www.resistenze.org - osservatorio - della guerra - 14-10-10 - n. 336

da http://rebelion.org/noticia.php?id=114196
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Disarmo atomico e proliferazione nucleare
 
di Higinio Polo
 
04/10/10
 
Durante il primo semestre del 2010, sono avvenuti degli incontri internazionali, terminati in conseguenti accordi, tali da suscitare l’impressione che la questione della sicurezza nucleare nel mondo abbia intrapreso una nuova evoluzione, più favorevole alla pace. Nel mese di aprile è stato firmato il nuovo Trattato sulla Riduzione delle Armi offensive e strategiche, denominato START, tra Stati Uniti e Russia; successivamente, Obama ha annunciato la nuova dottrina nucleare statunitense con una riunione a Washington sulla sicurezza nucleare e così, a maggio, l’ONU, ha iniziato i suoi lavori di revisione del Trattato di non Proliferazione Nucleare, denominato TNP. Tuttavia, nonostante la firma di Medvedev e Obama a Praga abbia rappresentato un passo nella giusta direzione, le difficoltà per la conquista del disarmo nucleare ed il divieto della proliferazione atomica, continuano ad essere enormi.
 
L’accordo sul disarmo siglato lo scorso aprile a Praga da Washington e Mosca (il nuovo START, come è stato denominato), ha la medesima finalità del vecchio START-1 (firmato nel 1991 dall’Unione Sovietica e dagli Stati Uniti, in vigore fino alla fine del 2009) e degli accordi sulla riduzione delle armi strategiche firmati dai due paesi nel 2002: sono tutte azioni che non superano il baratro del nucleare. Nonostante gli accordi che hanno limitato negli ultimi decenni il potere nucleare delle due grandi potenze, si stima che oggi esistano tra le 25 e le 27 mila testate nucleari (a seconda del modo in cui le si conta), di cui circa 12 mila sono tutt’ora attive, mentre le rimanenti sono nei silos e stipate nei magazzini. Non si ha nessuna intenzione di distruggere la maggior parte di queste armi, anzi, si pensa di riattivarne alcune perché possano essere nuovamente operative.
 
Secondo fonti militari russe, sulle armi offensive strategiche, nell’estate del 2009 quando sono state accelerate le trattative per concludere il nuovo START, gli Stati Uniti avevano 1.188 rampe di lancio e 5.916 testate nucleari, mentre la Russia aveva 809 rampe e 3.897 testate.
 
Da parte sua, la Federation of American Scientists (FAS) stimava, nell’aprile 2010, comprendendo nel calcolo tutte le armi nucleari comprese le bombe a corto e medio raggio, che la Russia possedesse 12.000 testate nucleari e gli Stati Uniti 9.400, mentre i restanti firmatari della TNP ne possedessero meno di 300 ciascuno (Francia 300; Cina 240, Gran Bretagna 185). La FAS stimava inoltre, che i paesi non aderenti alla TNP avessero complessivamente circa 240 testate nucleari (Israele 80; Pakistan tra 70 e 90 e India tra 60 e 80): diversi osservatori del fenomeno ritengono che la FAS esageri l’arsenale russo e tenga bassi i numeri degli statunitensi e degli israeliani.
 
Il nuovo START prevede che ogni potenza potrà possedere, al massimo, 1.550 bombe nucleari e 700 missili installati ed attivi, compresi quelli intercontinentali, sottomarini ed i bombardieri strategici. Inoltre, ciascuna potenza potrà possedere un certo numero di missili aggiuntivi, sempre che il totale non superi le 800 unità.
 
Anche se queste cifre sembrano indicare una svolta in materia di disarmo, il fatto è che la grande maggioranza delle bombe passano, semplicemente, nella lista di quelle conservate nei magazzini, così che la possibilità di distruzione reale risulti quasi irrilevante. Il nuovo accordo contempla anche le bombe atomiche considerate “tattiche”, progettate per il territorio europeo e con funzione strategica: tuttavia ci sono ancora più di 200 bombe nucleari statunitensi in questo continente. Questo significa che il nuovo START è un accordo mediocre.
 
Che tipo di armi ammette il nuovo START?
 
