www.resistenze.org - osservatorio - genere resistente - 02-09-18 - n. 681

A.Kollontaj: Il ruolo della donna nel sistema economico della schiavitù (1)

Alexandra Kollontaj | marxists.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

1921

Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna (*)

II° conferenza

Compagne, l'ultima volta ci siamo fermate alla fase dello sviluppo della società che è caratterizzata dal passaggio ad un sistema economico fondato sulla proprietà privata.

Il comunismo primitivo è esistito per millenni. Questo periodo è durato considerevolmente più a lungo del suo successivo, che vede comparire la proprietà privata. La donna fu rispettata e considerata per migliaia di anni grazie al ruolo che giocava nel sistema economico delle popolazioni pacifiche praticanti l'agricoltura.

Il matriarcato ha regnato per lunghi periodi. Le leggende e i vecchi racconti popolari testimoniano l'alta stima di cui godevano le donne a quel tempo, come risulta dai racconti che hanno per tema le imprese delle Amazzoni, di provenienza tra l'altro della Grecia, dei paesi Baltici, dell'Africa e della Boemia. Uno di questi resoconti parla di 20.000 cavallerizze, un altro allude a un esercito di Amazzoni che avrebbe costituito una minaccia permanente per il potente impero egiziano. Duemila anni fa, le donne di una tribù germanica di contadini guerrieri presero parte attivamente ai combattimenti in occasione di un attacco romano e dispersero il nemico. Ancora oggi, la guardia del corpo principesca di una certa tribù del Dahomey (2) è composta da donne armate. Presso i Curdi, popolo del Caucaso, le donne sono famose per il loro coraggio e sono parte attiva in tutti i combattimenti.

Tutto ciò prova senza ambiguità che, in occasione di alcune fasi dello sviluppo socioeconomico, la donna poteva essere non soltanto produttrice, ma soldato. La mobilitazione di tutte le forze disponibili da parte di una comunità ancora debole, per garantire la propria difesa, era allora una necessità assoluta. Nell'ultima conferenza, abbiamo constatato che la donna di quell'epoca e nelle tribù di agricoltori, godeva del più alto prestigio che doveva alla sua qualità di produttore principale. Tuttavia, nella stessa epoca, la situazione della donna nelle tribù di pastori era molto diversa. Passeranno secoli prima che l'asservimento della donna si generalizzi e che il dominio della donna appartenga definitivamente alla leggenda.

La supremazia dell'uomo, cioè del patriarcato e del diritto patriarcale, non è nata da un giorno all'altro. I vecchi racconti popolari dimostrano una lotta fatta di secoli tra matriarcato e patriarcato. I miti pagani ne sono un buono esempio. Una leggenda greca, che racconta le avventure del semi-dio Ercole, descrive il suo viaggio in un paese dominato da una tribù di Amazzoni guerriere: il viaggiatore decide di sbarazzarsi della sovranità delle donne e liberare gli uomini. Un'altra leggenda racconta come gli dei di Atene privino le donne dei loro diritti, poiché avevano usato il loro diritto di voto per chiamare la loro città "Athena", in onore della dea, anziché battezzarla del nome del dio Poseidone.

Le leggende germaniche che conosciamo, ad esempio Il canto dei Nibelunghi, descrivono con precisi dettagli, i combattimenti di prodi guerrieri contro belle donne non meno bellicose, prima che queste si sottomettano diventando loro mogli. La bella Brunilde fu conquistata dal suo pretendente con l'inganno. Tuttavia, durante la prima notte di nozze, non solo non si arrese, ma continuò a combattere e sconfisse il suo eroe che appese al tetto con una cintura, prima di andare a letto in pace. I canti popolari russi mostrano anche la libertà e l'uguaglianza di cui godevano le donne non soltanto nella vita economica, ma anche sul campo di battaglia. Citiamo, ad esempio, l'eroe Dobrynja Nikitic che scopre "un cavaliere errante, donna", rappresentante certamente di una tribù in cui dominava ancora il matriarcato. Dobrynja inizia a combattere con lei. Lei lo afferra per la sua capigliatura riccioluta, "lo mette in un sacco" e gli spiega che consentirà al matrimonio soltanto se lui "canta".

