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Michelino - Trollio: Operai carne da macello

 

Altri materiali

 

 

- L’amianto nel mondo: una strage lunga un secolo

 

- Estratto dei rapporti dello SMAL (Servizio di medicina preventiva per gli ambienti di lavoro) di Sesto S.Giovanni, stilati negli anni 1976/1988

 

- Riflessioni  di Sandro Clementi, avvocato

 

- Breda, Reparto Aste, testo di E. Partesana

 

 

 

L’amianto nel mondo: una strage lunga un secolo

 

 

L’amianto, essendo un materiale resistente al calore e al fuoco, fu per lungo tempo ritenuto importante per le sue proprietà di isolante termico ed elettrico.

 

1893. Inizia in Austria la produzione del cemento-amianto.

 

1898. Nell’annuario delle Women Inspectors of Factories, Lucy Deane descrive i pericoli cui sono esposti i lavoratori nelle fabbriche dove si manipola l’amianto. Riferisce di un’analisi delle particelle al microscopio, che «rivela chiaramente come siano dotate di uncini vetrosi e affilati e, laddove si consente che la polvere si sollevi e resti sospesa in un ambiente, non è sorprendente riscontrare effetti dannosi sulla salute». Nei dieci anni successivi le Women Inspectors posero all’attenzione del governo inglese i rischi cui erano esposti i lavoratori, ma l’allarme venne ignorato.

 

1906. Il dott. Montagne Murray del Charing Cross Hospital di Londra attribuisce all’amianto i disturbi all’apparato respiratorio di un paziente di 33 anni, che aveva lavorato per 14 anni a contatto con la polvere. «Il paziente – aggiunge - riferisce che dei dieci colleghi che lavoravano nella sua unità, è l’unico sopravissuto». In Francia un comitato di esperti incaricato dal governo censisce 50 morti sospette tra le lavoratrici addette alla tessitura con fibre d’amianto. Nello stesso anno il governo britannico, che era a conoscenza delle segnalazioni di Deane e di Murray, pubblica un rapporto sulle malattie legate all’industria senza citare l’amianto tra le cause.

 

1911. Primi esperimenti di laboratorio sui topi. Merewether e Price sostengono che l’inalazione di polvere in quantità consistente è senz’altro dannosa.

 

1917.  Le autorità inglesi dispongono un’inchiesta nelle fabbriche, ma si limitano a raccomandare di aerare i locali.

 

1918. Negli Stati Uniti e in Canada le assicurazioni rifiutano di concedere polizze alle industrie per danni d’amianto. Dopo pochi anni, questo orientamento verrà presto abbandonato.

 

1930.  Merewether e Price, su incarico del governo britannico, pubblicano uno studio epidemiologico secondo il quale il 66 per cento dei lavoratori esposti all’amianto per 20 anni soffre di asbestosi. Lo studio non tiene conto dei soggetti che hanno smesso di lavorare perché gravemente malati e di quelli deceduti.

 

1931. In Gran Bretagna vengono approvate le prime leggi che prevedono il monitoraggio della salute dei lavoratori e i risarcimenti per chi si ammala.

 

1932. I sindacati lanciano l’allarme: l’amianto causa il cancro ai polmoni.

 

1938. A seguito di numerosi studi che confermano questa ipotesi, in Germania le autorità riconoscono il legame tra amianto e cancro ai polmoni.

 

1955. A dispetto dei tentativi delle industrie Turner di impedirne la pubblicazione, esce lo studio di Richard Doll sui lavoratori della Turner nel distretto di Rochdale: chi lavora a contatto con l’amianto per 20 anni rischia il cancro dieci volte di più rispetto alla media generale.

 

1960. Sleggs e Wagner pubblicano uno studio su 47 malati di mesotelioma nelle aree minerarie del Sudafrica. Ad esclusione di due, tutti gli altri individui esaminati sono stati a contatto a lungo con l’amianto.

