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L'impegno politico e le donne

Federica Savino * | senzatregua.it

08/03/2016

Nonostante i grossi cambiamenti e progressi sociali, nonostante l'acquisizione di certi diritti la società, le donne sono ancora sottomesse ad una politica fatta prevalentemente da uomini, nonostante abbiano acquisito – almeno sulla carta- i diritti politici, non sono riuscite ad entrare a far parte in misura consistente delle istituzione politiche rappresentative poiché non partecipano alla vita politica quanto gli uomini. Per troppo tempo infatti la politica ha avuto un predominio maschile tanto da non riuscire ancora oggi a sradicare certi stereotipi che rinchiudono la donna in ruoli che la lasciano fuori dall'occuparsi della res pubblica.

Come è accaduto ciò? Perché ancora oggi le donne nonostante le conquiste politiche, sindacali, sociali rimangono in netta minoranza nella scenario politico mondiale e in particolare italiano?

Il patto sociale e politico su cui si reggeva lo stato liberal-borghese aveva escluso le donne dall'esercizio dei diritti universali "dell'uomo e del cittadino"; la questione è legata al rapporto tra i sessi e alla distinta visione sociale maschile e femminile che andò formandosi e consolidandosi nel corso della storia.

Engels nell'Origine della Famiglia, individua nell'età del ferro e delle città stato il periodo in cui per la prova volta nella storia si iniziò a produrre un'agricoltura su larga scala, cioè una coltivazione estensiva dei campi. Lo sfruttamento delle risorse e della manodopera schiavizzata e le "scoperte tecnologiche", portarono ad un rapido sviluppo. Quest'ultimo indusse l'uomo ad appropriarsi interamente dei mezzi di produzione, per garantirsi il diritto di proprietà, escludendone le donne. Uno squilibrio quello tra uomo e donna che verrà sempre di più ad acuirsi.

Uno dei segni dell'inferiorità della donna del tempo, lo si evince dal mancato riconoscimento dello status di individuo e di cittadino in grado di compiere scelte, per esempio mediante il voto, di esprimere un giudizio, di gestire i propri beni. In questo modo non solo non veniva loro riconosciuta piena responsabilità della propria persona, dei propri averi e delle loro scelte in autonomia, ma tutto ciò faceva in modo che esse venissero considerate minori, escluse dai diritti di proprietà, non adatte alla politica, all'amministrazione della giustizia. Questa minorità veniva giustificata con una diversa propensione naturale, con differenza nelle attitudini e nella forma d'intelligenza, nella donna più portata alla comprensione di aspetti concreti, nell'uomo più rivolta ad elaborazioni astratte, quando in realtà alla base della differenza tra uomo e donna vi è solamente la riproduzione dello sfruttamento capitalistico. Queste giustificazioni, che celano la reale funzione del rapporto uomo-donna inteso come mera trasmissione e salvaguardia del diritto di proprietà, facevano in modo che addirittura la donna avesse bisogno di una sorta di guida per decisioni e gestione dei propri averi, che passava dalla figura paterna, quando viveva ancora con i genitori, a quella del marito, una volta sposata ( in Italia si è dovuto attendere la Riforma del diritto di famiglia del 1975 per un'eguaglianza tra i coniugi ). L'ideologia della famiglia borghese era detta "ideologia delle sfere separate", a cui si cercava di dare una giustificazione mettendo in campo motivazioni di carattere religioso, etico, morale e giuridico.

Negli ultimi decenni del XIX secolo lo sviluppo industriale raggiunge la sua piena maturità, l'era caratterizzata dalla concentrazione dei capitali e delle produzioni. Dalle campagne si riversano orde di uomini, donne e bambini che affollano le città. L'espansione del capitalismo e l'ingigantirsi della produzione determinano la crescita impetuosa del proletariato industriale.

La fine dell'Ottocento e in particolare il periodo in cui l'Europa è soffocata dalle atrocità della prima guerra mondiale, poiché gli uomini vengono condotti al fronte e si ha maggiore bisogno di manodopera, vede le donne sempre più protagoniste della fabbrica al cui duro lavoro si aggiunge quello della cura della casa e della famiglia. Se queste erano le condizioni di vita delle classi popolari le donne della classi borghese non avevo certo maggiore margine d'azione, poiché il massimo a cui potessero aspirare, nel rispetto dell'ideale dell'"angelo del focolare", era il matrimonio. La rivendicazione del suffragio universale delle femministe di quest'epoca accomunava ogni strato sociale ed è per questo che i primi movimenti femministi che presero piede in Europa, primariamente in Inghilterra, furono quelli legati al diritto di voto che rappresentava per le donne non solo una rivendicazione politica ma anche una rivendicazione sociale e culturale.