Questi canti e questi racconti sono una miniera d'oro e altrettanto lo sono le testimonianze della lotta secolare tra patriarcato e matriarcato, manifestandosi anche nelle trasformazioni delle concezioni religiose. L'uomo delle caverne venerava la Terra, madre originale molto potente e fonte di vita. Questa credenza si perpetuò fino al giorno in cui l'uomo, più esperto, capì che la fertilità della terra dipendeva anche dal cielo. La terra, da sola, non poteva produrre un buono raccolto, se il cielo non dispensava sole e pioggia in quantità sufficiente. Allo stesso modo la donna resta sterile senza il seme del maschio, la terra non può verdeggiare e portare frutti senza calore ed umidità. Così la venerazione della terra, come divinità unica, cedette il posto all'adorazione del Sole, di Osiride e Apollo e al dio russo Jarilo.

La supremazia della donna - il matriarcato - si perpetuò fino a quando la comunità restò legata da interessi comuni e la donna costituì il principale produttore dell'economia primitiva. Il patriarcato si impose con la comparsa della proprietà privata e con i conflitti di interessi che generò tra i membri della tribù. Occorreva impedire lo scoppio della tribù, non solo a causa di una solidarietà istintiva, sorta attorno al focolare domestico dove regnava la madre comune, ma in ragione dell'autorità del più forte.

Quali conseguenze comportarono la comparsa della proprietà privata per lo status sociale della donna? Molti credono che la schiavitù e la dipendenza della donna siano comparse contemporaneamente alla proprietà privata. È falso. È vero che la proprietà privata ha contribuito a far decadere la donna dai suoi diritti, ma soltanto là dove questa aveva già perso la sua importanza come elemento produttore, a causa della divisione del lavoro. La donna cessò di essere rispettata appena il sistema economico primitivo crollò alla pressione dell'accumulo dei beni e della crescente divisione del lavoro.

Accanto all'agricoltura, si svilupparono, in fasi precise dell'evoluzione, differenti mestieri, come il vasaio, il conciatore, il tessitore, il soldato, il sacerdote, ecc., cioè specializzazioni in vari campi. Con lo sviluppo e l'espansione dell'artigianato il lavoro del contadino perse poco a poco della sua funzione e non fu più il solo a garantire la sopravvivenza del clan. La comparsa dei mestieri comportò necessariamente con essa, quella del commercio di scambio, in altre parole la ricerca del profitto. Il vasaio che fabbricava in terra una brocca, non voleva rinunciare al prodotto del suo lavoro e rischiare così di perderci nello scambio. Il contadino da parte sua cercava di acquistare il prodotto del vasaio con una spesa inferiore. Non era più possibile, come all'epoca del comunismo primitivo, soddisfare soltanto le necessità e la sussistenza del clan. La caccia al profitto diventò veramente il motore dell'economia.

In questo periodo, il lavoro del vasaio, del conciatore o del tessitore acquisì più valore che quello del contadino. Il lavoro di quest'ultimo si deprezzò gradualmente. E ciò non perché l'agricoltura non occupasse più un posto essenziale nell'economia, ma perché esigeva un più grande investimento di manodopera. Appena l'artigianato raggiungeva un livello di sviluppo elevato nell'ambito di una tribù, il lavoro della terra veniva affidato agli schiavi catturati in guerra.
Quale era la situazione della donna in un simile sistema economico? Continuava a godere degli stessi onori precedenti mentre il lavoro agricolo aveva perso considerevolmente del suo valore ed era diventato appena buono per gli schiavi? Ecco un esempio tratto dalla storia: l'Egitto, paese assolutamente ricco e potente, conservò a lungo la situazione della sovranità delle donne, del matriarcato. Mentre ovunque, altrove alla stessa epoca, in paesi culturalmente molto evoluti come la Grecia e la Roma antica, le donne erano dipendenti e private dei diritti, in Egitto, esse vivevano relativamente libere e in modo uguale agli uomini.

