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Gramsci, l'autonomia del marxismo e la lotta contro la revisione

Alessandro Mustillo | senzatregua.it

Estratti della prima e seconda parte dell'incontro di formazione per i militanti del FGC tenuto a Roma il 1 novembre 2013.

L'argomento che tratteremo oggi è allo stesso tempo argomento principale e premessa: una sorta di filo conduttore generale senza il quale è impossibile leggere il pensiero di Gramsci, e che allo stesso momento è fondamentale per controbattere ad alcune letture della figura di Gramsci piuttosto diffuse ai giorni nostri. Per far questo ci baseremo sulla lettura del decimo e dell'undicesimo dei quaderni dal carcere. Si tratta di due quaderni scritti tra il 1932 ed il 1933, rielaborando una serie di appunti su argomenti di filosofia, già contenuti nei precedenti quaderni. Una prima sistematizzazione di alcuni argomenti, che serviva come appunto per un corso di formazione filosofica, che ci concede di basarci su materiale rimaneggiato e quindi meno approssimativo, rispetto ad altri quaderni, sebbene in ogni caso Gramsci concepisca ancora quel lavoro come parziale e non definitivo. In questi due quaderni è contenuta la riflessione politica di Gramsci sulla doppia revisione che il marxismo ha subito negli anni,  una riflessione che non si limita a questi quaderni, ma che continua anche successivamente, come testimonia il caso degli appunti presenti nel sedicesimo quaderno, che saranno qui citati.

Gramsci conduce una vera e propria lotta contro quella che lui stesso definisce come "doppia revisione" del marxismo. Questa lotta sul terreno teorico è volta a ricostruire quell'unità ideologica tra materialismo e dialettica, conquista essenziale del marxismo, che negli anni era andata perdendosi. Scrive Gramsci nel sedicesimo quaderno: «Il laceramento avvenuto per l'hegelismo si è ripetuto per la filosofia della praxis, cioè dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica ha cercato di incorporare ciò che della filosofia della praxis le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir». Dunque  per Gramsci occorre ristabilire quell'unità, che è  premessa teorica dell'autonomia del marxismo dalla filosofia pre-esistente, e dunque sua caratteristica rivoluzionaria. E allo stesso tempo rigettare ogni riduzione del marxismo al materialismo precedente e all'idealismo.

È bene ripetere in questa sede la considerazione fatta sulla terminologia gramsciana nell'introduzione. Quando Gramsci parla di filosofia della praxis lo fa perché si trova in carcere ed evita nei suoi appunti di citare esplicitamente il termine marxismo. Per Gramsci in carcere filosofia della praxis è marxismo. Qualcuno, limitando la lettura della condizione storica di Gramsci, afferma che l'utilizzo è intenzionale per ragioni teoriche, ossia perché Gramsci fa propria la definizione gentiliana del marxismo. L'argomento posto in questo modo – Gramsci discepolo di Gentile – non è condivisibile ed è fuorviante. Non lo è innanzitutto perché basta leggere gli scritti di Gramsci prima del carcere per vedere come egli parli di marxismo e non di filosofia della praxis, dunque Gramsci – come sarà evidente alla fine di queste riflessioni – non è contrario all'utilizzo del termine marxismo, non esprime un rifiuto di concepire l'insegnamento di Marx come sistema teorico definito. Vedremo come proprio la sua opera sia orientata nella direzione, opposta al punto da rivendicare l'autonomia della teoria marxista Né è condivisibile affermare che Gramsci si ponga sul terreno della definizione gentiliana per condivisione della visione di Gentile su Marx. Se una ragione teorica si vuole trovare, sempre subordinata a quella materiale della condizione della prigionia di Gramsci, va vista più che altro nel discorso di lottare contro l'analisi che il neoidealismo faceva di Marx, proprio partendo dalla definizione del marxismo che veniva data dall'avversario. Gramsci quando scrive queste riflessioni, vuole colpire sul terreno teorico il campo avversario, e dunque accetta di usare la definizione del marxismo che era in voga nel dibattito filosofico italiano, rendendo in questo modo più immediata la sua critica. Fatta questa premessa torniamo ad analizzare quanto afferma Gramsci.

«E' avvenuto che la filosofia della praxis ha subito realmente una doppia revisione teorica, cioè è stata sussunta in una doppia combinazione filosofica. Da una parte alcuni suoi elementi, in modo esplicito o implicito, sono stati assorbiti ed incorporati in alcune correnti idealistiche (basta citare il Croce, il Gentile, il Sorel, lo stesso Bergson…); dall'altra i cosiddetti ortodossi, preoccupati di trovare una filosofia che fosse, secondo il loro punto di vista molto ristretto, più comprensivo di una «semplice» interpretazione della storia, hanno creduto di essere ortodossi identificandola fondamentalmente nel materialismo tradizionale.»  Gramsci ci dice anche chi sono gli artefici di questa doppia revisione del marxismo, che egli individua, da una parte in alcuni «intellettuali puri» che hanno tentato di sussumete il marxismo nella filosofia idealistica, assimilandone alcuni elementi, dall'altra parte nelle «personalità intellettuali più spiccatamente dedite all'attività pratica» e più legate alle grandi masse. Sarà bene procedere nell'analizzare questa doppia revisione, spiegando la posizione di Gramsci, alla luce del contesto storico partendo dalla prima, perché storicamente anteriore, ossia la riduzione del materialismo storico al materialismo pre-marxista. L'analisi di questa revisione è contenuta nei capitoli dedicati al saggio popolare di Bucharin, ma per comprenderne a fondo la portata, e capire lo sviluppo storico della prima revisione del marxismo, sarà bene partire dal contesto all'interno del quale si è formata, e da come si sviluppa storicamente l'ortodossia marxista che Gramsci critica.

La prima revisione: la riduzione del marxismo al materialismo pre-marxista.

