www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 08-09-04

In merito al film “Il cuore nel pozzo” prodotto da Angelo Rizzoli per RAI Fiction


Claudia Cernigoi

I polemici sostengono che la televisione è l’arma finale del dottor Goebbels. Noi non ci sentiamo di essere così perentori, però è un dato di fatto che dire “l’hanno detto in tivù” dà una patente di veridicità alle fesserie più enormi. Ed è pure un dato di fatto che, quando si vuole influenzare in un determinato modo la coscienza collettiva argomenti specifici, il modo migliore per ottenere il risultato voluto è quello di far passare in televisione ciò che si vuole far entrare nella testa della gente. Ed a questo scopo, un “buon” sceneggiato (adesso lo chiamano “fiction”, che fa più “americano”) è il sistema perfetto per plagiare la testa della gente.
Così, quando in questi giorni leggiamo di quello che si sta preparando come sceneggiato sulle “foibe”, e come esso viene presentato, ci vengono i brividi per quanto danno provocherà questa operazione mediatica.

Dunque Rai Fiction ha commissionato al produttore Angelo Rizzoli (ve lo ricordate? Era stato travolto dallo scandalo della P2, tempo fa. E chi ancora aveva la tessera della P2, così, a primo colpo di memoria? Berlusconi, l’avvocato Augusto Sinagra…) uno sceneggiato sulle “foibe”. Regista Alberto Negrin; uno dei protagonisti è tale Leo Gullotta che ci dicono sia simpatizzante di Rifondazione Comunista… sarà vero?
Sul sito “Panorama.it” troviamo un articolo firmato da Laura Delli Colli che dice “Foibe. Un film per capire”. Cosa capiranno dunque i volonterosi spettatori di questo sceneggiato che andrà in onda a febbraio prossimo venturo?

“Il massacro di migliaia di civili inermi. La tragedia della pulizia etnica nelle terre slavizzate a forza. Gli spietati partigiani di Tito in azione…”, scrive la giornalista. Ed ancora: “una tragedia rimossa costata non meno di 20-30 mila vittime, uccise dalla feroce repressione del regime di Tito. Un massacro e una persecuzione di massa con un solo obiettivo, ancora attuale: la pulizia etnica (…) Mentre l’Italia viveva la fine della guerra, i partigiani iugoslavi con la stella rossa di Tito eliminarono con ferocia intere famiglie, uomini e donne e spesso con loro i bambini, solo perché oppositori, dichiarati o anche solo potenziali, della slavizzazione dei territori. Almeno diecimila i desaparecidos di un massacro…”.

Complimenti alla giornalista, che è riuscita in così poche righe ad accumulare una tale quantità di boiate storiografiche (oltre che falsità belle e buone) finalizzate alla diffusione di idee razziste da meritarsi il premio Minculpop alla memoria dei solerti redattori de “La difesa della razza”. Ma per capire se questo è il “messaggio” di verità storica che il regista Negrin intende diffondere alle masse teledipendenti italiane, leggiamo la trama del film.

“La storia è quella di don Bruno, in fuga nelle campagne istriane per mettere in salvo, tra i bambini, Carlo e Francesco. Carlo è figlio di un’italiana, violentata dal capo partigiano Novak. E Novak va a caccia di quel bambino per eliminarlo. Il prete lo difenderà fino al sacrificio (…) sotto la tonaca di un mite sacerdote di frontiera, ha il cuore di un leone mentre salva i bambini in fuga dalle fiamme che i titini hanno appiccato all’orfanotrofio”.

L’attore Dragan Bjelogrlic, che impersona il “crudele Novak”, afferma: “La crudeltà efferata del mio personaggio? Potrei dire che forse per un serbo che ha sofferto le guerre recenti non è poi tanto difficile immedesimarsi in uno sloveno così negativo… In questi luoghi nessuno è sopravvissuto indenne alla sofferenza delle violenze etniche”.

Quanto al “rifondarolo” Gullotta, ecco come risponde alla domanda della giornalista su cosa gli dica “la sua coscienza civile sulle foibe”.
“Ho cercato di capire, di saperne di più (…) dar voce a una tragedia dimenticata è la prima ragione che mi ha convinto ad accettare. Questo non è un film schierato, ma un atto di doverosa civiltà”.

