www.resistenze.org - osservatorio - economia - 25-11-08 - n. 251

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La crisi strutturale e sistematica e la "cassetta degli attrezzi" di Marx
 
di Luciano Vasapollo*
 
Qui di seguito il saggio di Luciano Vasapollo sulla crisi. Pubblichiamo i primi tre punti del contributo che amplia l'intervento svolto da Vasapollo alla tavola rotonda "La crisi economica nell'epoca della competizione globale" svoltasi a Roma il 17 novembre scorso. Il saggio integrale (in otto punti) sarà pubblicato su Contropiano versione cartacea in uscita nei prossimi giorni.
 
1. Le attuali politiche economiche neoliberiste , a partire da quelle del Keynesismo militare realizzate nell’economia di guerra prima-durante-dopo gli eventi delle guerre guerreggiate, sono un tentativo del capitale di risolvere, meglio di nascondere, la grande crisi di accumulazione a carattere ormai strutturale che si presenta con tutta la sua forza già dagli anni ’70, determinando così la struttura e le dinamiche anche dell’attuale modo di presentarsi della competizione globale tra imprese, tra paesi e tra blocchi geoeconomici e geopolitica, cioè tra poli imperialisti . Mentre fino agli ’70 Keynes e la pianificazione economica hanno influenzato l’economia, dagli anni ’80 e ’90 il monetarismo e tutto l’impianto neoliberista hanno dominato il mondo governandolo con “il mercato senza vincoli” .
 
Nel tentativo, impossibile, vista la sua natura strutturale, di uscire dalla crisi che si protrae ormai da oltre 35 anni, più concretamente di non voler prendere atto e fare i conti con le vere cause sistemiche, i capitalismi internazionali hanno usato la finanza in maniera sovrastrutturale ma anche sostitutiva in chiave speculativa per supplire alle forti difficoltà dei processi di accumulazione del capitale. In questo senso si è giunti ad una prevalenza e autonomizzazione, fino ad un vero dominio dei processi della finanza speculativa proprio per tentare di recuperare l’insufficiente produzione di plusvalore in relazione alla sovrapproduzione di merci e di capitali, o meglio alle loro relazioni di valorizzazione con una significativa crisi di accumulazione del capitale internazionale.
 
E’ con il neoliberismo in particolare da fine degli anni ’70 che nella politica economica assume un peso determinante il settore finanziario e i processi speculativi attraverso la deregolamentazione finanziaria, voluta dia governi Reagan e Tatcher ,che ha eliminato ogni restrizione ai movimenti del capitale, in particolare di quello fittizio, realizzando in questo caso si la globalizzazione ma non la globalizzazione delle economie in generale ma semplicemente la globalizzazione finanziaria. Sono state così abbattute le riserve bancarie di garanzia , si sono moltiplicati i paradisi fiscali, si è permessa la proliferazione della finanza creativa e della possibilità di scommettere in Borsa non solo sui flussi degli strumenti finanziari ma anche sulle materie prime, sui tassi di cambio, sugli alimenti generando speculazioni per permettere il guadagno facile , cioè la rendita speculativa,, e quindi la determinazione dei prezzi con superprofitti su petrolio, grano, mais,disinteressandosi completamente del fatto che tali guadagni significassero poi fame, miseria e distruzione per interi continenti.
 
In tal modo si trasferisce inoltre possibilità di investimento nell’economia reale in facile e apparentemente più redditizio collocamento speculativo finanziario , distruggendo volutamente in tal modo il capitale in eccesso a fini produttivi.
 
L’economia dominante, e in generale quella ortodossa e convenzionale, compresa l’impostazione keynesiana, assume la crisi come evento anomalo e eccezionale, non solo per la rarità della frequenza ipotizzata ma perché si suppone un modello macroeconomico di equilibrio, e quindi, un sistema supposto regolare e prevedibile sia nei comportamenti degli operatori economici sia appunto, negli stessi assetti sistemici. All’interno di tale logica si suppone, altresì, una netta separazione fra l’economia reale e l’economia finanziaria; conseguenza di ciò è che la crisi finanziaria avrebbe una sua dinamica da cui ne conseguirebbe una eventuale crisi dei fondamentali dell’economia, così come voluti e imposti dalle leggi del modo di produzione capitalista.
 
A tale impostazione spesso si rifanno anche molti economisti che si autodefiniscono marxisti e che hanno ormai da tempo abbandonato la “cassetta degli attrezzi marxiana” per portare avanti quella operazione teoricamente infondata, ma politicamente pagante alla cosiddetta sinistra radicale, di conciliare Marx e Keynes. Così però si elogia come una sorta di oppositore di sistema, soltanto Keynes, sia esso, a secondo delle necessità utilizzato attraverso le ricette del keynesismo a carattere più o meno sociale, o del keynesismo militare e le altre sue possibili varianti del sostenimento del sistema impresa. In tal modo si arriva a confondere le riforme di struttura con il rifomismo, nella migliore delle ipotesi, la strategia con la tattica, arrivando all’inverso a trattare la tattica come strategia, sia sul piano politico-economico sia direttamente sul piano più strettamente politico, abbandonando cioè la strategia politica chiave e ultima del conflitto di classe che deve da subito e sempre porsi sul terreno del superamento del modo di produzione capitalista e su percorsi di costruzione del socialismo.
 