Come si spiega? Sui bordi fertili del Nilo, l'agricoltura fioriva come da nessun altra parte. La tribù che si era stabilita in Egitto era un popolo di contadini. Sappiamo ora che in una fase arretrata dell'evoluzione storica, le donne delle tribù di agricoltori sono state i principali produttori. La donna egiziana conservò questo ruolo con gli attributi ed i privilegi che si formarono durante secoli, nonostante la comparsa della proprietà privata e del regime delle caste. Quando il commercio e l'artigianato conobbero uno sviluppo più importante, i commercianti e gli artigiani soppiantarono i contadini e crearono un nuovo stile di vita. Perché? I mestieri di commerciante e di artigiano erano più proficui, poiché riportavano un guadagno più importante che il lavoro del contadino. Appena la proprietà privata riesce ad imporsi, la caccia al profitto sostituisce il lavoro nell'interesse della comunità. Una conseguenza logica di questa nuova evoluzione fu che la donna, perdendo il suo posto come produttore principale del sistema economico, perse allo stesso tempo la sua posizione privilegiata. Le donne che appartenevano a tribù e a caste molto stimate, furono le sole a potere conservare i loro diritti. Ma le donne delle altre categorie sociali (ad esclusione certamente delle donne schiave) persero i loro diritti e furono oppresse come le donne degli altri paesi.

Ci siamo volontariamente attardate sull'Egitto e la sua cultura per illustrare quanto i diritti della donna dipendano dalla sua importanza economica. Possiamo concludere anche che la donna riesce a conservare i suoi diritti chiaramente più a lungo nei popoli dove aveva occupato precedentemente una posizione di produttore principale. Questo stato di fatto si perpetuò anche quando il comunismo primitivo fu sostituito da un sistema socioeconomico fondato sulla proprietà privata.
La proprietà privata non avrebbe condotto all'asservimento della donna se questa non avesse già perso la sua importanza come principale responsabile del mantenimento della tribù. Ma la proprietà privata e la divisione della società in classi, formarono e condussero l'evoluzione economica in modo che il ruolo della donna nella produzione fu praticamente ridotto a zero.

L'oppressione della donna si ricollega alla divisione del lavoro che si basa sulla differenza dei sessi e dove l'uomo si è accaparrato tutto il lavoro produttivo mentre la donna si incaricava dei compiti secondari.

Mentre questa divisione del lavoro si perfezionò, la dipendenza della donna si rafforzò fino a a gettarla definitivamente nella schiavitù.
Formalmente, l'introduzione della proprietà privata accelerò il processo durante il quale la donna fu tagliata fuori dal lavoro produttivo. Quest'evoluzione tuttavia era stata già iniziata all'epoca del comunismo primitivo (ad esempio dalle tribù di allevatori). Ma, anche se la proprietà privata non può essere ritenuta la sola responsabile di questa situazione di diseguaglianza tra i sessi, contribuì fortemente a consolidare questa con la dipendenza e l'oppressione della donna.

Una conseguenza importante dell'introduzione della proprietà privata fu che l'economia domestica si staccò presto dall'economia omogenea e comunitaria che era stata fino ad allora quella della tribù. L'esistenza di queste organizzazioni economiche autonome comportò un tipo di famiglia sempre più chiusa e ripiegata su sè stessa. All'interno di quest'economia familiare isolata ed individuale, si assistette inoltre al rafforzamento della divisione del lavoro. I lavori produttivi all'esterno furono riservati ai membri maschili della famiglia, mentre la donna fu relegata ai suoi fornelli.