Ha cercato di capire, Gullotta? Di saperne di più? In effetti, con questo film si arriva a sapere tanto di più rispetto a quello che è successo in realtà: perché, da quanto scritto in questo articolo, appare una sceneggiatura che si basa su presupposti storici falsi per raccontare una vicenda degna della fantasia di una Liala sadomaso, e che arriva a delle conclusioni che sembrano fatte apposta per rinfocolare quegli odi etnici che al nostro confine orientale non si sono mai sopiti.
Quali sono le falsità? La pulizia etnica, mai esistita da parte dei “partigiani di Tito” (ma è tanto difficile accettare il dato di fatto storico che si era trattato di un esercito, sia pure popolare, riconosciuto come cobelligerante dagli Alleati?); la “slavizzazione forzata”, dove nei territori di cui si parla (l’interno dell’Istria) gli italiani non sono mai stati la maggioranza; la quantità dei morti, che non sono stati né “venti-trentamila”, né migliaia, ma poche centinaia nell’autunno del ’43 e nessuno (sì, avete letto bene: nessuno) dopo la primavera del ’45, in Istria, perché mentre nella prima ventata di potere popolare, dopo l’8 settembre, una sorta di jacquerie comportò esecuzioni più o meno sommarie nei confronti di esponenti del regime fascista, alla fine del conflitto, quando le autorità statali jugoslave presero il controllo del territorio, non ci furono esecuzioni sommarie: e se qualcuno fu processato e condannato a morte da tribunali regolarmente insediatisi, questo è un fatto che non avvenne solo in Jugoslavia, ma in tutta Europa, Italia compresa.

Ma la falsità più grossa, e quella che fa particolarmente schifo, è l’uso strumentale che viene fatto dei bambini in questa operazione di bassa macelleria cinematografica. È del regista Negrin (che ci dicono sia ebreo) l’idea (che non appare neppure nei peggiori libelli prodotti dalla propaganda nazifascista dell’epoca) che i “partigiani di Tito” si dedicavano alla deportazione ed al massacro dei bambini, bruciando orfanotrofi ed “infoibandone” gli ospiti? Forse il regista è stato influenzato da tutte quelle sceneggiature uscite negli ultimi anni sulla Shoah, dove si vedevano i nazisti andare a caccia di bambini ebrei che poi venivano fortunosamente salvati, e dato che, essendo in epoca di par condicio, e banalizzazione storica allo scopo di dimostrare che nazisti e comunisti erano cattivi ugualmente, il soggetto che va bene per una fiction sui cattivi nazisti va bene anche per una sui cattivi comunisti?

La “consulenza storica”, leggiamo sempre nell’articolo, sarebbe di un certo Giuseppe Sabbatucci, ma in Internet non abbiamo trovato nessuno storico con questo nome: l’unico storico Sabbatucci fa di nome Giovanni, che, da quanto siamo riusciti a capire, dovrebbe essere un autore di testi scolastici. Ma se scrive i libri con la stessa serietà e veridicità storica con cui ha dato la propria consulenza per uno sceneggiato come questo, pensiamo che dovrebbe essergli impedito di proseguire con questo mestiere.

Ci chiediamo se sia possibile riuscire a fermare la messa in onda di questo film, che può produrre solo altre tensioni ed altri odi, e non farà sicuramente “luce” su alcunché.

Eppure non avrebbe dovuto essere tanto difficile riuscire a “saperne di più”, come dice Gullotta, senza incappare in certe falsità come quelle che abbiamo letto sopra. Basta cercare alcune pubblicazioni (neanche tutte di fonte “slavocomunisti”, come vedremo nelle note) e si riesce a saperne di più inquadrando correttamente il problema dell’Istria e delle foibe istriane.

Il primo periodo che va preso in considerazione è quello immediatamente successivo all’8 settembre 1943, quando le truppe partigiane dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo presero possesso di una parte del territorio istriano. Il potere popolare durò una ventina di giorni in alcune zone, un mese in altre: poi i nazifascisti ripresero il controllo su tutta l’Istria. Dai giornali dell’epoca [1] leggiamo che l’“ordine” riconquistato costò la vita di 13.000 istriani, nonché la distruzione di interi villaggi. Nel contempo i servizi segreti nazisti, in collaborazione con quelli della RSI, iniziarono a creare la mistificazione delle “foibe”: ossia i presunti massacri che sarebbero stati perpetrati dai partigiani.

