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da http://www.politcom.ru

Russia: le reazioni alla risoluzione anticomunista dell’APCE


Tatjana Stanovaja

31 gennaio 2006

 

La studiosa russa Tatjana Stanovaja, direttrice del dipartimento analitico del “Centro di tecnologie politiche di Mosca”, commenta le reazioni del mondo politico russo alla presentazione all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) della famigerata risoluzione anticomunista.

 

Il 25 gennaio alla sessione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) è stata approvata la risoluzione “sulla necessità della condanna internazionale dei crimini dei regimi totalitari comunisti”. La risoluzione ha sollevato dure critiche non solo da parte del PCFR, ma anche dell’intera delegazione russa, compreso il partito “Russia Unitaria” e persino i liberali russi. La risoluzione è ritenuta dal Cremlino antirussa, diretta ad annullare i meriti storici dell’URSS nella lotta contro il fascismo, ed anche a porre le basi per la richiesta di compensazioni da parte dei paesi dell’Europa Orientale, che accusano l’URSS di averli occupati. Allo stesso tempo, la risoluzione rappresenta un attacco a tutto il movimento di sinistra europeo.

 

L’iniziativa di mettere sotto accusa i regimi totalitari fu presa nel 2003: la formulò il deputato olandese del gruppo di destra del Partito Popolare Europeo (PPE, i cristiano-democratici) René Van der Linden, oggi presidente dell’APCE. Allora tale iniziativa fu sostenuta anche dai socialisti, nella persona del deputato svizzero Andreas Gross (in Russia è ben conosciuto per i suoi rapporti critici in merito alla situazione in Cecenia). Ma Gross ha preferito far correggere la risoluzione, riducendo l’oggetto della condanna ai regimi totalitari comunisti. In pratica la risoluzione è stata preparata dal PPE, cosa che ha prestato il fianco all’accusa di essere utilizzata dalla destra per scatenare un’offensiva contro la sinistra.

 

All’inizio era previsto che la risoluzione dovesse condannare non solo i regimi totalitari comunisti, ma l’ideologia comunista stessa. A parere degli autori, il comunismo è stato la copertura di crimini di massa. La risoluzione, nella sua stesura iniziale, invitava non solo a condannare i crimini ma gli stessi regimi, i partiti comunisti e l’ideologia comunista. Come ha dichiarato a “Kommersant” il capo della delegazione russa e vice-speaker dell’APCE Konstantin Kosaciov, “c’è stato un tentativo di confondere in un unico documento la condanna dei crimini con quella dell’ideologia e degli stati”. Nel dicembre 2005, su iniziativa dei paesi baltici, nel testo della risoluzione sono stati inseriti emendamenti che facevano riferimento in primo luogo ai crimini del regime sovietico. Si tratta “dell’invasione da parte dell’Esercito sovietico di alcuni paesi nel corso della Seconda Guerra Mondiale”, in seguito alla quale “si è scatenato in modo sistematico il terrore di massa”. Le vittime sarebbero state la Polonia, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania e la Moldavia.

 

Subito dopo la comparsa del progetto di risoluzione, attorno ad esso è iniziata una lotta serrata. Così, la delegazione russa ha richiesto, nella sua totalità, di non procedere all’approvazione della risoluzione. Quando è risultato evidente che ciò non era possibile, la Russia ha cominciato a lavorare sugli emendamenti. In particolare, prima che la risoluzione fosse portata in sede di discussione, si è ottenuto di cambiare il titolo del documento, nel quale non si sarebbe parlato dei crimini del comunismo, ma dei crimini dei regimi comunisti. Dalla risoluzione è stato cancellato il punto relativo alla necessità “di rimuovere, dove ciò non è ancora avvenuto, monumenti, nomi delle vie e qualsiasi altro simbolo esteriore, che possa rammentare i crimini perpetrati in nome dell’idea comunista”. Infine, quale elemento di maggiore significato, sono stati tolti i punti che parlano dell’invasione da parte dell’URSS dei paesi dell’Europa Orientale.

 

La risoluzione anticomunista dell’APCE riveste più di un significato. In primo luogo, in Russia essa viene accolta come un atto antirusso. Il problema sta nel fatto che in Russia l’atteggiamento nei confronti del periodo sovietico assume un carattere ambivalente. Da un lato, i crimini commessi dal potere sovietico non sono messi in discussione. Ma, d’altro canto, l’Unione Sovietica per i russi rappresenta la vincitrice del fascismo e la liberatrice dell’Europa. E ciò, in pratica si traduce in una sorta di indulgenza nei confronti dei crimini commessi nel periodo sovietico e dal regime sovietico.

