www.resistenze.org - materiali resistenti - disponibili in linea: saggistica contemporanea -

sommario > Capitolo 1. [M. Michelino:1970-1983 - La lotta di classe nelle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni]

DALLA CONFLITTUALITA’ ALLA CONCERTAZIONE

Il periodo conflittuale.

Le lotte operaie del 1968-69 produssero nuove forme di organizzazione: i Consigli di Fabbrica, che presto si diffusero su tutto il territorio nazionale.
Nel contratto nazionale dei metalmeccanici del 1969, oltre agli aumenti uguali per tutti, i metalmeccanici ottengono la riduzione d’orario a 40 ore settimanali, facendo da battistrada a tutte le altre categorie.

Al termine di un anno di dure lotte, il 12 dicembre 1969, con la bomba fascista esplosa nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano che provocò 17 morti e 88 feriti, comincia la strategia della tensione. Settori della borghesia e apparati statali aprono il capitolo delle “stragi di stato” e dei tentativi di golpe, tuttora impuniti.

Nel 1970 diventa legge lo Statuto dei Lavoratori e nel 1975 i lavoratori conquistano il “punto unico di contingenza”.
In seguito alla cosiddetta “crisi del petrolio” del 1975-76 nasce il governo di “solidarietà democratica” con l’ingresso del PCI nella maggioranza di governo, seppure da esterno, cioè senza ministeri, e gli anni che vanno dal 1976 al 1978 vedono il PCI ed i sindacati CGIL-CISL-UIL diventare i sostenitori più accaniti delle decisioni governative in fabbrica.

Questa crisi, che deriva da un nuovo ciclo del capitale, produce cambiamenti sostanziali fra le forze politiche e i sindacati. Avviene quindi in questi anni il passaggio dei sindacati dal “collaborazionismo conflittuale” degli anni precedenti alla “concertazione” degli anni successivi.
La nascita dei primi Consigli di Fabbrica, in cui i lavoratori eleggevano su scheda bianca i propri delegati, ebbe come conseguenza un forte protagonismo operaio.

I lavoratori della Breda, dopo formali elezioni precedute da assemblee di reparto e di gruppi omogenei, nel marzo del 1970 elessero il loro primo Consiglio di fabbrica composto da 40 delegati. Pochi mesi dopo, nel giugno 1970, il Consiglio di Fabbrica della Breda apriva una vertenza che metteva al primo posto il tema della salute. Questa piattaforma, che aveva al centro la lotta contro le pesanti condizioni di lavoro e gli ambienti estremamente nocivi, costò ai lavoratori della Breda Fucine e della Breda Termomeccanica molte ore di sciopero.

Nel 1974, dopo 260 ore di sciopero, i lavoratori della Breda ottennero – primi in Italia – di poter fare entrare in fabbrica lo SMAL (Servizio di Medicina per gli Ambienti di Lavoro), obbligando l’azienda ad istituire un libretto sanitario e visite periodiche per tutti i lavoratori.

Riportiamo la prefazione originale del Consiglio di Fabbrica della Breda Fucine al “Libro Bianco”, pubblicato nel luglio 1971 come Quaderno n° 1 de “Il Lavoratore Metallurgico” (organo della FIOM). Come il lettore potrà notare, questo scritto mostra l’alto livello di conflittualità del Consiglio di Fabbrica della Breda, che riflette il livello di coscienza dei lavoratori della fabbrica in quel momento storico.

Riproduzione dall’originale:

LA SALUTE NON SI PAGA LA NOCIVITA' SI ELIMINA

Un'esperienza dei lavoratori della Breda Fucine di Sesto San Giovanni

SOMMARIO

INTRODUZIONE

L'INDAGINE OPERAIA

Fonderia - Forgia - Macchinario

DOCUMENTAZIONE
Il sopralluogo dell'Enpi
L'analisi della Clinica del Lavoro
Il questionario operaio
Le malattie denunciate dai lavoratori
Gli sfruttati

A cura del Consiglio di Fabbrica della Breda Fucine

INTRODUZIONE

L'indagine sull'ambiente di lavoro alla Breda Fucine e la piattaforma rivendicativa che ne è conseguita - che presentiamo in questa pubblicazione - sono il frutto di un intenso lavoro collettivo che ha impegnato nei mesi di febbraio, marzo e aprile di quest'anno, tutti gli operai, il Consiglio dì Fabbrica e le Organizzazioni Sindacali, con la collaborazione di medici della Clinica del Lavoro di Milano e di compagni studenti in medicina.

