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Verso il dominio delle multinazionali globali

Prabhat Patnaik | peoplesdemocracy.in
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

29/11/2015 - Vol. XXXIX No. 47

Gli Stati Uniti stanno mettendo in piedi una nuova architettura di dominio delle imprese multinazionali globali attraverso una serie di trattati sugli investimenti che stanno attualmente negoziando con diversi paesi. Quando tutti questi accordi avranno efficacia precettiva, l'estensione della loro giurisdizione coprirà oltre l'80 per cento del PIL mondiale, praticamente l'intera economia mondiale. Questi trattati includono una serie di Trattati Bilaterali sugli Investimenti (BITs), il Trattato Transatlantico di Partenariato per lo scambio e gli investimenti (TTIP) e il Partenariato Trans Pacifico (TPP).  Dal momento che l'India viene spinta ad entrare in tale struttura, diventa per noi importante studiare con cura questa architettura globale.

Tre importanti caratteristiche

Ci sono, allo stato, tre significative caratteristiche in questi trattati. Di queste, la più significativa è la cosiddetta clausola ISDS (Investor-State Dispute Settlement), vale a dire il meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stati ed investitori.  Secondo tale dispositivo, un investitore privato può chiamare in giudizio uno Stato sovrano di fronte ad un tribunale arbitrale privato. Lo Stato sovrano, in altre parole, rinuncia al suo diritto di agire liberamente per il pubblico interesse limitando l'operatività di un investitore straniero. Nel caso in cui invece faccia ciò, potrebbe essere chiamato in giudizio non in un tribunale all'interno del suo ordinamento e istituito secondo la sua Costituzione, ma si vedrebbe invece convenuto avanti ad una corte arbitrale privata istituita secondo il trattato in questione, dalla quale potrebbe essere diffidato a "tutelare" quell'investitore privato dall'invasione di potere dello Stato.

Vediamo cosa significhi. In India, nei primi anni settanta, fu approvata una legge regolatrice degli scambi con l'estero (Foreign Exchange Regulation Act - FERA) che imponeva una serie di restrizioni alle imprese straniere. Se l'India fosse stata a quel tempo vincolata da un tale tipo di trattato, le imprese straniere avrebbero potuto citare il Governo avanti ad una corte arbitrale privata con giurisdizione al di sopra dello Stato ed al di sopra della Costituzione, per contestare che una tale legge limitava indebitamente le loro prerogative; ed avrebbero probabilmente vinto la causa. Altrettanto probabilmente, per timore di una tale probabile sconfitta, il Governo non avrebbe mai osato approvare una legge come il FERA, perché lo avrebbe considerato inutile.

Ne consegue pertanto che ogni governo successivo all'entrata in vigore di tale trattato, verrà vincolato da ciò che il precedente governo ha firmato; e la corte che deciderà sull'appropriatezza di ogni azione del governo successivo non sarà una corte soggetta alla Costituzione di quel paese ed alla visione del pubblico interesse profilata all'interno di tale Carta fondamentale (che potrebbe  portare ad una decisione in favore del governo sulla base del fatto che la sua azione è finalizzata al pubblico interesse così come stabilito dalla Costituzione), ma sarà invece una corte istituita all'interno del trattato. Un tale trattato sugli investimenti non rappresenta quindi soltanto una grande limitazione della sovranità dello Stato-nazione, ma ostacola in linea di principio la capacità dello Stato di adempiere al suo mandato Costituzionale.

Non c'è bisogno di dire che un tale trattato costituisce una grande violazione al principio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli che è il fondamento della democrazia. I popoli possono eleggere un governo incaricandolo di intraprendere misure tese a migliorare le difficoltà economiche, ma quel governo sarà impossibilitato a prendere qualsivoglia misura se questa incide in qualche modo sugli interessi di un investitore straniero; ed è difficile immaginare una qualche misura economica significativa che non abbia alcun effetto - immediatamente o potenzialmente - sugli investitori stranieri. Persino la redistribuzione della terra sarà vincolata da questo trattato, dal momento che potrebbe comportare l'esproprio di porzioni di terreno possedute da investitori stranieri o potrebbe potenzialmente inibire a questi ultimi l'accesso al possesso della terra.

Indebolendo la possibilità di autodeterminazione democratica dei popoli, nessuna restrizione potrà essere così posta sotto l'ala protettiva dello Stato e dei suoi interessi, cosa che è sempre stata fonte di preoccupazione  per gli investitori stranieri. Intrappolare lo Stato nel vortice della finanza globalizzata è sempre stato un modo ovvio per assicurarsi contro queste eventualità; ogni Stato che intraprendesse misure contro gli investitori stranieri correva il rischio della fuga dei loro capitali. Ma questa misura di salvaguardia non sembra essere sufficiente per i capitalisti stranieri, va ricordato che quando nel 2004 fu sfiduciato il governo Vajpayee, il Wall Street Journal aveva commentato che la decisione di scegliere un governo non dovrebbe essere affidata solamente all'elettorato di un paese, ma anche all'intero corpo dei gruppi di interesse economico presenti in quel paese, inclusi gli investitori stranieri. Questi trattati, promossi dagli Stati Uniti, sono volti ad assicurare che anche se l'elettorato scegliesse un nuovo governo, gli investitori stranieri sarebbero isolati da ogni possibile effetto negativo di tale cambiamento.