Le seguenti:
 
  1. Missili balistici intercontinentali, denominati in inglese ICBM, aventi un raggio di azione superiore a 5.500 km: la distanza tra Russia e Stati Uniti. 
  1. Bombardieri strategici: aerei con autonomia di volo superiore a 8.000 km, dotati di missili a lunga gettata. Gli Stati Uniti hanno cercato di includere i bombardieri di fabbricazione sovietica TU-22M3, che hanno un’autonomia 7.000 km, adducendo limitazioni tecniche introdotte da Mosca in quegli aerei. 
  1. Missili balistici intercontinentali installati sui sommergibili, in inglese denominati SLBM, con un raggio superiore a 600 km. Stati Uniti ed Unione Sovietica nel 1991 avevano firmato un accordo per eliminare i missili da crociera, o tattici, dalle navi e dai sottomarini dei due paesi. 
Esistono altri tipi di armi, tra cui i missili a lungo raggio (il BGM109 Tomahawk nordamericano e l’ S-10 Granat russo) e missili da crociera montati sulle navi, che Mosca intende includere nel concetto di armamento strategico, anche se Washington ha sempre rifiutato.
 
Gli analisti russi hanno fatto notare che, nel nuovo accordo, le piattaforme mobili che trasportano i missili strategici (come la Topol), non verranno limitate a specifiche aree. In linea di massima questo fa supporre che armi nucleari strategiche rimosse, possano essere attivate nuovamente e significa che entrambe le potenze sono in grado di mantenere i loro arsenali. Contemporaneamente è stato deciso che i missili strategici non possano essere distribuiti al di fuori del territorio nazionale di ciascuna potenza, decisione che è soggetta a controllo, anche se questo potrà presentare problemi di interpretazione per quel che riguarda navi, sottomarini e bombardieri; per tutto ciò il nuovo trattato START ha un protocollo allegato (si noti che il testo del trattato è di appena 12 pagine, mentre il protocollo ne ha 138), che stabilisce la metodologia, il linguaggio utilizzato e anche i meccanismi di verifica e di controllo per entrambe le parti e così non sorprende che molti problemi restino: sappiamo infatti che il diavolo è, di solito, nei dettagli. Infine, il nuovo accordo, non limita lo “scudo antimissile”, ma contempla una “relazione” tra armamenti offensivi e difensivi: questo crea un serio problema a Mosca, perché, nonostante l’annuncio propagandistico che dice che Washington starebbe per rinunciare al suo “scudo”, progettato da Bush in Polonia e nella Repubblica Ceca, la realtà è che il governo di Obama non si è pronunciato affatto in tal senso, ma ha deciso una “riformulazione” dello stesso. Proprio per questo Mosca si è inserita nel quadro dei negoziati del nuovo Trattato (con lo speciale protocollo allegato) riservandosi il diritto di recedere, se gli Stati Uniti sviluppassero un sistema di difesa missilistica che minacci la sicurezza e l’equilibrio strategico tra le due potenze.
 
La diffidenza di Mosca è giustificata, non solo per ragioni storiche. Appena dieci giorni dopo la firma dello START, il Tenente Generale Patrick O’Reilly, responsabile dell’Agenzia di Difesa Missilistica statunitense, ha dichiarato che il nuovo accordo con Mosca avrebbe permesso l’implementazione dello scudo missilistico in Europa e di quello nell’oceano pacifico; Bradley Roberts, sottosegretario aggiunto della Difesa, ha dichiarato che il nuovo “scudo antimissile” dovrebbe, rispetto al precedente più limitato, installato nella Repubblica Ceca ed in Polonia, coprire tutta l’Europa. I piani nordamericani, che contemplano la sua costruzione in circa otto anni, riflettono la falsa propaganda lanciata da tutti i media occidentali di qualche mese fa, sulla rinuncia di Obama allo scudo di difesa missilistica. Non c’è nessuna rinuncia, ma una nuova ridefinizione del profilo e degli obiettivi dello “scudo”. La prima fase dovrebbe essere completata entro la fine del 2011 (per allora il Pentagono dovrà decidere quale paese del sud Europa ospiterà il radar.)
 
Il trattato prevede la possibilità, per le due potenze, di sviluppare nuovi tipi di missili e sistemi di lancio, le cui installazioni potranno essere decise da ciascun paese (a terra, sulle navi e sottomarini o sui bombardieri strategici), con in più la possibilità di installazione sulle piattaforme mobili ferroviarie. Da segnalare anche che il limite stabilito di 1.550 bombe nucleari per ogni paese, non rivela che i bombardieri di fatto possono trasportare dai 10 ai 24 missili, a seconda del tipo di aeromobile, per cui il limite reale è quello di 2.100 bombe della Russia e 2.400 degli Stati Uniti. L’interesse degli Stati Uniti a continuare a mantenere ancora per qualche tempo i loro attuali bombardieri strategici nucleari, spiega questa decisione che è stata accettata da Mosca.
 
