www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 10-12-07 - n. 206

da: Strategic Colture Foundation - http://en.fondsk.ru/article.php?id=1105
 
Cosa dovremmo aspettarci da Hillary Clinton
 
Leonid Ivashov*
07/12/2007
 
Hillary Clinton, moglie dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e tra i favoriti nella corsa alle presidenziali del 2008, ha recentemente svelato la sua agenda di politica internazionale in una dichiarazione su Foreign Affairs. (Hillary Rodham Clinton, Sicurezza e opportunità per il XXI secolo. Foreign Affairs, Novembre/Dicembre 2007). La pubblicazione offre considerazioni piuttosto critiche su diversi aspetti della presidenza di G. Bush.
 
Un vento di cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti? Non proprio. L'analisi delle critiche dirette all’Amministrazione Repubblicana da H. Clinton e dei piani tracciati nei suoi documenti dimostrano che nel futuro prevedibile non dobbiamo aspettarci un cambiamento integrale nella strategia globale di Washington.
 
Quello che H. Clinton critica in G. Bush e nella sua amministrazione non concerne la loro tendenza al dominio globale o la soggiacente strategia formulata dal Congresso degli Stati Uniti nel 2005 su come «guadagnare un accesso senza limiti alle regioni chiave del mondo, alle comunicazioni strategiche e alle risorse globali» (in altre parole, assicurarsi il controllo di tutto quanto sopra).
 
Il perseguimento dell’egemonia globale da parte degli Stati Uniti è costante da più di un secolo. Solo i metodi si sono evoluti. Mentre il Contrammiraglio A. Mahan, eminente geostratega statunitense della fine del XIX secolo, enfatizzava l'importanza della supremazia marittima, dell'attività militare e la strategia di strangolare in una «spira di serpente» le potenze continentali dell’Eurasia, il presidente degli Stati Uniti W. Wilson sposò l'idea di un «pacifico» smembramento dei paesi rivali e la loro successiva occupazione. Il presidente degli Stati Uniti W. Taft suggerì di usare il dollaro U.S. come strumento per soggiogare le altre nazioni. Elementi comuni di tutte queste strategie erano sia l'idea del dominio globale degli Stati Uniti sia la nozione che la Russia doveva essere scelta come primo obiettivo di tali sforzi.
 
Gli approcci di H. Clinton ai problemi internazionali non sono essenzialmente nuovi. E non è una sorpresa- i suoi consulenti di politica estera, M. Albright e S. Talbott, sono gli autori dell'aggressione degli Stati Uniti contro i serbi.
 
La continuità è un tratto indispensabile della politica estera degli Stati Uniti. La presidenza di B. Clinton fu marcata da un potente attacco Nato e U.S. alla Jugoslavia. Il corso preso dal suo successore G. Bush, prevede «una soluzione pacifica» della crisi balcanica: continua la spartizione dell’ex Jugoslavia nella forma della separazione prima del Montenegro, e, come passo successivo, del Kosovo dalla Serbia.
 
Se sarà eletta, H. Clinton intende fare lo stesso in Iraq. Attualmente, sta sollevando critiche a G. Bush per il coinvolgimento militare degli Stati Uniti nel paese ma questo non dovrebbe essere preso troppo sul serio. G. Bush criticò allo stesso modo B. Clinton per la Jugoslavia quando era il rivale alla presidenza. Questo palleggiamento politico è uno schema abitualmente usato da Repubblicani e Democratici negli Stati Uniti. Senza dubbio, nel caso che H. Clinton andasse alla Casa Bianca nel 2008, sarà lei a portare a completamento il processo in corso di suddividere l’Iraq in tre stati minori pseudo-indipendenti. Questa è la logica generale della strategia globale degli Stati Uniti messa a punto a prescindere da chi sia il presidente in carica.
 