La proprietà privata familiare dunque, che permise l'economia domestica, contribuì con il lavoro limitato e improduttivo a domicilio all'asservimento della donna. Da un punto di vista economico, il lavoro della donna perse della sua importanza ed ella non tardò a essere considerata come una creatura sprovvista di valore e completamente superflua rispetto al rappresentante dei valori nuovi, cioè l'uomo.

La pala e la macina, che erano stati precedentemente scoperte della donna, le furono sottratte a profitto dell'uomo. I campi stessi cessarono di essere dominio della donna. La sua esistenza libera e senza ostacoli ebbe fine. Fu confinata per secoli tra le quattro pareti della sua casa e fu esclusa da ogni lavoro produttivo. D'ora in poi, non avrebbe più vegliato il fuoco come figura materna collettiva e nell'interesse di tutto il clan, ma soltanto come sposa e serva di suo marito. Doveva filare e tessere, preparare abiti e preparare il cibo della famiglia. Benché la fabbricazione del lino e della canapa sia restata fino ai nostri giorni e nelle campagne, un'attività femminile, la donna non occupò nell'organizzazione economica contadina che una posizione secondaria.

Spero che ricordiate a grandi linee i contenuti dell'ultima conferenza. Passiamo ora all'analisi della situazione della donna nella fase seguente dello sviluppo economico e ci troviamo dunque a 2500 anni fa, cioè nell'antichità pre-cristiana. Non abbiamo più il problema dei clan selvaggi e poco civilizzati, ma Stati altamente evoluti che dispongono di eserciti potenti e dove esistevano la proprietà privata, grandi differenze di classi, un artigianato ed un commercio fiorenti. Il loro sistema economico era fondato sul lavoro servile, una forma transitoria dell'economia naturale ed un commercio di scambio più sviluppato. Vediamo apparire per la prima volta un accumulo del capitale sotto la sua forma più elementare.


Quale era il ruolo della donna in questa fase dell'evoluzione? Quali diritti aveva nelle repubbliche pagane della Grecia, di Roma e nella città libera di Cartagine?

E' quasi impossibile ora parlare del ruolo della donna nella produzione senza determinare prima la sua appartenenza di classe. Quando il sistema sociale di quest'epoca culminò sul piano economico, si suddivise in due classi chiaramente distinte: i cittadini liberi e gli schiavi. Solo il lavoro dei cittadini liberi era riconosciuto, anche se gli schiavi erano responsabili della fabbricazione del pane e di tutti gli altri prodotti di prima necessità. La stima di cui godeva un cittadino dipendeva dai servizi che rendeva allo Stato organizzato. Gli uomini di Stato, capaci di disciplinare la collettività e far rispettare l'ordine e la legge nella vita sociale, usufruivano del più alto prestigio. I guerrieri venivano immediatamente dopo. In compenso, i commercianti e gli artigiani avevano solo diritti limitati e gli schiavi, veri produttori della prosperità di tutti, non ne avevano assolutamente nessuno. Come era possibile? Perché i membri più utili alla comunità, che avrebbero occupato indubbiamente il primo posto nel periodo del comunismo primitivo, erano i più disprezzati?

Il principio fondamentale dell'inviolabilità della proprietà privata e del commercio fu responsabile principale di questo stato di cose. Quando un proprietario terriero poteva organizzare effettivamente i suoi schiavi, imporre loro una disciplina e costringerli a fabbricare i prodotti necessari alla popolazione, godeva della stima e della considerazione dei suoi contemporanei. Si riconosceva dunque soltanto il guadagno dello schiavista. Negli Stati molto sviluppati culturalmente, come lo stato greco e romano, la donna era completamente sprovvista di diritti, quasi schiava. Ma, anche in Grecia, la situazione della donna non era sempre stata così. Era differente quando la popolazione viveva ancora raccolta in piccole tribù e non conosceva né proprietà privata, né potere statale. All'origine, i greci erano un popolo di agricoltori e di pastori. Ma per ragioni allo stesso tempo climatiche e geografiche, furono obbligati molto presto ad evolvere verso una forma di economia più complessa. Le donne non lavoravano soltanto la terra, furono adoperate anche nella sorveglianza e cura delle immensi greggi, nella filatura e tessitura.