La vittoria sul fascismo viene utilizzata come giustificazione di tali crimini. Tale relazione con l’URSS in quanto stato è sostenuta ai massimi livelli, in quanto, in caso contrario, verrebbe vissuta da un’intera generazione come un insulto ai propri sentimenti nei confronti della storia. Il presidente russo, in più di un’occasione, ha voluto esprimere la propria insoddisfazione per i tentativi di riscrivere la storia. Innanzitutto alla revisione della storia rimandavano gli appelli della Polonia e dei paesi baltici a considerare l’Unione Sovietica paese occupante dei paesi dell’Europa Orientale e di avanzare la richiesta di compensazioni. Non si tratta solo di una controversia storica, ma di una disputa sulla colpevolezza o meno dell’URSS ed anche della Russia, in quanto erede delle presunte responsabilità sovietiche nei crimini contro altri paesi.

 

E’ indicativo il fatto che contro la risoluzione non sia intervenuto solo il PCFR. Come ha dichiarato il leader del partito “Russia Unitaria” e speaker della Duma di Stato Boris Gryzlov: “l’APCE dovrebbe prestare maggiore attenzione ai problemi attuali e alle sfide contemporanee, e non accanirsi contro i residui del passato”. A suo avviso, la società e lo stato russi hanno fatto molto per la riabilitazione delle vittime delle repressioni, a partire dal XX Congresso del PCUS, in cui fu sancita “la liquidazione del culto di Stalin”.

 

Sembra paradossale che il partito del potere, per la prima volta nella più recente storia della Russia, intervenga così in sintonia con il PCFR. In questo caso, senza dubbio, abbiamo a che fare con una coincidenza congiunturale di interessi: se il PCFR difende la sua identità, “Russia Unitaria” in pratica intende farsi interprete della posizione del Cremlino, che da tempo si pronuncia contro la “revisione della storia”. Vladimir Putin ha già fatto di tutto per presentare un’immagine della Russia vincitrice del fascismo. E’ sufficiente ricordare le iniziative in occasione dei festeggiamenti per il 60° anniversario della Vittoria nel maggio dell’anno scorso. Non è solo un’operazione di immagine: si tratta della compensazione che verrebbe richiesta per i crimini dell’URSS, nel caso tali venissero considerati dalla comunità internazionale. La risoluzione, che non ha forza giuridica, ciononostante rappresenta un primo passo in questa direzione. Persino in presenza di una significativa riscrittura del testo della risoluzione, questa sarebbe principalmente diretta contro l’URSS.

 

Nella risoluzione si parla dei regimi comunisti nei paesi dell’Europa Orientale. “I regimi comunisti totalitari che hanno esercitato il potere in Europa Centrale e Orientale il secolo scorso, e che si trovano ancora al potere in alcuni paesi (evidente riferimento alla Bielorussia di Lukashenko, nota del traduttore), tutti senza eccezioni si sono caratterizzati per le massicce violazioni dei diritti dell’uomo”, - si afferma nella risoluzione. “La caduta dei regimi totalitari in Europa Centrale e Orientale non è stata accompagnata dall’avvio di un’inchiesta internazionale sui crimini commessi da tali regimi. Gli autori di questi crimini non sono stati tradotti di fronte al giudizio della comunità internazionale, al contrario di quanto è avvenuto con i crimini orribili commessi in nome del nazional-socialismo (nazismo)”, - si rileva nella risoluzione. Di conseguenza, la Russia comprende che ciò rappresenta il primo passo verso la constatazione del fatto che gli “autori” dei regimi comunisti (in pratica, l’URSS) non sono stati perseguiti e verso l’appello ad allestire una seconda “Norimberga”, questa volta nei confronti dell’URSS. Sulla base di queste considerazioni, la Russia ha costruito la propria linea di critica alla risoluzione, affermando l’inammissibilità dell’equiparazione di fascismo e comunismo. Come ha dichiarato a “Kommersant” il leader del PCFR Ghennadij Zjuganov, “vogliono dimostrare che l’Unione Sovietica non è stata un paese- vincitore del fascismo, ma un paese-criminale. In tal modo hanno sciolto le mani al fascismo. Se vivi in un paese criminale, che cosa ci stai a fare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU? Significa che quelli che hanno combattuto contro l’URSS, Hitler ad esempio, avevano fatto la cosa giusta”.