Molte questioni rimangono aperte per il futuro, dalla portata dei missili, ai nuovi “scudi” annunciati, così come la tentazione, sempre latente, di portare la corsa agli armamenti nello spazio, come dimostra il fatto che il governo degli Stati Uniti non si sia ancora rassegnato sulla questione e ancora rifiuti di negoziare un trattato in materia con Mosca e Pechino. La questione dei vettori è di grande importanza, l’accordo firmato prevede che ogni potenza potrà detenerne fino ad un centinaio in più rispetto al numero massimo consentito, anche se i criteri secondo cui è stabilita la soglia, non sono coincidenti tra le due potenze. Il giorno seguente la firma dello START a Praga, Viktor Yesin, ex capo di Stato Maggiore delle Truppe missilistiche strategiche russe, ha dichiarato che il suo paese non si porrà in competizione con gli Stati Uniti rispetto ai vettori di armi nucleari e ritiene che la soglia di dissuasione nucleare, si possa stabilire in un minimo di 500 vettori strategici e 1.550 bombe nucleari.
 
Se il nuovo START crea o suggerisce un nuovo scenario internazionale, due appuntamenti completano l’agenda del semestre: il vertice nucleare a Washington e la conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), iniziato al palazzo dell’ONU a New York, ai primi di maggio. Il primo si è riunito a Washington, in un vertice sulla sicurezza nucleare convocato dal governo degli Stati Uniti, a cui hanno partecipato quasi cinquanta paesi (durante il quale gli Stati Uniti hanno cercato di isolare l’Iran) e che ha discusso sul contrabbando del materiale sensibile e la questione dell’ipotetico “terrorismo nucleare “ accordandosi per la fine del 2014 rispetto al controllo dell’uranio e del plutonio in tutto il mondo (Ucraina, Canada, Cile e Messico, per esempio, si sono impegnati a liquidare le scorte di uranio arricchito); dove si sono decisi i meccanismi di scambio di informazioni e i meccanismi di controllo da parte dell’Organismo Internazionale dell’Energia Atomica (OIEA), più alcuni altri accordi minori, tutto ciò senza prevedere gli obblighi dei paesi che hanno aderito alle convenzioni, lasciando così aperta l’interpretazione dei documenti approvati.
 
Secondo l’OIEA, esistono nel mondo 15 casi documentati di contrabbando di uranio arricchito e plutonio, di cui otto si sono verificati nell’instabile Georgia dell’avventuriero Mijail Saakashvili, che, curiosamente, al vertice si vantò dell’ultimo caso scoperto dalla polizia georgiana: il sequestro di alcuni grammi di uranio arricchito che stava per essere venduto, anche se va fatto notare che per costruire una bomba nucleare sono necessari centinaia di chili di uranio, a seconda del grado di arricchimento.La dichiarazione finale del vertice è stata più una simbolica dichiarazione di intenti, che un documento vincolante tra i paesi partecipanti.
 
Per quanto riguarda la revisione del TNP (che hanno ad oggi firmato 189 paesi), l’ottava conferenza a New York (il trattato istitutivo è del 1968 e la precedente conferenza si è tenuta nel 2005) ha affrontato il problema del possibile apparire sulla scena di nuove potenze nucleari, in un clima di impotenza sui problemi da affrontare. I risultati della conferenza, che si è conclusa a fine maggio, sono stati raccolti in una dichiarazione e sono modesti, deludenti, anche se questo non dovrebbe essere motivo di scoraggiamento. I rappresentanti del Movimento dei Paesi Non Allineati sono stati insoddisfatti per la distanza tra “la retorica di alcuni paesi con armi nucleari e gli impegni che questi sono disposti ad assumere”. Il riferimento agli Stati Uniti è lampante. Durante i lavori della conferenza si è arrivati a proporre una data, il 2025 (che Washington ha contestato), come obiettivo da conseguire per la totale eliminazione delle armi nucleari, ma non sono stati fissati termini specifici ed intermedi per il disarmo nucleare parziale, né si è concordato un patto per bloccare lo sviluppo ed il perfezionamento degli armamenti, così come non è stato concordato nulla rispetto al ritiro di testate nucleari dispiegate in altri territori da parte delle potenze nucleari (iniziativa che riguarda gli Stati Uniti, dal momento che né la Russia né la Cina hanno armi nucleari schierate al di fuori del loro territorio), né è stato raggiunto un compromesso che andasse verso un trattato per la sicurezza per i paesi non nucleari di non essere attaccati o minacciati di tali armi da parte delle potenze nucleari e neanche è stato adottato l’impegno ad aprire trattative per la formulazione di una Convenzione sulle Armi Nucleari. Al contrario, la riunione di New York ha approvato una dichiarazione per convocare una Conferenza sul Disarmo Nucleare in Medio Oriente nel 2012, con l’obiettivo di trasformare l’area in un territorio privo di armi nucleari. Gli Stati Uniti avevano bloccato per anni questa possibilità e questa proposta ha segnato il malaugurato destino della precedente revisione del TNP nel 2005: Washington ha ora accettato, pur deplorando il fatto che la dichiarazione nominasse Israele (come se ci fosse altra potenza nucleare in Medio Oriente al di fuori di Israele!). Non sarà un compito facile: il governo di Tel-Aviv, che non ha firmato il TNP, si è affrettato a respingere duramente il documento.
 