Se in un primo momento la società capitalista aveva ammesso la donna all'interno del processo produttivo in quanto necessitava sempre di più di manodopera con l'avvento massiccio dell'industrializzazione, nel primo ventennio del Novecento le donne furono inserite formalmente anche nel processo politico decisionale; ma fu soltanto la Rivoluzione d'Ottobre che portò con se non solo il diritto di voto alle donne ma anche il loro reale coinvolgimento nella lotta politica e nella nascente democrazia sovietica:

"A Pietroburgo, a Mosca, nelle città e nei centri industriali, il comportamento delle donne proletarie durante la rivoluzione fu superbo. Senza di loro, molto probabilmente non avremmo vinto. Questa è la mia opinione. Di quale coraggio hanno dato prova, e quale coraggio mostrano ancora oggi! Immaginatevi tutte le sofferenze e le privazioni che sopportano… Ma resi­stono bene, non si piegano, perché difendono i soviet, perché vogliono la libertà e il comunismo." Lenin e il movimento femminile, Zetkin 1925

Mentre in URSS si consolidavano diritti fondamentali per la piena emancipazione della donna, negli altri paesi europei questi non solo stentavano ad essere riconosciuti ma venivamo apertamente osteggiati dai regimi fascisti e dal conservatorismo religioso. Dopo aver ottenuto il diritto di voto, che nei paesi Europei si è raggiunto solo con la fine della secondo guerra mondiale ( Francia 1944, Italia 1946 ).

Il femminismo in ogni epoca ha avuto la grande pecca però di concentrarsi su battaglie che vedevano le donne direttamente coinvolte senza riuscire ad inserire quelle lotte all'interno di un'analisi di classe. Le donne si sono sempre intromesse nella politica nazionale per rivendicazioni che le riguardavano direttamente, non riuscendo a cogliere che certe conquiste non le hanno permesso di essere pienamente libere dalla schiavitù del lavoro e dalle faticose incombenze del lavoro di cura. Slegarsi da altre rivendicazioni e lotte politiche, nell'idea che la politica classica fosse fatta da uomini e fosse necessario allontanarsi da questa concezione, ha condotto all'emarginazione di quel movimento femminista e alla sua completa estinzione.

La rinascita del femminismo avviene a cavallo degli anni settanta inserendosi nelle proteste studentesche del '68, un periodo storico complesso e tumultuoso che vede le donne riportarsi alla ribalta. Lo scopo primo delle femministe degli anni settanta è una rivendicazione concentrata sulla propria autonomia e quindi sulla consapevolezza del proprio corpo: "il corpo è mio e me lo gestisco io". In questo scenario si inseriscono le battaglie che porteranno in Italia a grandi riforme come quella sul divorzio ( referendum abrogativo 1974 ) e sull'aborto ( legge 1941978 ). Ancora una volta le donne però ciecamente si inseriscono distrattamente in una scenario politico non riuscendo a guardarsi complessivamente come donna, come lavoratrice, come mamma, convinte che alcune, seppur importanti, leggi su certi problemi potessero cambiare radicalmente la loro condizione. Le proteste di quegli anni vengono affrontata dalle socialdemocrazie europee in due modi, il cui fine è unico il controllo sociale: repressione della piazza e riforme.

Il femminismo non ha liberato le donne, tutti i messaggi, gli slogan e i riscatti si concentrano sul corpo, si è passati dall'angelo del focolare alla mistica della seduzione. Le battaglie femministe sembrano aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso. Il femminismo per certi versi ha contribuito a delimitare ulteriormente la linea che divide donne e uomini, racchiudendoli in schemi stereotipati: gli uomini che non ne condividono in pieno le linee sono etichettati come "schiavisti e machos" e le donne che criticamente cercano di elaborarne i punti salienti minando il concetto di femminismo sono bollate come "sottomesse e traditrici". Non è attraverso il gioco di leggi che si garantisce la presenza delle donne nel sistema politico nazionale: le quote rosa, che sono già state introdotte in molti paesi europei prevedendo la loro applicazione nel consigli di amministrazione delle aziende e qualcuno caldeggia la loro introduzione anche in ambito politico.

La donna all'interno di questo sistema vive da parte della società una doppia oppressione: una legata al lavoro, legata allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e uno legato al lavoro di cura, tutte quelle pratiche di lavoro domestiche che coinvolgono il sostegno del benessere domestico e quindi familiare, quel lavoro che si dedica per la maggior parte alla cura di quei soggetti non indipendenti quali bambini, disabili, anziani. È chiaro come queste ultime siano una parte fondamentale dell'oppressione a cui una donna e sottoposta, dalla quale dovrebbe essere sostenuta dal sistema di welfare statale. Con la crisi economica il governo nazionale ha ritenuto opportuno concentrarsi su tagli alla spesa pubblica, sforbiciate che sono andata ad intaccare l'intero sistema sociale, falciando i servizi alla persona, smantellando l'intero ambito dei servizi sociali aprendo il campo alle privatizzazioni, togliendo soldi alla scuola pubblica ed indebolendo il sistema sanitario nazionale, minando alcuni dei principi più importanti della nostra Costituzione. Tali scelte politiche hanno riversato sulle famiglie un grosso carico che si fa sempre più pesante e difficile da sostenere, che si è abbattuto ancor di più sul lavoro femminile.

Per questo motivo ogni donna che senta la necessità di liberarsi dalle catene di classe che questa società le ha imposto, dovrà per forza di cose lottare non già per le ipocrite misure che la Borghesia concede (come le cosiddette quote rosa) ma per rivoluzionare completamente l'esistente. Lottando quotidianamente col grande movimento dei lavoratori, nella sua avanguardia, per poter finalmente ottenere quella reale libertà a cui noi tutti aspiriamo.

*Resp. Nazionale Commissione Donne FGC


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