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Le cooperative sono una cura per il capitalismo?

Zoltan Zigedy | zzs-blg.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/01/2014

Le cooperative - le imprese economiche cooperative - sono state, in tempi e luoghi diversi, abbracciate da significativi gruppi di persone. L'interesse per loro precede il periodo di massimo splendore del capitalismo industriale, offrendo un mezzo per accorpare i piccoli produttori e approfittare delle economie di scala, della condivisione del rischio e del guadagno comune.

Con l'avvento dell'era industriale, le cooperative rappresentavano una delle tante soluzioni concorrenti offerte per migliorare la situazione dell'emergente proletariato. Ingegneri sociali come Robert Owen sperimentarono le imprese e le comunità cooperative.

Nell'era dei partiti socialisti di massa e dell'edificazione socialista, le cooperative sono state considerate passaggi intermedi per effettuare la transizione dalla produzione agricola feudale ai rapporti socialisti di produzione.

Sotto il modo di produzione capitalistico, le cooperative hanno riempito nicchie di consumo e di impiego respinte dalla produzione capitalistica su grande scala. Le attività economiche che offrono una redditività o crescita insufficienti sono diventati obiettivi dell'impresa cooperativa.

In teoria, le cooperative possono offrire vantaggi sia per i lavoratori che per i consumatori. I lavoratori sono beneficiati perché i profitti, che nel modo di produzione capitalistico vengono espropriati dai non-lavoratori, sono condivisi dalla forza lavoro in un'impresa cooperativa (al netto delle spese ed investimenti operativi correnti e anticipati, ovviamente). Molti sostengono anche che le condizioni di lavoro sono necessariamente migliori poiché le disposizioni sul posto di lavoro giungono democraticamente, mancando il pungolo associato alla mania di profitto della proprietà alienata (anche se va scontata la scarsa attenzione rivolta alle conseguenze di produttività e competitività rispetto all'impresa capitalista).

Il beneficio per i consumatori viene visto nell'appropriazione collettiva delle funzioni di vendita al dettaglio normalmente assunte dai punti vendita privati, guidati dal profitto. Il vantaggio deriva, da questo punto di vista, dall'acquisto dai fornitori all'ingrosso, soddisfacendo collettivamente le esigenze distributive del lavoro, dal godersi i risparmi ottenuti evitando un rincaro sul prodotto (poca attenzione è posta alle limitazioni della partecipazione dettate da classe, razza o genere; sono anche convenientemente trascurati gli sconti sulle quantità all'ingrosso di cui si può godere nelle catene capitaliste).

Ulteriore elemento è la dedizione del cooperatore per la qualità, la sicurezza e promozione della salute.

In realtà, le cooperative negli Stati Uniti sono in gran parte indistinguibili dalle piccole imprese. Come piccole imprese private, esse impiegano poche persone e per la capitalizzazione si basano pesantemente sulla "equità del sudore". Come altre piccole imprese, le cooperative agiscono nella periferia dell'economia statunitense, separatamente dalle grandi imprese del capitale monopolistico nel settore manifatturiero, dei servizi e finanziario.

Le cooperative come programma politico

Dalla caduta del socialismo in Unione Sovietica e nell'Europa orientale, molti nella sinistra USA hanno cercato un nuovo approccio alle disuguaglianze e ingiustizie che accompagnano il capitalismo. Laddove più di un decennio di purghe anti-comuniste avevano spremuto quasi ogni traccia di simpatie socialiste dalla psiche statunitense, la caduta della ridicolmente menzionata "cortina di ferro" ha ulteriormente distanziato le sinistre dal socialismo marxiano. Accantonata in fretta l'idea di socialismo, hanno teso la mano verso altre risposte.

Non è chiaro se questo ritiro fosse in realtà la ricerca di un diverso percorso anti-capitalista o, in realtà, l'occasione da cogliere per dire addio al socialismo. Negli ultimi anni, diverse sinistre, i "neo-marxisti", o marxisti decaduti hanno sostenuto le cooperative come programma anti-capitalista. I principali sostenitori comprendono il collettivo "Dollars and Sense" gravitante attorno alla University of Massachusetts, Amherst, GEO (Grassroots Economic Organizing), il professor Gar Alperovitz, Labor Notes, United Steel Workers of America, e il media Marxist-du-jour, il professor Richard Wolff. Alcuni si stanno organizzando intorno all'idea di una "new economy" o "economia solidale", con le imprese cooperative come colonna portante.