 

1970. Per la prima volta scendono le importazioni di amianto grezzo in Gran Bretagna. Da 170.000 tonnellate annue a 150.000.

 

1979. La medicina ufficiale ha accertato che anche tabacco e radiazioni di uranio causano tumori ai polmoni. Per i lavoratori malati esposti all’amianto diventa più complicato chiedere i danni al datore di lavoro. Ma Hammond dimostra che l’azione sinergica del fumo e amianto aumenta il rischio di 50 volte.

 

1986. L’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul cancro (Iarc) dichiara che tutti i tipi di amianto sono cancerogeni e, pertanto, non esistono soglie di sicurezza per chi vi si espone.

 

1989. Il governo degli Stati Uniti mette al bando lavorazione, utilizzo ed esportazione di gran parte dei prodotti a base di  amianto.

 

1992. In Italia l’amianto è messo fuorilegge.

 

1997. Il Canada, grande esportatore di amianto, denuncia la Francia davanti al WTO per un decreto di messa al bando. Dopo la sentenza favorevole alla Francia, il Canada ricorre in appello, ma perde ancora.

La sentenza definitiva, nel 2001, stabilisce che l’amianto è cancerogeno in tutte le sue forme, anche in minime dosi, e che gli Stati non sono tenuti a ricercare il consenso della comunità scientifica prima di vietarne l’impiego e la circolazione.

 

1998. Il bando è introdotto anche in Gran Bretagna.

 

1999. La Commissione Europea ha deciso di proibire l’amianto. La direttiva entrerà in vigore nel 2005.

 

(La fonte dei dati sopra riportati è tratta da: Gee and Greenberg, Asbestos: from “magic” to malevolent mineral, in late lesson from early warnings: the precautionary principle 1896-2000, European Environnment Agency, Copenhagen, 2001).

 

La produzione mondiale di amianto

 

L’amianto è stato usato nei paesi industrializzati in grande quantità. La produzione mondiale accumulata tra il 1900 ed il 2000 è stata di circa 173 milioni di tonnellate. Nei paesi dell’Europa occidentale, nel Nord America ed in Australia la produzione di amianto si è sviluppata massicciamente negli anni ‘50-60, raggiungendo il picco negli anni ’70.

Nel 2000 (secondo Tossavainen, 2003), la produzione complessiva mondiale era di circa 2.130.000 tonnellate ed i maggiori produttori sono tuttora la Russia (700 mila tonnellate), la Cina (450), il Canada (335), il Kazakistan (180), il Brasile (170) e lo Zimbawe (130).

L’Italia è stata il secondo paese produttore di amianto in Europa (dopo l’Unione Sovietica) fino alla fine degli anni ’80.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, fino al ’92, anno in cui l’amianto è stato messo al bando, l’Italia ha prodotto 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo con un picco di circa 160 mila tonnellate annue nel periodo 1976- 1979. Le importazioni di amianto grezzo, soprattutto dal Canada, dall’Australia e dal Sud Africa, sono state molto consistenti fino ai primi anni ’90 e sono stati superiori alla produzione nazionale nel periodo immediatamente precedente la messa fuori legge (1989-1991) con più di 77 mila tonnellate per anno.

 

La produzione di amianto nel 2000

 

Nazioni                   Consumo di amianto

                      (in tonnellate)

 


Russia                                     700.000

Cina                                        450.000

Canada                                   335.000

Kazakhistan                            180.000

Brasile                                    170.000

Zimbabwe                               130.000

Grecia                                       35.000

Swaziland                                  25.000

India                                          23.000

Sud Africa                                 20.000

Giappone                                  18.000

Colombia                                  10.000

Stati Uniti                                    7.000

Bulgaria                                       7.000

 

totale                                    2.130.000

 

(Fonte: Tossavainen A. “National mesothelioma incidence and past use of asbestos”. Monaldi Arch. Chest. Dis. 2003; 59 (2): 146-9)

 

 

 

Estratto dai rapporti dello SMAL (Servizio di medicina preventiva per gli ambienti di lavoro) di Sesto S. Giovanni, stilati negli anni 1976/1988

 

 

NOTA: dal 1974 lo SMAL faceva  ispezioni in molte fabbriche.