Leggendo la critica che Gramsci rivolge ai cosiddetti "ortodossi" qualcuno è caduto nel tranello di vedere in queste parole una critica di Gramsci al movimento comunista e in particolare al marxismo-leninismo. In realtà si tratta di un errore dovuto alla discrepanza tra il significato che il termine ortodossia e gli aggettivi derivanti avevano all'epoca di Gramsci rispetto al significato odierno. Se ai giorni nostri si utilizza la definizione di ortodossia per il marxismo-leninismo, si parla di marxisti o comunisti "ortodossi" in riferimento ai partiti che ancora di definiscono comunisti dopo la fine dell'Unione Sovietica, al tempo di Gramsci per "ortodossia" si intendeva tutt'altro. È necessario allora fare qualche passo indietro nella storia ed entrare nel dibattito teorico che Gramsci ha a mente quando parla di revisione del materialismo storico in materialismo volgare.

Quando Gramsci parla di ortodossi volge certamente lo sguardo alla seconda internazionale, ed in modo particolare al dibattito interno alla SPD tedesca, con le sue proiezioni su tutto il movimento operaio europeo. I marxisti "ortodossi" altro non erano che quella parte della socialdemocrazia tedesca, e di riflesso della seconda internazionale che vedevano in Karl Kautsky, in quel dato momento storico il proprio riferimento teorico e politico. Kautsky si era guadagnato una grande fama per essere stato a lungo a contatto con Marx ed Engels, in modo particolare di quest'ultimo, ed aver curato successivamente alla loro morte la pubblicazione di alcuni scritti. Kautsky si era inoltre pronunciato sempre per il mantenimento dell'unità teorica degli scritti di Marx ed Engels, guadagnandosi per l'appunto una enorme fama di teorico marxista, che lo rese senza dubbio la figura più eminente della seconda internazionale.

Quando nel 1899, Bernstein con il suo libro «Le premesse del socialismo» aprirà la stagione del revisionismo politico, Kautsky rappresenterà nel dibattito politico interno alla SPD e alla seconda internazionale, il punto di riferimento di quanti si opponevano al revisionismo di Bernstein. Per capire quanto l'attacco lanciato nel 1899 fosse profondo, vale la pena – in un corso di formazione come questo – di spendere qualche parola su questa fase politica, che è indispensabile per comprendere appieno il successivo dibattito ed anche il contesto ed il pensiero di Gramsci.

La critica di Bernstein verteva sulla richiesta che la socialdemocrazia si emancipasse da «una fraseologia [rivoluzionaria ndr] che è di fatto superata» e più specificatamente di «conseguire la trasformazione socialista della società attraverso il mezzo delle riforme democratiche ed economiche.» Per capire quanto fu forte l'impatto della critica di Bernstein e quanto radicalmente investisse il pensiero di Marx ed Enegels, basta citare un'affermazione di Rosa Luxemburg che elevò il libro di Bernstein a manifesto dell'opportunismo. «La corruzione bernsteiniana è stato il primo ma anche l'ultimo tentativo di dare un fondamento teorico all'opportunismo. Diciamo l'ultimo perché nel sistema bernsteiniano sono proceduti così oltre, negativamente il rinnegamento del socialismo scientifico, positivamente l'eclettismo e la confusione teorica che non resta più altro da aggiungervi.» Tra coloro che con più forza si opposero a Bernstein c'era Kautsky che al contrario affermò che la socialdemocrazia non avrebbe potuto essere «un partito che si limiti a riforme democratico-socialiste, esso deve diventare un partito della rivoluzione.»

Quando Gramsci critica gli ortodossi non si pone certo sul terreno del revisionismo di Bernstein, ma su elementi teorici e politici che analizzeremo tra poco. Tuttavia la critica gramsciana all'ortodossia si inserisce pienamente nella critica che i comunisti rivolgeranno alla socialdemocrazia e a Kautsky, e non ha nulla a che vedere – come è ovvio – con il revisionismo di Bernstein. Basta citare a tal proposito il giudizio di Gramsci su Bernstein al quale rimprovera: «sotto l'apparenza di una interpretazione "ortodossa" della dialettica, una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico… il concetto di evoluzione volgare naturalistico, viene sostituito con il concetto di svolgimento e sviluppo» Per Gramsci appare oltretutto paradossale perché Bernstein «ha cercato le sue armi nel revisionismo idealistico, che avrebbe dovuto portarlo invece a valutare l'intervento degli uomini come decisivo nello svolgimento storico.» Mentre in Bernstein – sostiene Gramsci – si finisce con valutare l'intervento umano in modo unilaterale «come tesi, ma non come antitesi; efficiente come tesi, ossia nel momento della resistenza e della conservazione, è rigettato come antitesi, ossia come iniziativa e spinta progressiva.» In ultima analisi per Gramsci, parallelamente al revisionismo politico, Bernstein costruisce una teoria della passività.

Questo sguardo sul dibattito politico interno alla SDP agli albori del XX secolo, ci ha aiutato a contestualizzare storicamente alcuni passaggi, ma non ci ha ancora detto molto sulla critica gramsciana alla cosiddetta ortodossia marxista. Gramsci aveva affermato che «i cosiddetti ortodossi…hanno creduto di essere ortodossi identificando [il marxismo ndr] fondamentalmente nel materialismo tradizionale.» A cosa si riferisce Gramsci? Al passaggio di revisione teorica che l'ortodossia marxista – ossia la parte legata a Kautsky nella seconda internazionale – aveva portato avanti, corrompendo il marxismo con elementi derivati delle scienze naturali. Questi elementi erano poi stati riportati nell'analisi storica e politica. In modo particolare si era innestato un nesso tra marxismo e darwinismo, che Kautsky riteneva entrambe teorie dell'evoluzione. Era stato facile allora vedere il parallelismo, e costruire una teoria dell'evoluzione dal capitalismo al socialismo, che faceva leva su una distorsione dell'analisi economica marxiana e si traduceva nel determinismo assoluto, e nell'attendismo politico. Mentre Engels con l'Antidhuring (e poi Lenin con «Materialismo ed empirocritisicmo») si era sforzato, di fronte alla contaminazione storica che si stava verificando tra socialismo e positivismo, di rovesciare questo processo, inserendo una visione dialettica anche in ambito naturale, l'ortodossia marxista farà il processo contrario introiettando elementi derivati dalle scienze naturali – elementi di tipo meccanicistico – all'interno del marxismo, corrompendolo e generando per usare l'espressione di Gramsci nel descrivere quanto storicamente accadrà «capitomboli di non poca importanza storico politica».