All'epoca di Omero - i suoi racconti poetici spiegano la vita dei greci antichi - le donne furono a fianco degli uomini, parte attiva nella produzione. Non erano completamente uguali nei diritti, ma tuttavia relativamente libere. Sembra difficile stabilire con certezza l'esistenza del matriarcato in Grecia. In ogni caso, poiché la popolazione greca conobbe precocemente una forma economica mitigata, possiamo supporre che il matriarcato non fosse così diffuso in Grecia tanto quanto in Egitto o in altri popoli più specificamente agricoli. Se si tengono conto delle loro religioni, la donna svolse tuttavia un ruolo importante presso gli antichi Greci.

Onoravano Demetra, dea della fecondità e non soltanto per la terra, come fu il caso in periodi più arretrati della storia dell'umanità. Attraverso la dea Atena, i greci veneravano la saggezza femminile. Gli uomini devono ad Atena - ma in realtà alle donne dei loro antenati - le arti della filatura e della tessitura, come l'invenzione dei pesi e delle misure e la coltura dell'ulivo. Altre religioni hanno riflesso la posizione della donna nei sistemi economici precedenti: gli antichi norvegesi, ad esempio, veneravano la dea Idun come protettrice e giardiniera del melo.

Dai greci, la giustizia non era rappresentata con la figura di un uomo, ma con quella di una donna, la dea Temis, che tiene i due piatti della bilancia. Ciò prova a sufficienza che, nel periodo pre-classico della Grecia, la donna aveva occupato una posizione dominante e che era essa stessa a regolare i conflitti interni alla famiglia.

La scoperta del fuoco è attribuita alla dea Estia (Vesta). Delle giovani vergini (le vestali) erano le custodi del fuoco sacro. La mitologia greca ci offre una grossa quantità di esempi che riferiscono della lotta tra il diritto materno e paterno. Questo tende a dimostrare che ci doveva essere stato un periodo durante il quale la donna come madre, dirigeva il sistema economico della tribù.

All'epoca di Omero, la donna presenziava ai banchetti ed era amata e rispettata come moglie. Gli uomini erano deferenti e attenti al suo riguardo. Ma non si trattava affatto di un sistema matriarcale. Omero ci racconta come Penelope, modello di sposa perfetta seppe attendere il ritorno del suo marito scomparso. Penelope, nel corso di una festa, ritenne che sua suocera non dovesse avere il suo posto fra gli invitati, che avrebbe fatto meglio a tornare nei suoi appartamenti e ad occuparsi dei lavori domestici.

Fu precisamente all'epoca di Omero che si imposero il matrimonio, la proprietà privata e l'economia familiare individuale. Non bisogna dunque stupirsi se in questo periodo economico, i greci iniziarono a predicare alle donne "le virtù familiari", incitandole a mostrarsi indulgenti verso le scappatelle extraconiugali dei mariti. Ciò permetteva non soltanto di ridurre il numero dei membri della famiglia, ma anche di evitare al padrone di casa di dovere nutrire bocche inutili. La moglie del re Priamo, Ecuba, si lagnava amaramente della sua sottomissione e diceva che si sentiva messa alla porta di suo marito come "un cane al suo posto nella cuccia".

Occorre ora esaminare la situazione della donna all'epoca in cui lo Stato greco si basava sulla proprietà ed il lavoro degli schiavi. Fu mentre sbocciava la cultura greca, costruita in tempi splendidi, che gli scultori crearono le immortali statue di Apollo e di Venere e che le città greche diventarono le metropoli del commercio internazionale, dove l'artigianato era fiorente e dove si aprirono scuole filosofiche rinomate, culle della scienza moderna, nello stesso periodo dunque in cui la donna dovette rinunciare alla totalità dei suoi vecchi diritti e privilegi e divenne la schiava domestica del suo signore e padrone, in breve, di suo marito.