L’estratto qui sotto riportato è contenuto in tutti i rapporti indirizzati - a seguito delle ispezioni effettuate negli anni che vanno dal 1976 al 1988 - alla Direzione della Breda Fucine, al Consiglio di Fabbrica della Breda Fucine, all’Assessore alla Sanità, all’Ufficiale Sanitario, all’Ispettorato del lavoro, all’Assessorato Regionale alla Sanità, al Servizio Sanitario Aziendale, a Cgil-Cisl-Uil, alla F.L.M. (Federazione Lavoratori Metalmeccanici).

Malattie conseguenti all'esposizionead amianto

Le malattie conseguenti all'inalazione di fibredi amiantosono:

l'asbestosi e diverse forme di cancro, soprattutto i mesoteliomi (tumori delle pleure e del peritoneo). Asbestosi e mesoteliomi sono tipiche malattie da amianto. Altri tipi di tumori, pure dovu­ti a questa sostanza: tumori polmonari e all'apparato digerente, al colon, allo stomaco, all'esofago, alla laringe, non si distinguono, allo stato attuale delle conoscenze, da tumori dello stesso tipo ma di origine diversa.

La caratteristica comune di tutte queste malattie oltre alla loro gravità è un lungo periodo di latenza(periodo che intercorre tra la prima esposizione all'amianto e l'inizio della malattia). L'asbestosi (fibrosi polmonare grave, tipo silicosi) è una malattia cronica e irreversibile con un’evoluzione lenta fortemente invalidante. I tumori da amianto sono spesso mortali ed alcuni tipi, come i mesoteliomi, conducono a morte in un tempo molto breve (l-2 anni). Se il grado di esposizione: concentrazione ambientale delle fibre, anzianità lavorativa, tipo di esposizione è un dato importante per determinare l'asbestosi, ciò non vale. invece per il rischio di tu­more per il quale si può ipotizzare che l'inalazione o l'assorbimento anche di poche fibre rappresentino già un rischio potenziale.  Il destino della polvere e delle fibre di amianto inalate varia a seconda del loro diametro. Le piccole: 0,5-3 micron (micron=millesimo di millimetro) non vengono arrestate dai bronchi e dal loro muco ma arrivano sino al tessuto polmonare, all'interstizio degli alveoli polmonari dando un’infiammazione degli alveoli polmonari. A questo livello possono provocare un indurimento progressivo del tessuto, arrivare alla pleure dando versamenti, placche da reazione e possibili tumori. Le fibre di maggiori dimensioni che si arrestano a livello del laringe e dei bronchi, provocano un'irritazione cronica, con aumentato pericolo di bronchite cronica e di tumori (alla laringe ed ai bronchi) oppure vengono deglutite e quindi vanno ad intaccare il tubo digerente (esofago, stomaco, intestino) con rischi simili.

Riassumiamo nella seguente tabella (presa da M.R. Beckiake, 1976) gli effetti patologici dovuti all'esposizione ad amianto nell'uomo.

organo

 

effetto

 

associazione causale con esposizione ad amianto

 

pelle

 

verruche da amianto

 

certa

 

laringe

 

carcinoma

 

molto probabile

 

polmoni

 

fibrosi interstiziale diffusa sclerotica (asbestosi)

cancro bronchiale

 

 

certa

 (con altre cause)

 

pleure

 

placche

mesotelioma  (tumore)

versamenti pleurici acuti e

cronici

 

certa (con altre cause)

certa

 

probabile

 

peritoneo

 

mesotelioma (tumore)

 

certa

 

tubo digerente

 

vari tipi di tumori

 

certa(con altre cause)

 

ovaio

 

carcinoma

 

in studio

 

mammella

 

carcinoma

 

in studio

 

rene

 

carcinoma

 

in studio

 

 

visto il coordinatore prof. A. Grieco

 

 

Riflessioni

Sandro Clementi, avvocato

 

Le vicende sociali narrate nel libro consentono di apprezzare il significato e l’efficacia delle lotte sociali e le implicazioni, politiche, umane e giuridiche che queste lotte hanno la capacità di rendere evidenti.