Sulla base di questa teoria erronea la seconda internazionale e la SPD si caratterizzano per l'attesa che la rivoluzione si compia da sé. Per esemplificare questo modo di pensare basta citare Kaustky il quale affermava che «il nostro compito, non è quello di organizzare la rivoluzione, ma di organizzarci per la rivoluzione, non fare la rivoluzione, ma usarla». Si riteneva che il processo descritto da Marx, così come l'evoluzione darwiniana, fosse un processo in grado di realizzarsi da sé, nel momento in cui le condizioni economiche fossero state sufficientemente mature. Alcuni accusano Engels di aver avvalorato questa linea di pensiero negli ultimi anni della sua vita, ma si tratta di un errore. E' esemplificativo in questo senso quanto scritto in relazione all'articolo sulla lotta di strada (pubblicato poche settimane fa da senzatregua) e su come Engels si infuriò nel vedere tagliate alcune parti dell'articolo, tali da farlo apparire un "pacifico fautore della legalità ad ogni costo" (vedi http://www.senzatregua.it/?p=504) .

Da questa errata lettura del pensiero di Marx, derivò l'incapacità politica di agire nel contesto europeo dei partiti socialdemocratici, i quali finirono per caratterizzarsi per la loro passività politica. Gramsci da una spiegazione storica di questo fatto. Non a caso imputa la revisione del marxismo in questo senso, a quelle personalità dedite all'attività politica che si trovarono a dover fare i conti con il pensare sostanzialmente metafisico delle grandi masse. Gramsci da dunque una spiegazione, che non è assolutamente una giustificazione politica, anzi. Per Gramsci «il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente ed ostinata. "Io sono sconfitto momentaneamente, ma la forza delle cose lavora per me a lungo andare ecc." La volontà reale si traveste in un atto di fede, in una certa razionalità della storia, in una forma empirica e primitiva di finalismo appassionato, che appare come un sostituto della predestinazione, della provvidenza, delle religioni confessionali.» Ma Gramsci che spiega questo fenomeno a livello di massa, proprio per l'arretratezza culturale delle masse e il loro essere abituate al pensiero metafisico, accusa i dirigenti politici. «Occorre sempre dimostrare la funzionalità del determinismo meccanico, che spiegabile come filosofia ingenua della massa e in quanto solo tale elemento intrinseco di forza, quando viene assunta a filosofia riflessa da parte degli intellettuali, diventa causa di passività…» Esattamente quello che accadde nei partiti socialdemocratici.

La storia degli anni seguenti è nota. Con la rivoluzione d'Ottobre, si ebbe la prima dimostrazione storica del fatto che il processo di passaggio dal capitalismo al socialismo, lungi dall'essere determinato storicamente nella forma di un'evoluzione graduale, intrinseca e spontanea, necessitava di un atto cosciente e determinato da parte di un soggetto rivoluzionario. Un atto che si configurava senza alcun dubbio come rottura, come passaggio qualitativo, che sfugge ad ogni logica di evoluzione naturale meccanica. La storia, risultò chiaro a tutti allora,  per citare Lenin, aveva "bisogno di una spinta", di un soggetto rivoluzionario che, contrariamente a quanto sostenuto dalla seconda internazionale, organizzasse e facesse la rivoluzione. Kautsky che nel frattempo si era guadagnato l'epiteto di "rinnegato", aveva accompagnato – non senza strasci polemici, come nel caso della guerra – la fine della seconda internazionale. Con percorsi differenti alla fine le posizioni con il revisionismo bernsteinano vennero praticamente a coincidere dal punto di vista politico sostanziale. «Il fine della nostra lotta politica rimane sempre quello che è stato finora: conquista del potere statale attraverso la conquista della maggioranza in Parlamento ed elevazione del Parlamento a potere del governo. Non certo la distruzione del potere statale.»

L'ortodossia marxista si era rivelata per quello che era: una mistificazione del marxismo, sua riduzione ad una teoria evoluzionistica della società, dove il determinismo, aveva costituito la base per attendismo e passività, preludio del completo tradimento. È contro questa concezione "ortodossa" che Gramsci propone con forza la sua lotta teorica, non di certo contro Lenin, come qualcuno impropriamente ha sostenuto. E allora anche la definizione di ortodossia, che non può più coincidere con una mistificazione del pensiero di Marx, rivelatasi altrettanto problematica se non più del revisionismo esplicito,  per Gramsci «deve essere rinnovata»

 La preoccupazione di Gramsci è che tale processo possa ripartire anche in seno al neo costituito movimento comunista, legato alla terza internazionale. Gramsci prende di mira quello che per tutti i quaderno è denominato "saggio popolare", che altro non è che «La teoria del materialismo storico» di Bucharin. Si tratta di uno dei (tanti) manuali che venivano scritti a scopo didattico formativo, come introduzione allo studio del pensiero di Marx ed Engels. In carcere Gramsci utilizza proprio questo manuale come filo diretto per argomentare la sua critica generale contro la riduzione del materialismo storico al semplice materialismo volgare.

Per Gramsci ciò che fa Bucharin è ridurre il marxismo ad una sociologia, o meglio dividere in due parti nettamente distinte la sociologia e la filosofia, rompendo il nesso dialettico del marxismo. È interessante notare che le accuse che Gramsci rivolge sotto il profilo teorico a Bucharin, sono le stesse che Lenin prima, e il gruppo dirigente di maggioranza del PCUS con lo scontro interno al Partito, tra Stalin e Bucharin, gli rivolge. Nel testamento di Lenin, che Gramsci non conosceva perché sarà edito solo nel 1956 (tenere a mente che resta un documento controverso storicamente) Lenin lodando Bucharin, evidenzia nella sua debolezza proprio l'assenza di dialettica- «Bucharin non è solo il teorico più stimato e più forte del partito, ma è pure considerato legittimamente come il beniamino di tutto il partito; però è molto dubbio che le sue concezioni teoriche possano essere considerate interamente marxiste, dato che in lui c'è qualcosa di scolastico, (egli non ha mai studiato e, credo, non ha mai compreso interamente la dialettica)» Osservazione ribadita anche da Stalin che lo definisce «un teorico senza dialettica».