 

Allo stesso tempo, la protesta contro la risoluzione ha rappresentato la prima azione internazionale di rilievo del PCFR. Alla vigilia dell’esame della risoluzione, il PCFR ha organizzato un corteo della sinistra a Strasburgo con la partecipazione dei rappresentanti di altri 15 partiti comunisti europei. Alla testa del corteo c’era Ghennadij Zjuganov. La decisione di sfilare in corteo era stata presa lo scorso novembre in un incontro di 83 partiti di orientamento di sinistra. Occorre rimarcare che la situazione offre buone possibilità di manovra a Ghennadij Zjuganov per accreditarsi come politico di rilievo internazionale, con un ruolo di spicco tra i comunisti europei. Inoltre, la comunanza degli interessi di PCFR e Cremlino nel resistere all’approvazione della risoluzione anticomunista ha consentito a Zjuganov l’accesso ai canali televisivi: nel giorno in cui si votava la risoluzione, Zjuganov è apparso in tutti i canali televisivi centrali, non con un ruolo marginale e solo in funzione di rappresentante dell’opposizione, ma come importante “opinion maker” e patriota.

 

Ma la risoluzione dell’APCE non ha solo un indirizzo antirusso. In pratica rappresenta un colpo assestato a tutto il movimento di sinistra in Europa.

 

Negli ultimi anni in Europa si sono osservate due tendenze principali: la prima è rappresentata dalla sterzata a destra dei socialdemocratici tradizionali. Ciò è evidente in Germania, dove la SPD già ai tempi di Schroeder si era trasformata in un partito centrista ed oggi si trova in coalizione con la CDU/CSU di destra. In Gran Bretagna il riposizionamento centrista dei laburisti è iniziato dopo che il ruolo di principale dirigente del partito è stato assunto da Tony Blair. Nei paesi europei occidentali l’affollamento al centro è ormai abbastanza fitto, e persino i socialisti si definiscono di centro-sinistra. Per questo, il settore della sinistra è diventato terreno di conquista per i comunisti tradizionali, gli antiglobalisti, i verdi, ecc. Negli ultimi anni nei paesi dell’Europa Occidentale si è assistito a tentativi di consolidamento di questo settore politico. L’approvazione della risoluzione permette di attribuire l’etichetta di “criminali comunisti” ai risorgenti oppositori di sinistra dei social-democratici (social-liberali).

 

La risoluzione è stata anche un colpo sferrato dalla subcultura di destra a quella di sinistra nei paesi dell’Europa Orientale. Qui i partiti di sinistra, nella loro maggioranza (Ungheria, Polonia, Bulgaria) rappresentano gli eredi dei partiti comunisti, nonostante costituiscano partiti “ripuliti” della presenza comunista, riformati e pienamente legittimati. Per i socialisti europei orientali, eredi dei comunisti, che oggi in molti paesi si trovano al potere, il voto a favore della risoluzione non è stato un voto contro l’ideologia, ma contro i crimini dei regimi comunisti, e, più precisamente, della Russia, che è considerata erede del paese-occupante, l’URSS.

 

Per gli esponenti della destra europea orientale il voto per la risoluzione ha rappresentato il tentativo di sferrare un colpo ai partiti di sinistra dei loro paesi, a partire da una posizione ideologica. Ad esempio, in Ungheria, dove al potere si trova una coalizione di centro-sinistra, a sostegno della risoluzione si è espresso un rappresentante dell’opposizione, il “Partito dei cittadini”, criticando i regimi comunisti da posizioni di destra. Il rappresentante dei “Liberi democratici” – che partecipa alla coalizione di centro-sinistra al governo – Matyas Eorsi ha invitato a sostenere la risoluzione, ma con altre motivazioni: egli ha spiegato che il discorso non deve vertere sugli aspetti ideologici, ma sui crimini dei regimi. Ha anche dichiarato che, sebbene apprezzi la liberazione dell’Europa da parte di Stalin, non intende certo dimenticare le sue “intese con Hitler, la spartizione della Polonia e l’occupazione dei paesi baltici”. In Bulgaria per l’approvazione della risoluzione si sono espressi i rappresentanti della coalizione di destra all’opposizione: Nadezhda Mikhailova della “Forza democratica unita” e Ivan Ivanov dei “Democratici per una forte Bulgaria”. Quest’ultimo nel suo discorso in pratica ha definito criminale l’ideologia comunista (oggi i socialisti si trovano al governo in Bulgaria). Per la Lettonia a sostegno della risoluzione è intervenuto il rappresentante del clericale “Primo partito”. E’ evidente che sono praticamente tutti esponenti di partiti di destra i politici dell’Europa Centrale e Orientale intervenuti.

