www.resistenze.org - osservatorio - economia - 20-03-12 - n. 401

da CSP - Partito Comunista - www.partitocomunistapiemonte.it
 
Origini, caratteristiche attuali e connotati di classe del debito pubblico
 
18/03/2012
 
Karl Marx ne Il Capitale scriveva: "Il debito pubblico, ossia l'alienazione dello Stato….imprime il suo marchio all'era capitalistica. L'unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico….Il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni tipo…in una parola, ha fatto nascere il gioco di Borsa e la bancocrazia moderna." (Marx, Il Capitale, Libro I, cap. 24).
 
In effetti, da quando queste parole sono state scritte, l'indebitamento pubblico è stato uno degli strumenti principali con cui, nelle fasi di ripresa economica, dopo ogni crisi, il capitale ha sostenuto il tasso di profitto, attraverso politiche di sgravi fiscali e contributivi alle imprese, di agevolazioni creditizie, di finanziamenti dei settori industriali, scaricando sulla classe operaia e sui lavoratori i costi di tale politica economica d'arricchimento della borghesia.
 
La crisi attuale, quindi, non è dovuta all'indebitamento pubblico, il quale, invece, è conseguenza della incapacità del capitale di riavviare il ciclo di riproduzione ed accumulazione.
 
In Italia, il debito pubblico ha cominciato a crescere con la fine del periodo espansivo post-bellico. Esso ha avuto un primo momento di espansione con lo shock petrolifero degli anni '70 ed è stato aggravato dalla politica della DC e del PSI che hanno favorito il clientelismo, il parassitismo e generato un'enorme evasione fiscale per favorire i capitalisti e creare uno strato sociale cuscinetto da contrapporre al movimento operaio e comunista.
 
Un secondo boom del debito si è avuto a partire dal 1981, quando i governi DC e PSI decisero di lasciare all'oscillazione dei mercati la sorte dei titoli di Stato, facendo così lievitare i tassi d'interesse e, quindi, il debito pubblico.
 
Tra i maggiori beneficiari degli alti tassi dei titoli di Stato ci fu il monopolio Fiat.
 
Oggi, il debito pubblico italiano ha raggiunto il massimo storico di 1935 miliardi di euro (quarto debito al mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Germania), pari al 120% del PIL (era del 114% nel 2008). Assieme alla crescita del volume dei titoli di Stato si è allungata la loro durata media, oggi di 7 anni. La spesa per gli interessi corrisposti ai detentori di questi titoli, l'anno scorso, è stata di circa 80 miliardi di euro.
 
Il debito pubblico italiano è composto all'83% (irca 1580 miliardi di euro) da titoli di Stato. I loro possessori sono, in grande maggioranza (circa l'87%), banche d'affari, assicurazioni, fondi pensioni e d'investimento, imprese capitalistiche. Più della metà del debito è detenuto da grandi investitori finanziari stranieri (statunitensi, britannici, tedeschi, francesi, cinesi) che impiegano il capitale eccedente con l'acquisto di titoli di Stato ad alta remunerazione.
 
Questi pescecani sono gli stessi che effettuano le operazioni speculative sui mercati per realizzare enormi plusvalenze con il rialzo del cosiddetto spread.
 
Per capire meglio ciò che questo significhi, bisogna considerare che il sistema bancario è diventato, sempre più, il pilastro del capitalismo italiano, il luogo della maggiore concentrazione del potere.
 
Il sostegno degli istituti di credito verso gli imprenditori si è espresso, non solo con i finanziamenti ma, sempre più spesso, con l'acquisto di partecipazioni azionarie strategiche per gli assetti di controllo dei principali gruppi industriali.
 
Nel 1988, l'IRI di Prodi cedette il controllo di Mediobanca ai privati facendola diventare il club esclusivo dei potenti del capitalismo italiano che comprende, attualmente , trentadue soci. Il potere di Mediobanca è molto esteso. L'Istituto non si limita ad assistere le aziende in complicate operazioni finanziarie ed a procurare i capitali, ma è anche diretto azionista delle quindici più importanti società quotate in borsa che, a loro volta, sono strettamente legate fra di loro da un diretto rapporto di partecipazione integrata al capitale azionario di ciascuna di esse da parte di tutte le altre, cosicché, nel potere finanziario italiano, salvo rari momenti di frattura, vige il principio della decisione concorde e nel club si entra solo per cooptazione, col patto di andare d'accordo.
 
I nomi sono sempre gli stessi : Tronchetti Provera, Ligresti, Benetton, Moratti, Lucchini, Berlusconi.
 
Secondo i dati della Banca d'Italia, Unicredit ed Intesa-S.Paolo controllano, da sole, il 35% del mercato italiano del credito e, le principali nove banche italiane private l'85%. Se a ciò si aggiungono i numerosi pacchetti azionari che Mediobanca, Intesa ed Unicredit tengono in portafoglio ed il fatto che tutte le maggiori aziende italiane sono indebitate con loro, abbiamo un quadro sintetico e chiaro della mappa del potere economico in Italia.
 
Tutto ciò ha un riscontro anche a livello internazionale: oggi, nel mondo, 10/12 milioni di individui (lo 0,2% della popolazione mondiale) detengono la metà del patrimonio finanziario dell'umanità.
 
A livello dei principali Paesi economicamente sviluppati si registra che: gli stipendi dei top manager delle maggiori società americane ammontano, attualmente, a 411 volte il salario medio dei dipendenti, con un incremento del 340% in dieci anni, a fronte di una crescita dei salari medi del 36%; in Gran Bretagna, nello stesso periodo, 130 top manager con retribuzione superiore al milione di sterline, hanno avuto un aumento annuo medio del 17% rispetto al 4% medio della crescita salariale; in Germania, negli ultimi vent'anni, gli stipendi degli amministratori delegati delle maggiori società si sono moltiplicati per sette, mentre, i salari sono solo raddoppiati; nel luglio 2007, infine, la Banca per i Regolamenti Internazionali( BRI ) dipendente dalla Banca Centrale Europea, ha calcolato che, nei precedenti 15 anni, in Italia, ogni anno, 120 miliardi di euro sono passati dai redditi da lavoro a quelli da capitale, cosicché mediamente ogni singolo lavoratore, in attività od in pensione, ha perso 7mila euro all'anno.
 
Ecco perché, dunque, è sbagliato parlare di "debito sovrano", mentre si tratta di debito privato socializzato, i cui interessi vengono finanziati con una politica di tagli alla spesa pubblica, delle pensioni e di aumento delle tasse che gravano sui lavoratori.
 
Ecco perché ha senso parlare di rifiuto di pagare gli interessi sul debito posseduto da banchieri e capitalisti, uscendo dalla Unione Europea come aggregazione imperialista ispiratrice delle politiche antipopolari, nel quadro di una strategia generale di lotta per il socialismo che preveda l'esproprio di capitalisti e banchieri.
 

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