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Afghanistan, Libia, Siria: perso il conto dei morti

Selma Benkhelifa | michelcollon.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/10/2014

Dall'Afghanistan alla Siria, passando per la Libia, la giustificazione è sempre la stessa: proteggere le popolazioni civili dagli atti di barbarie. La situazione in Afghanistan - dopo 13 anni di occupazione Nato - dimostra sufficientemente come nessuna guerra imperialista abbia ragione dei terroristi, combattuti da un lato e finanziati dall'altro...

Martedì, 16 settembre 2014, intorno alle 8, nel traffico dell'ora di punta, un'esplosione ha scosso Kabul. Un'autobomba guidata da un attentatore suicida è esplosa a Makroyhan presso il ministero della Giustizia. L'attacco - rivendicato dai Talebani - ha ucciso tre soldati e feriti altri 13. Questo perlomeno è il rapporto di Hashmat Stanikzai, portavoce della polizia di Kabul. "Alcune" vittime civili sono state trasportate in ospedale. Pajhwok, l'agenzia di stampa afgana, conferma le cifre. Eppure i testimoni a Kabul parlano di 50-100 morti. La polizia ha trascorso la giornata e parte della notte alla ricerca di corpi mutilati. Il giorno dopo, i cittadini hanno trovato brandelli di cadaveri umani irriconoscibili a più di un chilometro dal luogo dell'esplosione. La capitale afgana è in lutto.

Contattato per telefono, un funzionario del ministero della Giustizia ha detto: "C'erano corpi dappertutto. E' stata una vera e propria strage: c'era sangue, pezzi di cadaveri... Indescrivibile! Quello che abbiamo sentito in televisione non corrisponde affatto alla realtà. I bambini andavano a scuola, i giovani all'università, le persone al lavoro... Perché si parla solo dei militari?"

Dieci giorni più tardi, nella provincia di Ghazni, i talebani hanno sterminato un intero villaggio, bruciando case e raccolti e uccidendo persone e bestiame. Mohammad Ali Ahmadi, vice governatore della provincia di Ghazni, parla di 80-100 persone uccise. La France-Presse (AFP) titola: "I talebani decapitano 12 civili".

Perché le cifre vengono sottostimate? Il ridimensionamento da parte Usa del numero di morti civili, derubricate a danno collaterale, può facilmente essere compreso. Ma questa sottovalutazione da parte del nemico non è consueta.

Nessuna corretta valutazione del numero di morti civili

Mentre una coalizione internazionale - che pretende di essere democratica - opera in Afghanistan da 13 anni, non esiste una corretta valutazione del numero delle morti causate dal conflitto armato.

Vi sono due modi per calcolare il numero di vittime di una guerra. Il sistema passivo si basa sul conteggio delle morti violente "passive" da parte delle autorità locali (ministeri della Salute, dell'Interno), integrato dagli incidenti segnalati dalle Ong sul campo, dai dati registrati dagli obitori, dai comunicati stampa e le informazioni raccolte dai media.

Quando il governo in carica pretende che tutto fili liscio e quando i media non hanno indipendenza, il numero delle morti civili viene rivisto al ribasso. Il metodo di campionamento epidemiologico ("cluster survey") è un metodo scientifico molto più affidabile. E' un metodo che rientra nel dominio della sanità pubblica. L'epidemiologia è lo studio della distribuzione delle malattie umane e dei fattori che influenzano la loro frequenza. Parte dell'epidemiologia che si concentra sulla mortalità tenta di fornire stime oggettive ed accurate dei tassi di mortalità umana e descrive, se possibile, le sue cause dirette.

In pratica, i civili residenti in località diverse e scelti a caso, vengono interrogati circa le recenti morti violente avvenute in casa. Le loro affermazioni sono normalmente corroborate da un certificato di morte. I risultati sono poi estrapolati per l'intero paese, integrando più margini di errore, esattamente come accade nei sondaggi.

Il metodo epidemiologico è prassi comune ampiamente accettata dalla comunità scientifica. Secondo il GRIP (Groupe de recherche et d'information sur la paix et la sécurité), non è disponibile per l'Afghanistan alcuna stima attendibile del numero di morti, perché non vengono effettuati studi epidemiologici. Le poche raccolte di dati realizzate principalmente dalle Ong sul campo, dalle autorità locali e nelle informative della stampa, sono basate sulla raccolta di informazioni passive e sottovalutano molto probabilmente, e molto significativamente, il numero di vittime del conflitto, sia a Kabul che di altre province afgane.

Le analogie rispetto le condizioni di raccolta di informazioni tra l'Iraq e l'Afghanistan, consentono di dedurre un rapporto di 1 a 5, o addirittura di 1 a 10, tra il numero delle vittime conteggiate dalla sorveglianza passiva e il numero delle vittime reali del conflitto in Afghanistan. Sottostima che sta andando di male in peggio...

La volontà degli Stati Uniti e della coalizione al suo seguito è chiaramente quella di disimpegnarsi dall'Afghanistan e di volgersi all'Iraq e alla Siria. E' evidente che i crimini commessi dai talebani sono sottovalutati dai media, mentre quelli commessi da Isis hanno una sovraesposizione mediatica.

Eppure si tratta dello stesso fenomeno, degli stessi jihadisti che con i loro orribili crimini contro la popolazione civile, giustificano l'intervento straniero. Ma i nostri media seguono una nuova logica di guerra, quella contro lo Stato islamico. I talebani possono uccidere quanto vogliono, non sono più così interessanti come nel 2001.

