www.resistenze.org - osservatorio - economia - 13-12-18 - n. 695

Neoliberalismo e diffusione dello sviluppo

Prabhat Patnaik | peoplesdemocracy.in
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

02/12/2018

Il livello di attività economica sotto il capitalismo è soggetto a prolungati flussi e riflussi. Quando l'economia è in ripresa, questo fatto agisce come un elisir che incoraggia i capitalisti, i quali iniziano ad aspettarsi che i "bei tempi" continuino; questo li rende meno preoccupati di correre rischi, più "avventurosi", quindi maggiormente inclini a prendere decisioni "più audaci" nella preferenza sugli asset. E proprio per questo intraprendono investimenti in beni materiali come le costruzioni, i beni strumentali e i macchinari che fanno si che il boom continui, giustificando quindi la loro euforia.

Il contrario accade quando c'è un rallentamento. Esso introduce una prospettiva cupa tra i capitalisti, i quali diventano più acutamente consapevoli dei rischi, si fanno più timorosi nelle scelte di asset e riducono i loro investimenti, preferendo invece avere il denaro, che è un bene privo di rischio (anche se non guadagna nulla). Questo stesso fatto a sua volta prolunga la crisi e giustifica quindi la loro paura a prendere rischi.

Questa caratteristica molto evidente del capitalismo, vale a dire l'euforia autoportante associata a un boom e le tenebre associate a un crollo, influisce sulla questione della diffusione dello sviluppo verso il terzo mondo. Parliamo qui di diffusione che avviene spontaneamente attraverso il funzionamento di un capitalismo senza restrizioni del tipo che caratterizza il neoliberismo, non la diffusione prodotta attraverso un'azione deliberata di uno Stato del terzo mondo che coinvolga il protezionismo e simili.

Per il capitale, sia della metropoli che del terzo mondo, quest'ultimo costituisce una condizione di maggior rischio. La metropoli è la base di partenza del capitalismo e dei capitalisti di tutte le descrizioni, indipendentemente dal colore della loro pelle, si sentono  persino più sicuri lì che nei loro paesi (ecco perché c'è così tanta sottrazione di fondi dal terzo mondo da parte dei suoi stessi capitalisti). Tuttavia, in un boom, che è un periodo di euforia, il rischio di detenere asset del terzo mondo viene sottovalutato. L'euforia di un boom si estende al regno delle preferenze patrimoniali, dove non solo è in generale maggiore l'investimento intrapreso dal capitale (piuttosto che mantenere un bene sterile ma privo di rischio, il denaro), ma anche gli asset del terzo mondo sono richiesti in maggior misura. Viene ridotto il differenziale di preferenza per le attività delle metropoli rispetto a quelle del terzo mondo che, oltre a portare maggiori investimenti diretti nel terzo mondo, porta anche maggiori finanziamenti per l'acquisto di attività del terzo mondo. Il prezzo relativo degli asset del terzo mondo rispetto a quello degli asset metropolitani cresce; o diversamente, per un prezzo dato degli asset metropolitani, quello delle attività del terzo mondo aumenta, il che aumenta la produzione di tali beni (cioè aumenta gli investimenti) quindi aumenta il tasso di crescita nel terzo mondo.

Esattamente il contrario succede in una recessione economica mondiale. Man mano che i capitalisti diventano più avversi al rischio, non solo i flussi di investimenti diretti verso il terzo mondo si prosciugano (il che può essere aggravato ulteriormente dal protezionismo nella metropoli del tipo che sta introducendo Trump), ma anche il capitale finanziario smetterà di fluire al terzo mondo; anzi, si sviluppa una tendenza della finanza, che sia originaria della metropoli oppure del terzo mondo, a spostarsi verso la metropoli. Il prezzo relativo degli asset del terzo mondo rispetto a quelli delle metropoli cala, cosa che soffoca ulteriormente gli investimenti locali, causando un calo del tasso di crescita del terzo mondo.

Quanto sopra esposto ha due implicazioni. La prima, abbastanza ovvia, è che i boom del capitalismo mondiale in condizioni di neoliberalismo sono associati a tassi di crescita più alti nel terzo mondo, mentre i crolli nel capitalismo mondiale hanno l'effetto opposto. La seconda e più forte implicazione, è che le fluttuazioni nei tassi di crescita nel terzo mondo sono maggiori delle fluttuazioni nei tassi di crescita nella metropoli, dal momento che l'impatto dell'avversione al rischio sugli investimenti cade ancora più pesantemente sul terzo mondo rispetto alla metropoli, con anche una fluttuazione dei prezzi degli asset del terzo mondo relativi a quelli metropolitani. In breve, l'euforia e la depressione nel capitalismo mondiale hanno un impatto ancora maggiore sul terzo mondo che sulla metropoli, in condizioni di neoliberalismo.

