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La Cina salverà l'economia globale?

Zoltan Zigedy | zzs-blg.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

27/08/2015

Comprendere la Repubblica Popolare Cinese (RPC) rappresenta una sfida formidabile per ogni marxista. Naturalmente non è una sfida basata su una qualche nozione razzista della "imperscrutabilità orientale" e neanche connessa al compito di dipanare gli ostacoli presentati dalle dimensioni, dalla diversità e dalla complessità. Si tratta invece della sconcertante dottrina del "socialismo con caratteristiche cinesi" che confonde molti di noi. Anche se nessuno può contestare che il Partito Comunista Cinese sia la forza principale nella società cinese, alcuni giudicano che il partito guidi la RPC nella direzione sbagliata: lungo il cammino della restaurazione capitalista.

Che esistano rapporti capitalistici di produzione e che siano cresciuti nella RPC è indiscutibile. Sia imprese private nazionali che imprese multinazionali capitalistiche hanno conquistato ben più di un puntello nell'economia nazionale. Tuttavia, è inutile impegnarsi nel gioco di società della sinistra di identificare la Repubblica Popolare Cinese come socialista o come capitalista. La domanda più pertinente e utile è: "Dov'è diretta la RPC?"

Avevo sollevato la questione in un saggio nel mese di dicembre del 2011, The Chinese Puzzle. Nonostante le molte riserve sulle ingannevolmente soprannominate "riforme" accettate dalla dirigenza cinese, il mio giudizio era che le basi socialiste dell'economia, sebbene pericolosamente indebolite, erano ancora intatte: il settore statale, rispetto al prodotto nazionale annuo, era ancora cinque volte superiore a quello di una tipica socialdemocrazia europea come la Francia; il settore finanziario era prevalentemente di proprietà dello Stato e il meccanismo di pianificazione era debole, ma funzionale.

Allo stesso tempo, ero pienamente consapevole dei numerosi problemi scaturiti dalle "riforme" capitalistiche:

"L'ingresso di caratteristiche capitalistiche nell'economia della RPC ha afflitto il paese con le malattie che nascono dall'anarchia dei mercati: squilibri, fervore e bolle speculative, inflazione, agitazioni sindacali, mercati grigi e neri e il caos del mercato del lavoro. Nella primavera-estate del 2010, i lavoratori si sono sollevati contro i bassi salari e le condizioni di lavoro in molte aree. Ancora nel 2011 ci sono state azioni significative per una migliore retribuzione, migliori condizioni di lavoro e contro i licenziamenti. In autunno, il fondo sovrano della Repubblica Popolare Cinese è stato costretto a comprare azioni di importanti banche cinesi. Nonostante il fatto che gli investitori privati possiedano un quarto o meno delle più grandi banche del paese, una svendita da parte degli investitori stranieri ha quasi provocato il panico, fronteggiato da un intervento dei fondi sovrani. Oggi, l'inflazione, una bolla immobiliare, la maggior dipendenza dalle esportazioni pesano sull'economia." (il corsivo è dell'autore)

Ma la stabilità economica della RPC durante gli anni peggiori della crisi economica globale ha dimostrato, a mio avviso, l'esistenza e il valore della residua base socialista.

Concludevo con una nota di cautela:
"La partecipazione del paese ai mercati globali potrebbe presentare problemi che anche i suoi rimanenti strumenti socialisti non possono superare. Inoltre, non è chiaro se la Repubblica popolare cinese rafforzerà tali salvaguardie o le rigetterà, visto come il suo partito comunista modella questo problematico mix di socialismo e capitalismo".

Una svolta a destra

Quattro mesi più tardi, risuonava l'allarme con la pubblicazione di un rapporto congiunto della Banca Mondiale e del Centro di Ricerca e Sviluppo del Consiglio di Stato della RPC che sollecitava un'accelerazione delle privatizzazioni, deregolamentazione, liberalizzazione dei mercati finanziari e l'apertura alla penetrazione delle imprese straniere. Naturalmente tale prescrizione esplicita la saggezza convenzionalmente promossa dalla Banca Mondiale. Ma la cosa più allarmante era l'approvazione di questa agenda da parte di un organismo di primo piano della RPC. Il rapporto sollecita:

"Nel settore finanziario, sarebbe necessario commercializzare il sistema bancario, permettendo gradualmente che i tassi di interesse vengano fissati dalle forze del mercato, approfondendo il mercato dei capitali e sviluppando le infrastrutture giuridiche e di vigilanza per assicurare la stabilità finanziaria e creare basi credibili per l'internazionalizzazione del settore finanziario cinese".

Lo studio, China 2030, rappresenta chiaramente il manifesto della destra della dirigenza della RPC, i "seguaci della via capitalista". Come notavo all'epoca (The Battle for China's Future, 06/03/2012), "... la leadership [percorre] la sottile e pericolosa linea tra il capitalismo emergente e le istituzioni socialiste restanti. Ma, chiaramente, la Banca Mondiale e i suoi alleati cinesi sono determinati a influenzare tale direzione. E dovrebbero nutrirsi scarsi dubbi sulla direzione in cui China 2030 ha lo scopo di spingere i dirigenti cinesi".

Con la successiva ascesa del gruppo dirigente di Xi Jinping, sono apparse imminenti ulteriori "riforme", ossia liberalizzazioni economiche. Xi ha cercato di liberare le forze del mercato, diminuire il potere e le dimensioni del settore pubblico, corteggiare, in vari modi, il capitale e le società estere. Desideroso di ridurre al minimo la corruzione dilagante che ha accompagnato l'espansione del settore privato, il governo ha anche montato una campagna aggressiva per indagare e perseguire gli abusi più flagranti. Sperava con ciò di smorzare il risentimento pubblico per le disuguaglianze economiche che giungono invariabilmente con l'espansione della speculazione privata.