La situazione in Afghanistan - dopo 13 anni di occupazione Nato - dimostra sufficientemente come nessuna guerra imperialista abbia ragione dei terroristi, combattuti da un lato e finanziati dall'altro...

Al Qaeda, jihadisti, Esercito siriano libero (Asl), Isis e altri, amici o nemici a seconda delle circostanze

Durante i dieci anni di presenza sovietica in Afghanistan, gruppi come Al Qaeda che reclutavano adepti dello Jihad in tutto il mondo, erano ben considerati dagli americani. I vecchi amici sono diventati nemici.

Fino a che punto si tratta di un cambiamento? In realtà, non in grande misura, perché può sempre accadere il contrario: i vecchi nemici possono diventare amici.

L'esempio della guerra in Libia è rivelatore. Abdelhakim Belhaj, uno dei comandanti ribelli, è passato da nemico ad amico. Il quotidiano Liberation ha pubblicato una splendida biografia di quest'uomo.

"Per i servizi segreti degli Stati Uniti, l'uomo che ha preso Tripoli alla testa dei ribelli libici ed è ora il governatore militare di fatto, è una vecchia conoscenza. (…) Abdelhakim Belhaj, meglio conosciuto con il nome di Abu Abdallah al-Sadek, nato il 1° maggio 1966, ha alle sue spalle una carriera di successo come jihadista iniziata, come tanti altri, in Afghanistan nel 1988. Ma se la Cia lo vuole, è in primo luogo perché è uno dei fondatori e anche "l'emiro" del Gruppo combattente islamico (Gci) della Libia, una piccola formazione ultra-radicale, che negli anni precedenti l'11 settembre ha avuto almeno due campi di addestramento segreti in Afghanistan. Quello di Shahid Sheikh Abu Yahya, a circa 30 miglia a nord di Kabul, dove il Gci ha accolto volontari legati ad al-Qaeda, interessava enormemente la Cia. (…) Dopo l'Afghanistan, il percorso di Abdelhakim Belhaj lo conduce in Pakistan e poi in Iraq. Qui sarebbe stato vicino ad Abu Musab al-Zarqawi, il leader di al-Qaeda in Iraq, dove i libici sono il secondo contingente di volontari islamici dopo i sauditi. Dopo essere stato interrogato a lungo a Bangkok, probabilmente torturato dalla Cia, è stato consegnato nel 2004 al servizio segreto libico".

L'attuale governatore militare di Tripoli è ben lungi dall'essere l'unico membro di Al Qaeda (o di altre reti più o meno vagamente affiliate) in seno al Consiglio nazionale di transizione (Cnt).

E' a loro proposito che Bernard-Henry Levy dice con orgoglio: "Si! E lo ripeto: amo questa gente del Cnt! Amo questi giudici, questi insegnanti, questi avvocati che non conoscevano la democrazia se non per quello che avevano imparato dai libri e che ancora ne reinventano i principali riflessi. E mi piace anche, tra l'altro, l'idea di un popolo di beduini che sceglie di farsi rappresentare da uomini di lettere e di diritto. Così, dopo, la Francia... Raccomando a Nicolas Sarkozy di bypassare il ministero degli Esteri... Ma penso che, nel mio animo e in coscienza, se quel giorno si fosse lasciato agire il ministero degli Esteri, rimettendosi a un Alain Juppé che ancora il giorno precedente il mio primo colloquio con Sarkozy, escludeva chiaramente il ricorso alla forza, equivaleva accettare che 'Bengasi fosse un'altra Srebrenica'".

Il filosofo televisivo ha parlato, non rimane che applaudire. A meno di non fare l'associazione con la guerra del terrore che è costata e costa ancora così tante vite in Afghanistan (e a Guantanamo) ed è stata motivata dalla necessità di distruggere Al Qaeda in tutto il mondo. A meno di non essere fan accaniti dell'ambiguità o di perdersi dietro il suo latino.

La ricetta funziona ancora

La stessa giustificazione funziona ogni volta: la necessità di proteggere i civili dagli atti di barbarie. Lo stesso discorso - parola più, parola meno - è stato fatto per l'Esercito siriano libero, per giustificare un attacco contro il governo di Bashar Al Assad. Assistiamo alla stessa assurdità quando vediamo che il governo americano sostiene i ribelli siriani, che è noto siano infiltrati da jihadisti provenienti da tutto il mondo.

Il principe saudita Bandar bin Sultan, ex ambasciatore negli Stati Uniti, vicino al clan Bush, è stato nominato capo dell'intelligence saudita e si è recato in Siria per accogliere gli jihadisti e organizzare gli attacchi (descritti dalla stampa e dai benpensanti come atti di resistenza). Esattamente la stessa missione di Bin Laden in Afghanistan nel 1979.

In un primo momento la propaganda non ha funzionato. Aveva bisogno di più radicalità, più sangue, più decapitazioni. L'Esercito siriano libero si è gradualmente trasformato in Isis, tornando dal campo degli amici a quello dei nemici. I media hanno allegramente diffuso le scene raccapriccianti degli jihadisti in Siria e in Iraq. Le vittime decapitate questa settimana in Afghanistan non fanno più prima pagina.

I nostri media non si interessano delle vittime che quando giustificano una nuova guerra.

Fonte: Investig'Action


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