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Il conflitto virtuale dell'immigrazione

Enzo Pellegrin

30/06/2019

Orson Welles disse che "L'Italia conta oltre cinquanta milioni di attori. I peggiori stanno sul palcoscenico". Ma la trasformazione della vita civile in spettacolo non è solo un'aforisma del sabato sera.

Il linguaggio del giornalismo televisivo e la comunicazione politica da tempo si sono avvicinati alla cifra linguistica dell'intrattenimento. Lo schema del reality-show ispira la scelta dei temi, la loro trattazione, la costruzione dei personaggi. Si fabbricano duellanti su fronti opposti, nei quali il pubblico è invitato a schierarsi.

La tv-reality non è comunicazione, nè educazione: manda in onda il ventaglio di reazioni quasi istintive che prevede accadano nella gente comune. Polarizza i fruitori attorno a personaggi emblematici e semplificati. Si è sperimentato che in tal modo vengono fidelizzati spettatori di opinioni opposte, quindi un maggior numero di spettatori. Si è sperimentato che le complesse relazioni sociali possono essere semplificate in un gioco di opposti, banale, comprensibile quasi per istinto. L'effetto è quello di catturare lo sguardo e l'attenzione, ma soprattutto allontanare la riflessione. La volgare mise en scène delle vicende di una famiglia o di un gruppo di amici catturano lo sguardo sulle reazioni che avranno i personaggi: il tradimento, l'insulto, la ritorsione, la vendetta. Allontanano o rinviano la riflessione dai problemi veri di una famiglia: il lavoro, l'istruzione dei figli, la salute, la sussistenza economica e soprattutto le vere cause che li creano.

Il guadagno di un pubblico maggiore, e soprattutto meno attento, è serbatoio di profitti per i media e la pubblicità. Tuttavia, il processo è utile altresì alle forze egemoniche del sistema sociale. La riflessione viene allontanata soprattutto dalle vere contraddizioni sociali ed economiche alla radice del disagio o delle domande insoddisfatte di un popolo.

A questo canone efficace si è conformata la comunicazione politica.

Siamo in un epoca in cui gli attori politici sembrano avere a disposizione sempre meno autonomia e sempre meno soluzioni. Ci troviamo in una fase in cui lo strapotere economico è in grado di dettare, senza troppo sforzo, l'intero cammino della società. Tuttavia, ogni egemonia genera contraddizioni, ogni contraddizione basata sulla supremazia economica genera uno sviluppo diseguale, ed anche domande insoddisfatte nelle classi che subiscono la diseguaglianza.

In un mondo così apparentemente immodificabile, non sembra vero agli attori politici poter deviare l'attenzione su dispute virtuali, comodi nemici esterni, feuilletton che tengono l'attenzione del pubblico incentrata su questioni in cui è facile schierarsi emotivamente, a seconda del proprio terreno culturale, e delle contraddizioni vissute nella propria condizione.

Il teatro dell'immigrazione, nella politica italiana, risponde esattamente a questo schema.

Da un lato, il governo alimenta la paura di un pericolo esterno: l'immigrazione incontrollata. In tempi di relativo benessere la paura giocava sui pretesi valori culturali messi in pericolo dall'immigrato, specie se islamico, sulla minaccia del terrorismo, sulla pretesa iniezione di criminalità.

Oggi, in tempi di attacco al benessere per la classe media e di attacco alla sussistenza per la classe proletaria, la paura gioca sull'immigrato che costringe lo stato a spendere, o sulla concorrenza nel lavoro e nei diritti sociali.

E' un meccanismo efficiente, perchè semplifica le contraddizioni sulla carne viva: economia e lavoro.

Il primo personaggio costruito è quello che alza i muri contro il nemico esterno: ferma i barconi dei rifugiati in mezzo al mare, emana editti severissimi contro la permanenza sul territorio degli immigrati, e contro chi li aiuta. I motti sono: prima gli italiani, non ce n'è per noi, quindi loro a casa propria, non è più ora delle buone azioni, chi si sente buono è solo perchè è ricco o guadagna sulle disgrazie dei poveri, chiunque li aiuti, aiuta a ridurli in schiavitù.