Ora, le cooperative non sono aliene alla teoria marxista. Dopo la prima guerra mondiale, il governo italiano cercò di trasferire la proprietà di terreni inutilizzati dalle grandi tenute, i latifondi, ai contadini, soprattutto reduci. Ben 800.000 ettari passarono quindi ai contadini poveri. Attraverso questo processo di confisca di terre, il numero dei piccoli proprietari aumentò drammaticamente. Socialisti e comunisti esortavano il consolidamento di tali aziende in cooperative agricole collettive. Certamente più di 150.000 ettari finirono alle cooperative. In tali circostanze, la logica era di aumentare la produttività e risparmiare sui costi per migliorare l'efficienza dell'agricoltura contadina, al fine di competere con le grandi proprietà private. Le cooperative non furono viste come alternativa al socialismo, ma un passo razionale dai rapporti di produzione semi-feudali verso il socialismo, una fase transitoria.

Allo stesso modo, nei primi anni dell'Unione Sovietica, i comunisti cercarono di migliorare la piccola produzione contadina organizzando la campagna in fattorie collettive e cooperative di produttori. Essi vedevano gli accordi di cooperazione come una razionalizzazione della produzione, liberando di conseguenza milioni di persone dal tedio e dalla fatica di un'agricoltura di sussistenza e integrandoli nella produzione industriale. Attraverso la meccanizzazione e la divisione del lavoro, ci si attendeva un'eccezionale crescita di efficienza e produttività, accelerando lo sviluppo e spianando la strada per il socialismo.

Anche in questo caso, le imprese cooperative erano considerate come passo transitorio per muoversi quindi verso rapporti di produzione socialisti. Così, i marxisti vedono l'organizzazione di cooperative come un ponte storicamente utile tra l'arretratezza contadina e il socialismo.

Ma i moderni fautori delle cooperative le guardano in modo diverso.

"L'approccio 'ricostruttivo evolutivo' è una forma di cambiamento diversa non solo da una riforma tradizionale, ma anche dalle teorie tradizionali di 'rivoluzione'", dice Gar Alperovitz delle cooperative e di altri elementi della "economia solidale" (America beyond Capitalism, Dollars and Sense, Nov/Dec, 2011). Come molti sostenitori, Alperovitz vede le cooperative come una pionieristica "terza via" tra il riformismo liberale e la rivoluzione socialista. Tuttavia, una minoranza di loro (Bowman e Stone, "How Coops can Change the World", D&S, Sept/Oct, 1998, ad esempio) vede le cooperative come "il miglior primo passo verso quell'obiettivo [di un'economia mondiale pianificata, democratica]". Costoro suggeriscono che la strada giusta passi dalla "diffusione della democrazia sui luoghi di lavoro" andando avanti fino al socialismo.

Che sia tratteggiata come "terza via" o come un passo verso il socialismo, è difficile avere un quadro chiaro della portata e del successo del movimento cooperativo, ma è altrettanto difficile raccogliere un'impressione di come si suppone debba funzionare nell'economia capitalista.

Per quanto riguarda i numeri, Alperovitz ("America beyond Capitalism", D&S, Nov/Dec, 2011) agita le acque citando quelli delle "community development corporations" e del "non-profit" (Alperovitz, 2011) come a voler in qualche modo dare forza al discorso. Il fatto che queste "community development corporations" [aziende per lo sviluppo della comunità] abbiano strappato il controllo dei quartieri alla vecchia comunità e ai gruppi di quartiere, abbracciando i promotori della gentrification, a lui non causa alcun disagio. Naturalmente "non-profit" conta come espressione ancor più dubbia di un'economia solidale. In una città come Pittsburgh, le mega-non-profit evitano di far rientrare nell'imponibile il 40% delle loro proprietà. Queste non-profit non solo evadono le tasse, ma si dividono enormi "eccedenze" tra super-stipendiati dirigenti. Mendicano finanziamenti in forma di sgravi fiscali o altro, strizzando l'occhio all'evasione fiscale. Naturalmente ci sono, allo stesso modo, migliaia di "non-profit" che perseguono obiettivi nobili e operano con pochi soldi.