Ciò significa che gli stessi "esperti" che lodavano la superiore crescita nel terzo mondo rispetto al passato, durante gli anni del boom del neoliberismo e utilizzavano tale crescita come prova degli effetti benefici del neoliberismo (dimenticando convenientemente che in quel tempo si scatenava un processo di accumulazione primitiva del capitale contro contadini e piccoli produttori, che gonfiavano le riserve di lavoro a scapito di tutti i lavoratori compresi quelli sindacalizzati del settore organizzato), ora dovranno rimangiarsi le loro parole. Mentre la recessione capitalista mondiale continua e si accentua, mentre la finanza inizia a fluire sempre più verso la metropoli, come già sta accadendo (con conseguente svalutazione di diverse valute del terzo mondo, tra cui soprattutto la rupia, nei confronti del dollaro USA), gli investimenti e il tasso di crescita nel terzo mondo si prosciugheranno in misura ancora maggiore che nelle metropoli.

Poiché in vista non c'è la fine della recessione capitalista e dal momento che il protezionismo come praticato da Trump non farà che peggiorare la crisi mondiale intensificando l'angoscia per il futuro (anche se gli Stati Uniti potrebbero guadagnare temporaneamente da questa politica del "rovinare-il-vicino", ma solo fino alle ritorsioni di altri), il disagio particolarmente acuto del terzo mondo, che questa recessione porta con sé, sarà inoltre un fenomeno prolungato. Il terzo mondo, in breve, sta affondando in un prolungato periodo di stagnazione. Ciò causerà un acuto disagio ai lavoratori, dal momento che l'accumulazione primitiva del capitale a spese dei contadini e dei piccoli produttori che ha accompagnato il boom capitalista, continuerà senza sosta, mentre la stagnazione ridurrà ulteriormente la creazione di occupazione nel settore capitalista.

Il clamore sulla diffusione dello sviluppo verso il terzo mondo, in breve, scomparirà presto. Questa non è la prima volta che accade una tale inversione. Tra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo, durante il tardo boom vittoriano ed edoardiano, c'era clamore sulla diffusione dello sviluppo nel terzo mondo. Ma molti dei paesi del terzo mondo che all'epoca erano fra quelli a più veloce crescita, sono oggi considerati i paesi "meno sviluppati" del mondo; il Myanmar ne è un classico esempio. Certo, la diffusione dello sviluppo nel terzo mondo durante il boom capitalista del recente periodo neoliberista è stata più pronunciata di prima; e la fortuna del Myanmar era legata alle sue risorse petrolifere, il cui esaurimento avrebbe segnato il suo destino. Ma il punto è che il fenomeno dei campioni di ieri che sono i ritardatari di domani non è affatto raro.

La Grande Depressione degli anni '30 aveva seguito il crollo del lungo boom vittoriano ed edoardiano e durante la Depressione erano fioriti solo quei paesi del terzo mondo che erano riusciti a separarsi dalla rete del capitalismo mondiale senza restrizioni, imponendo controlli sul commercio e sui flussi di capitale. Tra questi erano degni di nota i paesi latinoamericani, che avevano intrapreso una "strategia nazionalista" di industrializzazione sostitutiva delle importazioni dopo aver rovesciato le oligarchie locali che erano in combutta con l'imperialismo. Le economie colonizzate come l'India, al contrario, sebbene conoscessero una certa industrializzazione da quando anche il regime coloniale aveva dovuto introdurre una misera quantità di quella che veniva chiamata "protezione discriminante" per placare la borghesia locale, non ne vedevano abbastanza.

Stiamo ancora una volta entrando in un periodo di sconvolgimenti politici significativi e di mutamenti economici nel sistema capitalista mondiale come conseguenza della crisi, il cui impatto sul terzo mondo, come suggerito sopra, sarà particolarmente pesante.

Una cosa però è indubitabile. Di recente si è creata l'impressione che il terzo mondo possa superare la sua miseria economica pur rimanendo entro l'orbita del capitalismo mondiale, che il neoliberismo stia dando origine a una diffusione dello sviluppo dalla metropoli verso il terzo mondo così pronunciata che il precedente argomento per cui solo socialismo creava le condizioni per superare le difficoltà economiche del terzo mondo, era divenuto sorpassato; e anche se fosse rimasta una certa povertà residua all'interno del terzo mondo nonostante la rapida crescita, sarebbe stata solo una questione di tempo, prima che anche quella potesse scomparire attraverso un "effetto cascata" nella crescita. Il capitalismo, in breve, era la panacea per la povertà di massa nel terzo mondo e non il suo progenitore, come i marxisti avevano sostenuto. La crisi che al momento sta avvolgendo le economie del terzo mondo, mette fine a questa pretesa.


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