Qui di seguito cercheremo di descrivere nelle sue varie fasi questa nostra esperienza attraverso la quale tutti noi nel dibattito politico, nel continuo scontro col padrone, nelle individuazioni delle cause delle malattie cui siamo soggetti, nell'analisi della organizzazione capitalistica del lavoro nella fabbrica, abbiamo maturato un nuovo più avanzato grado di coscienza del - complesso sfruttamento cui è sottoposto il lavoratore, abbiamo individuato obbiettivi rivendicativi irrinunciabili, abbiamo sollevato una vasta problematica sulla riforma sanitaria è sul ruolo della medicina e del medico, abbiamo, infine e soprattutto, appreso nei fatti a costruire in un modo nuovo, attraverso le Assemblee e i delegati di gruppi omogenei, l'azione rivendicativa e a impegnare il padrone in un più duro tipo di scontro

"MONETIZZAZIONE DELLA SALUTE" E "DELEGA"

Le lotte sull'ambiente di lavoro alla Breda Fucine hanno origini lontane nel tempo e trovano una spinta vigorosa nella brutalità delle condizioni di lavoro causa continua di malattie, infortuni, invalidità, morte.

Gli anni che vanno dal 1965 al 1970 sono costellati infatti da una serie di lotte che ponevano con forza la necessità e l'urgenza di sottrarre il lavoratore al lento massacro cui era sottoposto.

In una fabbrica di grandi tradizioni di lotta ove il 95 per cento dei lavoratori sono iscritti al sindacato, le Organizzazioni Sindacali intervenivano costantemente per rendere coscienti i lavoratori delle nocività e dei rischi cui erano soggetti. E questa metodica loro azione trovava sbocco sia nelle piattaforme rivendicative ove si chiedevano mutamenti dell'ambiente di lavoro, sia soprattutto in fermate improvvise, scioperi spontanei di gruppi di lavoratori in situazioni di particolare nocività soprattutto nei mesi estivi quando la temperatura sul posto di lavoro diventa intollerabile.

Tuttavia alla conclusione della lotta, in ogni occasione, era evidente uno scollamento tra quella che era la spinta della lotta operaia e i risultati che venivano raggiunti, oppure la capacità degli organismi sindacali di fabbrica di gestire quei risultati.

Da un lato dunque una crescente combattività operaia che il sindacato, attraverso la denuncia, aveva contribuito a far maturare, dall'altro - in una situazione ancora difficile in cui il sindacato non aveva ancora consolidato la sua presenza nelle fabbriche - la conseguente difficoltà e incertezza nell'elaborare una linea credibile a livello di massa, capace di dare continuità e organicità alla nuova coscienza e alla combattività operaia.

Sono anni in cui la linea ufficiale delle organizzazioni sindacali - cioè la non monetizzazione della salute - rimane una formula astratta nella gran parte delle aziende e si ritiene che lo svolgimento di una indagine da parte di un Istituto Specializzato possa avviare la soluzione del problema.

Si era in ogni caso all'interno di una logica che «delegava », sia pure sotto la pressione dei lavoratori, all'Istituto specializzato il compito di verificare in quale misura l'ambiente di lavoro fosse tollerabile per i lavoratori e al padrone il compito di prendere iniziative a tutela della loro salute.
Nei mesi estivi degli anni dal '67 al '69 vi furono infatti alla Breda Fucine tre indagini sull'ambiente di lavoro svolte dall'ENPI e dalla Clinica del Lavoro.

Sia pure in tutta la loro parzialità e superficialità, esercitazioni tecniche che non riflettevano minimamente la realtà della condizione del lavoratore, i rapporti di queste indagini davano tuttavia alcune indicazioni sui provvedimenti da prendere.
Ma questi provvedimenti, nonostante la sollecitazione degli organismi sindacali di fabbrica, restavano lettera morta, venivano disattesi dal padrone proprio perché attorno ad essi, per la loro parzialità e frammentarietà. perché costruiti senza la loro convinta partecipazione, i lavoratori non erano mobilitati.

Tutto ciò fa parte della nostra esperienza passata sulla quale soffermandoci criticamente e passando attraverso quella spinta di lotta che è stato per i lavoratori l'autunno del 1969, abbiamo maturato nuove scelte e nuove iniziative.

