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L'attacco della criminalità legalizzata ai lavoratori italiani

Enzo Pellegrin

06/10/2014

Il Governo Renzi sta portando avanti in modo pedissequo il suo ruolo di rappresentante dei comitati di affari dei Monopoli internazionali vicini alle Organizzazioni sovranazionali UE e NATO.

Uno degli ultimi accessori di scena messi in campo, l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, mostra senza dubbio il percorso che simili interessi hanno previsto e disegnato per il nostro Paese e per le masse popolari.

Come ben nota l'articolo apparso il 26 dello scorso mese sul periodico italiano "senzatregua" (0) la proposta di modifica legislativa finisce per regalare ai padroni di ogni qualità (soprattutto alle imprese di media e grande dimensione, quelle realmente ed effettivamente interessati dalla tutela peraltro già spuntata dell'articolo 18) la libertà di imporre una schiavitù con pochi limiti per ogni lavoratore neoassunto nei suoi primi dieci anni di percorso aziendale.

La recente riforma Fornero (e poi la successiva riforma Giovannini) aveva sostanzialmente introdotto una relativa libertà di licenziare: sottoponendo alla discrezionalità giudiziale la facoltà di reintegro un tempo sancita come obbligo dalla legge, si finiva per riservare il reintegro a pochissimi casi. La prassi dei Tribunali, sempre più spesso proni a considerare prevalente il diritto d'impresa del padrone quando intervengono motivazioni economiche, ne ha già fornito esempi. Al di là di alcune prime sentenze in cui il diritto al reintegro è stato riconosciuto, annullando un mascherato licenziamento disciplinare motivato da un puerile scambio di vivaci mail tra padrone e operaio (1), altre pronunce hanno motivato il mancato reintegro - pur richiesto dal lavoratore - facendo perno sulle motivazioni economiche che non potevano imporre tale scelta all'imprenditore e contemporaneamente sancendo che il reintegro del lavoratore non è per la legge più un diritto azionabile, anche a fronte della illegittimità del licenziamento(2).
 
Persino i commentatori nel mainstream si sono spinti a notare che "il panorama sviluppatosi con la legge Fornero è molto, forse troppo, variegato e scivoloso: saranno le situazioni contingenti a determinare il diritto al reintegro o meno del lavoratore ingiustamente licenziato che ha sporto ricorso. Questo è uno scenario che porta sempre più incertezza sulla posizione occupazionale di moltissimi dipendenti, anche nel caso si rivolgano al giudice essendo certi di spuntarla contro il datore di lavoro."(3)
 
La composizione della magistratura in Italia non si connota certamente per l'appartenenza alle classi popolari, nè per la condivisione dei suoi obiettivi. La repressione dei valsusini lo ricorda sempre. Per quanto "illuminati" possano essere suoi singoli componenti, essa finisce per applicare quella legge che è strumento di oppressione delle classi dominanti. Considerare la magistratura "arbitro dei diritti" è quindi posizione altrettanto ingenua di quella di chi crede che le diseguaglianze sociali siano frutto della degenerazione etica della società e non dei rapporti di produzione ed oppressione sanciti dalla legge.

Purtuttavia, la proposta del governo reazionario guidato dal Partito Democratico finisce per levar di mezzo ai padroni anche quest'ultima relativa incertezza, prevedendo la sola possibilità del risarcimento per tutti i tipi di licenziamento. Se poi è vero che il governo si mostra da ultimo disponibile a lasciare il reintegro per le ipotesi di licenziamento discriminatorio (quale bontà….), è pur vero che per il padrone non è manovra difficile nascondere un licenziamento discriminatorio dietro ad un giustificato motivo oggettivo connesso a ragioni economiche. Anteriormente poteva esservi però il rischio di incappare in un giudice reintegrante, ed allora si era ancora costretti a mascherarlo da finto provvedimento disciplinare con un pizzico di preventivo mobbing provocatore, oggi non più! 

La possibilità per il padrone di agitare lo spettro dell'espulsione dal luogo di lavoro con più facili corridoi, consentirà al capitalista di avere una grossa arma di inibizione dei conflitti, dal momento che i lavoratori esclusi dalla tutela, pur nel contesto di grandi realtà produttive suscettibili di lotta sindacale potenzialmente proficua, saranno fortemente disincentivati ad abbracciare prospettive di rivendicazione.

Se è vero che l'applicazione della vecchia tutela non riguardava le sempre più massicce fasce di precariato ed i pur numerosi lavoratori delle imprese più piccole (con meno di quindici dipendenti od escluse dagli altri criteri di cui al medesimo art. 18 S.L.), è anche vero che tale modifica avrà comunque un impatto sulle residue più importanti realtà produttive, introducendo anche all'interno di esse una sorta di precarizzazione nascosta del lavoro, per giunta ricadente sulle fasce di più giovane età e tentando ancora una volta di accentuare la solita tattica del "dividi et impera", contrapponendo ancora una volta un sempre più sparuto contingente di vecchi lavoratori più tutelati ai giovani a maggior grado di ricattabilità e precarizzazione.