Una delle implicazioni più interessanti attiene al rapporto tra il diritto, inteso come strumento di regolamentazione delle condotte umane, e la salvaguardia della salute e della vita dei lavoratori, e dei cittadini in genere.

Ebbene l’esperienza sociale e politica descritta nel libro è stata anche l’occasione per elaborare, e per confermare, la funzione del Diritto, nella sua accezione più generale di insieme di norme giuridiche e di applicazione pratica in sede giudiziaria, in una società ed in un sistema produttivo di tipo capitalistico.

I numerosi protagonisti - lavoratori, cassaintegrati, disoccupati e militanti politici – dei fatti descritti nel libro possedevano, sin dal principio, la coscienza della natura “di classe” della società nella quale si muovevano e maturavano quelle lotte sociali e che proprio tale natura era la causa delle lotte sociali che ne conseguivano.

Ciò che ha caratterizzato, in modo certamente positivo, i fatti narrati è l’insieme, di straordinaria ricchezza umana e sociale, di iniziative e  contributi, collettivi  e personali, che si sono coagulati intorno ed in occasione della vicenda strettamente giudiziaria.

Mi riferisco a quella moltitudine di lavoratrici e di lavoratori, di compagne e di compagni, che hanno organizzato, partecipato e vissuto convegni pubblici, attività di informazione e di controinformazione rilanciando in vasti settori sociali la questione, oramai sopita, dei danni devastanti causati dal modello di sviluppo capitalistico.

Tali iniziative  hanno consentito, anche ai più giovani, di comprendere, nella loro cruda concretezza quotidiana, il significato dei rapporti sociali ed in  particolare dei rapporti di produzione. Ovvero di analizzare e verificare che nella produzione capitalistica i lavoratori non subiscono solo alienazione e miseria materiale ma anche malattia e morte spesso quale conseguenza inevitabile di un preciso modello di produzione.

Il confronto e la consapevolezza si è poi spinta, proprio nella partecipazione diretta, alla comprensione dei meccanismi e dei principi che presiedono e giustificano le Leggi dello Stato consentendo di accertare e consapevolizzare che l’ordinamento giuridico, nell’accezione sopra descritta, altro non è che strumento pratico di organizzazione, di regolamentazione - e anche di repressione - sociale e che pertanto non può che avere la medesima natura di “classe”.

Proprio su questo aspetto si sono confrontate e scontrate differenti interpretazioni, potremmo di dire ideologiche, del Diritto della quali vale la pena riassumere le ragioni principali.

In  particolare deve comprendersi che proprio la natura di classe dell’ordinamento giuridico attuale definisce la funzione delle Leggi come dirette a soddisfare e tutelare gli interessi particolari della classe sociale che ha il potere politico di imporre il proprio dominio e di controllo sulla produzione. In tal senso viene definito “borghese” il nostro ordinamento giuridico in quanto espressione del pensiero economico e politico della borghesia intesa non solo come classe sociale ma anche come modello sul quale è organizzata e gestita la struttura economica e sociale attuale.

Questa caratterizzazione ideologica della società e dell’ordinamento giuridico vigente lasciano facilmente intuire che taluni beni hanno maggior tutela di altri.

Applicando questi concetti ai fatti narrati si può comprendere come la tutela della produzione, e quindi il conseguimento, a favore del Capitale, del massimo profitto economico, abbia anche la massima considerazione e protezione rispetto alla salute dei lavoratori e dell’ambiente.

Proprio la contraddizione e l’inconciliabilità tra questi due valori - il profitto economico per le Imprese e la salute dei lavoratori e dell’ambiente - determinano la differenza di protezione che l’ordinamento giuridico riconosce laddove si debba giudicare la liceità o meno di condotte umane che abbiano pregiudicato la salute e/o la vita dei lavoratori.