L'AUTUNNO SINDACALE, LE PRIME ESPERIENZE DEL CONSIGLIO DI FABBRICA

Nel corso dell'autunno sindacale nascono alla Breda Fucine i delegati di reparto coordinatori delle nuove forme di lotta, espressione e veicolo del legame di tipo nuovo tra i lavoratori, nuovo modo di essere del sindacato nella fabbrica.

Nel grande scontro col padronato i lavoratori misurano se stessi in nuove forme di lotta e quindi verificano collettivamente e comprendono in massa non solo la propria forza d'urto, ma lì nella fabbrica, dominio incontrastato del padrone, la propria capacità critica della complessiva organizzazione capitalistica del lavoro.

Il suono improvviso dei campanacci che davano il segnale dell'inizio dello sciopero o della ripresa del lavoro, secondo le decisioni preventivamente concordate dai delegati in relazione alle prevedibili fasi del processo produttivo, davano a tutti i lavoratori il senso dell'acquisizione di una autonomia reale e della possibilità, altrettanto reale, di modificare radicalmente le condizioni di lavoro nella fabbrica. Durante gli scioperi interni si aprivano discussioni collettive sull'andamento delle trattative sul contratto, sulla brutalità delle condizioni di lavoro nella fabbrica, sul complessivo sfruttamento cui è sottoposto il lavoratore.

Da queste discussioni emergevano i problemi relativi al modo di dare continuità organizzativa e politica alla lotta: come imporre al padrone l'applicazione positiva del contratto, il ruolo dei delegati, in quale modo risolvere il drammatico problema dell'ambiente di lavoro.

Nel marzo 1970, dopo una serie di assemblee di reparto e di gruppi omogenei, si procedeva alla elezione formale dei 40 membri del Consiglio di fabbrica.
Se pure a livello di intuizioni tutti i lavoratori comprendessero politicamente la necessità di costituire strutture sindacali capaci di tradurre e rendere permanenti le indicazioni dell'esperienza di lotta dell'autunno sindacale, non era sufficientemente chiaro il campo e il tipo di lavoro dei delegati e del Consiglio di Fabbrica.

Il Consiglio di Fabbrica, all'atto della sua costituzione, si trovava ad agire in una situazione molto difficile, Nel mese di febbraio e di marzo, lavoratori di diversi reparti erano scesi spontaneamente in sciopero sul problema del cottimo e dell'ambiente di lavoro e tutta la fabbrica era percorsa da una continua tensione rivendicativa. Il Consiglio di Fabbrica, dal canto suo, stentava a dare organicità e sbocchi politici validi a queste rivendicazioni.

Si arrivava così nel giugno del '70 all'apertura di una vertenza che seppure qualificata nei suoi punti rivendicativi (ambiente di lavoro, abolizione del cottimo, qualifiche) era di per sé molto fragile in quanto molto fragile era lo stesso Consiglio di Fabbrica che non era riuscito ad affermarsi come momento di sintesi politica delle esigenze dei lavoratori, come nuovo strumento di organizzazione e di lotta adeguato a quel livello di scontro col padrone.

Immediatamente dopo la stipulazione dell'accordo, che prevedeva tra l'altro una nuova indagine sull'ambiente da parte della Clinica del Lavoro e «impegni precisi» della Direzione per migliorare le condizioni di lavoro, gruppi consistenti di lavoratori scendevano in sciopero chiedendo aumenti sull'«indennità di ambiente».

Al Consiglio di Fabbrica si imponeva dunque un serio esame critico di tutta la situazione, un impegno per riguadagnare fiducia agli occhi dei lavoratori e per costruire una piattaforma rivendicativa che esprimesse le spinte e le rivendicazioni dei lavoratori. Venivano cosi nominate due commissioni di lavoro: una incaricata di compiere una indagine sulla struttura del salario, la seconda incaricata di affrontare il problema sull'ambiente di lavoro. Mentre la prima Commissione si metteva immediatamente al lavoro la seconda, non sapendo da quale parte aggredire il problema, restava in attesa della pubblicazione dei risultati dell'indagine della Clinica del Lavoro.

L'INDAGINE DELLA CLINICA DEL LAVORO

La Direzione della Breda Fucine memore del fatto che le tre indagini sullo ambiente di lavoro compiute negli anni precedenti si erano risolte tutte a suo vantaggio nel senso che nessuno l'aveva impegnata ad attuare quei pur minimi interventi consigliati dagli Istituti e nel senso che era riuscita a far ricadere la responsabilità di questa situazione sugli Istituti stessi, consentiva, con l'accordo aziendale di luglio ad una nuova indagine della Clinica del Lavoro.