L'uguaglianza dei sessi non esisteva all'epoca che tra gli schiavi. Ma di quale uguaglianza si trattava? Erano anche loro senza diritti, private di qualsiasi libertà ed oppresse, effettuavano gli stessi lavori spossanti e soffrivano al pari per la fame e di ogni specie di male. Le condizioni di vita degli schiavi sono spiegabili per la loro posizione senza diritti in stretto collegamento con il loro status sociale. Ma il fatto che le greche, libere cittadine di una repubblica culturale estremamente sviluppata, erano anche private dei loro diritti ed oppresse esige un'altra spiegazione.

Naturalmente, comparate agli schiavi, le donne di Atene e di Sparta erano cittadine aventi dirittoi e al tempo stesso anche privilegi. Ma questi li dovevano alla posizione del proprio marito e non ai loro meriti. Per loro stesse, non avevano alcun valore - come esseri umani e come cittadine - e non venivano considerate se non come complementi dei propri mariti. La loro vita intera era posta sotto tutela, inizialmente sotto quella del padre, poi sotto quella del marito. Non avevano il diritto di assistere alle feste che segnavano la vita pubblica in Grecia. Le cittadine della Grecia libera, di Cartagine e di Roma non conoscevano altro che l'universo stretto del focolare. Erano interamente occupate a filare, tessere, cucinare e sorvegliare i servi e gli schiavi della casa. Le donne più ricche erano anche dispensate da questi compiti. La loro esistenza si svolgeva negli appartamenti che erano riservati loro. Emarginate ed isolate da qualsiasi forma d'attività, conducevano in un'atmosfera soffocante una vita da eremita, molto poco distante da quella alla quale saranno condannate le donne e le ragazze dell'aristocrazia russa, di numerosi secoli più tardi. Il satirico autore Aristofane ha descritto con ironia la vita delle donne ricche:

"Porta abiti zafferano, si copre di trucchi, calza sandali alla moda, vive del lavoro del proprio marito e dei suoi schiavi e rimane di fatto un parassita". Non ci si deve stupire dunque se, dal punto di vista dell'uomo, il compito della donna finisce per ridursi al parto. Era innalzata in funzione "del focolare". Anelava ad essere "virtuosa", cioè disinteressata e stupida. Le donne più apprezzate erano quelle che non trovavano nulla da ridire né nel bene, né nel male. Da un lato, l'uomo poteva vendere la donna adultera come schiava; dall'altro, poteva procurarsi una prostituta quando la moglie virtuosa iniziava ad annoiarlo. Fuori dal matrimonio monogamico legale, la poligamia, illegale era però generalmente accettata e molto diffusa in Grecia: "Come procreatrice e casalinga, la sposa ufficiale, una schiava per l'asservimento delle necessità della carne e un'etera per la soddisfazione della vita intellettuale ed affettiva".

Nelle repubbliche greche e romane così fiere delle loro culture e delle loro ricchezze, la donna del cittadino libero era dipendente per tutto e priva di diritti, come i servi e gli schiavi che ella comandava a bacchetta in nome di suo marito. Le donne della tribù dei Balonda vivevano probabilmente in una capanna di bambù, ma erano nettamente più libere ed eguali all'uomo, che le loro compagne dell'epoca greca o romana che abitavano in abitazione di lusso.