Va detto che il principio di attribuzione della responsabilità penale, e quindi per affermare la colpevolezza, dei datori di lavoro laddove si assume la morte di lavoratori per malattie contratte nei luoghi di lavoro è necessario poter dimostrare, nei modi e nelle forme descritte dalla Legge, che la morte sia causata da eventi patologici indotti dalle modalità di produzione e che tali modalità di produzione siano illecite ossia contrarie alle Leggi dello Stato.

Nel caso dell’amianto non vi è dubbio che le leggi dello Stato abbiano consentito l’utilizzazione, nella produzione e nell’uso civile, di questo minerale per oltre 40 anni da quando si era acquisita, a livello internazionale databile nel 1950, la consapevolezza della forte capacità cancerogena dell’amianto.

Detto questo dovrebbe concludersi che l’uso dell’amianto nella produzione era lecito sino al 1992, anno nel quale lo stesso minerale è stato messo al bando aprendo tuttavia un nuovo capitolo, non meno drammatico, sullo smaltimento dell’amianto ovunque presente, con intuibili danni per i lavoratori addetti a questa attività.

E quindi la liceità dell’utilizzo dell’amianto dovrebbe assolvere gli imprenditori che ne abbiano fatto uso nella produzione anche quando ne sia conseguito l’inquinamento dei luoghi di lavoro e la malattia ed anche la morte dei lavoratori.

In verità esistono altre norme, altre leggi, che impongono agli imprenditori di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 codice civile).

Appare evidente che la norma sopra descritta sia in aperta contraddizione con il concetto della liceità dell’utilizzo dell’amianto. Come può ammettersi che l’imprenditore sia libero di utilizzare una sostanza altamente cancerogena e al contempo sia tenuto giuridicamente ad impedire il pregiudizio all’integrità fisica dei lavoratori?

Sarebbe facile rispondere sostenendo che l’imprenditore deve dotare gli impianti di produzione di moderni sistemi di protezione dalle polveri di amianto e da altre sostanze nocive.

In verità nessuna norma di diritto specifica quali sistemi di prevenzione e di sicurezza siano idonei ad eliminare il potere cancerogeno delle polveri di amianto con l’intuibile risultato che l’imprenditore adotterà il sistema di protezione dalle polveri meno costoso.

Come possiamo agilmente notare il sistema normativo appare volutamente generico e contraddittorio in materia di tutela della salute dei lavoratori con la conseguenza che la norma sopra citata, ossia l’articolo 2087 del codice civile appare lettera morta ossia di difficile se non impossibile applicazione pratica.

La generica e contraddittoria disciplina legislativa in materia di tutela della salute dei lavoratori si riflette, in modo assai rilevante, anche sull’agibilità delle sedi giudiziarie per tutelare i lavoratori colpiti dalle malattie e dagli infortuni sul lavoro.

Mi riferisco alla complessità e ai costi, non solo economici, dei procedimenti in tale materia. Per lo più si tratta di procedimenti che hanno una durata di molti anni e che vede schierati da una parte le vittime, ossia i lavoratori e le loro famiglie, e dall’altra Imprese spesso multinazionali. La complessità processuale e soprattutto i tempi processuali esigono una capacità di resistenza, economica e logistica, che certamente favorisce in modo netto la parte economicamente più forte, ossia le Imprese.

Non solo anche il materiale conoscitivo, ovvero gli elementi scientifici, attuali e la stessa ricostruzione degli eventi storici acquistano, in tali processi, un peso determinante per l’accertamento della verità e quindi per l’esito del procedimento penale.