Gramsci non conosce queste posizioni; quella di Lenin perché come spiegato la versione del testamento che noi conosciamo sarà pubblicata solo nel 1956, mentre il giudizio di Stalin arriva in pieno scontro con Bucharin, tra il 1928 ed il 1929. Gramsci è già in carcere, e quanto riuscirà a carpire da racconti di altri detenuti, non sarà certo il dato dell'assenza di dialettica di Bucharin. Dunque la critica di Gramsci non è né semplice un allineamento acritico in ossequio ad una posizione di maggioranza politica, né una posizione dissimile o in contrasto con quella che aveva il gruppo dirigente del PCUS, a cui era arrivato in modo autonomo e parallelo dallo studio del testo di Bucharin. Questo conferisce evidentemente – a parere di chi scrive – una certa giustificazione teorica delle accuse di errori nell'analisi del marxismo, fatte nei confronti di Bucharin.

Per Gramsci Bucharin è caduto in una contraddizione di fondo. «L'ambiente ineducato e rozzo ha dominato l'educatore, il volgare senso comune si è imposto alla scienza e non viceversa; se l'ambiente è l'educatore esso deve essere educato a sua volta, ma il saggio non capisce questa dialettica rivoluzionaria.» Per Gramsci la lettura di Bucharin contribuisce a far precipitare il marxismo nel materialismo pre-marxista. «La filosofia della prassi tende a diventare una ideologia nel senso deteriore, cioè un sistema dogmatico di verità assolute ed eterne; specialmente quando, come nel Saggio popolare, esso viene confuso col materialismo volgare, con la metafisica della "materia" che non può non essere eterna e assoluta»

In ultima analisi Bucharin finisce per negare implicitamente l'autonomia del marxismo, in quanto lo riduce a «socio1ogia del materialismo metafisico». «La teoria diviene caotica, una sequenza di singole constatazioni incoerenti; la prassi diviene opportunistica, poiché basata su una casistica: invece di una metodologia storica, di una filosofia, egli costruisce una casistica di quistioni particolari» . La base di questo processo è ancora una volta l'utilizzo delle scienze naturali e ancor di più delle teorie scientifiche meccanicistiche, per spiegare lo svolgimento della storia. «il non aver saputo dare a questa concezione del mondo, la sua autonomia scientifica e la posizione che le spetta di fronte alle scienze naturali, anzi, peggio, a quel vago concetto di scienza in generale che è proprio della concezione volgare.»

Quanto al riflesso politico di tale concezione Gramsci ritiene di dover precisare il problema della prevedibilità degli accadimenti storici «per essere in grado di criticare esaurientemente la concezione del casualismo meccanico»  «L'estensione della legge statistica alla scienza e all'arte politica può avere conseguenze molto gravi in quanto si assume per costruire prospettive e programmi d'azione. [...] Infatti nella politica l'assunzione della legge statistica come legge essenziale, fatalmente operante, non è solo errore scientifico, ma diventa errore pratico in atto; essa inoltre favorisce la pigrizia mentale e la superficialità programmatica.» Inutile dire a questo punto che la preoccupazione di Gramsci è che l'applicazione di concezioni meccanicistiche ai fatti umani e  alla storia, passaggio superato con il marxismo, portino ad un determinismo e all'attendismo esasperato, favorendo quella che Gramsci definisce la pigrizia mentale e superficialità programmatica.

 Abbiamo compreso ora cosa si intende per prima revisione del marxismo, per ortodossia marxista ai tempi di Gramsci, e quali siano le preoccupazioni politiche che derivano dalle errate interpretazioni teoriche del pensiero marxista che Gramsci espone nei quaderni. Per Gramsci il marxismo aveva due compiti teorici fondamentali: «combattere le ideologie moderne nella loro forma più raffinata…e educare le masse popolari, la cui cultura era medioevale»  Proprio facendo leva su questo punto Gramsci individua la motivazione storica della prima revisione del marxismo. «per ragioni didattiche la nuova filosofia si è combinata in una forma di cultura che era un po' superiore a quella popolare, ma assolutamente inadeguata per combattere le ideologie delle classi colte, mentre la nuova filosofia era proprio nata per superare la più alta manifestazione culturale del tempo, la filosofia classica tedesca, e per suscitare un gruppo di intellettuali propri del nuovo gruppo sociale di cui era la concezione del mondo.» Onde evitare alcuni possibili fraintendimenti è bene tenere a mente da subito, quanto successivamente spiegheremo. Per Gramsci l'intellettuale moderno, ed in particolare l'intellettuale del proletariato, non è assimilabile al concetto astratto di intellettuale tipico della filosofia, e della concezione che tuttora abbiamo in maggioranza, ma è intellettuale e politico, guida della classe. La riduzione del materialismo storico al materialismo volgare aveva rappresentato un arresto di questo processo, finendo per lasciare che si ci appoggiasse alla cultura materialista pre-esistente. Un processo spiegabile storicamente, ma non giustificabile, ed al quale era necessario porre rimedio.

Ma nell'affrontare il materialismo volgare bisognava per Gramsci evitare un'altra revisione, quella della riduzione del pensiero di Marx a livello dell'idealismo, revisione presente in ambienti intellettuali puri, come diremo oggi a livello accademico. Quando Gramsci scrive questo processo è già avvenuto ed ha contribuito ulteriormente a lacerare l'unità teorica del marxismo, che deve essere ristabilita. Da un eccesso di è passati all'altro, ed occorre una nuova sintesi – vedremo poi quale significato ha questa espressione in Gramsci – per ricomporre l'unità dialettica del pensiero marxista. Siamo pronti adesso per affrontare la seconda revisione del marxismo.