Come era possibile? Come si può spiegare questa assenza di diritti per le donne, mentre le società di cui facevano parte beneficiavano parallelamente di una crescita economica e culturale prodigiosa? Non dovrebbe essere difficile indovinarlo, compagni. Vedo sui vostri visi che avete compreso. Le donne della tribù africana Balonda effettuavano un lavoro produttivo per la comunità, mentre le greche, sempre che facessero qualcosa, erano occupate soltanto da lavori domestici nel quadro limitato della famiglia. In una fase molto precoce dello sviluppo sociale, la donna greca era stata anche una forza produttrice importante per la collettività. Tuttavia, con l'arrivo della proprietà privata e da quando la produzione si è basata sul lavoro degli schiavi, si era trasformata poco a poco in strumento di procreazione. Ricordate dunque, compagne, che in una società tanto illuminata come la Grecia o anche Roma, con le loro innumerevoli colonie e nella città libera di Cartagine, anche le donne delle classi dominanti non godevano di alcun diritto, né di alcun privilegio. Tuttavia, dobbiamo tenere conto del fatto che in Grecia il matriarcato si era poco sviluppato, che il patriarcato ha potuto così imporsi molto presto e che la donna è caduta rapidamente in una grande dipendenza. In compenso, nella repubblica romana, permanevano vestigia del matriarcato mentre Roma era già il paese più potente del mondo. Anche quando la proprietà privata era protetta dalla legge e gli schiavi effettuavano il lavoro produttivo, la matrona romana godeva sempre della stima e del rispetto di tutti. Nelle vie, i cittadini liberi si scostavano al suo passaggio per cedergli il posto. A casa, la sua autorità restava incontestata ed era la madre che educava i bambini.

A che è dovuta questa differenza? Il regno romano fu fondato da una tribù di agricoltori. È per questo che il matriarcato era ancorato profondamente nel passato di questa società e continuò ad influenzare queste fasi di evoluzione ulteriore.

Accanto alle donne schiave, alle virtuose spose, esisteva anche in Grecia un gruppo autonomo di donne indipendenti, le etere. Erano le amanti dei grandi uomini della Grecia. Le etere erano sia delle cittadine libere, sia delle schiave affrancate, che trasgredivano coraggiosamente le leggi morali del matrimonio. Numerose etere sono entrate nella storia, come Aspasia, l'amica del famoso uomo di stato Pericle, come Lais, Frine o Lamia. Queste donne erano molto colte e si interessavano alla scienza e alla filosofia. Erano politicamente attive ed influenzavano gli affari di Stato. Le mogli rispettose e virtuose le fuggivano. Gli uomini, invece, apprezzavano la loro compagnia.

Succedeva così, che i filosofi ed i pensatori dell'epoca erano ispirati dalle idee e dai pensieri nuovi di queste etere colte. Contemporanei hanno testimoniato l'amicizia tra il celebre filosofo Socrate ed Aspasia, come pure i brillanti discorsi politici di quest'ultima. Frine (Mnesarete, ndt) ispirò il famoso scultore Prassitele e Lamia, che visse nel V secolo prima della nostra era, svolgendo un ruolo determinante in una cospirazione contro due tiranni che si erano accaparrati tutto il potere nella repubblica. Fu, così come i suoi compagni, che avevano lottato per la libertà, gettata in prigione e crudelmente torturata. Per non denunciare, si tagliò la lingua di colpo tra i denti e la sputò sul viso del giudice.

L'esistenza delle etere è la prova che la donna cercava al tempo di liberarsi della soffocante prigione che gli era stata attribuita e che rappresentava la sua dipendenza. Mancava tuttavia alle etere una condizione essenziale e capitale al successo: non effettuavano alcun lavoro produttivo. Per l'economia nazionale non avevano più valore delle mogli ignoranti e limitate degli uomini greci e romani. Le libertà ed i privilegi che avevano conquistato erano costruiti sulla sabbia; da un punto di vista materiale, dipendevano dagli uomini, ora come prima.