L'indagine si svolse il 26-27 agosto, in due giornate moderatamente calde e ventilate, mentre un numero rilevante di membri del Consiglio di Fabbrica, che non era stato avvertito che l'indagine avrebbe avuto luogo, erano impegnati in una riunione sindacale fuori della fabbrica. Inoltre in queste giornate molte lavorazioni furono sospese, altre modificate; furono fermati due dei tre forni fusori e i giorni precedenti non si fece economia nella pulizia dei reparti e i pavimenti polverosi furono tutti bagnati. Molti lavoratori erano in ferie, e quindi la fabbrica lavorava a ritmo ridotto.

Per quanto riguardava il grado di concentrazione di polvere, gas e fumi, il calore, la rumorosità, la luminosità, i ritmi e la faticosità del lavoro, la fabbrica era dunque molto diversa da quella che i lavoratori conoscono nel corso dell'anno.
Quando nel mese di novembre 1970 il Consiglio di Fabbrica prendeva visione del rapporto della Clinica del Lavoro, pubblicato nella Documentazione, sul quale tutti facevano assegnamento come valida base per imporre alla direzione sostanziali modifiche dell'ambiente di lavoro, nacque una accesa discussione che doveva impegnare il Consiglio di Fabbrica e tutti i lavoratori per diversi mesi.

Sebbene si dovesse prendere atto che questo rapporto, rispetto ai precedenti, metteva in rilievo la pericolosità di alcuni posti di lavoro in conseguenza dell'alto grado di rumore e calore, esso non rifletteva minimamente le complessive condizioni dei lavoratori nella fabbrica.
Le lunghe tabelle di numeri frutto dei rilevamenti della Clinica del Lavoro che nessuno di noi si sentiva in grado di sconfessare sotto l'aspetto tecnico, non davano però che un'immagine frammentaria e superficiale dell'ambiente di lavoro in quanto prescindevano completamente dal giudizio dell'uomo che lavora.

Il nostro atteggiamento di rifiuto di quel rapporto come base valida per costruire l'azione rivendicativa non nasceva affatto dalla critica aprioristica di quei dati rilevati con strumenti tecnici; non negavamo l'oggettività della scienza.
Sentivamo piuttosto l'incompletezza di quei dati, avvertivamo l'esigenza di correlare quei dati oggettivi con altrettanti dati oggettivi che solo i lavoratori erano in grado di fornire. E' il lavoratore, portatore dei danni causati dalle nocività, l'elemento primario cui è necessario riferirsi per dare alla scienza un pieno valore sociale.

Nel corso delle nostre discussioni, dopo un primo momento di delusione e di disgusto, il senso di essere stati ancora una volta imbrogliati, la critica severa alla Clinica del Lavoro di cui tutti mettevano in rilievo l'insensibilità, la mancanza di interesse reale nei confronti dei compiti che le sono assegnati istituzionalmente, la sua subordinazione agli interessi del padrone, tutte queste considerazioni ci facevano pervenire alla conclusione, riflettendo sulla nostra esperienza e non in base ad un'azione illuministica svolta dall'esterno, che era necessario procedere ad una nostra ricerca collettiva delle cause delle nostre malattie e di rimedi per i quali valesse la pena di batterci.

Compivamo dunque, nel proporci questo impegno, nel rifiutare al padrone e agli Istituti specializzati la delega a controllare gli effetti nocivi dell'ambiente lavoro sull'uomo, nel tentare di costruire noi stessi un nuovo rapporto con la scienza, un salto di qualità di cui non avvertivamo tutte le implicazioni e la portata.

L'INDAGINE OPERAIA

Questo progetto tuttavia non era molto semplice da attuare né tanto meno era politicamente acquisito da parte di tutti i compagni. Si aprivano a questo proposito nel Consiglio di Fabbrica una serie di discussioni politiche molto accese.

Alcuni compagni sostenevano che una indagine sulla condizione operaia condotta da operai non avrebbe approdato a nessun risultato concreto ed anzi avrebbe illuso i lavoratori sulle possibilità di modificare in questo modo l'ambiente di lavoro col risultato di far ripiegare il movimento di lotta su se stesso.
Questi compagni pertanto ritenevano necessario una nuova indagine della Clinica del Lavoro le cui modalità fossero preventivamente concordate con il Consiglio di Fabbrica.