 

La caratterizzazione ideologica della votazione a favore o contro la risoluzione è dimostrata dalle posizioni assunte dai diversi gruppi nell’APCE. Per l’approvazione della risoluzione hanno votato il Partito Popolare Europeo di destra e l’Alleanza dei liberali e democratici d’Europa. Nel gruppo più grande presente nell’APCE – il Gruppo democratico europeo – non c’è stata unità di vedute. In esso confluiscono tutti gli “edinorossy” (“Russia Unitaria”, il partito di governo) russi, e il loro presidente, Mikhail Marghelov, è a capo della commissione per gli affari internazionali . E’ interessante osservare proprio come, a differenza degli altri gruppi, la posizione dei democratici sia stata illustrata non da Marghelov, ma da Miroslav Benes. Ciò dimostra che l’opinione della delegazione russa divergeva di molto da quella del resto del gruppo. Lo stesso Benes non si è pronunciato né per il rifiuto né per l’approvazione della risoluzione. Egli ha solo fatto osservare che in ogni caso non si può paragonare i regimi nazisti e comunisti. E’ significativo che l’unico di tutta la delegazione russa a difendere la risoluzione sia stato Vladimir Zhirinovskij. Ma il suo violento intervento, in cui ha addirittura invitato a sottoporre a giudizio tutti i comunisti e ad arrestare immediatamente nella sala Ghennadij Zjuganov, ha avuto un effetto controproducente per i promotori della risoluzione. In pratica, grazie a Zhirinovskij l’anticomunismo ha assunto aspetti caricaturali, e il sostegno alla risoluzione ha rischiato di porre sullo stesso piano i suoi promotori e bizzarre figure come Zhirinovskij.

 

Le sinistre unite, che dispongono nell’APCE di 32 voti su 315, hanno votato contro la risoluzione, cosa che, del resto, appare comprensibile. Così Mats Einarsson, nel suo intervento alla sessione dell’APCE ha dichiarato che il Gruppo delle sinistre unite non poteva sostenere la risoluzione, dal momento che in essa “le atrocità del passato erano usate come strumento per attaccare e criminalizzare una tendenza ideologica e politica, i cui ideali erano opposti a quei regimi (criminali)”. Egli, a proposito, come pure Ghennadij Zjuganov, ha fatto notare che sotto la bandiera dell’anticomunismo (si ha in mente il fascismo) “molti uomini sono stati privati dei loro diritti”. Occorre osservare che l’abbinamento di anticomunismo e fascismo è stato uno degli argomenti principali avanzati contro la risoluzione (...)

 

Il gruppo socialista ha assunto una posizione interessante. Esso non è intervenuto contro la risoluzione in quanto tale. Ma ha proposto di precisare meglio il concetto di regime criminale, piuttosto che gli aspetti ideologici. Essendo di centro-sinistra, i socialisti non vogliono essere associati ai crimini dei regimi comunisti, ma allo stesso tempo intendono preservare l “intangibilità” delle radici ideologiche del comunismo. Esemplare è stato l’intervento del deputato social-democratico ceco Petr Lachnit. Egli ha dichiarato che, a differenza dello xenofobo e nazionalista Stalin, Lenin e Trotskij sono stati dei comunisti internazionalisti e che le loro idee avevano a che fare con le idee di progresso, di avanzamento della democrazia e di valorizzazione delle questioni sociali.