Questo è il quadro della semplificazione. Un quadro efficace che impedisce di chiedersi - tanto per fare un esempio - per quale vera ragione non ce n'è più per noi.

Ci vuole però un altro personaggio opposto, altrettanto semplificato: prendersela cogli immigrati è barbarie, mancanza di cristianità, rifiuto della solidarietà umana, gli immigrati sono gli ultimi del mondo e bisogna accoglierli nel mondo opulento, la migrazione è un diritto individuale di libertà, l'accoglienza è il miglior modo per tutelare questo diritto fondamentale dell'uomo, espiando le colpe dell'occidentale sprecone.

Anche qui il disegno di semplificazione è efficace. Lega il problema dello sviluppo diseguale del mondo alla pretesa mancanza di buoni comportamenti caritatevoli e  volontaristici: lo spezzare il pane della narrazione cristiana.

Tutto ciò impedisce di chiedersi quali siano le vere ragioni dello sviluppo diseguale del nostro mondo. Impedisce di chiedersi perchè alcuni siano costretti a spezzare il pane e i soliti non dividano nemmeno un pezzo di aragosta. Impedisce di chiedersi se l'occidentale sprecone è quello che fatica a pagare affitto e pensione oppure quello che guadagna dal suo affitto, dalla riduzione della sua pensione o dall'immigrazione di nuova forza lavoro ricattabile, per tenere i salari più bassi possibile.

Il linguaggio dei personaggi, il filo logico dei loro discorsi, è indubbiamente diverso, addirittura opposto.

Il fine è però lo stesso: tenere distante l'attenzione dalla realtà dei fenomeni.

Prendiamo ad esempio l'operazione di depistaggio che vede l'immigrato come nemico esterno e causa di povertà e disagio sociale.

L'immigrazione è in gran parte frutto della predazione da parte del capitalismo nazionale e multinazionale, delle risorse del Sud del Mondo. E' conseguenza delle guerre finanziate e combattute dal blocco capitalista occidentale nei teatri in cui si contendono risorse fondamentali come il petrolio, l'uranio, il silice ed altre materie preziose.

Lo scorso 25 giugno, nell'ottica NATO, il Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, Gen. di Squadra Aerea Alberto Rosso, funzionario agli ordini del Ministero della Difesa e del Governo che alza muri all'immigrato, ha ricevuto a Roma con tutti gli onori il Gen. Turki bin Bandar bin Abdul Aziz Al Saud, Capo delle Forze Aeree dell'Arabia Saudita, per rafforzare la cooperazione tra l'esercito italiano e quello saudita.  L'Italia fornisce all'Arabia Saudita addestramento e sistemi d'arma che servono ai sauditi per condurre una guerra orribile contro  il popolo yemenita (e non solo). (Courtesy Salvatore Vicario)

L'Arabia Saudita, insieme ad Israele ed altri paesi occidentali, supporta l'aggressione USA all'Iran. Contro l'Iran si è fattivamente schierato anche il Ministro Salvini nel viaggio a Washington della scorsa settimana, come avevamo documentato qui (http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osipjf18-021685.htm) oppure qui (https://www.globalresearch.ca/salvini-sells-italy-us-war-agenda/5681169).