Risultata minoritaria questa proposta, si determinava una nuova divergenza politica attorno agli strumenti mediante i quali si doveva condurre l'indagine operaia: dei compagni sostenevano infatti che fosse sufficiente distribuire una specie di questionario sul quale individualmente ciascun lavoratore doveva annotare le malattie contratte e le nocività alle quali era sottoposto.
Altri membri del Consiglio di Fabbrica, ancora, pur concordando sulla necessità di condurre le indagini attraverso discussione collegiale in Assemblea ritenevano fosse sufficiente convocare i lavoratori in Asssemblee di reparto e inutile se non avventuristico convocare Assemblee di gruppi ristretti e omogenei di lavoratori.

Altro motivo di dibattito era rappresentato dalla questione se fosse utile far condurre le Assemblee da medici, oppure se questi avrebbero intimidito, per il loro linguaggio, per la loro collocazione sociale, per il generico sospetto che nutre nei loro confronti l'operaio, i lavoratori impedendo loro di manifestare liberamente il loro pensiero.

Nel corso di questo dibattito ogni compagno portava il contributo della propria esperienza sindacale. Ma attraverso questo dibattito ogni delegato misurando la propria tesi con tesi opposte e contrastanti maturava nuove convinzioni e linee di lavoro. Tanto che al termine di questa tornata di riunioni quell'insieme di intuizioni disperse e vaghe, di problemi non tutti chiari, aveva trovato soluzioni organiche: tutto il Consiglio di Fabbrica era unanime nella decisione di promuovere una indagine che avesse come protagonista il lavoratore.

Per trasformare l'ambiente di lavoro è necessario conoscere nel dettaglio tutte le condizioni (rumore, calore, polvere, faticosità e orari di lavoro, ritmi, ecc.) in cui si svolge il processo produttivo ed è necessario verificare se esista un legame tra le malattie dei lavoratori e quelle condizioni. Al fine di acquisire queste conoscenze il primo strumento è rappresentato dalle osservazioni spontanee dei lavoratori del gruppo omogeneo che opportunamente raccolte e sistematizzate forniscono un quadro scientifico delle realtà.

Se la malattia che un lavoratore lamenta è denunciata anche dagli altri lavoratori addetti alla stessa lavorazione ciò significa che quella malattia è specifica di quel gruppo omogeneo e quindi vanno individuate le comuni nocività che la provocano.
Il gruppo omogeneo, protagonista di questa ricerca, deve quindi diventare il protagonista nella elaborazione di quelle rivendicazioni capaci di abbattere le nocività individuate.

Il Consiglio di Fabbrica, unanime su questa linea di lavoro, affidava così alla Commissione Ambiente di Lavoro - la quale poteva usufruire di ore retribuite essendo stata di fatto riconosciuta dalla Direzione in base all'art. 9 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori che garantisce ai lavoratori il potere di indagine e di intervento sull'ambiente di lavoro - il compito di condurre e organizzare praticamente l'indagine.

L'ORGANIZZAZIONE E I PRIMI RISULTATI DELL'INDAGINE OPERAIA

Il primo problema affrontato dalla Commissione fu quello di trovare uno strumento di indagine vivo, attorno al quale crescesse la discussione e la partecipazione dei lavoratori: questo strumento non poteva essere che un questionario. Certamente il questionario non doveva essere mutuato da quelli adottati in precedenti esperienze compiute in altre fabbriche, ne essere opera di un medico che, per quanta fiducia potesse da parte nostra riscuotere, era tuttavia estraneo ai nostri problemi. Il questionario doveva essere strumento di mobilitazione, di presa di coscienza e al tempo stesso strumento di approfondimento di una problematica che, in base alla nostra conoscenza dei problemi della fabbrica, dovevamo individuare.

Era fondamentale, in altre parole, che i lavoratori si sentissero dentro la serie di domande che il questionario poneva e che queste domande dessero esca allo sviluppo di un dibattito tale che collettivamente i lavoratori individuassero le cause delle comuni malattie da rimuovere con un impegno di lotta.
Solo successivamente ad una prima stesura la Commissione Ambiente di Lavoro sottoponeva il questionario a dei medici di fiducia della Clinica del Lavoro perché fosse integrato e corretto.

Contemporaneamente la Commissione Ambiente di Lavoro, sulla base della analisi dei processi lavorativi nella fabbrica, perveniva alla suddivisione dei lavoratori in 21 gruppi omogenei; segnalava alla Direzione l'intenzione di tenere altrettante Assemblee retribuite della durata di due ore e chiedeva alla Direzione di fornirle elenco nominativo degli operai dei diversi gruppi omogenei al fine di poter controllare la percentuale di partecipazione alle Assemblee.

