www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 18-02-15 - n. 531

Dalla torre dei mangioni alle "arance della legalità", passando per la forca ai Notav

Storie di ordinario capitalismo piemontese e delle sue braccia di sfruttamento e repressione.

Enzo Pellegrin

18/02/2015

Il mio compagno di banco aveva provocato l'inquietudine di un'insegnante di religione. Sentendo raccontare l'aneddoto dei mercanti nel tempio, aveva domandato: "Ma perché Gesù non vuole bene ai commercianti?" La piccola riflessione non è stupida: i bambini sono incapaci della doppia morale adulta. Noi viviamo in un mondo dominato dallo scambio, dalla concorrenza e dalla massimizzazione del profitto. Il denaro plasma ogni giorno le nostre vite. La pubblicità che spinge ad acquistare i prodotti commerciali decide e influenza ogni giorno il nostro agire. La competizione venduta come motore di progresso stila crudeli classifiche di efficienza e furberia con i suoi bravi morti collaterali. Perché dovremmo adirarci e chiamare cattivo il mercante solo quando entriamo una volta alla settimana in un tempio?

Senonché, liquidare la riflessione infantile come incapace di cogliere differenze, mostra più che altro la nostra incapacità a scorgere il reale, dietro i condizionamenti culturali del potere. Non sfugge a tale processo l'ovunque sbandierato concetto di "legalità" che il potere dominante suole spesso appiccicare ad ogni contraddizione o peggio sopruso che vuol far digerire. La "legalità" ammanta ogni cosa di un magico vestito venerativo, davanti al quale si perdono spesso i freni critici e razionali, proprio come davanti al prete in chiesa. Ma una pianeta dorata può ben nascondere a volte ingiustizia, privilegio, sopruso e menzogna.

Torino, ex capitale industriale dell'auto, ex sede olimpica, vede oggi nel suo orizzonte cittadino il profilo di due grattacieli. Ancora in fase di costruzione, almeno uno dei due, quello del quartiere Lingotto, costruito e profumatamente pagato coi soldi pubblici della regione Piemonte, è già balzato agli onori delle cronache giudiziarie. L'inchiesta della procura torinese sembra far trapelare che vi sia stato un accordo tra funzionari regionali e l'onnipresente cooperativa emiliana appaltatrice di cemento per concordare una variante migliorativa non necessaria. Un esborso di soldi pubblici aggiuntivi per lavori che non servono sarebbe stato concordato in cambio dell'affidamento di subappalti ad una ditta riconducibile ad un ex carneade politico, Ezio Enrietti, che ha ricoperto la poltrona di governatore regionale in un passato già sepolto dall'opinione pubblica. Ezio Enrietti è anche il marito di Maria Grazia Ferreri, alto funzionario regionale, direttore generale del settore patrimonio, che nell'ipotesi della procura avrebbe mediato lo scambio di favori tra la Cooperativa appaltatrice e la ditta del marito.

Illegalità chiama gli sprechi, verrebbe da dire. Ma se ben riflettiamo, dietro al capro espiatorio del delitto di turno, si nasconde l'ingiustizia originaria. Torino e il Piemonte non rimpiangono oggi solamente la Fiat e le olimpiadi che non ci sono più. La città è oggi un deserto industriale dove la disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni si attesta nel 2014 al 44,2 per cento, 3,6% in più dell'anno prima. Quasi la metà dei giovani non studia e non lavora: dato record del nord Italia e simile a quello riscontrabile nelle aree etichettate come zone depresse del paese. Secondo il rapporto Rota del 2014, nella città subalpina l'inquinamento atmosferico è tra i più alti in Europa, vi è un altissimo numero di centri commerciali con consumo di suolo e disgregazione del tessuto urbano, 2000 di sfratti esecutivi per l'impossibilità di pagare i canoni 3.436 espropriazioni immobiliari a fronte di 50.000 alloggi sfitti. Storie di galoppante povertà.

Sommersa di grandi e costose opere inutili o di dubbia utilità, gravata per esse da un debito "monstre" su cui lucrano i monopoli finanziari, Torino ed il suo Piemonte hanno voluto ergere sulla landa depressa una costosissima ed altrettanto inutile torre, il cui solo progetto, affidato all'archistar "politically correct" Fuksas, è costato la bellezza di 22 milioni di Euro. Nel cantiere, i soli termosifoni "griffati", opera di "supervisione artistica" costano 127mila Euro come affermava Torino Today già nel novembre 2013.