La seconda revisione: l'idealismo di ritorno ed il parallelismo con la revisione idealista della figura di Gramsci.

 Come sia stato possibile oggi ridurre il pensiero di Gramsci al rango di filosofo idealista è un mistero difficile da spiegare in termini di semplice errore, senza presupporre una dose abbastanza elevata di malizia ideologica e qualche forzatura di troppo. E' un caso della storia che Gramsci sia diventato a sua volta oggetto di quella stessa revisione che egli critica. Per questo motivo la critica gramsciana della revisione idealista del marxismo, si carica di fortissimi aspetti moderni, perché riguarda in definitiva la stessa figura di Gramsci, che combattendo contro quella revisione, da modo a noi oggi, di combattere contro la riduzione della sua figura a quella di un idealista. E' bene forse ricordare in questa sede che quando parliamo di idealismo, ci rivolgiamo all'idealismo filosofico e non all'accezione che il termine idealista, nel senso di portatore di ideali, ha nel linguaggio comune. Materialismo ed idealismo sono per noi categorie del pensiero, che si sono determinate nella storia della filosofia, e non l'accezione linguistica per la quale allora sarebbe corretto guardare ai comunisti come idealisti, nel  senso di persone che hanno un ideale, e non di materialisti nel senso di persone che guardano al loro tornaconto personale. Ma in termini di ragionamento filosofico non è a questo che ci riferiamo.

Possiamo allora tornare alla questione inizialmente posta. C'è un che di conosciuto in questo processo, che ha riguardato Marx, e che oggi riguarda anche Gramsci. Come scrisse Lenin la borghesia ha una tendenza a canonizzare post mortem le figure dei rivoluzionari e nel far questo «si dimentica, si respinge, si snatura il lato rivoluzionario della dottrina, la sua anima.» se ne prendono le parti più accettabili, private dal loro contesto, dalla loro cornice rivoluzionaria, annientandone la portata. Per dirla con Gramsci, l'avversario di classe, «rifornisce il suo arsenale di nuove armi» da utilizzare ovviamente in funzione difensiva.

Abbiamo visto poco fa la prima revisione del marxismo, come riduzione del materialismo storico al materialismo pre-marxista. Analizziamo ora quella reazione opposta che vide al contrario sussumere parti della teoria marxista riconducendole all'idealismo, hegeliano. Per far questo dobbiamo tenere presente la diffusione della cultura neoidealista in Italia negli anni in cui Gramsci scrive. In modo particolare la filosofia di Gentile, e quella di Croce, ebbero una vasta eco che superò i confini nazionali, e che proseguirà nel tempo anche successivamente, condizionando fortemente la cultura italiana del primo dopoguerra.

Per circoscrivere ulteriormente il campo in cui Gramsci si muove è bene citare il suo giudizio sul filosofo marxista ungherese Lukàcs. Gramsci, in riferimento a «Storia e coscienza di classe» afferma, in linea con le critiche espresse dalla terza internazionale sul pensiero di Lukàcs, che questi «scontento del saggio popolare sia caduto nell'errore opposto: ogni conversione e identificazione del materialismo storico nel materialismo volgare non può che determinare l'errore opposto, la conversione del materialismo storico nell'idealismo o addirittura nella religione.» Era assolutamente chiarissimo allora a Gramsci, quale fosse il rischio da evitare, rischio che nella lettura di Gramsci, molti oggi ripercorrono, confondendo le sue critiche al materialismo pre-marxista, e alla riduzione del materialismo storico a questo, con una critica di Gramsci al materialismo storico, che egli non solo non ha mai espresso, ma che contraddice tutto il lavoro che Gramsci conduce.

Sono le varie teorie espresse in questi anni da Preve, ed oggi da Fusaro e da molti prima di loro, che hanno una certa diffusione anche a livello giovanile, perché hanno avuto una discreta divulgazione via internet. Spesso queste teorie sono state etichettate come "rosso brune" cogliendo alcuni aspetti significativi di alcune "interpretazioni un po' scivolose", nelle quali era avvenuto un certo sconfinamento di campo. La definizione di rossobrunismo è cosa complessa, proprio per le innumerevoli variabili a cui storicamente negli ultimi anni, specie dopo la dissoluzione del campo socialista, ha dato luogo. Senza addentrarmi troppo nel merito, ritengo che se questa etichettatura possa salvare i comunisti in un breve termine, costituendo un argine momentaneo efficiente, a lungo andare non sia sufficiente a combattere nel merito queste argomentazioni. È necessario allora solidificare questa diga, fino ad ora espressa con un certo semplicismo, che alla lunga diventerebbe religioso, se non si controbattesse nel merito, punto su punto, per dimostrare come queste teorie siano in realtà falsificazioni artificiose del pensiero di Marx, ed anche di Gramsci.  È un nuovo terreno della battaglia teorica che i comunisti devono condurre, e che dimostra come l'assenza prolungata di analisi abbia aperto quel vuoto, in cui qualcuno è stato pronto ad infiltrarsi. È ora quindi di passare da una metafisica religiosa, di natura difensiva, ad una critica serrata, che punti a spazzare via ogni possibile fraintendimento, e spazio d'azione per altri. Gramsci, per il parallelismo tra la condizione contro cui lotta, e la nostra, ci fornisce nella sua lettura strumenti formidabili.

In primo luogo è da contestare l'idea che Gramsci sia il discepolo di Croce, come sostenuto da Preve. Per Gramsci Croce si sente il «leader intellettuale dei revisionisti europei» e il suo scopo è «giungere alla liquidazione del materialismo storico, ma vuole che questo svolgimento avvenga in modo da identificarsi con un movimento culturale europeo.» Entrando nei particolari si può dire che Croce «non tanto si interessi di combattere la filosofia della praxis, quanto l'economismo storico, cioè l'elemento della filosofia della praxis che è penetrato nella concezione del mondo tradizionale, disgregandola e perciò rendendola meno resistente «politicamente»; non tanto si interessi di convertire gli avversari quanto di rafforzare il suo campo; cioè il Croce rappresenta come offensiva un'attività che è meramente difensiva.»  Per Gramsci dunque il neoidealismo crociano altro non è che un tentativo di reazione al marxismo, nella direzione di fortificare il campo avversario, di cui Croce è per l'appunto intellettuale di riferimento. In definitiva il significato politico dell'operazione si concepisce sul piano della trasposizione dalla teoria alla politica «Lo storicismo di Croce sarebbe quindi niente altro che una forma di moderatismo politico, che pone come solo metodo d'azione politica quello in cui il progresso, lo svolgimento storico risulta dalla dialettica di conservazione e innovazione. Nel linguaggio moderno questa concezione si chiama riformismo.»