Ogni Assemblea veniva introdotta da un compagno della Commissione Ambiente di lavoro il quale forniva i dati del drammatico aumento di malattie e infortuni sui luoghi di lavoro; illustrava appunti dalla dispensa sull'Ambiente di Lavoro edita dalla FIOM nel 1969 e da altre pubblicazioni sugli effetti delle polveri, gas, rumore, calore, sull'organismo umano; introduceva il problema della medicina preventiva e della riforma sanitaria. Dietro l'oratore campeggiava un grande cartello con la scritta "La salute non si paga".

Successivamente un compagno cominciava a porre ai lavoratori le domande del questionario, pubblicato nella Documentazione, un altro compagno annotava su un registro le risposte individuali, un terzo compagno registrava le proposte rivendicative dei lavoratori.
Le domande del questionario erano grosso modo di due tipi: domande sulle malattie e infortuni contratti nel corso del 1970 e domande sul tipo e grado di nocività cui erano soggetti i lavoratori.

Fin dalle prime risposte l'Assemblea diventava subito animata: non era una fredda e anonima raccolta di dati ma nasceva una discussione collettiva che via via si arricchiva del contributo di ciascun lavoratore.
Diventava a tutti evidente il rapporto tra le nocività cui era soggetto il gruppo omogeneo e le malattie, largamente simili, che venivano denunciate dai lavoratori; veniva affrontato organicamente il problema di come, intervenendo sull'ambiente di lavoro, si potevano eliminare le nocività. L'osservazione spontanea dei lavoratori, la loro creatività ed intelligenza costantemente mortificata in questa società, trovava nel corso della discussione momenti di aggregazione sistematica, trovava sbocchi organici.

A questo punto, agli occhi dei lavoratori, il malessere e la malattia non erano più una questione personale da fronteggiare con un rimedio personale mettendosi in malattia e ricorrendo alle cure del medico di fiducia. Malessere e malattia erano un fatto comune a tutti i lavoratori del gruppo omogeneo e nascevano dalle comuni condizioni di lavoro: li nella fabbrica, dunque, tutto il gruppo omogeneo e tutti i lavoratori dovevano impegnarsi a rimuovere le cause del malessere e della malattia.

Bastavano certo pochi minuti di Assemblea perché i lavoratori pervenissero a questa autonoma scoperta; non bastavano le due ore per portare a compimento tutti quei discorsi che quella scoperta metteva in movimento. Emergeva come lo sfruttamento non fosse solo un salario insufficiente alle necessità della vita, ma come anche l'ambiente di lavoro fosse esso stesso sfruttamento e fosse sfruttamento il prolungamento della giornata lavorativa sui mezzi di trasporto, la casa inadeguata e costosa, il sistema tributario iniquo.
Impossessandosi autonomamente di queste idee o rafforzando in questo modo precedenti convinzioni, i lavoratori andavano acquistando una nuova forza che si rifletteva immediatamente nei rapporti con i capi reparto di cui non si tolleravano più le imposizioni e le angherie.



L'ORGANIZZAZIONE CAPITALISTICA DEL LAVORO

L'indagine operaia nel corso del suo procedere si rivelava molto più ricca di significati e implicazioni politiche di quanto non fosse nelle nostre previsioni.

Se inizialmente la maggioranza di noi riteneva che la salute del lavoratore poteva essere tutelata attraverso l'adozione di strumenti protettivi (aspiratori, maschere, tute, ecc.) capaci di preservarlo dalle nocività così come si intendono normalmente (calore, rumore, polveri ecc.) nel corso dell'indagine verificavamo come tutta l'organizzazione del lavoro nella fabbrica fosse essa stessa nocività. In altre parole cottimo, ritmi, orario di lavoro, organici, qualifiche, dislocazione e tipo del macchinario, costituivano assieme al rumore, al calore, alle polveri un tutto unico che significa sfruttamento del lavoratore.

Durante l'assemblea quando un lavoratore descriveva, ad esempio, l'alta temperatura cui era esposto per molte ore al giorno aggiungeva istintivamente la denuncia della faticosità del lavoro e la mancanza di organici oppure la denuncia dell'alto ritmo di lavoro che gli era imposto dal cottimo.
Quando un lavoratore descriveva la pericolosità della lavorazione cui era addetto immediatamente dopo suggeriva quegli interventi tecnici necessari ad eliminare quella pericolosità. Ma allora se qualifica è riconoscimento della intelligenza e della capacità professionale del lavoratore, qualifica è anche un nuovo rapporto tra il lavoratore e la macchina, tra il lavoratore e l'organizzazione del lavoro; qualifica è la capacità del lavoratore di intervenire su tutto l'ambiente di lavoro al fine di eliminarne le nocività e di rendere l'ambiente corrispondente alle esigenze dell'uomo che lavora.

