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La fame: arma dei forti contro i deboli

Bruno Guigue * | afrique-asie.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

21/02/2017

Se volessimo davvero la prova che la fame non è un incidente climatico o una sorta di fatalità che si abbatte sulle terre abbandonate da dio, basterebbe guardare la mappa delle carestie future. Redatto dal capo economista del Programma alimentare mondiale, Arif Husain, questo documento è significativo. A suo giudizio nel corso dei prossimi sei mesi, saranno 20 milioni le persone a rischio di morire di fame in quattro paesi: Yemen, Nigeria, Sud Sudan e Somalia. Ma la causa principale di questa insicurezza alimentare è politica. Se non è la causa diretta del mancato sviluppo o dell'interruzione degli approvvigionamenti, l'intervento straniero comunque getta benzina sul fuoco. La guerra civile e il terrorismo hanno compromesso le strutture statali, banalizzando la violenza endemica e causando l'esodo delle popolazioni.

Nello Yemen, i bombardamenti sauditi dal marzo 2015, ha generato un disastro umanitario senza precedenti. L'ONU è allarmata per la situazione, ma è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che ha autorizzato l'intervento militare straniero! La chiusura dell'aeroporto di Sanaa e l'embargo imposto dalla coalizione internazionale hanno privato la popolazione dei farmaci. Le scorte di grano si riducono a vista d'occhio. Le banche estere rifiutano le transazioni finanziarie con le istituzioni locali. Circa 14 milioni di persone, l'80% della popolazione, hanno bisogno di aiuti alimentari, di cui 2 milioni sono in stato di emergenza, 400.000 bambini sono malnutriti. Ritenuta colpevole di sostenere il movimento Houthi, la popolazione yemenita è condannata a morte. Fornendo a Riyadh il suo arsenale, le potenze occidentali sono coinvolte in questo omicidio di massa.

In Nigeria, il caos che ha travolto il nord-est del paese, contamina tutta la regione. Milioni di persone sono in fuga dalla violenza del gruppo Boko Haram, ammassate nei campi profughi. Del tutto dipendenti dagli aiuti umanitari, queste persone "sopravvivono a una temperatura di 50° C, in capanne con tetti di lamiera, senza acqua; le cucine in comune preparano un solo pasto al giorno", dice Arif Husain. Alimentato dalla propaganda saudita, il terrorismo sta sfidando questo stato, il più popoloso del continente, che nel 2050 avrà 440 milioni di abitanti. Dalla calamitosa distruzione della Libia da parte della NATO, l'Africa sub-sahariana è diventata il terreno di caccia preferito dei jihadisti. La carestia incombente è la conseguenza diretta di questa destabilizzazione.

In Sud Sudan, la proclamazione dell'indipendenza nel 2011 ha portato a una guerra civile in cui due campi rivali si contendono il controllo delle risorse energetiche. Questo stato secessionista, frammentato, isolato, separato dal nord a cui si contrappone con una guerra civile senza fine, è il risultato della strategia degli Stati Uniti. Questa divisione artificiale aveva lo scopo di contrastare l'influenza del Sudan, paese inserito da tempo nella lista degli "stati canaglia". Battezzato da Washington, che ha armato la guerriglia secessionista di John Garang per 20 anni, il Sud Sudan oggi è in rovina. Dal dicembre del 2013, decine di migliaia di persone sono state uccise. Ben 2,5 milioni hanno abbandonato le loro case, mentre quasi 5 milioni di persone devono fronteggiare una inedita insicurezza alimentare, secondo le Nazioni Unite. Ne sanno di più i neo-conservatori di Washington.

In Somalia, i rischi climatici rappresentano la minaccia di un nuovo disastro alimentare. Nel 2011, la terribile carestia seguita alla siccità ha mietuto 260.000 morti. La vulnerabilità della produzione alimentare riflette lo stato di mancato sviluppo del paese, lacerato da una dozzina di entità politiche rivali. Il regno sanguinario dei Signori della guerra locali, gli interventi militari stranieri (Stati Uniti d'America, Etiopia, Kenya), la crescente influenza, sullo sfondo di una sostanziale decomposizione politica, dell'organizzazione islamista radicale al-Shabab, hanno condannato questo paese all'indice di sviluppo umano tra i più bassi al mondo. Dopo il crollo del regime marxista di Siad Barre nel 1991, le strutture statali sono scomparse. L'economia è anemica, il sistema di istruzione in rovina. L'aumento dei prezzi delle derrate e l'attuale riduzione dei salari fanno temere il peggio.

Purtroppo vi sono altre aree di tensione che causano preoccupazione. I conflitti in corso in Siria, Iraq, Afghanistan, Ucraina, Libia, Zimbabwe, deteriorano i mezzi di sussistenza e generano i fenomeni migratori. Alcuni, infine, vivono in una situazione di insicurezza alimentare cronica: la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centrafricana, il Burundi, il Mali, il Niger. Non è un caso che la maggior parte di questi paesi siano afflitti dalla guerra civile, dal terrorismo e dall'intervento militare straniero. Il caos dilagante è prima di tutto di natura politica e geopolitica. Lungi dall'essere inevitabile, è il risultato di cause endogene ed esogene identificabili. La fame non cade sui dannati della terra come una folgore. E' l'arma dei forti per schiacciare i deboli.

* Bruno Guigue, è funzionario, analista politico e docente presso l'Università di Réunion


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