E' bene ricordare che più del 65,5% dei lavoratori dipendenti possono godere degli effetti di questo deterrente preventivo: 7,8 milioni di operai ed impiegati su un totale di 12 milioni. Se è vero che sono molti quelli al di fuori di questa tutela, (i lavoratori delle piccole imprese e delle piccole unità produttive, la giungla dei contratti precari, i dipendenti mascherati da partite iva imposte dai padroni o costrette dalla necessità) non per questo occorre ridurre tutti al medesimo standard di sfruttamento e schiavitù. Il cosiddetto "diritto di impresa" non ha nulla a che vedere con la necessità di produrre ciò di cui abbiamo bisogno. Il capitalismo è un'anarchia produttiva basata sulla massimizzazione del profitto di singoli operatori che spesso combattono tra loro per quote di mercato, a spese della vita dei lavoratori sfruttati, delle risorse naturali, dell'ambiente, del pianeta e della pubblica ricchezza; in seguito finiscono per ridursi in pochi potenti monopoli che sempre più spesso si accordano per imporre regole di sfruttamento agli sfruttati ed alla Terra. 

Ciò è tanto più vero allorchè - da marxisti - riflettiamo sull'attuale stadio della crisi economica e del declino della zona europea nella dimensione globale del capitalismo. L'attuale fase economica spinge le imprese ed il capitale impegnato nella produzione da un lato a privilegiare il massimo sfuttamento del lavoro (attraverso il perseguimento della precarizzazione, la costituzione di un esercito industriale di riserva e il ridimensionamento dei salari di una forza lavoro sempre più esigua), dall,altro ed in seguito a trovare la diversa casa della finanza al fine di impiegare i profitti ottenuti con lo sfruttamento. Come è noto, l'ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro non ha l'effetto (sbandierato dal governo reazionario) di creare nuove opportunità di lavoro, ma semplicemente di massimizzare i profitti con la riduzione dei salari al fine di contrastare il cronico calo di rendimento. Siffatti profitti difficilmente saranno reinvestiti in una produzione ormai in cronico calo di rendita, quanto piuttosto nella diversa casa delle avventure finanziarie: il capitale va dove lo porta il suo cuore, vale a dire dove trova il suo massimo profitto. 

L'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ha il fine di esaltare il ruolo di un attore sempre più presente nei rapporti di produzione: la disoccupazione come strumento di controllo sociale e blindatura dei rapporti di sfruttamento imposti dalle classi dominanti. Come ben nota la Federazione Sindacale Mondiale, "La disoccupazione è una caratteristica intrinseca del modo di produzione capitalistico. L'esclusivo obiettivo della produzione capitalistica è il profitto, non il soddisfacimento dei bisogni popolari. La disoccupazione è utile al capitale. E' utilizzata per preservare il timore del licenziamento e come arma di ricatto per contenere il tenore di vita e le sue rivendicazioni economiche nelle trattative per il prezzo della sua forza lavoro. In nome della disoccupazione, vengono violati e aboliti i diritti lavorativi e sindacali, cancellata la giornata lavorativa di 8 ore, sono promosse condizioni di lavoro flessibili, il lavoro precarizzato a mesi, settimane, giorni, viene legalizzato subappalto di manodopera: un sistema di schiavitù moderno, in cui alle imprese vengono offerti finanziamenti statali per assumere forza lavoro accanto a enormi esenzioni fiscali. Inoltre, la disoccupazione è necessaria al capitalismo consentendo che la riserva dei disoccupati siano una fonte inesauribile di forza lavoro disponibile per tutte le possibili scelte di investimento capitalista." (3)

In questa prospettiva sta anche l'ultimo coniglio estratto dal cappello di Renzi: erogare il trattamento di fine rapporto dei lavoratori nella busta paga, camuffandolo da pompa di innesco di liquidità per rilanciare i consumi. In realtà, Renzi mette così direttamente le mani in tasca ai lavoratori. Attualmente, il TFR, è soggetto a tassazione separata, indipendente dalle aliquote fiscali progressive. Con l'erogazione in busta, esso diverrebbe oggetto immediato di prelievo fiscale secondo le aliquote ordinarie. C'è chi ha calcolato che da questa operazione il fisco potrebbe prelevare dalle tasche dei lavoratori più di 1,5 miliardi di Euro l'anno. (4).
 