Delle potenze che sono state inserite nel gruppo atomico, nessuna ha firmato il TNP. Sono tre: Israele, che non ammette di possedere ordigni nucleari; l’India, con cui gli USA hanno firmato un accordo nucleare, nonostante il trattato; il Pakistan. Tra i paesi che sono al lavoro per conseguire la bomba, la situazione è molto diversa. E’ ben noto che gli Stati Uniti discutono da tempo dell’esistenza di un programma nucleare iraniano e della pericolosa situazione nelle penisola coreana, dove le manovre statunitensi per infastidire Pyongyang, rifiutandosi di firmare il trattato di non aggressione, hanno avuto come conseguenza indesiderata di stimolare la ricerca di armamento atomico da parte della Corea del Nord. Inoltre, i recenti documenti declassificati hanno rivelato che il Sudafrica razzista promosse un programma (con l’aiuto di Israele) per dotarsi di armi atomiche, programma che è stato cancellato e che ha reso possibile l’adesione del paese al TNP. Inoltre, si è speculato sulle ambizioni nucleari della Siria, della Libia, dell’Iraq di Saddam Hussein, compresa Taiwan, ma ovunque i neonati programmi sono stati interrotti o, semplicemente, non esistevano. Si tratta di una questione molto delicata. Si ricordi che Israele ha lanciato attacchi, in due occasioni, contro Iraq e Siria, accusate, senza prove, di avere la bomba nucleare e che i loro piani per attaccare l’Iran, nonostante il segreto di Tel Aviv, non sono speculazioni di analisti militari, ma una decisione definitiva dello Stato ebraico che aspetta solo il momento giusto per lanciarlo. Comunque, il problema principale è che non ci può essere progresso nella politica di non proliferazione, se questa non è accompagnata da un reale progresso nel disarmo atomico delle grandi potenze nucleari. Siamo tenuti a non dimenticare che dobbiamo ancora affrontare la questione dei negoziati del Trattato per la Proibizione Totale della Sperimentazione Nucleare, un tema che Washington ha ripetutamente rifiutato di affrontare.
 
Curiosamente, nelle settimane un cui venivano adottate alcune restrizioni sull’uso delle armi nucleari, il governo statunitense rendeva pubblico nel mese di aprile su Nuclear Posture Review Report, di seguire, sostanzialmente, il trend della precedente relazione. Di fatto gli Stati Uniti non hanno rinunciato all’uso di armi atomiche neanche contro paesi non-nucleari, ma la dottrina nucleare approvata con Obama, sostiene che il paese non attaccherà con armi nucleari i paesi che non le hanno  o stanno “adempiendo ai loro obblighi di non proliferazione nucleare”, il che, secondo il governo degli Stati Uniti, esclude la Corea del Nord e l’Iran e che quindi, possono essere attaccati dagli Stati Uniti. Washington rinuncia a rispondere con armi nucleari o biochimiche ad un attacco con armi convenzionali. Nonostante la modestia dei cambiamenti, Obama afferma di aver rotto con “l’ambiguità calcolata” della precedente amministrazione Bush, sull’utilizzo delle armi nucleari. Il presidente degli Stati Uniti ha proclamato nel summit di aprile sul nucleare a Washington, che un’organizzazione come Al Qaeda potesse sferrare un attacco nucleare rappresentava una grave minaccia per il suo paese: ma questa ipotesi è una sciocchezza, un elemento propagandistico all’interno del tavolo della complessa negoziazione nucleare, che va dietro al tono allarmistico con cui Bush ha ricattato i suoi alleati europei all’inizio delle sue guerre di aggressione in Medio Oriente. Il “terrorismo nucleare” si è così piazzato al centro delle preoccupazioni e delle informazioni dei giornali e, contemporaneamente, Obama ha posto l’accento sul pericolo rappresentato dall’Iran, cercando di trovare alleati per il programma ostile attuato nei confronti di Teheran, frenato fino ad oggi da Pechino e Mosca.
 