Il filo conduttore dell'anti-croce è presente in tutti i quaderni dal carcere. Gramsci, individuando in Croce la figura di spicco di quel processo di utilizzo di elementi del materialismo storico per rafforzare il campo ideologico avversario, conduce una lotta serrata contro la filosofia neoidealista. In modo particolare in riferimento a Croce, tra i tanti elementi due mi sembrano essenziali per definire l'ambito della battaglia teorica gramsciana contro l'idealismo crociano, in relazione alla definizione e al giudizio sul marxismo.

Croce aveva affermato che «se il materialismo storico deve esprimere alcunché di criticamente accettabile, esso non deve essere né una nuova costruzione a priori né un nuovo metodo del pensiero storico, ma semplicemente un canone di interpretazione storica.» Questa riduzione del materialismo storico a canone di interpretazione della storia, evidenziava il ruolo negativo del marxismo, ma implicitamente negava il ruolo positivo, scindendo quel legame dialettico tra teoria e prassi del marxismo. Il materialismo storico poteva essere canone di interpretazione storica, ma non teoria che si ponesse l'obiettivo pratico di fare la storia.

Altra questione essenziale è la riduzione della portata del pensiero di Marx, che si evidenzia nel giudizio che Croce fa sull'undicesima tesi di Marx su Feuerbach (i filosofi hanno soltanto interpretato in vario modo il mondo, ora si tratta di cambiarlo). Croce nelle Conversazioni critiche scrive che dinnanzi alla filosofia preesistente, non già ad altri filosofi come si aspetterebbe, ma ai rivoluzionari pratici  – il Marx -  non tanto capovolgeva la filosofia hegeliana, quanto la filosofia in genere; e il filosofare soppiantava con l'attività pratica»  Gramsci smentisce con forza questo giudizio di Croce facendo presente come la tesi di Marx non può essere interpretata come ripudio dell'attività teorica a vantaggio totale della pratica, ma solo come «fastidio per i filosofi ed il loro psittacismo [parlare come pappagalli ndr] e come energica affermazione dell'unità tra teoria e pratica». È proprio questa rivendicazione dell'unità dialettica tra teoria e prassi che per Gramsci scaturisce dall'undicesima tesi su Feuerbach, e costituisce la caratteristica essenziale del marxismo. «Se ne deduce – continua Gramsci – che il carattere della filosofia della praxis è di essere una concezione di massa, una cultura di massa, e di massa che opera unitariamente cioè che ha norme di condotta che sono universali in idea ma generalizzate nella realtà sociale. E l'attività del filosofo individuale non può essere pertanto concepita che in funzione di tale unità sociale, cioè anch'essa come politica, come funzione di direzione politica.» La riduzione crociana del marxismo alla sola attività pratica non coglie questo nesso strutturale tra prassi-teoria-prassi, non coglie la coincidenza tra intellettuale e politico, e il giusto ruolo che la teoria ricopre nel marxismo. Come affermava Marx «la teoria diventa forza materiale appena conquista la massa.» E in questa riflessione sul rapporto tra teoria e prassi, sul ruolo dell'intellettuale moderno, come vedremo nei prossimi incontri, Gramsci costruisce alcune delle riflessioni più interessanti ed attuali del suo pensiero.

Tornando a Croce, ed in particolare al rapporto tra Gramsci e Croce che alcuni hanno enfatizzato parlando di Gramsci discepolo di Croce, sarà bene citare un'affermazione di Gramsci, che esemplifica la ratio della sua intera opera in carcere. Appurato che per Gramsci Croce si sente capo dei revisionisti europei, e la sua funzione è quella di utilizzare parti del marxismo per rinforzare le difese ideologiche contro di esso Gramsci afferma: «Occorre fare i conti con la filosofia di Croce […] un lavoro di tal genere, un Anti-Croce che nell'atmosfera culturale moderna potesse avere il significato e l'importanza che ha avuto l'Anti-Duhring per la generazione precedente la guerra mondiale, varrebbe la pena che un intero gruppo di uomini ci dedicasse dieci anni di vita», ribadendo in ultima istanza che «un'Anti -Croce deve essere anche un Anti-Gentile».

 Il nesso del rapporto tra Gramsci e Croce è ancora una volta fornito dallo stesso Gramsci, con il concetto di "valore strumentale", che parallelamente viene utilizzato anche nella definizione del rapporto tra marxismo e filosofie precedenti. Ragionando sul rapporto con l'eredità del passato Gramsci parla di valori strumentali, come di quegli elementi delle filosofie precedenti che «non possono non essere accolti integralmente, per continuare ad essere elaborati e raffinati.» Questa nozione di valore strumentale è molto importante per comprendere Gramsci, e allo stesso tempo la sua riflessione sul marxismo, e sul suo rapporto con le filosofie precedenti. Su questo aspetto torneremo tra poco parlando della concezione dell'autonomia del marxismo in Gramsci.