Al di là dell'ormai dimostrata irrilevanza di queste misure, le maggiori entrate fiscali saranno destinate ai profitti ed alle rendite di quei monopoli internazionali finanziari e produttivi che saccheggiano la nostra spesa pubblica ed incassano l'usura del nostro debito pubblico. Renzi realizza le aspirazioni del comitato d'affari al quale il suo regime è utile.

Di fronte però a questi ultimi strappi - sempre più evidenti - a favore della dittatura del capitale, persino gli assuefatti alla concertazione legalistica dovrebbero aver compreso che l'asticella può salire ormai senza grandi remore. Gli interessi dei grandi capitali, a mezzo del blocco governativo e della collusa azione del Quirinale, sono in grado di dettare l'agenda a tutela dei loro interessi, indipendentemente dai richiami alla cartacea costituzionalità, alle "responsabilità parlamentari" ed ai vuoti riti delle istituzioni borghesi.

Notti bianche, richiami alle sacre tavole, scioperi generali figurativi, tatticismo istituzionale, gesti di disperazione a beneficio dei media, inoffensive piazze, piene ma addormentate ai discorsi dei dirigenti sindacali, possono non essere più sufficienti se la precarizzazione viene introdotta e garantita con la legge e le pronunce dei giudici conformi ad essa. 

Comprendere quanto il disarmo e la rinuncia alla lotta da parte delle centrali sindacali sia parte di questo processo, ormai ha scarsa importanza. E' piuttosto a questo punto non solo necessario ma vitale porre in essere l'organizzazione di un esercizio duro, coordinato e senza quartiere della lotta sindacale e dello sciopero tale da immobilizzare seriamente le attività produttive, i mezzi di produzione, le attività logistiche. Le pratiche concertative, legaliste ed elemosinare che contraddistinguono i tre grandi sindacati concertativi ed altre piccole corporazioni con indole simile sono e saranno ormai evidentemente senza peso. Il capitalismo del 2014 non vuole più intermediazioni, neppure quelle serventi, allorchè ha la forza di farne a meno. Il governo reazionario di Renzi incarna questa tendenza alla perfezione. 

Non i sindacati, ma i Lavoratori un tempo od ancora sindacalizzati, abituati alla lotta, insieme ai lavoratori che nessuno tutela, hanno però la chance unica di non farsi più tradire da nessuno e di trovare una inusitata forza. 
Un Fronte Unito dei Lavoratori può prevedere ed applicare un'unità di lotta ed una piattaforma comune che vada al di là delle titubanze sinora dimostrate, degli orticelli sempre più sterili e che faccia agire sul conflitto sociale una forza di impatto tale da contrastare il disegno dittatoriale della classe dominante.

Come costruire questa forza, se attraverso la convocazione di stati generali delle classi popolari in lotta, delle forze politiche, di movimento e sindacali che vogliano comprendere la necessità dell'urgente prospettiva di lotta, deve essere il vero punto di riflessione ed azione: non facciamoci schiacciare dalla legalità, ma troviamo un modo di combattere e scalzare tutti assieme la criminalità legalizzata.

Ancora una volta, il colpo sferrato dalla classe dominante e dal suo governo servente alle classi popolari è profondamente e sostanzialmente criminale quanto straordinariamente legale; ora più che mai è evidente che solo lo "spettro" del socialismo e della lotta sia l'unico mezzo in grado di offrire una risposta a quella che Zoltan Zigedy correttamente definisce come crisi cronica, con all'orizzonte la miseria o la guerra (5).

Ora più che mai è necessario portare l'attacco al cuore di questa orribile criminalità legalizzata.

Note

(0) Renzi, L'articolo 18 e le prospettive politiche di lotta. - http://www.senzatregua.it/?p=1391
(1) http://www.diritto24.ilsole24ore.com/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2012/10/il-primo-caso-di-reintegrazione-del-dipendente-licenziato-per-giusta-causa-dopo-la-riforma-fornero.php
(2) http://www.leggioggi.it/2013/01/09/riforma-del-lavoro-licenziamento-illegittimo-nuova-sentenza-al-reintegro/
http://manualedilavoro.blogspot.it/2013/03/licenziamento-sentenze-della-cassazione.html
(3) 3 ottobre 2014: Lotta di classe internazionale contro la disoccupazione, Federazione Sindacale Mondiale FSM - WFTU | wftucentral.org, Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare, in http://www.resistenze.org/sito/te/pr/mo/prmoei29-015078.htm.
(4) http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/10/05/AR7MjGAC-busta_miliardi_tasse.shtml,
(5) Zoltan Zigedy, The Chronic Crisis: and Worse to Come?, La crisi perpetua: il peggio deve ancora venire? su www.resistenze.org


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