Sul fronte del contrasto all'immigrazione, il governo del Ministro dell'Interno è stato sinora meno attivo del suo predecessore Minniti. Statistiche Eurostat dimostrano che nella "fortezza Europa" e nel "fortino Italia" il numero di chi viene riaccompagnato nel proprio Paese — indipendentemente dal governo in carica — è infinitamente più basso rispetto alla platea di chi potenzialmente dovrebbe essere espulso. Tra il 2015 e il 2017,  su 530 mila irregolari presenti in Italia, sono stati emessi 95.910 fogli di via, mentre i rimpatri effettivi sono stati 16.899 (meno del 18%). (https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/migranti-irregolari-quando-ne-ha-rimpatriati-salvini-8-mesi-governo/accb467e-3c37-11e9-8da9-1361971309b1-va.shtml?fbclid=IwAR2uyX7FT2W75-OM8b0A1s44JmJVeiuZKEddEzC1Qlvl50pAR-fzNsx9_zM ). L'Italia espelle meno immigrati di Francia e Germania, mentre molti dei rimpatri non possibili sono relativi a paesi - come il Sudan - dove l'occidente ha condotto o sobillato guerre o destabilizzazioni. Vi sono poi i casi nei quali proprio le guerre occidentali impediscono il rimpatrio, perchè causano direttamente l'instabilità della Regione (Siria, Libia).

In alcuni Stati, come la Nigeria, esistono zone dove le multinazionali occidentali, Eni compresa, sono ritenute responsabili della situazione di instabilità politica e sociale e soprattutto della predazione delle risorse. Il contratto stipulato da Shell ed Eni per il megagiacimento OPL 245 prevede condizioni estremamente svantaggiose per lo Stato Nigeriano. Secondo una ricerca indipendente, le entrate del governo nigeriano, previste per il blocco OPL 245, sarebbero addirittura decurtate di 5,86 miliardi di dollari per la durata del progetto. L'attuale accordo OPL 245 prevede che la Nigeria abbia garantito solo il 41 per cento dei proventi petroliferi. Persino il Fondo Monetario Internazionale suggerisce che la percentuale non sia inferiore al 65%. «Queste compagnie e i funzionari nigeriani hanno siglato un accordo che priva la Nigeria dei soldi di cui ha un disperato bisogno per costruire scuole e pagare i medici» ha dichiarato Olanrewaju Suraju dell'organizzazione nigeriana HEDA. «Il presidente Buhari dovrebbe rigettare qualsiasi accordo che lasci la licenza petrolifera OPL 245 a queste compagnie». Attualmente, Eni e Shell stanno affrontando accuse di corruzione in uno storico processo a Milano. (https://valori.it/migranti-dalla-nigeria-in-europa-colpa-di-eni-e-shell/).

L'insieme di questi dati reali fa comprendere due cose.

Da un lato tutti i governanti del capitalismo si comportano nello stesso identico modo rispetto all'immigrazione, continuano a favorirne le cause comportandosi da garanti per gli interessi predatori.

Dall'altro, se cercano di sfruttare occasioni mediatiche per figure da sceriffo, finiscono per eseguire pochi rimpatri, soprattutto di persone che hanno commesso reati.

D'altronde, mentre veniva recitata la farsa dei porti chiusi ai 42 richiedenti asilo della Sea Watch, centinaia e centinaia di altri rifugiati sbarcavano a Lampedusa nei consueti modi, scortati da altre navi e altre ONG, presi in consegna dalla nostra Guardia Costiera. (https://www.corriere.it/cronache/19_giugno_26/caso-sea-watch-lampedusa-arrivati-300-migranti-un-mese-07ebf6b4-981a-11e9-ab34-56b2d57d687f.shtml)

La farsa mediatica ha però importanza nel reality-show dell'immigrazione: non par vero al Ministro Salvini di fingersi protettore del popolo contro i poteri forti che impongono l'invasione degli immigrati solo all'Italia, anche se poi alla fine non è nemmeno vero.

Tuttavia, per sostenere le politiche clientelari e demagogiche, flat tax per le imprese in primis, il Governo è pronto a promettere all'UE tagli al welfare e ai servizi sociali.

I soldi per le politiche demagogiche e le opere di dubbia utilità ci sono sempre: il Governatore del Friuli Venezia Giulia, del Partito di Salvini, annuncia in pompa magna la costruzione di un muro di 246 chilometri, tra il Friuli e la Slovenia, asseritamente per contrastare l'immigrazione.