Alperovitz allude al credito cooperativo come momento di condivisione dello spirito di collaborazione senza cogliere in queste istituzioni l'evoluzione costante, al tempo "terza via", verso un modello affaristico capitalista. Anche le compagnie di assicurazione condividono questa evoluzione, ma sono troppo interne a questo percorso di transizione verso l'impresa capitalista per essere credibilmente citate da Alperovitz.

Alperovitz ci lascia con "... 11.000 altre aziende di proprietà, totalmente o in parte, dei loro dipendenti". In questo scivoloso totale di completa o parziale proprietà dei lavoratori sono inclusi gli ESOP, Employee Stock Ownership Programs [Programmi di azionariato salariato], una soluzione promossa a seguito dell'ondata di chiusure di impianti che squarciò il Midwest negli anni 1980. Al tempo, Alperovitz spinse vigorosamente per gli ESOP nell'industria siderurgica proprio come fa con le cooperative oggi. Quando a un simpatico consulente è stato chiesto di tracciare un bilancio, messo alle strette ha dichiarato: "Non credo sia stato un record di successi. Alcuni hanno effettivamente fallito..." (Mike Locker, "Democracy in Steel?", D&S, Sept/Oct, 1998). Ma non otteniamo alcun numero di cooperative negli Stati Uniti.

Un altro gruppo di sostegno per le cooperative ha dato un quadro più candido del movimento cooperativo nel numero di settembre/ottobre 1998 di Dollars and Sense ("ESOP e Coop"). Uno studio condotto dalla Southern Appalachian Cooperative Organization parlava di 154 cooperative di proprietà dei lavoratori membri negli Stati Uniti, con 6.545 dipendenti. Nel sessanta per cento delle 154 cooperative, tutti i lavoratori erano proprietari. Le vendite medie annuali erano di $ 500.000 e il 75 per cento aveva 50 o meno lavoratori. Il ventinove per cento delle cooperative operava nella vendita al dettaglio, il ventotto per cento nella piccola produzione, e il ventitré per cento delle imprese collegate all'alimentazione.

È interessante notare che lo stesso articolo afferma che ci sono stati circa 11.000 ESOP nel 1988 (fonte: National Center of Employee Ownership). Se prendiamo sul serio l'affermazione di Alperovitz del 2011, c'è stata poca crescita nei successivi tredici anni di "... aziende di proprietà, totalmente o in parte dai loro dipendenti". Possiamo concludere quindi che le cooperative negli Stati Uniti sono essenzialmente le piccole imprese e rappresentano una piccola parte delle decine di milioni di imprese che occupano meno di 50 dipendenti. Come tali, esse competono con il settore dei piccoli servizi e con la nicchia delle aziende manifatturiere che operano alla periferia del capitalismo monopolistico. Per quanto rappresentino una minaccia per il capitalismo, esse minacciano solo le altre aziende di piccole dimensioni e di proprietà familiare che lottano contro la marea della riduzione dei prezzi, del marketing e della promozione a disposizione delle catene monopolistiche e della produzione a bassi salari. Esse condividono con le loro controparti del settore privato la mancanza di capitale e di influenza. Le cooperative nuotano contro la marea di monopolizzazione e acquisizione che ha praticamente distrutto i piccoli negozi a conduzione familiare e di quartiere.

Alcuni dei sostenitori più lucidi riconoscono questa realtà. Betsy Bowman e Bob Stone ammettono il punto: "... Marx sosteneva nel 1864 che il potere politico dei capitalisti avrebbe contrastato gli eventuali utili che le cooperative potevano realizzare. Ciò si è rivelato vero! Quando i capitalisti si sono sentiti minacciati dalle cooperative, hanno condotto contro di loro una guerra economica di campagne diffamatorie, boicottaggi dei fornitori, sabotaggi e, soprattutto, negando loro il credito" (Bowman and Stone, D&S, Sept/Oct, 1998).

Mondragón

Fino a poco tempo fa, i cooperativi e i loro sostenitori avevano una grande freccia nella loro faretra. Se incalzati sull'apparente debolezza delle cooperative come strategia anti-capitalista, avrebbero ribattuto a gran voce: "Mondragón".