Tornando a Croce, Gramsci, alla luce della sua precedente individuazione del concetto di valore strumentale, afferma che: «il pensiero di Croce deve dunque essere apprezzato come valore strumentale, e così si può dire che esso ha energicamente attirato l'attenzione sull'importanza dei fatti di cultura e di pensiero nello sviluppo della storia, sulla funzione dei grandi intellettuali nella vita organica della società civile e dello Stato, sul momento dell'egemonia e del consenso come forma necessaria del blocco storico concreto.» Questi concetti saranno poi elaborati da Gramsci, nel senso di essere inseriti all'interno del proprio pensiero, ma capovolgendone la portata, con un processo simile a quello tra Marx ed Hegel, in cui per citare la nota espressione, si fa rincamminare l'uomo sui suoi piedi. In questo caso i concetti citati vengono inseriti nell'analisi gramsciana dei rapporti tra Stato e società civile, in cui Gramsci parte nel suo ragionamento dall'analisi marxista della società, ed in particolare dai rapporti tra struttura e sovrastruttura. In definitiva per Gramsci «Ciò che di buono c'è in Croce, non è altro che filosofia della praxis presentata in modo speculativo». Si tratta dunque, ancora una volta, di rovesciarne la prospettiva.

Questo processo è descritto da Gramsci con una riflessione sull'affermazione di Engels secondo il quale la classe operaia tedesca era l'erede della filosofia classica tedesca. Gramsci ragionando su questa affermazione si chiede se « Occorre intenderla come un circolo storico ormai chiuso, in cui l'assorbimento della parte vitale dell'hegelismo è già definitivamente compito, una volta per tutte, o si può intendere come un processo storico ancora in movimento, per cui si riproduce una necessità nuova di sintesi culturale filosofica? A me pare giusta questa seconda risposta: in realtà si produce ancora la posizione reciprocamente unilaterale criticata nella prima tesi su Feuerbach tra materialismo ed idealismo e come allora, sebbene in un momento superiore è necessaria la sintesi in un momento di superiore sviluppo della filosofia della praxis.»

Come era ovvio quest'affermazione ha dato il pretesto per parlare di Gramsci come ponte tra marxismo ed idealismo, incline alla costruzione di una nuova sintesi filosofica che superasse il marxismo. Niente di più falso. Per Gramsci si verifica ancora la contrapposizione tra materialismo ed idealismo, in cui il primo è il materialismo inteso nella sua accezione meccanicistica. Gramsci ha in mente il processo di «rottura dell'unità dialettica del materialismo storico» che si è verificato negli anni passati e la sintesi di cui parla non è il superamento del marxismo, ma la riconquista di questa unità dialettica. Tuttavia bisogna fare i conti con la storia e con lo sviluppo che la filosofia ha avuto in quegli anni. Per Gramsci dunque è necessario un nuovo processo di sintesi tra materialismo meccanico, come storicamente derivato da un'analisi errata del materialismo storico, e quanto si è prodotto in opposizione ad esso, ossia quegli elementi di revisione idealistica, che cogliendo l'errore da un lato, hanno generato altrettanto errore dall'altro. È questa l'idea di un momento superiore di sintesi, che lungi dal superare il marxismo, punta a riprenderne il nesso dialettico fondamentale, che per i motivi citati, era andato perdendosi. Ma questa dialettica, gli idealisti nostrani, che tirano Gramsci per la giacchetta, proprio non vogliono vederla.

In conclusione: sull'autonomia del marxismo per un nuovo concetto di ortodossia.

Al termine della nostra analisi sulla doppia revisione del marxismo siamo pronti per riprendere la discussione sul concetto di ortodossia e sull'esigenza che Gramsci sente di «rinnovare il concetto di ortodossia e riportarlo alle sue origini autentiche», alla luce del fallimento dell'ortodossia della seconda internazionale, e delle revisioni idealistiche che con l'obiettivo di combattere l'ortodossia deviata, si sono allontanate dal marxismo. Scrive Gramsci nell'undicesimo quaderno che «l'ortodossia non deve essere ricercata in questo o quella tendenza legata a correnti estranee alla dottrina originale, ma nel concetto fondamentale che la filosofia della praxis [ovvero il marxismo ndr] «basta a sé stessa», contiene in sé tutti gli elementi fondamentali per costruire una totale ed integrale concezione del mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze naturali, non solo, ma anche per vivificare una integrale organizzazione pratica della società, cioè per diventare una totale, integrale civiltà.»  Per Gramsci dunque la giusta ortodossia marxista non può essere nient'altro che l'affermazione che il marxismo basta a sé stesso, che ha in sé gli elementi per costruire una sua propria ed autonoma concezione del mondo, della storia e dei fatti umani, così come della natura. Non è il positivismo con le sue leggi meccaniche della natura che deve ampliare il marxismo ma semmai è nella teoria marxista che vanno ricercati quegli elementi per costruire una completa visione del mondo, anche in relazione alla natura. Allo stesso tempo il marxismo è teoria che è capace di farsi organizzazione della società e non può essere ridotta a semplice canone di interpretazione storica.

Gramsci insiste fortemente sulla questione dell'autonomia del marxismo, e questa necessità teorica è allo stesso tempo una ragione politica. «Questo concetto, così rinnovato, di ortodossia, serve a precisare meglio l'attributo di "rivoluzionario" che si suole con tanta facilità applicare a diverse concezioni del mondo, teorie filosofie.» Gramsci comprende a pieno che la negazione dell'autonomia del marxismo è allo stesso tempo negazione della sua natura rivoluzionaria, come rottura con il pensiero precedente che è espressione ideologica della borghesia. «Una teoria è appunto "rivoluzionaria" nella misura in cui è elemento di separazione e distinzione consapevole in due campi, in quanto è vertice inaccessibile al campo avversario. Ritenere che la filosofia della praxis non sia una struttura di pensiero completamente autonoma e indipendente, in antagonismo con tutte le filosofie e le religioni tradizionali, significa in realtà non aver tagliato i legami con il vecchio mondo, se non aver capitolato. La filosofia della praxis non ha bisogno di sostegni eterogenei, essa stessa è così robusta e feconda di nuove verità che il vecchio mondo vi ricorre per fornire il suo arsenale di armi più moderne ed efficaci.» Gramsci evoca la similitudine tra Roma e la Grecia, nel rapporto tra marxismo e vecchia filosofia, in termini di conquista a cui la vecchia filosofia, sofisticata e raffinata, tenta di opporsi rovesciando il risultato in termini culturali.