Sull'altro versante, l'approccio umanitario al problema dell'immigrazione messo in campo dalla sinistra rivela in modo imbarazzante l'assenza di considerazione per le vere contraddizioni che spingono all'immigrazione, rifacendosi alla usuale predica di carità, ormai divenuta veleno per le classi popolari.

Al di là delle illazioni e della politica del sospetto, non c'è dubbio che l'approccio delle maggiori ONG si dedica solamente ad imporre una concezione romantico-liberale dell'accoglienza, senza intaccare  neppure in minima parte gli interessi dei "Masters of Immigration".

La Federazione Sindacale Mondiale ha più volte rimarcato come molte ONG abbiano un ruolo in pratica servente degli interessi imperialisti. (https://www.resistenze.org/sito/te/pr/mo/prmoic11-020143.htm). L'Oxfam ad Haiti ha dato luogo ad un vero e proprio scandalo, con fondi per i progetti utilizzati per alberghi di lusso ed altri piaceri, in uno dei paesi più poveri del mondo, depredato dagli interessi imperialisti.

Molto più semplicemente, anche quando i comportamenti non suscitano sospetto, la proclamazione dell'accoglienza fine a se stessa, il coinvolgimento e la collaborazione alla gestione del lavoro immigrato in impieghi ancillari o addirittura gratuiti, al servizio della moderazione salariale, si accompagna al disinteresse verso le situazioni di estremo sfruttamento degli immigrati nei campi agricoli di raccolta, dai lager di Rosarno, nell'Italia meridionale  a quelli del Saluzzese, nell'Italia settenttrionale.

Queste due parti in farsa consentono di allontanare l'attenzione degli esseri umani dal reale problema dell'immigrazione: le dinamiche imperialiste dei capitalismi globali e nazionali.

Nello scontro tra i vari tifosi, chi della sovranità nazionale, chi dello stato di diritto,  chi dei diritti umani, chi della legalità, chi dell'umanità, chi di Antigone e chi di Creonte, l'assassino rimane impunito ed i suoi sgherri guadagnano la propria mercede nei rispettivi ruoli.

In questo modo, nessuno ascolta chi propone il superamento dei rapporti di produzione economica, nessuno dà retta a chi chiede l'abbandono del capitalismo globale, ma anche quello a impronta nazionale, altrettanto pernicioso e tutt'altro che patriottico, se la patria rimane quella dei padroni dell'economia.

E' un meccanismo sorprendentemente simile a quello utilizzato nella narrazione sull'ambiente e sul cambiamento climatico.

Da un lato c'è chi propone un approccio basato su comportamenti individuali virtuosi, su cicli economici di nuovo profitto legato a nuovi macchinari (come l'auto elettrica) meno inquinanti per il clima, ma molto inquinanti per la predazione delle risorse nel Sud del Mondo, e per il contrabbando dei rifiuti che il consumismo capitalista affida ai più poveri.

Dall'altro lato si schierano i paladini della sovranità nazionale e della minimizzazione del problema.

In mezzo, come al solito, sta la classe degli sfruttati, abilmente cooptata nell'una o nell'altra curva dei tifosi-spettatori.

Buttarla in teatro, nella gestione dell'egemonia culturale, non è nemmeno una novità.

Prima dei comici in carriera politica, nell'Italia del dopoguerra, il movimento dell'Uomo Qualunque raccoglieva i voti di quella borghesia, piccola e media, che era stata orgogliosamente e convenientemente fascista, e che dopo doveva trovare un modo per non vergognarsi d'esserlo stata.

Il suo leader, Guglielmo Giannini, già nel 1943, prima della politica, si cimentava col cinema: girò quattro film in un anno. Nelle sale ne giunsero (solo!) due: Grattacieli e 4 ragazze sognano, forse perchè vedevano Paolo Stoppa come protagonista.

Il primo passo è quindi spegnere il teleschermo.
Il secondo è metter subito mano alla cassetta degli attrezzi per demolire il capitalismo, da qualsiasi guitto sia interpretato.


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