Ricapitolando. Qualunque progresso verso un disarmo atomico è sempre motivo di plauso, ma non dimentichiamo che gli Stati Uniti non hanno rinunciato alla loro ambizione di diventare la potenza dominante del mondo grazie, tra l’altro, ai loro arsenali nucleari e che il disarmo non ha raggiunto la consistenza, l’intensità e la velocità che il mondo necessita. Gli Stati Uniti hanno mantenuto più di 200 testate nucleari in Europa (in Italia, Germania, Olanda, Belgio), che vanno aggiunte a quelle disseminate in Turchia, mentre la Russia non ha una distribuzione equivalente. Mosca ha chiesto la loro rimozione e demolizione, ma Washington si rifiuta ancora di farlo. Inoltre, la NATO continua a basare la propria dottrina di sicurezza in Europa e nel mondo sulle armi nucleari, il che pone seri problemi concettuali. Senza perdere di vista che le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, che continuano nove e sette anni dopo, senza che Obama mostri alcun segno di porre fine all’aggressione, hanno portato paesi come l’Iran e la Corea del Nord a trarre le opportune conclusioni, conclusioni che suonano a favore del dotarsi di armi nucleari contro l’aggressività degli Stati Uniti.
 
Gli Stati Uniti avevano previsto la riduzione e la modernizzare dei loro arsenali nucleari e le difficoltà economiche che sarebbero pesate sulla loro nuova strategia, tanto da influenzare anche la visione di Mosca; vanno inoltre evidenziati gli eventuali costi di manutenzione e messa a punto delle scorte detenute dai nove paesi nucleari, che ammontano a circa settanta miliardi di euro l’anno (70.000.000.000!) e di cui una consistente parte è degli Stati Uniti e della Russia, che hanno il 95% delle armi nucleari esistenti. Il famoso “riavvio” delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, offerto da Hillary Clinton a Mosca con il gesto di premere su un simbolico pulsante, sembra lontano dall’essere realizzato, al di là della retorica, della propaganda e della firma del nuovo START.
 
Infatti, anche se più moderato nelle forme e nel linguaggio, Obama continua a giocare con il fuoco di Bush: continua la guerra in Iraq e in Afghanistan, non è disposto a discutere la proposta russa di firmare l’Accordo di Sicurezza in Europa, perché proprio qui persegue la rottura dell’equilibrio militare attraverso la riduzione degli armamenti nuceleari strategici... che richiederebbe compensazioni russe in altri tipi di armi, che inevitabilmente comporterebbe l’egemonia militare della NATO (e quindi degli Stati Uniti) in armi convenzionali ai confini occidentali della Russia.
 
Mentre, nella crisi iraniana, il governo americano ha presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la valutazione di nuove sanzioni contro Teheran… senza considerare di accettare la proposta turco-brasiliana, mentre la segretaria di Stato, Clinton, si dirigeva al Congresso nordamericano per riesaminare il nuovo START... annunciando per prima i presunti accordi con Pechino e Mosca in merito all’adozione di nuove sanzioni all’Iran. E tutto questo senza che il governo degli Stati Uniti riconosca la minaccia nucleare rappresentata da Israele, da cui deriva l’aggressività guerrafondaia che potrebbe infiammare il Medio Oriente e aprire una crisi globale dalle conseguenze imprevedibili, ed il cui governo insiste, anche pubblicamente, sull’opportunità di attaccare l’Iran senza la diplomazia di Washington. Pertanto, le priorità della politica estera americana sembrano essere chiare, anche se rappresentano un’apparente contraddizione con la più realistica dottrina della sicurezza nazionale di Obama, rispetto a quella criminale scaturita da Bush.
 
A fine maggio, Obama ha presentato al Congresso la nuova dottrina sulla sicurezza nazionale, ponendo fine al concetto pericolosamente fascista di “guerra preventiva” affermato da George W. Bush; riconoscendo la nuova geometria strategica del mondo e accettando che, oltre a Mosca, altre potenze assumessero un innegabile protagonismo: Pechino e Delhi, ma anche Brasilia.
 