In realtà dalle “foibe” istriane furono riesumati, stando al cosiddetto “rapporto” del maresciallo Harzarich, che guidò le esumazioni dalle foibe su incarico dei nazifascisti nell’inverno 1943/44 [2], poco più di 200 corpi di persone la cui morte potrebbe essere attribuita a giustizia sommaria fatta dai partigiani nei confronti di esponenti del regime fascista (ma per alcune cavità si sospetta che vi siano stati gettati dentro i corpi dei morti a causa dei bombardamenti nazisti). Però basta dare un’occhiata ai giornali dell’epoca ed agli opuscoli propagandisti nazifascisti per rendersi conto di come l’entità delle uccisioni sia stata artatamente esagerata per suscitare orrore e terrore nella popolazione in modo da renderla ostile al movimento partigiano. Esempio di questa manovra è la pubblicazione di un libello dal titolo “Ecco il conto!”, pubblicato sia in lingua italiana che in lingua croata, contenente alcune foto di esumazioni di salme e basato fondamentalmente su slogan anticomunisti.

I contenuti ed i toni di tale mistificazione sono gli stessi che per sessant’anni abbiamo visto propagandare dalla destra nazionalista: “migliaia di infoibati solo perché italiani, vecchi, donne e bambini e persino sacerdoti”; “infoibati ancora vivi” e “dopo atroci torture” (non di rado s’è poi visto che le sedicenti “vittime scampate alle sevizie titine” erano in realtà criminali di guerra che descrivevano le cose che essi stessi avevano fatto ad altri) e così via. Del resto dal racconto di Harzarich risulta chiaramente che i corpi, riesumati più di un mese dopo la morte furono trovati in stato di avanzata decomposizione, ed era quindi praticamente impossibile riscontrare su essi se le vittime fossero state soggette a torture o stupri mentre erano ancora in vita; così come certi particolari raccapriccianti che vengono riportati dalla “letteratura” delle foibe (ad esempio il sacerdote con il capo cinto da una corona di spine ed i genitali tagliati ed infilati in bocca) non hanno alcun riscontro nella relazione di Harzarich.

Tornando al numero degli “infoibati” in Istria nel ‘43, vediamo che da stessa fonte fascista (il federale dell’Istria Luigi Bilucaglia) risulta che nell’aprile del 1945 erano circa 500 i familiari di persone uccise dai partigiani in Istria tra l’8/9/43 e l’aprile 1945. Infatti Bilucaglia inviò a persona di propria fiducia, il capitano Ercole Miani, dirigente del CLN di Trieste < alcuni documenti che costituiscono una pagina di sanguinosa storia italiana in questa Provincia (…) trattasi di circa 500 pratiche per l’ottenimento della pensione alle famiglie dei Caduti delle foibe (…) corredate di tutti i documenti e contengono gli atti notori che illustrano lo svolgimento dei fatti > [3].

Anche un articolo del 1949 dà più o meno queste cifre:
< Se consideriamo che l’Istria era abitata da circa 500.000 persone, delle quali oltre la metà di lingua italiana, i circa 500 uccisi ed infoibati non possono costituire un atto antitaliano ma un atto prettamente antifascista. Se i partigiani rimasti padroni della situazione per oltre un mese avessero voluto uccidere chi era semplicemente “italiano”, in quel mese avrebbero potuto massacrare decine di migliaia di persone > [4].

Giacomo Scotti, nel suo studio “Foibe e fobie”, cita una < dichiarazione rilasciata alla fine di gennaio 1944 dal segretario del Partito fascista repubblicano e pubblicata dalla stampa della RSI dell’epoca >, senza però dare ulteriori indicazioni, nella quale < l’alto gerarca >, di cui non fa il nome, avrebbe affermato che < in Istria finirono infoibate dagli insorti 349 persone, in gran parte fascisti >.