Questa rete su larga scala di oltre 100 imprese cooperative con sede in Spagna sembrava sfidare le critiche alle cooperative come alternativa. Con 80.000 e più lavoratori-proprietari, miliardi di euro in attività e 14 miliardi di euro di fatturato l'anno scorso, Mondragón era la stella polare del movimento cooperativo, il polo d'attrazione per i sostenitori del programma di cooperazione globale.

Poi però, nel mese di ottobre, la Fagor Electrodomesticos, produttrice di elettrodomestici e una delle cooperative chiave di Mondragón, ha chiuso con oltre un miliardo di dollari di debito lasciando 5.500 persone senza lavoro. I lavoratori dipendenti hanno perso i loro risparmi investiti in azienda. La più grande cooperativa di Mondragón, la catena di supermercati Eroski, ha un debito verso i creditori di 2,5 miliardi di euro. A causa della sua rete così intrecciata, queste battute d'arresto rappresentano minacce a lungo termine per l'intero sistema. Come lavoratore, Juan Antonio Talledo, è citato su The Wall Street Journal ("Recession Frays Ties at Spain's Co-ops", December 26, 2013): "Questo è il nostro momento Lehman".

Si tratta infatti di un "momento Lehman" e, del crollo del sistema bancario Lehman Bros avvenuto nel settembre del 2008, ne assume tutta l'importanza. Imprese di grandi dimensioni, anche delle dimensioni di Mondragón e organizzate su basi cooperative, sono sensibili ai forti venti di crisi globale del capitalismo. L'organizzazione cooperativa non offre alcuna immunità ai problemi sistemici che devono affrontare tutte le imprese in ambiente capitalistico. Ecco perché una soluzione cooperativa non può costituire una valida alternativa al capitalismo. Ecco perché un'isola di lavoratori-proprietari, circondata dal mare violento del capitalismo è insostenibile.

I fallimenti a Mondragón hanno spedito i sostenitori in castigo (vedi www.geonewsletter.org). La luce guida teorica, Gar Alperovitz, ha risposto alla tristezza Mondragòn affermando: "L'enfasi primaria di Mondragón è stata posta sulla effettiva ed efficace concorrenza. Ma cosa fare quando si è di fronte a una recessione economica globale, da un lato, e dall'altro alla sfida radicale sui costi portata dai produttori cinesi e altri?"

Cosa si fa, allora? Qualcuno ci aveva pensato prima di aprire la strada ad una "terza via"? Sono poi così rare le "recessioni economiche globali"? È la produzione a basso costo una novità? Dare la colpa ai cinesi quindi è semplicemente una ricerca senza principi di un capro espiatorio.

Alperovitz prosegue: "La questione d'interesse, tuttavia - e in particolare al grado in cui cominciamo ad affrontare la questione del cosa fare circa la grande industria - è se confidare nella aperta competizione di mercato sia una risposta sufficiente al problema di lungo termine del quadro sistemico". Ripulito del fogliame verbale, Alperovitz ammette di non aver mai previsto che la concorrenza di mercato aperto sarebbe stata un intoppo per Mondragon. Pensava forse che Fagor vendesse elettrodomestici fuori del mercato? Pensava che Mondragon avesse in qualche modo ottenuto un pass gratuito per la competizione globale?

Naturalmente, i grandi sconfitti sono i lavoratori che hanno perso il posto di lavoro e i risparmi. Sarebbe sbagliato incolpare gli organizzatori seri o i cooperatori idealisti che sinceramente hanno cercato di creare un migliore e più giusto socialmente, posto di lavoro. Hanno puntato su un progetto e hanno perso. Chiaramente la giustizia sociale non dovrebbe essere una scommessa.

La stessa simpatia non può invece essere provata per coloro che continuano ad insistere sulle cooperative come alternativa al capitalismo. Se desiderate aprire piccole imprese (organizzate in cooperative), siete miei ospiti! Ma per favore, non venite a dire a me e agli altri che si tratta in qualche modo di un percorso che va oltre il capitalismo.

Compagni e amici: E' impossibile essere anti-capitalista senza essere per il socialismo!

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