Dal seppellimento del G-8, il cui posto è stato preso dal G-20, riconoscendo così la limitazione del potere statunitense, e dalla ridefinizione del terrorismo e l’accettazione del ruolo delle Nazioni Unite (senza che ciò significhi per gli Stati Uniti un assoggettamento al Consiglio di Sicurezza), non scaturisce la rinuncia alla guerra in virtù della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, mantenendola come la “risorsa” dell’ultimo momento e riservandosi il diritto di “atto unilaterale” per difendere i propri interessi. Nota a margine: Obama, è ora il presidente che ha approvato il più grande bilancio militare nella storia degli USA.
 
Inoltre, la ratifica finale del nuovo START può essere soggetta a scossoni provenienti dal Senato statunitense e dai i settori più estremisti di Washington, da elementi del Pentagono, dal partito repubblicano e perfino dal Dipartimento di Stato. Mosca diffida: il presidente Medvedev ha insistito sull’opportunità dei parlamentari russi e americani di ratificare in modo coordinato l’accordo START alla luce del fatto che, secondo le sue parole, “Mosca è stata ingannata nel passato” con la ratifica degli accordi sul disarmo. Senza dubbio, nella dichiarazione del presidente russo pesa il ricordo dello START-2, firmato nel 1993, ma che non arrivò mai oltre la fase di ratifica, oltre alla gravissima violazione unilaterale degli Stati Uniti nel 2001, il Trattato anti missili balistici (ABM), ed inoltre, la persistente minaccia costituita dalla NATO ai confini della Russia, senza, per ora, che Washington abbia rinunciato a divorare insieme Ucraina e Georgia. Mosca non dimentica che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli USA hanno inventato (e usato!) le bombe nucleari e poi gradualmente introdotto nuovi sistemi di armi offensive, dai missili intercontinentali utilizzati dalle navi e dai sottomarini, ai bombardieri, per mantenere il loro dominio atomico. L’Unione Sovietica ha adottato questo tipo di armi, ma sempre in risposta alle ambizioni americane: Mosca non si affrettò nella corsa al nucleare.
 
Alcune decisioni nordamericane preannunciano, d’altra parte, un futuro inquietante, che potrebbe mettere a repentaglio il disarmo nucleare. Alla fine di maggio 2010, gli Stati Uniti hanno schierato una batteria di missili Patriot in Polonia, nella base militare di Morag vicina al confine russo. Questa base diverrà permanente dal 2012 e sarà dotata di missili SM-3, un tipo di armi progettate per distruggere i missili balistici russi (che cosa potrebbero essere, altrimenti?). Come ci si aspettava, questa azione ha portato il ministro degli Esteri russo Serguei Lavrov a chiedere a Washington “spiegazioni plausibili” sui dispiegamenti, mentre la parte polacca andava in fibrillazione rifiutandosi di dare “spiegazioni”, come se iniziative aggressive militari non avessero avuto ripercussioni ed effetti sul paese, come se vestendo il manto della propria sovranità potesse prendere qualsiasi decisione senza calcolarne le conseguenze. Questo passo dimostra che, nonostante l’interesse della stampa occidentale, Obama non ha rinunciato alla “scudo spaziale” di Bush, ma lo ha ridefinito; ha si rinunciato ai previsti insediamenti in Polonia e nella Repubblica Ceca, ma ha previsto l’installazione di un altro “scudo” in Polonia, Romania e Bulgaria. Conta di installare in questi paesi sistemi di missili Aegis, missili intercettori SM-3 (i cui diversi blocchi saranno installati in Europa orientale, come previsto, nel 2011, con una seconda fase tra il 2015 e il 2018 e il suo culmine nel 2020) il cui evidente scopo è quello di essere pronti a distruggere i missili a corto e medio raggio e, infine, anche a lungo raggio, così come missili balistici intercontinentali: uno scudo che punta alla potenza nucleare russa, qualcosa che finalmente realizzato distruggerà completamente l’attuale equilibrio nucleare tra Washington e Mosca, costringendo la Russia a rispondere con altre misure. Il futuro è ancora pieno di pericoli nucleari.
 
Sulla nuova dottrina nucleare statunitense: http://www.defense.gov/npr/docs/2010% 20Nuclear% 20Posture% 20Review% 20Report.pdf
 
 

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