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da http://www.cubasocialista.cu/texto/defensa/cssd008.htm

I vincoli militari tra Stati Uniti ed Europa. Attualità e prospettive


Dr. Luis M. García Cuñarro. Vicepresidente del CEID

I vincoli militari tra gli Stati Uniti e l’Europa sono il frutto di una di lunga partita e hanno avuto diverse sfumature durante la creazione e il consolidamento della nazione americana.

La valutazione iniziale che elaborarono i primi dirigenti statunitensi circa lo scenario di sicurezza in cui gli Stati Uniti dovevano muovere i passi iniziali nell’arena internazionale, era determinata da due fattori strategici: l’alta sicurezza delle frontiere della nascente Unione e, contemporaneamente, la debolezza militare con cui gli USA affrontavano gli altri grandi stati del mondo, che all’epoca era un mondo "eurocentrico."

Il primo di quei fattori, cioè la poca vulnerabilità degli Stati Uniti attraverso le sue frontiere si spiegava per la debolezza militare dei suoi vicini, lo stato di maturazione delle colonie europee, e la minaccia insignificante degli indigeni sul confine terrestre occidentale. In quella visione aveva influenza anche l’esistenza di un vasto spazio marittimo sull’Atlantico, che costituiva una barriera naturale davanti alle potenze navali europee dell’epoca.

Su questo tema sottolineava George Washington: “.. la nostra lontananza dagli stati europei ci libera delle paure vincolate da forze regolari numerose, e della paura di ingiurie e pericoli che derivano dalle sue ambizioni."

L’altro fattore strategico, la relativa debolezza militare degli Stati Uniti, che aveva contenuto la manovra strategica dei primi governi, era possibile superarla nella misura in cui la struttura politica ed economica si fosse consolidata. A quelle condizioni poteva arrivare ad uguagliare il potere europeo e perfino a superarlo.

Davanti all’esistenza di entrambi i fattori strategici, era necessario il design di una strategia adeguata che si trovò nel concetto di “bilanciamento di potere”. Questo concetto, già provato nell’antica Grecia, presupponeva di utilizzare l’equilibrio di forze tra i membri della comunità internazionale, a beneficio del proprio interesse, approfittando delle contraddizioni esistenti tra gli altri attori. Il bilanciamento di potere, tra l’altro, permette di dotarsi di un potere militare ottimale e non massimo, con evidenti vantaggi economici. Questo presupposto gli statunitensi lo misero a fuoco verso l’Europa, e fino alla Prima Guerra Mondiale continuarono a seguirlo. La strategia degli Stati Uniti, in conseguenza, fu quella di non immischiarsi nei problemi esteri e di intervenire solo per ottenere vantaggi.

Già nel 1898, gli Stati Uniti (che avevano realizzato un ampio processo di espansione territoriale) erano in condizione di disputare all’Europa, e principalmente all’Inghilterra, l’egemonia.
Fattori congiunturali come le intenzioni britanniche di “equilibrare la bilancia” in Asia, facilitarono quell’obiettivo.
La nazione nordamericana continuò il suo consolidamento come potenza imperialista e raggiunse lo zenit alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945.

Conclusa la Seconda Guerra Mondiale, l’orientamento egemonico che assunse la politica estera statunitense ebbe come componente basilare l’anticomunismo, che sarà valido fino al crollo del Campo Socialista e la scomparsa dell’URSS nell’ultima decade del Secolo XX. Questa peculiarità, in termini pratici, ridusse la complessità del sistema internazionale di relazioni ad una messa a fuoco bipolare: la contraddizione est-ovest conosciuta come “Guerra Fredda”.

La bipolarità del mondo del dopoguerra fece a pezzi il concetto di bilanciamento di potere tra Europa ed Asia, di cui gli Stati Uniti avevano approfittato a suo tempo. Nelle nuove condizioni, l’amministrazione statunitense si vide costretta a dover affrontare in modo frontale l’URSS e il Campo Socialista e, contemporaneamente, a continuare a creare le condizioni per legare l’Europa al carro dell’antisovietismo. Il Piano Marshall ebbe molto a che vedere con questa nuova situazione strategica. Anche la creazione della NATO fu un passo importante in quel senso.

