www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 28-09-15 - n. 558

In occasione della scomparsa di Pietro Ingrao (27/09/2015) riproponiamo questo articolo dell'indimenticato quadro comunista Sergio Ricaldone, scritto quasi 10 anni fa, che ci aiuta a ricostruire il percorso politico di questa figura "mitica"  della sinistra italiana.

"Volevo la luna" : ultima, discutibile fatica editoriale di P. Ingrao

Sergio Ricaldone

19/09/2006

Ho il vago sospetto che tra l'uscita del libro di Pietro Ingrao "Volevo la luna" e l'imminente assemblea costitutiva del partito della Sinistra europea, sezione italiana, ci sia un linkage molto ben calcolato.

Nel cuore dell'autunno dovrebbe nascere il futuro partito del quale si percepisce il sapore e la volontà  di un radicale cambio di regime interno a Rifondazione, già in atto da tempo ed ora in fase galoppante, ma ancora senza una direzione ben definita né identikit.  Insomma, un appuntamento con molte incognite.  Nessuno sa quale sarà la bussola del nuovo partito.   La sola cosa assodata è il taglio netto con il comunismo finora conosciuto in tutte le sue varianti planetarie.   Non sarà un passaggio facile.   Soprattutto ora che il trono lasciato vacante da Fausto Bertinotti è stato occupato da un modesto re travicello, Franco Giordano, incapace di superare lo schema antiunitario della "maggioranza pigliatutto" e incline ad usare la clava delle misure disciplinari contro le minoranze interne, quale soluzione ad una congiuntura politicamente difficile da gestire.

La presenza di Ingrao come sponsor e testimonial di questo nuovo soggetto politico europeo postcomunista diventa perciò un fattore di sostegno importante per la sua riuscita, soprattutto perché con questo suo ultimo libro l'autore porta un personalissimo contributo ad una definitiva rottura dei ponti tra Rifondazione e il comunismo storicamente conosciuto.

Mi è bastato leggere, prima ancora del libro, l'ampia intervista rilasciata da Pietro Ingrao a Repubblica, l'8 settembre scorso, per domandarmi per quale ragione una rispettabile figura della sinistra decida di spendere gli ultimi spiccioli della sua esistenza biologica per scrivere un libro così apertamente distruttivo della storia del comunismo italiano.  Forse per un eccesso di vanità senile e perché – come lui stesso dice – "ho amato troppo l'applauso" .

Questo tentativo ingraiano di raccontare la storia della propria vita passando e ripassando in lavatrice le proprie scelte di milizia politica e inzuppando il pane in un banalissimo gossip che riduce Togliatti ad un sottomesso "compagno di merende" di Stalin, riceverà senza dubbio tantissimi applausi dalla platea che sanzionerà la nascita della "Sinistra europea".    Questo suo libro sembra infatti scritto apposta per concludere il ciclo di autoseparazione da tutta l'esperienza storica del comunismo novecentesco portando in discarica anche i personaggi che hanno animato e guidato le grandi battaglia politiche e sociali e resistenziali del movimento operaio italiano.

Un ciclo di rimozione che, all'interno di Rifondazione, era stato iniziato da Bertinotti a Livorno, nel 2001, quando l'egocentrico segretario del partito, per regolare i conti una volta per tutte con i suoi oppositori interni (Ernesto in primis) cominciò a sparare a zero contro lo spettro di Giuseppe Stalin che sembrava aggirarsi ancora minaccioso dentro Rifondazione.  Dopo di che, attingendo in preordinata sequenza nella abbondante letteratura "pre", "post" e "anti" prodotta dal revisionismo storico di destra e di sinistra, Bertinotti ha ridotto il secolo delle grandi rivoluzioni e del comunismo ad un cumulo di macerie fumanti.

Pietro Ingrao che, fino a poco tempo fa, sembrava considerare, diversamente da Bertinotti, il comunismo italiano di Gramsci e Togliatti una incolpevole ed apprezzabile eccezione rispetto allo stalinismo ha ora cambiato opinione e ci racconta invece di un Togliatti allievo mediocre e subalterno del feroce georgiano emulo di Gengis Kan.

Mi rendo conto del rischio che corro toccando la "mitica" figura di Pietro Ingrao, ovvero l'oppositore sempre e dovunque di Sua Maestà.  E chi meglio di lui può raccontarci i fasti e i nefasti del vecchio PCI ?    Nel popolo di sinistra abbondano ancora oggi gli ingraiani che pendono dalle sue labbra e lo applaudono ogni volta che apre bocca anche se le frasi di sinistra che pronuncia con forbito eloquio sono sempre innocue  e sempre più distanti dal "gorgo" dello scontro politico e sociale spesso evocato.

Ci sono, ovviamente, anche gli antingraiani convinti che i suoi comportamenti politici siano stati spesso segnati dall'egocentrismo, dall'opportunismo e da una scarsa coerenza con gli impegni presi con i suoi compagni di avventura, spesso galvanizzati da un suo "armiamoci e partite" e poi piantati in asso nei momenti cruciali, come capitò al gruppo del Manifesto al momento della sua radiazione dal PCI.

Quando 15 anni fa, dopo la Bolognina, costituimmo Rifondazione comunista eravamo convinti che Pietro Ingrao, superando le tante indecisioni, ci aiutasse a ricomporre una leadership in grado di salvare e ricostruire una presenza organizzata dei comunisti in questo paese, capace di ridare una prospettiva di trasformazione nel solco di una continuità, doverosamente critica e senza sconti, con la storia che, dall'Ottobre sovietico in poi, ha, comunque, sorretto ed animato le grandi battaglie politiche ed ideali del movimento operaio, dei movimenti di liberazione antimperialisti e le grandi rivoluzioni che hanno radicalmente cambiato la geopolitica del pianeta.   Ne eravamo convinti perché ci sentivamo figli di quella storia e di quel movimento che, malgrado errori ed orrori e le inevitabili dinamiche di "un passo avanti e due indietro" insite in ogni rivoluzione, aveva saputo comunque spostare in avanti, e di molto, le frontiere del progresso economico e sociale dopo avere inflitto colpi severi al nazifascismo, al colonialismo e all'imperialismo.

Pietro Ingrao, pur non avendo mai smesso di parlarci di masse, di operai, di lavoro liberato, di democrazia e di non violenza, preferì, ancora una volta, recitare la parte del libero pensatore offrendosi unicamente – come fanno i grandi predicatori domenicali – alle riflessioni collettive di quanti (dubbiosi e non) hanno continuato ad interrogarsi sul significato da attribuire alla parola "comunismo".  Salvo poi lasciare ad altri il compito di costruire il soggetto politico in grado di organizzare nei faticosi giorni feriali la grande massa dei salariati, dei precari, dei cassaintegrati, dei licenziati, dei pensionati al minimo.

Ti siamo comunque grati, carissimo Ingrao, per le tante parole gratificanti che ci hai trasmesso da tanti pulpiti in più di mezzo secolo.   Ma continuiamo ad essere convinti che dalle prestigiose poltrone politiche  ed istituzionali che hai occupato avresti potuto fare molto,  molto di più.  



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