In Grecia, c'erano anche delle donne isolate che portarono un contributo importante alla scienza, all'arte ed alla filosofia. La poetessa greca Saffo, ad esempio, fondò una scuola per le sue amiche. Agnodice la prima dottoressa, si era travestita da uomo per poter seguire gli studi, dopo di che iniziò a curare i pazienti. Ad Alessandria viveva una donna professoressa e filosofa, donna estremamente colta e inoltre molto bella. Attorno ad essa si raccolse un cerchio di eruditi e di curiosi venuti dal mondo intero. Tuttavia, questa donna trovò una morte tragica. Fu letteralmente smembrata da una folla cieca e scatenata, aizzata da sacerdoti invidiosi. Ciò avveniva all'inizio del cristianesimo. Queste belle e potenti figure di donne dimostrano ciò di cui la donna fosse capace quando la sua ragione, il suo cuore e il suo spirito non erano distrutti da un'esistenza degradata tra le quattro pareti del suo focolare. Purtroppo, queste donne rare e coraggiose non avevano alcun potere reale sull'atmosfera generale dell'epoca, segnata dal parassitismo e dall'ozio delle donne. Erano eccezioni e per questa ragione incapaci di cambiare nulla nelle condizioni di vita femminile e che occupavano nell'economia un ruolo poco importante. Certamente, molte donne soffrivano per la loro situazione senza diritti ed alcune tentarono di seguire la loro via, ma la maggior parte perseverava nel proprio ruolo di schiava del focolare, dell'uomo e della famiglia.

Le donne sentivano istintivamente che l'economia domestica, la proprietà privata ed il matrimonio legale erano i principali ostacoli alla propria liberazione. Nella "Assemblea delle donne", commedia del celebre autore greco Aristofane, sono ridicolizzate perché vogliono introdurre un ordine nuovo e prendere esse stesse in mano il destino dello Stato. È soprattutto interessante notare che l'eroina di questa commedia, Prassagora, raccomanda la proprietà comune. "Chiedo, dice Prassagora, che tutto diventi comune, che tutto appartenga a tutti, che non ci siano più né ricchi, né poveri. Ciò non può durare più a lungo, che alcune persone regnino su campi immensi, mentre il piccolo lotto di terra che possiedono gli altri basta appena per collocare la propria tomba. La donna deve essere proprietà di tutti. Ciascuno deve avere diritto di fare bambini con chi vuole". Così le donne protestavano contro la proprietà privata, il matrimonio forzato e la dipendenza, nel 400 a.C., cioè circa duemilatrecento anni fa. Il sogno di un'organizzazione comunista, che avrebbe potuto restituire la donna alla sua tutela, doveva essere così generalmente diffuso che il celebre Aristofane poté trasporlo nelle sue commedie molto conosciute ed accessibili a tutti. Le donne vedevano in un sistema di organizzazione comunista, la possibilità di liberarsi dalla loro situazione, probabilmente anche perché la lingua popolare ricordava il loro passato felice all'epoca del comunismo primitivo. In ogni caso le greche avevano completamente ragione di pensare che fosse impossibile cambiare alcunché nel ruolo femminile, senza uno sconvolgimento radicale della società greca intera, che si basava sulla divisione delle classi e il lavoro degli schiavi. I tentativi di donne isolate per strappare la grande massa delle donne alla loro schiavitù fisica e mentale, dovevano fallire dunque interamente. Sono trascorsi più di venti secoli prima che il sogno di Prassagora diventasse realtà. La Russia attuale è tuttavia la prova vivente che Prassagora aveva ragione quando credeva che l'affrancamento della donna fosse possibile soltanto con il comunismo.


*) Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna - 12° Conferenza, Éditions "La Brèche", 1978

Note del traduttore:

1. Per nozione di schiavismo, vedi Dizionario enciclopedico marxista: https://www.resistenze.org/sito/ma/di/di/mddis0.htm#Schiavismo
2. attuale Benin

Altre conferenze tradotte in italiano su Resistenze.org

Conferenza 1
Conferenza 8 (prima parte – seconda parte)
Conferenza 12


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