Durante le Assemblee emergeva quell'enorme potenziale di capacità e di intelligenza dei lavoratori oggi nella fabbrica non utilizzato e mortificato.

I singoli lavoratori non solo dimostravano di conoscere perfettamente il macchinario cui erano addetti, ma di dominare tutto il processo produttivo del loro reparto con le sue pericolosità, le sue incongruenze, i suoi sprechi.
E i lavoratori avevano spesso motivo di irrisione nei confronti dei tecnici dell'azienda dei quali si metteva in rilievo l'inettitudine: l'installazione di un nuovo costoso impianto che i lavoratori vedevano subito che non avrebbe mai potuto funzionare, il rammodernamento di un capannone con criteri tali che le nocività dell'ambiente sarebbero aumentate, l'inutilizzazione in fabbrica di costosissimi macchinari per il fatto che le lavorazioni relative venivano affidate ad altre ditte.

Queste osservazioni collettive facevano maturare nella coscienza dei lavoratori la generale convinzione che l'organizzazione del lavoro nella fabbrica non fosse un fatto oggettivo, conseguenza inevitabile di una nuova organizzazione del lavoro ove la misura della validità di ogni scelta fosse data dall'uomo che lavora.

Questa indagine sull'ambiente di lavoro articolata per gruppi omogenei e condotta secondo la metodologia che abbiamo descritto, ci ha dato quindi un quadro dettagliato e organico non solo dei rumori, polveri, calore, ecc. ma di tutta l'organizzazione capitalistica del lavoro nella fabbrica. Per la logica delle cose questa indagine è quindi andata oltre i fini che ci eravamo prefissi e ci ha permesso di costruire una piattaforma rivendicativa organica (ambiente di lavoro, abolizione del cottimo, nuova struttura del salario con eliminazione delle sperequazioni esistenti, qualifiche) con la viva partecipazione di tutti i lavoratori.

MEDICINA PREVENTIVA. RAPPORTO MEDICO-LAVORATORE. RIFORMA SANITARIA

Un grande numero di lavoratori della Breda Fucine è sottoposto a visita medica periodica, da parte dei medici di fabbrica.
Nella descrizione dei lavoratori la visita si svolge in questo modo: «Si va all'infermeria, si viene pesati, viene fatto firmare un documento senza che nessuno spieghi cosa vi sia scritto. Il medico interroga il lavoratore sulle malattie subite nel recente passato, ausculta i polmoni, prova la pressione del sangue: la durata media della visita non supera i 6, 7 minuti. Molte volte non ci viene neppure fatta togliere la giacca».

Il lavoratore si reca alla visita per pura formalità, non conoscerà l'esito reale della .visita, sa che quella visita non c'entra nulla con la tutela della sua salute, essa fa parte di un rapporto privato tra il medico e la Direzione volto ad accertare unicamente l'efficienza produttiva del lavoratore. Col medico di fabbrica ci si confida il meno possibile per il timore di essere dichiarati inidonei al proprio attuale lavoro e di essere spostati in un altro reparto subendo una decurtazione di salario.

Nel frequente caso di disturbi e malattie ci si rivolge con fiducia al proprio medico curante, ma questi, per la cultura professionale che gli è stata generalmente impartita all'Università, non conosce minimamente le condizioni di lavoro cui è sottoposto il suo paziente e quindi non essendo in grado di stabilire un rapporto tra disturbi denunciati e ambiente di lavoro non è, in linea di principio, nella possibilità di formulare una diagnosi corretta.
Il medico si trova di fronte a malattie di cui non è in grado di controllare le cause e quindi la sua sfera di intervento è limitata ad alleviare il dolore del paziente con dei farmaci.

E' quindi necessario istituire una efficiente medicina preventiva che ricercando scientificamente il rapporto di casualità tra malattie tipiche della società industriale (disturbi cardiaci, reumatismi, bronchiti, ecc.) e ambiente di lavoro, intervenga sull'ambiente di lavoro al fine di rimuovere le cause delle malattie.
Al tecnico della salute vanno quindi messi a disposizione tutti i dati sullo ambiente di lavoro: dati che scaturiscono dalle osservazioni sistematiche dei gruppi omogenei di lavoratori e dati rilevati con strumenti tecnici.