Gramsci invita quindi a non concepire il marxismo come filosofia subordinata da una parte al materialismo pre-marxista, dall'altra all'idealismo. A parere di Gramsci questo processo è dovuto spesso alla confusione che si fa tra la filosofia della praxis e la storia del suo fondatore, ossia Marx, ed invita a distinguere tra lo studio della storia personale di Marx, con lo studio del marxismo. «Lo studio della cultura  filosofica di un uomo come il fondatore della filosofia della praxis [ossia Marx ndr] non è solo interessante, ma è necessario purché tuttavia non si dimentichi che esso fa parte esclusivamente della ricostruzione della sua biografia intellettuale e che gli elementi di spinozismo, di feurbachismo, di hegelismo, di materialismo francese, ecc..non sono per nulla parti essenziali della filosofia della praxis, né questa si riduce a quelli, ma che ciò che più interessa è appunto il superamento delle vecchie filosofie, la nuova sintesi o gli elementi di una nuova sintesi, il nuovo modo di concepire la filosofia i cui elementi sono contenuti negli aforismi o dispersi negli scritti del fondatore della filosofia della praxis e che appunto bisogna sceverare e sviluppare coerentemente.» Gramsci dice anche che, specie per gli scritti giovanili, bisogna prestare attenzione, sebbene in Marx lo spirito di distacco appaia già presente, ma non confonderli con le origini e le parti costitutive del marxismo. «In sede teorica la filosofia della praxis non si confonde e non si riduce a nessun'altra filosofia: essa non è solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, ma specialmente in quanto apre una strada completamente nuova, cioè rinnova da cima a fondo il modo di concepire la filosofia stessa.»  Queste affermazioni di Gramsci sono utilissime oggi per controbattere a quella lettura di riduzione del pensiero di Marx al rango di idealismo, che sono fiorite con l'acuirsi della crisi economica, come tentativo di prendere in prestito elementi di analisi marxista, svuotandone il significato, contestando la sistematicità del marxismo, e mirando a romperne la portata rivoluzionaria. E' questo quello che fanno oggi tutti gli accademici e i vari filosofi che scoperta l'attualità di Marx (ed anche che con Marx si possono vendere libri) scrivono fiumi di inchiostro sul Marx idealista continuatore di Hegel.

Il punto centrale del rapporto tra Marx ed Hegel non va posto sull'utilizzo della dialettca hegeliana da parte di Marx, ma nel suo rovesciamento. È questo processo che rompe il legame con l'hegelismo e fa del marxismo una visione del mondo autonoma. E' qui che è necessario porre l'accento. Chi insiste sul discorso di Marx idealista, continuatore di Hegel, non coglie il giusto peso di questo passaggio centrale, che dialetticamente segna una rottura qualitativa, che non può essere ridotta nella sua portata al rango di semplice evoluzione e continuazione. Gramsci coglie questo aspetto essenziale nel rovesciamento della prospettiva di quello che definisce valore strumentale, processo in cui non c'è conservazione ma superamento. Allo stesso tempo nel processo inverso di volgarizzazione meccanicistica del materialismo marxiano, per citare Gramsci «si è dimenticato che occorreva posare l'accento sul secondo termine "storico" e non sul primo di origine metafisica.»

Terminiamo questa riflessione con le parole che Gramsci scrive su Labriola, il primo ad introdurre in Italia una lettura del materialismo storico. Per Gramsci Labriola si è distinto in questi processi di doppia revisione, per aver al contrario sostenuto  - Gramsci dice «non sempre in modo sicuro a dire il vero» –  che il marxismo «è una filosofia indipendente ed originale che ha in sé stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo» Sia ben chiaro che Gramsci non nega la necessità che il marxismo si sviluppi, parallelamente allo sviluppo storico, come già ampliamente sostenuto prima, ma è concetto che giova ribadire, per evitare che passi un'analisi errata. Ma la differenza con il revisionismo è che per Gramsci i presupposti di questo sviluppo, gli elementi essenziali, sono già presenti nel pensiero dei fondatori del marxismo. Labriola per Gramsci aveva posto come necessità «la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a- privativi, e gli anti – (anticlericalismo, ateismo ecc…)» Gramsci non dice antifascismo perché non può dirlo in carcere, ma quei punti di sospensione nascondono proprio questo, a cui oggi potremmo aggiungere l'antimperialismo, e tutta la moda della sinistra di definirsi in termini negativi e mai positivi.

Questa lotta per una «cultura superiore autonoma» che Gramsci pone come essenziale è proprio ciò che manca oggi a livello teorico, dove spesso addirittura si segnano elementi di involuzione. Per cui in mancanza di una propria identità, l'apparenza di una propria identità si crea solo ed esclusivamente come negazione di un'altra identità reale. È un tema evidentemente attualissimo. Perché fino a quando si rimane ancorati alla semplice concezione della propria esistenza nell'espressione degli anti- e degli a-privativi, si continua a restare sul campo di gioco avversario. Si inizia quel processo di distacco generico, che non è però sufficiente a generare l'autonomia del campo politico, rispetto al terreno avversario. Definirsi anticapitalisti, antimperialisti evitando accuratamente di definirsi comunisti, parlare di antifascismo senza avere ben chiare le ragioni materiali per cui si è antifascisti, ma solo come moto d'orgoglio storico, destinato in questo modo a divenire minoritario, sono tutti esempi di questo processo, estremamente diffuso nella sinistra, preludio della capitolazione.

Allora la lotta per «una cultura superiore autonoma» che divida in modo chiaro il nostro dal campo avversario, è un concetto straordinariamente attuale e che ci coinvolge tutti nella nostra azione quotidiana. L'avere da contrapporre una propria visione autonoma del mondo, e non limitarsi all'insufficiente contestazione della concezione avversaria. Come la figura di Gramsci, dopo tutto questo, possa essere ridotta al ruolo di un semplice idealista, è un mistero davvero difficile da comprendere, mentre è perfettamente comprensibile quale operazione politica di riduzione della portata rivoluzionaria di Gramsci, e del marxismo, si celi dietro queste letture. E' stato Gramsci stesso a rispondere a quanti tentano di ridurre la portata e la forza del suo pensiero.


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