Chiaramente, la nuova generazione di dirigenti della RPC ha accettato il dogma del mercato che l'ulteriore crescita sia minacciata dalla regolazione, da un settore pubblico importante e dalla moderazione finanziaria. Chiaramente, sono stati persuasi da ideologi liberali che all'ordine del giorno ci sia più capitalismo e meno socialismo.

Chiaramente, non avevano previsto i pericoli in agguato su questa strada.

La decisione di andare avanti con le liberalizzazioni è stata avvertita fortemente sui mercati azionari cinesi. La dirigenza della RPC ha esortato gli investitori ad arricchirsi. A partire dal novembre del 2014 sono state ammorbidite le regole sul rapporto di indebitamento – gli acquisti con margine -, tagliati i tassi di interesse, ampliato l'accesso internazionale ai mercati azionari con conseguente rapido rialzo di un mercato già caldo. Si sono moltiplicate le offerte pubbliche iniziali (IPO); la capitalizzazione del mercato è aumentata di cinque volte in un anno; i margin loan [finanziamenti a scopo speculativo] sono raddoppiati in sei mesi raggiungendo 2,27 miliardi di yuan; i singoli investitori hanno superato i 75 milioni, con addirittura il 31% degli studenti universitari che gioca sul mercato. I dirigenti della RPC hanno scatenato una frenesia di borsa, con la conseguenza che l'insieme dei mercati azionari cinesi, al loro apice, sono diventati la maggiore borsa al mondo dopo la New York Stock Exchange.

Il "miracolo" del mercato azionario ha spinto l'indice Shanghai Composite a un nuovo massimo a metà giugno di quest'anno, raggiungendo quota 5166, da 3334 alla fine dello scorso anno.

Ma poi il mercato è crollato. Meno di un mese più tardi, sparivano 3,5 miliardi di dollari di valore nominale, con la caduta del mercato a 3507. Alla fine di agosto era ulteriormente sceso a 3210.

Le misure del governo per arginare la caduta sono state inefficaci. Nonostante la sospensione delle offerte pubbliche iniziali (IPO), delle negoziazioni in molte borse, la restrizione degli acquisti con margine e l'allocazione di 19 miliardi di dollari per un fondo di stabilizzazione del mercato, il mercato ha continuato a vacillare. Ventiquattro milioni di investitori hanno lasciato il mercato, presumibilmente dopo aver subito gravi perdite. Per avere un'idea delle perdite, superano 14 volte il Pil della Grecia.

A differenza del passato, la Repubblica Popolare Cinese non aveva strumenti socialisti nella cassetta degli attrezzi (o ha scelto di non utilizzarli). A differenza del 2008, quando i leader della RPC hanno iniettato rapidamente fondi pubblici nelle imprese pubbliche e in progetti pubblici per allontanare la propria economia dalla follia privatistica dell'economia globale, questa volta la dirigenza della RPC è stata sopraffatta da quelle forze di mercato che era così ansiosa di scatenare.

Nell'entusiasmo di abbracciare i mercati, la leadership cinese si era impegnata nel mese di febbraio a consentire al tasso di cambio dello yuan di fluttuare rispetto alle altre valute e rimuovere i controlli sui flussi di capitale. Nonostante la massiccia fuga di capitali, il governo ha liberato il tasso di cambio dello yuan l'11 agosto, scatenando una svalutazione che promette di accelerare il deflusso di capitali. A fronte di un crollo dei mercati azionari della RPC, la dirigenza ha scelto di rispondere con ulteriori "riforme" di mercato. Inoltre, i commentatori occidentali (vedi Paul Krugman, per esempio) incolpano curiosamente le insufficienti riforme del mercato, piuttosto che la liberalizzazione selvaggia che ha surriscaldato i mercati azionari, in appoggio ad una politica palesemente fallimentare. I dogmi capitalisti hanno portato l'economia della RPC a questo punto. I dirigenti della RPC continueranno ad abbracciarli?

Turbolenza globale

L'attuale caos dei mercati azionari mondiali ha fatto della RPC un comodo capro espiatorio. I commentatori asseriscono che i problemi economici della seconda economia del mondo trascinano l'economia mondiale verso il basso. Ma mentre l'economia cinese si sta muovendo nella direzione sbagliata e, di conseguenza, contribuisce alla duratura crisi capitalista, non è affatto la causa operante o ultima dei dolori del sistema capitalista. Processi di lungo termine e profondamente radicati operano per minare il sistema capitalistico (The US Economy: A Midyear Report Card, 12/06/2015).

Ma è importante sottolineare, tuttavia, che l'economia cinese - anche con le sue residue caratteristiche socialiste - non è più in grado di salvare l'economia capitalista globale, come ha fatto, in parte, nel 2008. Come hanno scritto Lingling Wei e Mark Magnier su The Wall Street Journal (China to Flood Economy with Cash, 24/08/2015):

"Le lotte di Pechino di quest'estate hanno spaventato molti investitori, che hanno visto nella Cina una minaccia piuttosto che il sostenitore della crescita globale. Durante la crisi finanziaria del 2008 e inizio 2009, la Cina, con un piano di stimolo colossale, ha agito come ammortizzatore. Ultimamente, è la Cina che scuote i mercati.

Da parte dei dirigenti cinesi, si tratta di una candida e cruda ammissione di abbandono al mercato di importanti elementi critici dell'economia socialista. Si può solo sperare che riacquistino il buon senso, prima che si uniscano a quelli che cercano di gestire l'ingestibile.


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