 

Le posizioni dei socialisti e della delegazione russa però non sono coincise su questioni di fondo. Se i primi intendevano salvare proprio gli aspetti ideologici, distinguendoli da regimi criminali, la delegazione russa, invece, intendeva salvare il volto del regime sovietico quale vincitore del fascismo. Per i poteri della Russia le radici ideologiche del comunismo non rivestono un carattere di attualità. Fondamentale nella posizione dei russi è il rifiuto della condanna dell’URSS: perché ne potrebbero derivare importanti conseguenze sul piano internazionale, a cominciare dal riconoscimento delle occupazioni per finire alla richiesta di risarcimenti, senza parlare poi dei problemi di immagine per la dirigenza politica della Russia, che esalta incondizionatamente il grande ruolo dell’URSS nella vittoria sul fascismo.

 

In ultima analisi, dopo la conclusione della discussione il responsabile russo della commissione politica ha suggerito di non far votare la risoluzione e di continuare il dibattito: a suo avviso, non erano emersi elementi sufficienti a condannare i regimi comunisti. Ma tale proposta non è stata accolta dai deputati. In ogni caso la risoluzione non è stata appoggiata dai due terzi dei voti, il che significa l’assenza delle conseguenze giuridiche che in tal caso sarebbero derivate.

 

Nella divisione tra deputati hanno giocato un ruolo non solo ragioni ideologiche, ma anche geopolitiche. Così, la delegazione ucraina ha proposto di inserire nella risoluzione un punto relativo alla condanna delle conseguenze della carestia (le cui vittime, nel periodo pre-bellico, sono state  attribuite dai nazionalisti ucraini al potere sovietico). La proposta è stata sostenuta da 85 deputati, che non sono risultati sufficienti a farla convalidare. Per l’approvazione della risoluzione si è espresso anche il deputato georgiano Giorgi Bokeria, che ha accusato Zjuganov di non volere condannare i crimini del regime comunista, “commessi in nome del comunismo”. Ha anche voluto manifestare il proprio sconcerto per le espressioni usate dal presidente della Russia Vladimir Putin, quando ha definito la caduta dell’URSS la più grande tragedia del XX secolo. Il deputato georgiano ha toccato anche i temi, dolorosi per la Russia, “dell’occupazione comunista” e ha definito il regime di Aleksandr Lukashenko senza alcun dubbio comunista. Il deputato della Moldavia Dumitru Diacov (per inciso, il suo partito è stato appoggiato dalla Russia alle elezioni parlamentari in Moldavia), in passato collaboratore dell’apparato del Comitato Centrale del Komsomol (la gioventù comunista sovietica), è intervenuto a favore della risoluzione, dichiarando che a causa del comunismo hanno sofferto milioni di persone, tra cui anche la sua famiglia che fu deportata in Siberia. E’ pur vero che Diacov è rappresentante dell’opposizione al partito comunista attualmente al governo in Moldavia, ragion per cui il suo intervento ha avuto anche il significato di un attacco al concorrente politico. Un caldo sostegno alla risoluzione è venuto anche dall’Estonia, indipendentemente dall’appartenenza politica degli intervenuti (la social-democratica Katrin Saks e Marko Mihkelson del partito “Res Publica”).

 

La motivazione addotta a giustificazione dell’approvazione della risoluzione anticomunista è stata sostanzialmente sempre la stessa. Anche se hanno giocato gli specifici interessi delle diverse forze anticomuniste. Per alcuni paesi dell’Europa Centrale e Orientale tali interessi erano rappresentati dalla possibilità di compiere un passo in avanti verso il riconoscimento che i loro territori sono stati occupati dall’URSS. Per i partiti di destra europei si trattava di un’occasione unica per attaccare i socialisti, mentre per le social-democrazie tradizionali della possibilità di screditare le nuove forze alla loro sinistra. E’ certo in ogni caso che quanto è avvenuto rappresenta un primo passo verso il riconoscimento universale dei crimini che l’URSS avrebbe commesso sia contro il proprio popolo che contro gli altri paesi. E che all’approvazione di tale risoluzione non sono estranei i cambiamenti in atto nelle relazioni tra la Russia da un lato e la Polonia, i paesi baltici, l’Ucraina, la Georgia dall’altro. Come pure il generale peggioramento dei rapporti tra la Russia e l’Occidente (La sottolineatura è del traduttore). Per il momento la risoluzione non sembra far correre pericoli alla Russia dal punto di vista giuridico (non impone obblighi). Ma in prospettiva potrebbe costituire la base per giustificare l’avvio di un’indagine sui crimini dell’URSS, con implicazioni se non di carattere giuridico, comunque certamente dannose alla Russia sul piano dell’immagine.

 

Traduzione dal russo di Mauro Gemma