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Nella società capitalista nessun diritto è gratis

Enzo Pellegrin

25/01/2016

Le colorate manifestazioni a sostegno delle "unioni civili" hanno posto in secondo piano la furia di una tempesta abbattutasi per pochi giorni sulla società italiana. Nulla a che vedere con le tormente di neve americane. Si parla di elementi ben più violenti e non naturali: una tempesta finanziaria. Il crollo dei titoli bancari degli scorsi giorni ha rivelato importanti dettagli sulla direzione presa dalle società capitaliste nei deboli paesi del sud europa, tutti quanti interessati - guarda caso - da un insolito attivismo riformatore in materia di cosiddetti "diritti civili". E' come se si fosse aperto per un attimo il cofano motore di un veicolo complesso e straordinario consentendo ai più curiosi ed attenti di carpire importanti informazioni. Come spesso succede, molti avevano la testa girata da un'altra parte.

Cominciamo dal titolo bancario che ha subito la perdita più consistente: il Monte dei Paschi di Siena. Sulla chiacchierata banca, persino i fogli di regime come La Stampa (1) riportano come il consistente ribasso sarebbe stato dovuto ad un'abile manovra da parte di alcuni fondi speculativi (hedge funds) americani. La chiacchierata banca sotto la Torre del Mangia presenta una "fedina bancaria" di 24 miliardi di sofferenze passive. Il patrimonio netto ammonterebbe a soli 10 miliardi. La garanzia pubblica della Cassa Depositi e Prestiti coprirebbe fino a 5 miliardi: 10 miliardi mancherebbero all'appello. I fondi speculativi hanno calcolato che la diffusione di una tale notizia avrebbe spinto verso il basso la quotazione di Mps e contemporaneamente avrebbe fatto salire lo spread italiano. Sulla base di quest'ammanco di solidità pari a dieci miliardi parte una scommessa al ribasso sul titolo bancario e contemporaneamente una scommessa al rialzo sullo spread italiano. Se le due condizioni si verificano il fondo speculativo consegue il suo obiettivo d'impresa: il profitto finanziario, sulle spalle di migliaia di correntisti ed azionisti che intravedono nel loro futuro il famigerato bail-in, vale a dire la prospettiva di perdere nel fallimento della banca imposto dalle norme europee interamente i crediti obbligazionari ed anche i crediti da semplice deposito per la parte eccedente 100.000 Euro.

Il crac è stato scongiurato da un intervento pubblico in extremis con il quale si è fatto sapere alla mano del mercato che la garanzia pubblica sulle sofferenze di Montepaschi sarebbe stata posta direttamente dal Tesoro, non solo per i 5 miliardi della Cassa Depositi e Prestiti ma per 40 miliardi. Questo ha consentito la risalita del titolo che lunedì 18 gennaio era sceso del 22% portando il valore del Monte Paschi alla ridicola cifra di 1,5 miliardi di Euro! Acquistabile in svendita al mercato delle pulci.
Simili attacchi hanno anche ricevuto gli altri principali titoli bancari, da Unicredit a Intesa, sulla scorta di analoghe operazioni.

Dal "cofano del motore" si sono allora intravisti tre o quattro importanti importanti meccanismi:

La perturbazione finanziaria dovuta alla grande crisi finanziaria ha generato nelle pance delle deboli banche italiane una consistente quota di crediti in sofferenza, spesso il doppio - come nel caso Montepaschi - del loro stesso patrimonio.

In questi casi il loro fallimento (default) è una misura esigibile dal sistema finanziario europeo e non può essere amministrato utilizzando direttamente patrimonio pubblico (bail-out) ma deve essere "pagato" dagli azionisti e dai correntisti, ovvero reperendo risorse sul mercato (bail-in).

La crisi può anche qui essere scongiurata da un intervento preventivo del Tesoro statale, il quale però può concedere garanzie in modo limitato e solo preventivamente (dopo sarebbe vietato dalle norme europee), perché limitata la sua liquidità ed agibilità e perché anch'esso deve rispondere al mercato del suo debito.

La sovranità di un paese sulla propria economia è dunque nell'attuale sistema europeo e globale fortemente ingessata e limitata, in grado pertanto di fornire uno scarso scudo alle più normali manovre speculative.

La sofferenza e l'eventuale rovina economica di un intero paese costituiscono un' ingorda occasione di profitto per gli hedge funds. Le scommesse andate a buon fine negli uffici della city londinese o sui computers newyorkesi mai bloccati dalla tormenta significano l'ingresso di un intero paese in una recessione economica senza via di uscita, come dimostra il precipizio di povertà in cui è irrimediabilmente caduta la Grecia, nonostante le nuove riforme "progressiste" di Tsipras ed associati.

In una tale situazione, ben si comprende come ogni diritto sociale sia ormai subordinato all'enorme potere economico detenuto da questi attori finanziari globali, potere mantenuto dalle strutture burocratiche regionali quali l'UE, le quali veicolano il Bill of Rights dei capitali in modo completamente sovraordinato ad ogni diritto umano.

Nonostante l'estrema ed astratta liberalità di una norma, io posso concretamente goderne solo se possiedo le basi materiali. Per procedere alla stepchild adoption dovrò essere in grado di garantire all'adottato una casa, due genitori che lavorano a stipendi sufficienti a garantire la crescita e l'istruzione dell'adottando. In una situazione di crisi stagnante, disoccupazione e precarizzazione crescente, sempre meno nuclei familiari progettano la nascita di un figlio, perché non se lo possono permettere. La stessa valutazione incombe sull'unione civile che sogni l'adozione. Il risultato è che l'iniezione di progressismo sarà un lusso godibile ed edibile da sempre più pochi agiati: i diritti sociali sono cioè vincolati alla ricchezza di chi li esercita ed in ultima analisi sono subordinati agli interessi economici dei monopoli finanziari. L'inverso di quello che prevede l'art. 3 della nostra Costituzione.