Il palazzo della Regione, più che ambire ai fasti senesi della "Torre del Mangia" rischia il soprannome di torre dei mangioni: nient'altro che l'ennesimo imbuto in cui sprofondano risorse e ricchezza popolare drenate successivamente nelle tasche dei più ricchi.

E' vero: la variante inutile nel mirino della Procura attirerà su di sé l'ira per l'illegalità, ma nessuno si sognerà mai di censurare il sistema della concorrenza tra imprese private, che ancora una volta ne uscirà benedetto da un crisma di legalità:

Eppure, le imprese che competono utilizzano nella gara ogni sistema per il ribasso dei prezzi: primo fra tutti lo sfruttamento del lavoro, sempre più insicuro e precario. A tutto c'è però un limite fisico, e per questo le proposte al ribasso vanno ben oltre il limite della sostenibilità. Fisiologico dunque che, vinta la gara, si esplorino i vari sistemi legali ed illegali per rientrare adeguatamente nella massimizzazione del profitto. Quasi nessuna impresa vincitrice porta a termine i lavori senza le costose varianti in corso d'opera.

Le imprese che perdono l'appalto generano a loro volta disoccupazione per mancati introiti.

Eppur si deve competere.

Così come ci si deve affidare a migliaia di operatori privati, ognuno dei quali alla ricerca del suo margine di profitto, il tutto poggiato sulla schiena delle classi popolari.

Se l'aggiudicazione dell'appalto, il suo sviluppo, fossero stati assolutamente corretti, solo per questo l'opera non sarebbe stata inutile o dannosa?

Un sistema economico che affida i propri destini sociali e produttivi alla competizione tra imprese che intendono massimizzare il profitto si adira solo se gli operatori non rispettano le regole del gioco, ma non si interroga mai sull'assurdità di disputare la partita. Il sistema della concorrenza è il sistema della "legalità", poco importa se il suo ciclo genera fisiologicamente sfruttamento e comportamenti illegali: per i primi varrà l'oblio mediatico mentre i secondi funzioneranno da comodi capri espiatori per la distrazione di massa.

Allo stesso modo, alle porte di Torino, si è trovato il modo di verniciare con la lacca dell'illegalità lo spreco ludico del cibo. Il carnevale di Ivrea, con il suo "getto delle arance", è stato sempre al centro di eterne polemiche per lo spreco alimentare: divertirsi gettando per le strade cittadine tonnellate di agrumi (in qualche edizione si è superato il limite di sessanta). Niente paura: da oggi, sotto il controllo della Prefettura di Torino, ad Ivrea saranno gettate solo le "arance della legalità". Scrive il Quotidiano Piemontese (online 18/2/2015) "ogni agrume che arriverà ad Ivrea per la battaglia delle arance potrà essere utilizzato solo dietro certificazione che ne garantisca l'estraneità da pratiche di sfruttamento e neo-schiavismo grazie a un protocollo stilato dalla fondazione Benvenuti in Italia, con la partecipazione di Libera Piemonte, della fondazione Storico Carnevale di Ivrea, del comune di Ivrea e delle associazioni di arancieri." Potrà fornire le arance solo chi presenterà certificato antimafia, bilancio certificato degli ultimi tre anni. Lo spreco alimentare è così servito in un rassicurante legale piatto d'argento. In secondo piano il piccolo particolare che nel mondo 805 milioni di persone affamate (secondo i dati del Programma Alimentare Mondiale) non solo non riescono a gettarle - le arance - ma nemmeno a metterle nello stomaco.

La "legalità" trova dei limiti solamente di fronte alla sua vera base: il denaro della classe dominante. Invocano la "legalità" anche i tassisti riuniti in manifestazione nazionale a Torino. Purtroppo dimentichi che è stata proprio la "legalità" a ridurre la loro importanza economica. Con legge dello Stato italiano si sono rese quasi inutili le loro licenze, in nome della legalità concorrenziale e del dio mercato codificato dalle normative europee. Quando il denaro chiama, la legalità risponde e si fa anche da parte, se serve: sebbene la sua presenza non sia ancora stata legittimata in una bella cornice di legalità, l'Autorità Garante per i Trasporti si è sentita in dovere di avere la multinazionale Uber al tavolo delle consultazioni. Il messaggio è chiaro: la legalità, questa legalità, un domani potrà essere diversa e magari vedrà la legittimazione di Uber dipinta da norma a protezione di quell'orrido atomo sociale rappresentato dal "consumatore" che ragiona in termini di costi/benefici individuali o tutt'al più familiari. Diventa allora pericoloso per i lavoratori dei taxi sperare di essere protetti da un sistema che non obbedisce ai loro interessi, ma a quelli di assicurare profitto e concorrenza agli operatori economici che lo sostengono e sono i più potenti. Di fronte alla "legalità del mercato" la giusta rivolta delle auto bianche rischia di diventare quella di Ludd contro le macchine, inevitabilmente travolta dalle trasformazioni sociali che il capitalismo e le classi dominanti sono in grado di imporre velocemente sulla società, a meno di non trovare la capacità di allearsi e la forza di lottare contro il capitalismo stesso.

