'insieme di movimenti, aventi caratteristiche e dimensioni diverse, comparsi negli ultimi tempi in tutta Europa e che intendono porsi, con diverse sfumature, a sinistra dei partiti tradizionali della classe operaia. Sostanzialmente si propongono come alternativa al marxismo-leninismo, nel presupposto che ogni intervento direttivo e organizzativo centralizzato sul movimento costituisca un'interferenza perturbatrice del movimento stesso; da qui il disconoscimento dalla validità di tutte le rivoluzioni di questo secolo.

Poiché la coscienza rivoluzionaria nasce dalla lotta, il gauchismo vuol anche essere la teoria del movimento rivoluzionario nel suo farsi concreto, quindi rifiuta ogni autoritarismo, ogni centralizzazione, ogni organizzazione dall'alto, per lasciare spazio invece al volontarismo rivoluzionario e alla coscienza socialista. Ne deriva una pratica estesa a tutti i fronti come lotta all'alienazione in ogni sua forma (psicologica, sessuale, ideologica, culturale ed economica) e con ogni mezzo.

Nel gauchismo confluiscono tendenze spontaneistiche, estremistiche, anarcoidi, ecc. (Anarchismo, Estremismo, Settarismo, Spontaneismo) che, con connotazioni diverse a seconda del luogo e del tempo in cui sono comparse, sono però presenti in tutta la storia del movimento operaio. Il loro limite è già stato evidenziato da Marx ed Engels e più tardi da Lenin; in sintesi si potrebbe dire che esso risiede proprio nella definizione che il gauchismo dà di se stesso, cioè di teoria alternativa al marxismo-leninismo e nell'assenza di un autentico rapporto dialettico fra teoria e prassi.

Genere e specie

 

Nel linguaggio scientifico, soprattutto della biologia, la specie è un insieme di organismi viventi (individui) animali e vegetali che hanno tra loro e nei confronti degli ascendenti, caratteri comuni, che li distinguono da tutti gli altri individui, i quali a loro volta possono essere raggruppati in altre specie. Il genere è l'insieme di specie che hanno tra loro caratteri comuni che permettono di distinguerle da altri generi.

Genere e specie sono divenuti concetti scientifici nel senso moderno della parola, acquistando un significato preciso, solo in seguito al grande sviluppo del lavoro di classificazione e di studio comparato dei caratteri degli organismi viventi, che ha ricevuto un impulso decisivo dalle scoperte fatte nei secoli XVIII e XIX in questo settore della ricerca biologica.

In un significato più ampio i concetti di genere e specie sono spesso stati oggetto di «discussioni filosofiche» in cui apparivano non come strumenti, di analisi scientifica e di classificazione, ma come «qualità» inerenti a una presunta «essenza» del mondo naturale. Per quanto riguarda le discussioni filosofiche sul «genere umano» esso veniva inteso come caratterizzato da qualità immutabili, indipendenti dall'attività umana e dalla sua storia, e che provenivano all'uomo da una sorta di «differenza di principio» dal resto del mondo naturale, spiegata e giustificata prevalentemente sulla base di argomentazioni a sfondo religioso.

Attualmente la filosofia, o almeno quell'ambito della ricerca filosofica che presta maggiore attenzione ai problemi delle scienze esatte e naturali, ha abbandonato le polemiche «metafisiche» sulle definizioni di genere e specie, riconoscendo l'importanza del significato scientifico di questi concetti, la cui elaborazione spetta soltanto alla scienza. Marx affrontò, all'interno di una critica generale del «lavoro alienato» (Alienazione), il problema di una definizione di «genere umano» che fosse adeguata a una concezione storica e dialettica dell'«umanità», anche sul terreno filosofico, nel nuovo significato da lui attribuito alla filosofia. Secondo Marx la caratteristica del genere umano (dal punto di vista storico-filosofico, naturalmente, e non strettamente biologico) è quella di svolgere un'attività vitale consapevole:

«L'animale fa immediatamente uno con la sua attività vitale, non si distingue da essa, è essa. L'uomo fa della sua attività vitale stessa l'oggetto del suo volere e della sua coscienza... L'attività vitale consapevole distingue l'uomo direttamente dall'attività vitale animale. Proprio solo per questo egli è un ente generico» (Manoscritti economico-filosofici, in Opere III, p. 303).

Cioè: proprio solo per questo l'uomo fa parte di un genere. Ma questa attività vitale, che è essenzialmente il lavoro, in tutte le sue forme e manifestazioni, è «la pratica produzione di un mondo oggettivo, la lavorazione della natura inorganica»; nella società capitalistica il lavoro è oppresso e sfruttato dal capitale, è una merce, non un fine consapevole, ma qualcosa di imposto. Il lavoro alienato, cioè quello che non appartiene a colui che lo compie, ma al capitale, priva l'uomo della caratteristica specifica che lo rende parte del genere umano.