Prevedeva.

Perché questa subordinazione, nell'attuale sistema europeo, così come cristallizzato, non è solo frutto di una situazione di fatto consentita dall'inazione politica.

E' una condizione garantita di diritto.

Nel 2012, con la legge costituzionale 20 aprile n. 1 il Parlamento Italiano (a larga maggioranza in seconda lettura col voto unanime di PD PDL e Terzo Polo) approvava l'attuale versione dell'art. 81 Cost: "Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali".

La direzione sociale del Paese, l'esigibilità di tutti gli altri diritti garantiti sulla Carta, è così subordinate all'equilibrio tra le entrate e le spese, senza possibilità di ricorrere all'indebitamento se non per circostanze eccezionali.

Di questa dinamica chi scrive ne aveva parlato diffusamente all'alba dell'approvazione di un simile complesso di norme (2). Ulteriori vincoli alla politica di stabilità derivano dalle complesse norme del Fiscal Compact. In virtù di tale trattato (ma anche in forza del precedente six pack) il limite di deficit pubblico consentito in condizioni normali passava dal 3 per cento allo zero, mentre per il debito veniva fissata una soglia obbligatoria di riduzione annua pari al 5% della parte eccedente il 60%. Limiti definiti "folli" persino da Wolfgang Munchau del Financial Times (3).

Del resto, che i diritti fondamentali dell'uomo ed in particolare modo i diritti sociali siano da sempre subordinati alla politica economica è lettera della legge persino nei Trattati Europei. La Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea del 7.12.2000 (molto meno avanzata della Carta Fondamentale italica) è riconosciuta dall'art. 6 del Trattato UE, il quale le attribuisce uguale valore e gerarchia giuridica a quella dei Trattati Fondamentali. Tuttavia, nello stesso articolo è altrettanto sancito che "le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le disposizioni dei Trattati". Come a dire: riconosciamo tutti i diritti che volete, ma l'Unione non è tenuta ad adottare alcuna politica positiva per la realizzazione degli stessi. Se poi confrontiamo tale limitazione con le successive norme del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) troviamo scritto nero su bianco che ogni politica sociale è subordinata al primario obiettivo di mantenere la "stabilità dei prezzi", vale a dire una politica liberista ancorata al laissez faire, che non preveda interventi dell'attore pubblico volti all'indebitamento (e quindi forieri di inflazione) per raggiungere obiettivi sociali quali la crescita, la piena occupazione ovvero l'attuazione dei diritti sociali come casa, lavoro, sanità, istruzione e ricerca.

Si dice infatti all'art. 119, Politica Economica e Monetaria: "1. Ai fini enunciati all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea, l'azione degli Stati membri e dell'Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. 2. Parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste dai trattati, questa azione comprende una moneta unica, l'euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell'Unione conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza." (4)

L'espressione "fatto salvo questo obiettivo"  chiarisce che l'area di intervento dell'Unione Europea nell'ambito della realizzazione delle politiche sociali si muove negli stretti confini di una politica antinflazionistica, la quale comporta le misure di stabilità ed austerità imposte dal pareggio di bilancio, dalla riduzione del debito, ma che soprattutto ingabbiano ogni sforzo di realizzazione dei diritti sociali.

Questa è la vera legalità europea: concetto che nelle colorate manifestazioni a sostegno dei diritti civili non viene colpevolmente e superficialmente mai affrontato; i diritti hanno un limite nell'austerità economica imposta dal potere dominante, il che finisce per degradarli non solo alla categoria dei cosiddetti diritti formali o liberali (garanzie formali non accompagnate dall'intervento positivo per abbattere gli ostacoli per la concreta realizzazione sostanziale, come previsto dall'art. 3 della Cost. Italiana) ma addirittura finisce per configurarli come "diritti di censo": in tanto hai diritto in quanto il tuo censo economico ti consente di sopravvivere in un sistema a forte economia competitiva dove i grandi vantaggi vengono assorbiti dalla minoranza degli economicamente forti, lasciando ai più deboli sovente la sola alternativa tra il morire di lavoro ed il morire di fame.

Gli stessi pensieri vengono in mente quando si sentono le levate di scudi dei costituzionalisti contro l'ultima delle riforme costituzionali sfacciatamente antidemocratiche (in un sistema però a democrazia decotta da anni): la riforma del Senato che prevede non tanto la sua abolizione, quanto l'abolizione della possibilità di eleggerlo.

Dov'erano tutti i grandi Soloni che oggi scendono in piazza con piglio rivoluzionario quando fu modificato l'art. 81 della Costituzione? Dov'erano quando in gran massa si approvò il fiscal compact? Non senza ragione si fanno spesso scappare i buoi per poi gridare alla stalla aperta…

Note:

1) http://www.lastampa.it/2016/01/22/economia/il-crollo-di-mps-deciso-a-tavolino-da-tre-fondi-speculativi-americani-mkdKbWlJN2d3NY0qFGVWNP/pagina.html

2) http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osipda15-012175.htm

3) W, Munchau, The Eurosceptics have the best lines again, Financial Times, 16 luglio 2012, cit. in V. Giacchè, Costituzione Italiana contro Trattati Europei, il conflitto inevitabile, Imprimatur. 2015, p. 44.

4) V. Giacchè, Op. cit., p. 31.


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