Scotti cita poi una relazione del pubblicista croato professor Nikola Zic, datata 28/11/44 e redatta per conto dei < servizi d’informazione del Ministero degli Esteri dello stato croato > (cioè il governo fantoccio dell’ustascia Ante Pavelic, quindi sicuramente una fonte che non doveva avere simpatie nei confronti del movimento partigiano), resa nota dallo storico fiumano Antun Giron nel 1995. Vale la pena di riportarne alcuni passi.
< All’inizio a nessun Italiano è stato fatto nulla di male. I partigiani avevano diramato l’ordine che non doveva essere fatto del male a nessuno. Ma qualche giorno dopo la scoppio della rivolta popolare [5] alcuni corrieri a bordo di motociclette sidecar hanno portato la notizia che i fascisti di Albona avevano chiamato e fatto venire da Pola i tedeschi in loro aiuto e questi avevano aperto il fuoco contro i partigiani. Poco dopo si è saputo che i tedeschi erano stati chiamati in aiuto anche dai fascisti di Canfanaro, Sanvincenti e Parenzo, fornendogli informazioni sui partigiani. Rispondendo alla chiamata è subito arrivata a Sanvincenti una colonna tedesca (…) Pertanto partigiani e contadini hanno cominciato ad arrestare ed imprigionare i fascisti, ma senza alcuna intenzione di ucciderli. I partigiani decisero di fucilarne soltanto alcuni, i peggiori, ma anche molti fra questi sono stati salvati grazie all’intervento dei contadini croati e ancora più dei sacerdoti. (…) Purtroppo quando, alcuni giorni più tardi, cominciarono ad avanzare i reparti germanici, i partigiani vennero a trovarsi nell’impaccio, non sapendo dove trasferire i prigionieri fascisti per non farli cadere nelle mani dei tedeschi. In questo imbarazzo hanno deciso di ammazzarli. Ne hanno uccisi circa 200 gettandone i corpi nelle foibe > [6].

Va da sé poi che quando la propaganda di destra cita gli “orrori delle foibe”, si “dimentica” regolarmente di citare la quantità di morti che costò la “pacificazione” operata dai nazifascisti nei territori da loro “liberati” dai partigiani. Scrive ad esempio Galliano Fogar [7]:
< Il 7 ottobre (1943, n.d.a.) Berlino annuncia la conclusione dei rastrellamenti “nella regione di Trieste da parte delle truppe tedesche e di reparti fascisti: sono stati contati i corpi di 3.700 banditi uccisi. Altri 4.900 sono stati catturati fra cui gruppi di ufficiali e soldati badogliani”. Un comunicato del 13 afferma che la “pace” è stata raggiunta grazie a più di 13mila banditi uccisi o fatti prigionieri... A parte la gonfiatura propagandistica delle cifre, il numero delle vittime è stato altissimo e fra esse buona parte è di inermi civili (...) “L’impeto dei tedeschi è meraviglioso” commenta il quotidiano triestino “Il Piccolo”. Raccontando l’odissea di un gruppo di prigionieri liberati dall’intervento germanico, il cronista rileva che gli scampati, mentre si dirigono verso Trieste, possono constatare che “ogni casa ha uno straccetto bianco di resa e tutti i rimasti salutano romanamente chiedendo pietà” (questo si riferisce alla zona di Pinguente, in Istria, n.d.a.). Dopo il passaggio delle truppe tedesche, il giornale riferisce che è tornata la tranquillità e giustifica lo strazio della cittadina di Pisino, osservando che “dure misure sono state provocate” dalla resistenza dei partigiani. Infatti è stato ucciso anche il Podestà italiano e di sentimenti fascisti >.

Fogar fa anche riferimento ad una “relazione inedita” del dottor Cordovado, intitolata “La dura sorte di Pisino” [8], e scrive < Pisino, la capitale provvisoria del movimento insurrezionale croato, benché abitata da italiani, è bombardata senza pietà da “Stukas” e cannoni. Molti cittadini sono mitragliati dai rastrellatori, irritati per un debole tentativo di resistenza dei partigiani. Vi si insedia temporaneamente il capo della Polizia ed SS Globocnik che decide sulla vita dei prigionieri, quando ne venivano fatti, ordinando brutali esecuzioni >. Inoltre, prosegue Fogar, < Canfanaro è in parte incendiata ed il parroco è impiccato. A Gimino i tedeschi penetrano in molte case uccidendo vecchi, donne e bambini, incendiando fienili e cantine dove numerosi abitanti hanno cercato scampo e lanciano granate nei cespugli, nei fossi, nei campi, ovunque scorgano dei superstiti >.