Infatti, se l'uomo non può svolgere il suo lavoro liberamente e con la consapevolezza che il lavoro è ciò che gli permette di realizzarsi come uomo, se cioè egli deve vendere il suo lavoro, o meglio la sua forza-lavoro, non può più essere uomo, ma diventa una cosa (Reificazione). In un certo senso dunque l'uomo deve essere restituito al genere umano, e ciò può avvenire solo a condizione che il lavoro sia libero e cosciente (Socialismo, Comunismo).

«Poiché il lavoro alienato 1) aliena all'uomo la natura, e 2) aliena all'uomo se stesso, la sua attiva funzione, la sua attività vitale, aliena così all'uomo il genere; gli riduce così la vita generica (Gattungsleben = vita del genere) ad un mezzo della vita individuale. In primo luogo estrania l'una all'altra la vita generica e la vita individuale, in secondo luogo fa di quest'ultima nella sua astrazione lo scopo della prima, parimente nella sua forma astratta e alienata» (ivi, p. 302).

Giacobinismo

 

In senso storico si riferisce all'insieme delle idee e dei metodi politici propri dei Giacobini, particolarmente nel periodo in cui furono guidati da Robespierre.

Per analogia in campo marxista la parola indica la tendenza a considerare in termini se non esclusivamente almeno prevalentemente politici i rapporti tra le classi, lasciando in secondo piano le questioni essenziali della società e dello Stato; in pratica ciò vuol dire che un programma d'azione non colpisce la fonte reale del potere borghese, cioè il suo specifico modo di produzione, ma si limita a contrastarne le attività sul piano politico.

Guerra

 

E' il conflitto con l'impiego di forze militari tra due o più nazioni. Nella storia dell'umanità il ricorso alla forza organizzata (esercito) per decidere i contrasti di qualsiasi natura, rivendicazioni territoriali, questioni dinastiche, espansione commerciale, e via dicendo, è un evento costante e così frequente da essere ritenuto nell'opinione comune alla stessa stregua di una calamità naturale.

Per Marx ed Engels la natura della guerra è essenzialmente economica e direttamente collegata alla lotta della classi; sotto questo profilo non può esistere la «guerra» in senso generale ma singole guerre le cui caratteristiche, e quindi la valutazione che ne deriva, dipendono dalle ragioni economico-sociali che ne sono alla base.

La «guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (e precisamente con mezzi violenti). Questa celebre espressione appartiene ad uno dei più profondi scrittori dei problemi militari, Clausewitz. Giustamente i marxisti hanno sempre ritenuto questa tesi come la base teorica del modo di considerare il significato di ogni guerra. Marx ed Engels hanno sempre considerato le varie guerre precisamente da questo punto di vista» (Lenin, Il Socialismo e la guerra, p. 22).

Il marxismo, nel definire alcuni tipi storici di guerra, ne individua due caratteristiche fondamentali, che forniscono anche criteri di valutazione in senso positivo o in senso negativo: le guerre «difensive» e quelle di «aggressione». Così nel periodo che va dalla Rivoluzione francese alla Comune di Parigi (1789-1871) le guerre tra le nazioni hanno essenzialmente un carattere «borghese progressivo» nel senso che ad esse seguono rivolgimenti interni che mutano il vecchio assetto sociale e portano alla ribalta idee e esigenze più avanzate. Le guerre di questo periodo sono «difensive» e possono essere considerate «giuste» in quanto il loro fine è l'abbattimento del feudalesimo e dell'assolutismo, il che giustifica anche la presenza del proletariato accanto alla borghesia.

Guerre difensive sono ovviamente le guerre civili di tutti i tempi e le rivoluzioni; secondo Engels «il diritto alla rivoluzione» è del resto il solo vero «diritto storico», l'unico su cui riposano tutti gli Stati moderni senza eccezione; giuste sono le guerre di liberazione dei popoli che si ribellano al giogo imperialista delle grandi potenze.

Al contrario le guerre degli Stati imperialisti sono sempre e solo di «aggressione», perché motivate dalla «conservazione artificiale del capitalismo mediante le colonie, i monopoli, i privilegi e le oppressioni».

Le attuali guerre di liberazione dei popoli del cosiddetto Terzo mondo, quale che sia la classe che le dirige, sono oggettivamente progressive perché si rivolgono contro l'imperialismo, e trovano perciò il loro naturale alleato nella classe operaia di questi paesi.

Guerriglia

 

E' la forma di lotta armata che consiste nel costringere il nemico ad affrontare numerosi combattimenti isolati, in cui si trovi in condizioni di inferiorità. Secondo la concezione marxista la guerriglia è l'applicazione tattica del principio strategico (Strategia e tattica) della guerra di popolo di lunga durata per la liberazione nazionale, che permette, attraverso la mobilitazione popolare, di realizzare un legame diretto tra lotta politica e organizzazione militare. I movimenti di liberazione dei paesi del Terzo Mondo utilizzano ampiamente questa forma di lotta, poiché per attuarla non è necessario disporre di strumenti bellici estremamente costosi e raffinati. Durante la resistenza contro il nazifascismo in Italia, in Jugoslavia, nell'URSS, e in altri paesi europei le formazioni partigiane hanno adottato prevalentemente questa tattica (Strategia e tattica).