La modernità nei vincoli militari Stati Uniti - Europa

Quella situazione rimase inalterata, tranne gli aggiustamenti necessari a partire dalla scomparsa del nemico tradizionale, fino agli eventi del 11 di settembre del 2001, che fornirono un nuovo argomento per consolidare ed espandere l’opzione militare quale soluzione dei problemi politici ed economici nordamericani.

La Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti del settembre 2002, o "Dottrina Bush", riaffermò che la NATO, più l’Unione Europea, sono "due delle più forti  istituzioni internazionali nel mondo." In realtà la NATO è oggigiorno l’unica alleanza reale che funziona in accordo agli interessi nordamericani in modo sistematico.

La strategia statunitense di estendere l’espansione della NATO ad altre "nazioni democratiche" in realtà fortifica gli Stati Uniti, perché da un lato allontana il "ricordo socialista" e dall’altro, data la vocazione sempre più nordamericana di quei paesi, permette di ampliare il consenso verso gli Stati Uniti nel seno della NATO.

In quel senso, il proposito nordamericano che le forze della NATO possano contribuire più concretamente con capacità militari più adeguate, conferma un vecchio proposito degli Stati Uniti, quello di consentire che i paesi dell’Europa incrementino i loro propositi bellici, modernizzino le forze e siano in gradi di combattere insieme agli USA, eliminandi i problemi che si palesarono durante la Guerra Aerea contro la Yugoslavia nel 1999.

In quella guerra, la superiorità tecnologica militare nordamericana fu dimostrata abbondantemente. Il 95 % dei missili da crociera usati furono statunitensi; più del 90 % delle missioni di voli di intelligence, di guerra elettronica e di azioni notturne furono compiute da aeroplani nordamericani. Il 75 % del totale di aerei che parteciparono ai bombardamenti erano degli Stati Uniti.

Globalismo Militare degli Stati Uniti e il suo vincolo con l'Europa 

Negli anni 90, il Nuovo Ordine Mondiale conclamato a partire dal mondo unipolare creato, affermò nuovamente la vocazione "messianica" degli Stati Uniti, concettualmente radicata nel pensiero strategico nordamericano. In ciò ha un ruolo determinante il potere militare.

L'amministrazione di George W. Bush si consolidò con lo sviluppo della "guerra internazionale contro il terrorismo", che cominciò con l’intervento militare in Afghanistan, in Iraq, e la minaccia parallela all’intero pianeta. Le due prime guerre del Secolo XXI, Afghanistan ed Iraq, condotte dagli Stati Uniti e dai suoi alleati più vicini in nome della lotta internazionale contro il terrorismo, hanno confermato le pretese dell’Imperialismo moderno di rinvigorire l’opzione militare come uno strumento della politica, sintomo che aveva cominciato a manifestarsi con forza dalla prima guerra del Golfo Persico, nel 1991. Essendo l’Europa l’alleato principale degli Stati Uniti, è stata integrata, volente o no, alle azioni militari dei nordamericani da più di un decennio.

Non è un segreto che gli Stati Uniti sono l’unica potenza mondiale che ha interessi globali e che, inoltre, conta sulle risorse militari ed economiche per fare valere quelle pretese. Questo rappresenta uno squilibrio nelle relazioni tra Stati Uniti ed Europa, perché il vecchio continente, quand’anche pretendesse d’avere interessi globali non avrebbe capacità reali di esercitare quella volontà. Per di più, si sta producendo nel mondo una riorganizzazione del sistema di presenza militare degli Stati Uniti, che ovviamente colpisce anche l’Europa, e che si esprime con la riduzione o ridislocazione delle grandi basi militari e la sua sostituzione con strutture meno statiche e più contemporanee. Ciò per garantire gli spiegamenti periodici di forze in altri teatri d’operazioni.

Le sfide che si è posta l’amministrazione nordamericana del Presidente Bush dopo l’11 settembre del 2001 in termini politici e militari, nel senso di estendere la "guerra contro il terrorismo” contro qualunque oscuro angolo nel mondo mediante una strategia di "attacchi preventivi", ha avuto all’estero un impatto diretto nella concezione tradizionale della presenza militare. Si tratta della necessità di trovare i meccanismi necessari per agire in modo "anticipato" invece di sviluppare una strategia "reattiva." Ciò ha implicazioni in termini tanto organizzativi, quanto tecnologici e perfino sui siti di spiegamento sul campo. Questo è il succo della dottrina delle "locazioni operative avanzate" (Forward Operating Locations) o semplicemente FOL, che da una parte garantiscano il ritorno immediato dei capitali investiti, e dall’altro che consentono tramite l’omissione della parola "basi", ad eliminare le diffidenze ed asprezze tradizionali.