Una conferma di questo ci viene ancora una volta da Giacomo Scotti, che, citando nuovamente la relazione del professor Zic, afferma che nelle < voragini, vecchie cave ed altre fosse comuni accomunate col nome di foibe (…) furono gettati anche cadaveri di soldati tedeschi rimasti uccisi negli sconti del 13 settembre e, alcune settimane dopo, numerosi cadaveri di partigiani e civili uccisi dai tedeschi e da essi abbandonati per le campagne >. Scrive Zic:
< Nell’intero comune di Gimino che contava 4.580 anime, hanno ucciso 15 bambini al di sotto dei sette anni, 197 adulti e 29 sono morti sotto i bombardamenti, in totale 241 persone. (…) Alcuni uomini al di sopra dei 50 anni, che sono stati costretti a trasportare le munizioni dei tedeschi, hanno raccontato che nell’Istria settentrionale i soldati hanno violentato ragazze e donne. A Pisino (…) hanno ucciso anche alcuni italiani, fra questi il podestà e il direttore del Convitto del Ginnasio locale [9] >. Scotti prosegue citando una serie di massacri operati dai nazisti e riferiti da Zic ed elenca alcuni nomi < indicati nella relazione Zic nella grafia croata (…) quasi tutti questi nomi, nella loro variante italianizzata, li ritroviamo in vari elenchi di persone che sarebbero state massacrate e infoibate dai partigiani >. Ed ancora: < Il fatto che i tedeschi procedettero a fucilazioni di “ribelli” nelle cave di bauxite, come fecero nei medesimi giorni i partigiani per eliminare i loro prigionieri, è stato “provvidenziale” per la storiografia fascista. Successivamente (…) furono attribuite ai partigiani pure una parte delle vittime della repressione tedesca > [10]. Scotti prosegue citando vari episodi specifici di feroci rappresaglie nazifasciste, descritti nella relazione Zic, e conclude:
< All’epoca alcuni degli “studiosi” fascisti che oggi blaterano di “italiani trucidati dagli slavi”, collaboravano con i tedeschi nel massacro di loro conterranei, italiani e slavi >.



[1] “Il Piccolo” di Trieste ed “Il Corriere Istriano”, numeri da ottobre a dicembre 1943.

[2] Dati della “Relazione tratta dall’interrogatorio di un sottufficiale dei VV.FF. del 41° Corpo di stanza a Pola”, (Archivio IRSMLT n. 346). Questo testo, che viene comunemente definito “rapporto Harzarich” non è stato redatto all’epoca delle riesumazioni ma due anni dopo in base a quanto detto dallo stesso Harzarich agli Alleati.

[3] Documento datato 24/4/45 pubblicato nel testo di Luigi Papo, “L’Istria e le sue foibe”, ed. Italo Svevo 1998.

[4] “Trieste Sera”, 8/1/49.

[5] Il 13 settembre 1943.

[6] G. Scotti, “Foibe e fobie”, supplemento al numero 2/1997 del mensile “Il ponte della Lombardia”. Queste risultanze storiche sono state esposte dallo studioso anche nel corso del convegno sul tema “La guerra è orrore. Le foibe tra fascismo, guerra e Resistenza” organizzato da Rifondazione Comunista a Venezia (13/12/03).

[7] G. Fogar, “Sotto l’occupazione nazista nelle province orientali”, Del Bianco 1968, che fa riferimento ad articoli del “Piccolo del 4, 6 e 8/10/43.

[8] In Archivio IRSMLT VIII/366.

[9] Il podestà e preside era il dottor Vitale Berardinelli. Troviamo qui la conferma di quanto riportato precedentemente da Fogar nella citazione della “relazione Cordovado”.

[10] G. Scotti, “Foibe e fobie”, cit..