E allora basta con gli imbrogli , ed esplicitiamo, chiaramente, come abbiamo sempre fatto, perché la fede in Keynes è semplicemente la dimostrazione della subalternità della sinistra anche radicale alle idee della democrazia politica ed economica imposta dal modo di produzione capitalista e le ipotizzate soluzioni della crisi sono tutte compatibili alla riproduzione e continuazione del sistema capitalista stesso.
 
2. Spieghiamoci meglio e facciamo riferimento a nostri scritti ( si veda tra gli ultimi Vasapollo L. “Trattato di Economia Applicata. Analisi Critica della Mondializzazione Capitalista”; Jaca Book , Milano, marzo 2007) , e per dir la verità di pochi altri come ad esempio Gianfranco Pala, Mino Carchedi e Maurizio Donato, in cui andiamo dicendo da oltre quindici anni il perché la globalizzazione è l’attuale fase della mondializzazione capitalista e quindi il modo di presentarsi dell’imperialismo, e marxianamente che la “normalità” della crisi ha assunto tutti i caratteri ,ormai da oltre 35 anni di crisi strutturale di accumulazione e valorizzazione del capitale.
 
Da quando Marx parlò per la prima volta di crisi economiche del sistema capitalista forse se ne sono realizzate oltre cento, ma con caratteristiche diverse, con più o meno grandi decelerazioni della crescita quantitativa, con più o meno grandi distruzioni di forza lavoro con disoccupazione e precarietà, con più o meno grandi distruzioni del capitale, in particolare da quando la finanziarizzazione ha assunto una importanza sempre più centrale. E’ proprio con tale ruolo centrale della finanza le crisi di sovrapproduzione e di sottoconsumo esplodono in una forma non prevista ai tempi di Marx ,poiché lo scoppio delle bolle finanziarie nel danneggiare le possibilità di credito all’investimento e al consumo provocano maggiormente significativi crolli della domanda reale che possono sfociare, come nella crisi attuale, in determinanti strutturali e sistemiche.
 
L’economia reale considerata efficiente e in equilibrio non può essere separata dall’economia finanziaria poiché il capitale finanziario e il capitale cosiddetto produttivo trovano unità nelle multinazionali, nelle holding, nelle interconnessioni fra sistemi industriali, e delle imprese di produzione di beni e servizi in generale, e sistema bancario, società finanziarie e assicurative . L’imperialismo è il frutto della “combinazione”, della “simbiosi” (è un’idea di Bucharin) del capitale bancario e di quello industriale.
 
3. Oltre all’innovazione di processo e di prodotto è chiaro anche che un’immissione di attività finanziarie, e quindi il poter acquisire da parte degli imprenditori capitali materiali, immateriali e beni e servizi intermedi attraverso l’indebitamento, fanno si che anche in questo caso si realizzi sovrapproduzione di capitali e, tramite il debito estero, fondamentale nell’attività di import-export si realizzi al contempo una sovrapproduzione di merci. Le dimensioni raggiunte dai complessi imprenditoriali multi(trans)nazionali sono enormi.
 
Nonostante questo “volume di fuoco”, le imprese transnazionali non riescono sempre a fare fronte, a mezzo di “autofinanziamento”, alle enormi spese di investimenti e costi cui sono sottoposti: per lo più devono ricorrere a “fonti esterne” di finanziamento. Immancabilmente trovano il potere finanziario pronto a concedere prestiti “interessati” di medio-lungo periodo. Le banche, ma oggi anche le assicurazioni e i cosiddetti “investitori istituzionali” (Fondi Pensione, Fondi Investimento), sono degli enormi “forzieri” di denaro non investito. Hanno la necessità di “far fruttare” la propria liquidità e per farlo, oltre alla speculazione borsistica di vario tipo (che non crea ricchezza, ma al meglio può essere considerata un “gioco a somma zero”, dove chi perde cede ad un altro la proprio quota di ricchezza complessiva “giocata” nei mercati dei titoli e monetari di tutto il mondo, ma senza appunto creare nulla di nuovo), possono investirli nel settore produttivo per valorizzare la propria massa di denaro che altrimenti resterebbe capitale non valorizzato in termini di accumulazione.
 
La funzione principale del sistema bancario-finanziario è proprio quella di rendere disponibile al capitale , attraverso il sistema del credito e finanziario ,una somma enorme di denaro che sarebbe non valorizzabile ed utilizzarlo per estendere il proprio potere su scala mondiale tramite investimenti diretti esteri, partecipazioni e finanziamenti innumerevoli.
 
Quindi , quella finanziaria e produttiva sono semplicemente due funzioni del capitale che sempre più spesso convivono nello stesso operatore economico anche nella commistione fra attività tecnico-materiali e attività di speculazione finanziaria, in particolare in questi ultimi 25 anni con la deregolamentazione del sistema finanziario e con l’utilizzo dei cosiddetti strumenti della finanza allegra e creativa (....)