Di che si tratta allora?
L’essenza di questa nuova dimensione strategica, nata agli inizi degli anni 90, è quella di utilizzare una porzione del terreno, in un’ubicazione straniera, che abbia idealmente un aerodromo (non importano le sue capacità iniziali, se c'è la possibilità di ampliarle in seguito) e/o un porto. Quelle premesse, dato il livello tecnologico raggiunto dalla forza militare nordamericana, facilitano lo spostamento delle risorse di maggiore apertura alare provenienti dal territorio continentale degli Stati Uniti o da altre grandi basi militari.

L'amministrazione di Bush si concentra sul creare una rete a distanza, con basi operazionali dalla natura di avamposti a basso costo, che normalmente abbiano piccole unità di appoggio e difesa, in modo che assicurino gli spiegamenti delle unità di combattimento quando si richieda. Ciò potrebbe ridurre, secondo gli stessi nordamericani, "l’orma della presenza militare" nordamericana oltremare. Questa tendenza contribuisce a far sì che il concetto tradizionale di "base militare" si vada trasformando e, insieme alle grandi basi che spariscono o si trasformano, la presenza militare nordamericana all’estero s’incrementa.

I motivi per questo riordinamento sono vari. Il fattore economico; per le spese di mantenimento dei soldati con le loro famiglie per considerabili periodi di servizio. L’imbarazzo della presenza militare fisica; si vedano i casi particolari di Okinawa, Giappone o Corea del Sud. La necessità di espandere lo spiegamento verso aree nevralgiche senza creare altri contingenti di truppe; questo secondo la volontà dei governi ex-socialisti dell’Europa di ospitare militari nordamericani che eventualmente possano partire dalla Germania. In quei casi specifici si trovano Bulgaria e Romania, che hanno offerto porti ed aerodromi nel Mare Nero, e la Polonia, che si propone di ospitare unità terrestri. L'espansione della presenza militare nordamericana, secondo la filosofia del Pentagono, è orientata a rispondere alla "sfida" che significa l’incremento dei conflitti in diverse parti del mondo e con poco o nessun tempo a reazione per gli Stati Uniti, la riorganizzazione europea, sembra mirare a quei fine. Non è ozioso rimarcare che le "funzioni tradizionali" che hanno compiuto le forze armate nordamericane si sono espanse, nella stessa misura in cui l’hanno fatto gli interessi di dominazione imperiale. Oltre alle operazioni militari di "mostrare la bandiera" o salvaguardare la vita ed anche proprietà "nordamericane" si realizzano guerre per mercati, accesso a risorse economiche, e perfino con obiettivi dichiarati come umanitari.

Quegli sforzi coincidono con l’estensione delle responsabilità tradizionali di strutture di comando nordamericane, come il caso del Comando dell’Europa verso regioni dell'Africa appoggiate dalla volontà della NATO di ampliare le sue frontiere, obiettivo dichiarato nel Nuovo Concetto Strategico promulgato in occasione del 50° Anniversario della NATO celebrato a Washington.

L’Europa assiste oggi ad un processo d’incremento del militarismo mondiale, guidato dagli Stati Uniti e che cominciò nella prima Guerra del Golfo nel 1991 ed alla quale seguirono gli interventi militari in Bosnia (1995) Yugoslavia (1999), Afghanistan (2001) ed Iraq (2003). L’Europa, con alcuni "dissidenze" temporanee e limitate si è vista trascinata in quei conflitti.
È prevedibile che la tendenza si mantenga indipendentemente da chi sia il nuovo presidente negli Stati Uniti, per cui il pericolo che l’Europa continui sul carro da guerra nordamericano è anche prevedibile.

L’unipolarità/l’unilateralismo degli Stati Uniti sono un fattore che l’Europa dovrà considerare nel futuro immediato, per le incidenze di sicurezza diretta che rappresenta per la marcia del progetto comunitario europeo in senso generale.
Tutto sembra far sì che l’Afghanistan e l’Iraq non siano gli ultimi episodi bellici per l'Europa.

traduzione dallo sapgnolo di FR