La stessa possibilità di definire lecito o meno un evento complesso come la produzione industriale dipende dalle conoscenze scientifiche acquisite in un dato memento storico. In altri termini, per poter stabilire ciò che è nocivo, e quindi illecito secondo il Diritto, e ciò che non lo è, è necessario il ricorso alla ricerca scientifica che concentri la propria attenzione indagando le cause delle patologie in funzione di una determinata attività. Questa banale considerazione è, in verità, uno dei fondamentali presupposti della frequente impunità delle Imprese di fronte alla vera e propria strage di lavoratori ammalatisi nei luoghi di lavoro e a causa delle sostanza nocive con le quali sono entrati in contatto.

Le ragioni attengono proprio alla funzione attribuita alla ricerca scientifica e agli interessi ad essa collegati. Non è difficile immaginare che il finanziamento della ricerca scientifica può essere realizzato solo da chi ha ingenti capacità economiche da destinare a tale ricerca pretendendo, come intuibile, di poterne poi utilizzare il risultato in termini economici.

È pacifico che si verifichi una sorta di identità, quantomeno di classe, tra chi ha il controllo politico o economico della produzione e chi ha la capacità economica di finanziare la ricerca scientifica determinando anche gli obiettivi della ricerca e la gestione, commerciale, dei risultati della medesima ricerca.

Come dire che la stessa mano che controlla la produzione capitalistica finanzia e controlla la ricerca scientifica.

Va da sé che nessun “capitalista” avrà interesse, politico  e tantomeno commerciale, a finanziare la ricerca medica in materia di malattie professionali e nocività della produzione!

Possiamo quindi comprendere come i fattori economici e politici, o meglio ideologici, hanno un peso determinante nella stessa interpretazione e valutazione della liceità delle condotte umane connesse con la produzione capitalistica.

La ricerca medica in materia di malattie professionali ed in particolare in materia di nocività suoi luoghi di lavoro soffre, non a caso, di una grave carenza di “fondi” con l’intuibile conseguenza che poco o nulla si ricerca sulle cause delle malattie che colpiscono i lavoratori nei luoghi di lavoro.

Carenza che si traduce in difficoltà per le vittime, e per chi li assiste, di dimostrare, secondo le regole del processo penale, non solo l’efficacia causale, in termini medici, delle sostanze usate nella produzione a indurre malattie nei lavoratori ma anche a riscontrare la violazione dei principi di igiene e salute da parte delle Imprese e a danno dei lavoratori.

Le considerazioni sino ad ora svolte, in via succinta e forse troppo sommarie, consentono comunque di definire il ruolo, certamente secondario e sfavorevole, che deve essere attribuito al Diritto vigente nella tutela delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori e al contempo consentono di assumere la consapevolezza che la tutela della vita e della salute dei lavoratori non può essere delegata ai Tribunali o a soggetti estranei alla storica contraddizione sociale ma deve essere nuovamente assunta come patrimonio di lotta dell’intero movimento dei lavoratori.

 

Milano, febbraio 2005

 

 

REPARTO ASTE, BREDA

Testo di E. Partesana - 1998

 

 

 

Non li hanno uccisi a calci e pugni, se è per questo, e nessuno gli ha sparato da un tetto, ma voi perché non ne parlate?

Utilizzavano la saldatura a scintillio gli operai del reparto aste della Breda, a Sesto San Giovanni, megaglia d’oro al valor militare. Costruivano le macchine, che con il lavoro fanno ricca la terra e non facevano del male a nessuno, i ventisei della Breda, ma sono morti ammazzati lo stesso.

Eppure il caso è semplicissimo: otto ore per un milione e quattrocentomila lire moltiplicato per ventisei, più i costi dei macchinari e dei materiali, tutto il resto è guadagno sicuro. Non ci confondiamo per così poco.

A Giambattista Tagarelli hanno tolto la milza e piccoli grappoli di tumore per tutto il sangue, l’hanno riciclato per bene come custode di uno stabilimento che quando non è chiuso  è in vendita, gli hanno dato ottocentomila lire di invalidità (che non sono però reversibili alla moglie e ai figli) e gli hanno mandato a dire, ma dall’ufficio competente, che anche fumare fa male. Ce ne sono altri quindici un po’ meno fortunati di lui, perché hanno fatto in tempo a morire prima che la fabbrica chiudesse, e altri quattro ammalati di tumore; su ventisei sani sono in sette.