Noi ci rendiamo conto, a questo proposito, come i risultati della nostra indagine restino scientificamente molto incompleti se essi non vengono correlati a dati rilevati con strumenti tecnici e se su di essi non intervengono i tecnici della salute al fine di trarre quelle valutazioni che noi non siamo in grado di formulare.

Cosi come riteniamo, sulla base della nostra esperienza, sia necessaria alle Assemblee di gruppo omogeneo la partecipazione di un medico di fiducia che socializzi la scienza medica. Il lavoratore nei suoi pochi anni di scuola impara magari perfettamente tutte le vicende belliche degli antichi romani e cento stupide poesie a memoria, ma ben poco gli viene insegnato sul funzionamento dell'organismo umano.
E' quindi necessario un nuovo rapporto fra medico e lavoratore, un rapporto dialettico di reciproco arricchimento di cognizioni, un rapporto che li deve vedere entrambi necessari protagonisti di una medicina a favore dell'uomo che lavora.
A questa serie di problemi, di necessità che abbiamo individuato, cercheremo ora di dare una prima soluzione organica rivendicando la istituzione del libretto personale di rischio, del libretto sanitario individuale, del registro dei dati ambientali, del registro dei dati biostatistici.

Attraverso questi strumenti di rilevazione individuale e di gruppo di tutti i fattori nocivi, certi o presunti, presenti nella fabbrica, di tutte le malattie (diagnosi, durata, frequenza) avremo innanzitutto la possibilità di controllare permanentemente e contrattare tutti gli aspetti dell'ambiente di lavoro, la capacità di imporre al medico di fabbrica un nuovo tipo di rapporto nei nostri confronti, e porremo nei fatti la premessa per l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

Riforma sanitaria e istituzione del Servizio Sanitario Nazionale non significano infatti maggiore, più razionale ed esteso intervento medico sui lavoratori dopo che hanno contratto la malattia, ma potere di controllo permanente dei lavoratori, attraverso l'Unità Sanitaria Locale, sull'ambiente di lavoro e potere di intervento sulle nocività che provocano la malattia.
Dal momento che l'Unità Sanitaria Locale dipenderà dall'Ente locale è necessario dare inizio ad una mobilitazione di tutti i lavoratori perché i Comuni, avvalendosi delle attuali se pur limitate facoltà attribuite loro dal Testo Unico delle leggi sanitarie, mettano sin da oggi a disposizione dei lavoratori medici e servizi necessari al controllo delle nocività dell'ambiente di lavoro.

Sconfiggeremo il padronato e le sue forze politiche protese a rinviare e svuotare di contenuti innovatori la riformo sanitaria nella misura in cui nella fabbrica e fuori dalla fabbrica saremo protagonisti di un movimento articolato di lotta che nei fatti ponga le premesse di una riforma sanitaria basata sulla medicina preventiva.

La realtà è sempre molto più ricca di qualsiasi scritto o discorso e quindi ci rendiamo conto come questa pubblicazione rifletta solo schematicamente la nostra esperienza.
Nelle pagine seguenti la descrizione dell'ambiente di lavoro dei tre reparti di cui si compone lo Breda Fucine e la descrizione dei processi lavorativi, delle malattie e delle nocività denunciate dai 21 gruppi omogenei non sono del tutto completi.
Tuttavia vorremmo sottolineare ai compagni lettori l'utilità del metodo di indagine che abbiamo seguito che ci ha permesso di costruire una piattaforma rivendicativa organica per tutta la fabbrica e articolata per ciascun gruppo omogeneo.

Il Consiglio di Fabbrica organismo ancora informe fino a qualche mese fa ha acquisito, attraverso questa esperienza, una propria responsabilità dirigente riconosciuta e compresa da tutti i lavoratori.

Questa nostra esperienza, dunque, che si è avvalsa dei contributi di iniziativa e di lotta che altri lavoratori in altre fabbriche hanno compiuto prima di noi, ringraziando il «Lavoratore Metallurgico» per la pubblicazione, intendiamo sottoporla alla verifica ed al confronto di quanti sono impegnati su questo problema come nostro contributo alla generale battaglia che il movimento operaio ha impegnato per rendere la fabbrica e la società a misura dell'uomo che lavora.

IL CONSIGLIO DI FABBRICA