La seconda caratteristica di questi trattati è che se per avventura il governo espropriasse beni degli investitori stranieri, esso sarebbe tenuto a dare "immediato, adeguato ed effettivo" risarcimento. I trattati di solito specificano che tale risarcimento deve essere valutato al prevalente prezzo di mercato, e non solamente riferito ad un equo indennizzo. Anche se l'investitore straniero ha ottenuto all'origine un pezzo di terra ad un prezzo stracciato, se tale terreno sarà espropriato dal governo, il risarcimento dovrà comunque essere a prezzo di mercato.

Questo rende assai difficile per il governo acquisire terre o beni, dal momento che non dispone delle risorse necessarie per pagare questo pesante tipo di risarcimento. Espropriare delle piantagioni possedute da investitori stranieri per redistribuirle a contadini senza terra diverrebbe per il momento impossibile ad ogni nazione che ricada sotto il servaggio di un tale trattato, dal momento che le risorse finanziarie necessarie per un tale indennizzo sono inaccessibili al governo.

Inoltre, qualsiasi redistribuzione di ricchezza, per sua definizione, significa la requisizione dei beni di qualcuno al fine di ridistribuire questa ricchezza ad altri. Ciò significa in altre parole una riduzione del patrimonio di qualcuno per l'aumento dei patrimoni di altri. Se qualsiasi procedura di esproprio deve essere accompagnata da un indennizzo di natura risarcitoria ai prezzi attuali di mercato, non vi è nessuna riduzione del patrimonio dell'espropriato, ma solamente un mutamento della forma patrimoniale da lui posseduta: un bene posseduto nella forma di terreno viene meramente convertito in moneta senza che alcuna riduzione del suo valore sia sofferta dall'espropriato. La redistribuzione di ricchezza viene in sostanza messa fuori gioco, almeno per quel che riguarda i capitali stranieri, in qualsiasi stato firmatario di un tale trattato.

La terza caratteristica di questo tipo di trattati, che per il momento caratterizza il Trattato Trans Pacifico, è che gli investitori stranieri dovrebbero essere trattati alla pari con gli investitori nazionali in ogni settore, anche in materia di proprietà dei terreni e delle risorse minerarie di un paese. Dal momento che il termine "investitori nazionali" qui include anche gli imprenditori del settore pubblico, questo significa che ogni sforzo di promuovere l'autonomia economica, privilegiando le unità del settore pubblico viene dichiarato illegittimo dai trattati. Un paese non può preferire la tecnologia sviluppata al suo interno se interferisce con gli interessi dell'investitore straniero; non può acquisire l'autonomia tecnologica; non può fare alcun sforzo per proteggere il proprio cambio limitato, il rimpatrio dei dividendi percepiti dai soci di un'impresa straniera, o degli interessi pagati ai creditori stranieri, o del pagamento delle royalties e e dei canoni alla società madre da parte della filiale operante nel paese.

Al servizio della diseguaglianza

Dato per assodato che il mondo è già caratterizzato da un controllo monopolistico della tecnologia da parte dei paesi a capitalismo avanzato, che vi è la tendenza da parte dei ricchi delle periferie a spostare la loro ricchezza nei grandi territori metropolitani, che vi è una enorme diseguaglianza dei rapporti di forza tra i paesi metropolitani da una parte e le periferie del mondo dall'altra, ciò che la la stipula di tali trattati significa in pratiche è che la dicotomia tra questi due segmenti del mondo sarà perpetuata.

I trattati che stanno imponendo gli Stati Uniti su una serie di paesi del terzo mondo, insistendo sulla parità di trattamento tra investitori stranieri e nazionali, in pratica servono oggi a perpetuare la disparità esistente tra i due segmenti del mondo.

Il capitale necessita, nello spazio in cui opera, del supporto e della protezione dello Stato. Quando il capitale opera a livello globale, necessita a sua volta di una protezione globale. Ma gli Stati-Nazione quali singoli e da soli non sono in grado di provvedere a questa protezione globale. Anche il più potente degli Stati-Nazione, gli Stati Uniti d'America, non è in condizioni di assicurare una simile protezione, poiché ciò comporterebbe l'impiego di elevati livelli di manodopera e risorse in tutto il mondo, cosa che è restio a fare. E non c'è nessun Stato Nazione all'orizzonte, né un consorzio di paesi capitalisti avanzati, che può giocare il ruolo di garante del capitale globale. Inoltre, anche se esistesse un tale consorzio, richiederebbe per i suoi scopi un apparato di istituzioni ed una cornice di regole condivise all'interno delle quali potrebbe operare.

I trattati di investimento promossi dagli Stati Uniti sono volti alla creazione di un tale apparato; essi rappresentano una transizione all'insediamento di istituzioni sovranazionali che possano servire le necessità del capitale globale offrendogli protezione in ogni luogo in cui operi. Ciò che va notato è comunque il fatto che queste non sono istituzioni derivanti da un consorzio di Stati Nazione (come per ora è il caso della Corte Internazionale di Giustizia); queste sono istituzioni private. Non stiamo in altre parole assistendo alla transizione verso la fondazione di istituzioni governative al di sopra degli stati nazionali; stiamo assistendo, attraverso questi trattati, al debutto di istituzioni sovranazionali private. La globalizzazione del capitale genera oggi una tendenza verso il dominio dell'impresa privata multinazionale.


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