La "legalità" è rappresentata anche dalla controriforma del lavoro: Il jobs act rappresenta il più grosso e pesante paio di schiavettoni che i palazzi del potere abbiano mai messo ai polsi delle classi popolari italiane.

Eppure il più grande sindacato confederale, anziché programmare una dura e continua stagione di scioperi, non trova di meglio che far girare nelle piazze il "camper della legalità". Dice la Rassegna della CGIL: "Un'iniziativa per dire basta alla corruzione, all'evasione fiscale, al caporalato, alle infiltrazioni mafiose negli appalti e nell'economia." Dopodiché torniamo tranquilli tutti a casa e l'indomani timbreremo il cartellino nella fabbrica del padrone che gestirà col ricatto e la precarietà il nostro contratto "a tutele crescenti", sentendosi libero di licenziarci ogni giorno perché al massimo gli costerà una piccola somma di denaro. Oppure, col crisma della legalità, sarà felice di "demansionarci" e ridurci lo stipendio unilateralmente, adducendo ragioni economiche.

Dovrebbe allora essere ormai certo come le rocce che le fanfaluche vergate e gridate sull'importanza della "legalità" ad ogni piè sospinto dalle inveterate facce toste del potere, dall'inutile opposizione del re, da trafficoni sindacali amanti di camper pubblicitari e dalle corti pagnottone non sono altro che canea che rintrona teste deboli.

La legalità è anche capace di uccidere silenziosamente e reprimere ogni giorno. La giustizia sociale non è di questo mondo capitalistico, irriformabile ed inaccettabile.

La giustizia sociale è di quel mondo che il capitalismo in qualche modo l'ha abbattuto.

Del resto, per chi ha vista e memoria corta, il territorio Piemontese è solcato interamente dalla madre di tutte le grandi opere inutili: il TAV. Benedetto, rassicurato e difeso dalla "legalità", resta un macroscopico museo vivente di ingiustizie sociali e degrado ambientale. Le classi popolari che hanno tentato di opporvisi sono state duramente bastonate dalla "legalità". L'ultimo maxi processo nei confronti di militanti del movimento per gli eventi accaduti il 27 giugno ed il 3 luglio 2011 ha visto affibbiare pene che - pur con le parole della costituzione yanqui - potremmo definire "inusitate". Per chi si intende di tribunali criminali, i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, valgono, nella "routine giudiziaria", mesi di galera, raramente l'anno, anche nelle ipotesi messe in atto da delinquenti rapinatori, spacciatori o persone che a vario titolo resistono ad un fermo od arresto per motivi non del tutto commendevoli. Le pene irrogate ai manifestanti sono state di gran lunga peggiori. Vi sono condanne per gli stessi reati a 4 anni e sei mesi: molto di più di quanto viene affibbiato per una rapina in banca o in negozio ad un rapinatore anche recidivo. L'enorme cumulo complessivo di anni (centocinquanta) può impressionare per un verso, ma non rende l'idea della assurdità delle sanzioni individualmente inflitte rispetto alla caratura dei reati.

Per giunta, nel corso del processo, video e documenti alla mano, le difese dei manifestanti hanno portato alla valutazione della corte prove di comportamenti delle forze dell'ordine inaccettabili: dai numerosi lacrimogeni ad altezza d'uomo, al violento pestaggio con bastoni di un manifestante dopo l'arresto, alla carica delle forze dell'ordine al grido "Ammazzateli!"

Perché dunque irrogare una pena di gran lunga superiore a quella che di solito si infligge a quella routinerie criminale presente ogni giorno nelle aule?

Sabato 21 febbraio 2015, in una grande manifestazione popolare nazionale a Torino, il movimento NOTAV proverà ad offrire al mondo l'ennesima critica di questa "legalità", contemporaneamente offrendo anche l'occasione di lottare per il vero valore in gioco: la giustizia sociale.

Il mercante è oggi ormai troppo furbo: vende fuori dal tempio e nel tempio prega. A noi la scelta se autogovernare i nostri bisogni, le nostre necessità e le nostre aspirazioni, o farle  ancora portare a spasso nelle bancarelle altrui.


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