E adesso che cosa c’è? È il conto che vi fa impressione?

 

L’amianto è un minerale che fa della sottile pellicola che separa noi stessi dall’aria che respiriamo nei nostri polmoni, una maglia biancastra spessa e rigida, dove nascono tumori.

E’ di questa maglia che è morto Franco Camporeale, e Megna, e Crippa, Mauri, Giambirasio, Cenci, Lazzari, Fabbris, Ferri e Livio Cattan.

Peccato. Perché a saperlo lo si sarebbe potuto evitare.

Allora compagni, volete che si dica così? Che questa sia la verità?

 

Se un individuo arreca danno fisico a un altro essere umano e questo ne muore, quell’atto si chiama omicidio; se però questo individuo sapeva in precedenza che il danno sarebbe stato mortale, la sua azione si chiama assassinio. Quando l’assassinio colpisce molti uomini, si chiama strage”. Occultare una strage è reato. Volete andare a controllare, per favore, da quand’è che sappiamo che lavorare con l’amianto è mortale? C’è una denuncia in corso per strage.

 

Dell’amianto si sa tutto da molti decenni, ma saperne non costa e non rende e il profitto non sa far di conto. Non conta i morti il capitale che li chiama morti sul lavoro, come se fossero inciampati scendendo le scale, e i morti di lavoro non li vede, non fanno bilancio, non sono quotati. Chi ha comprato la Breda, o chi la comprerà domani, i diciannove sfruttati a morte non li troverà scritti da nessuna parte; sono lavoro che è diventato profitto, guadagno anonimo, pulito, che di nome adesso fanno blu chip, giacenza di magazzino, contratto, commissione siglata.

Tutti coloro che hanno partecipato a questa sciagurata vicenda, che potevano e non hanno fatto, capitalisti, funzionari della Ussl, ispettori del lavoro e sindacalisti dei quali purtroppo non so il nome, hanno eseguito alla perfezione la sentenza capitale dello sfruttamento trasformando, alla lettera, la vita vivente di uomini e donne in quote percentuali di profitto.

E tutti noi che non c’entriamo, c’entriamo come loro.

Io, adesso, non so cosa vogliano i familiari degli uccisi, i loro amici e i loro compagni.

Una giustizia mi sembra impossibile, una sentenza di condanna per i colpevoli, e di riconoscimento e risarcimento per i sopravvissuti e i parenti dei morti, il minimo.

Ma oltre a questo c’è da partecipare alla lotta affinché cose come queste non accadano mai più in tutti i posti dove cose come questa accadono quotidianamente.

Al reparto aste non si salda più con l’amianto, ma l’amianto non è il colpevole, come non lo è il piombo del colpo di fucile o i tubi e le assi sotto cui muore schiacciato l’operaio edile, precario, abusivo, socio di cooperativa o schiavo magrebino “volontario”.

Dobbiamo prendere i mandanti e arrestare la loro logica e il profitto che queste morti, e tutto lo sfruttamento in generale, arreca loro senza sosta.

 

Questa lotta ha bisogno di militanti, i presenti facciano un passo avanti

 

 

Questo libro racconta come un gruppo di operai della Breda Fucine di Sesto S. Giovanni (Milano) siano riusciti a portare  sul banco degli imputati non solo i dirigenti di una fabbrica “di morte” ma un sistema economico che, in nome del profitto, calpesta e uccide uomini e natura.

 

È una storia “vera”, una storia collettiva come tante altre – magari  sconosciute, ma che  formano la Storia del movimento operaio -  di uomini e donne, spesso senza nome e senza volto, che hanno portato avanti, contro tutto e contro tutti, una battaglia  per la salvaguardia del diritto alla salute di  lavoratori e cittadini.

 

È a loro, alla loro tenacia e al loro coraggio, che è dedicato questo libro.

 

 

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