H. Clinton sottolinea che la leadership si basa « più sul rispetto che sulla paura», spiegando intanto che «c'è un tempo per la forza ed un tempo per la diplomazia». In altre parole, gli interessi degli Stati Uniti devono essere promossi inizialmente con l'aiuto di metodi civili (come avvenne nel caso di S. Milosevic), e poi viene il momento di ricorrere alla forza (come nei casi di serbi, iracheni, ecc).
 
Le frasi forti di H. Clinton che concernono il piano di pace per l’Iraq ed il ritiro delle truppe degli Stati Uniti dal paese sono immediatamente compensate dalla dichiarazione che «... uscendo dall'Iraq noi dovremo ricolmare il potere americano, ricostruendo il nostro esercito e sviluppando un arsenale molto più ampio di strumenti per la lotta contro il terrorismo». Il ragionamento è lo stesso di quello di G. Bush. Di conseguenza, dovremmo aspettarci di vedere indirizzare attacchi aerei contro Al-Qaeda (un pretesto davvero universale) e altri gruppi terroristici i cui nomi non sono difficili da inventare, non importa quale paese venga implicato insieme. Quindi, le basi militari degli Stati Uniti rimarranno nel Kurdistan iracheno anche dopo il loro ritiro dalle parti meridionali e centrali dell'Iraq. Non a caso G. Bush sta già creando le infrastrutture per schierare le truppe degli Stati Uniti nel ‘Kurdistan’, forse come dono da lasciare al suo successore.
 
Nelle iniziative di H. Clinton e di G. Bush per sviluppare la forza militare degli Stati Uniti si possono individuare solo divergenze minori. Per esempio: «... Intendo lavorare per espandere e modernizzare la forza militare... l’Amministrazione Bush ha minato questo obiettivo focalizzandosi ossessivamente sulla tecnologia costosa e da verificare della difesa missilistica... ».
 
Cercare in qualche modo l’equilibrio internazionale non è ancora preso in considerazione- il piano è di perseguire l’assoluta superiorità militare e tecnologica degli Stati Uniti. Visto da H. Clinton il problema di G. Bush è solamente che lui non ha fatto un lavoro sufficientemente buono a quel fine. A proposito, proprio ultimamente, il Congresso degli Stati Uniti a prevalenza Democratica ha stanziato $100 milioni addizionali per creare uno shuttle spaziale in grado di andare a colpire dall'orbita spaziale obiettivi a distanze superiori ai 16.500 km.
 
H. Clinton è anche impegnata ad elevare l'efficienza del comparto dell’intelligence degli Stati Uniti, per trasformarlo in «una forza clandestina che stia fuori sulla strada, e non seduta dietro a scrivanie», con particolare riferimento alle operazioni all'estero. H. Clinton naturalmente intende usare il bastone e la carota per trattare del programma nucleare dell’Iran; ma se Tehran dovesse rifiutare di accettare i termini degli Stati Uniti, poi nessun tipo di risposta sarebbe esclusa. A questo riguardo, non ci sono differenze con la politica dell'Amministrazione attuale.
 
Infine, che cosa c’è di nuovo nell'approccio di H. Clinton alle relazioni russo-statunitensi? La sua opinione è che la Russia sia fra i paesi che «... non sono avversari ma che stanno sfidando gli Stati Uniti su molti fronti». Le questioni del contenzioso includono il Kosovo, il presunto uso di forniture di combustibile come leva politica contro i paesi confinanti con la CIS, e la Russia che sta spazientendo gli Stati Uniti e l'Europa per quanto concerne la non-proliferazione e il controllo degli armamenti (con un chiaro riferimento al congelamento da parte della Russia della sua partecipazione al Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa (CFE), che era comunque defunto).
 
E naturalmente la signora Clinton critica V. Putin che ha «soppresso molte delle libertà ottenute dopo la caduta del comunismo». Trova inconcepibile che la Russia e gli Stati Uniti possano aderire ad interpretazioni diverse della democrazia e che la Russia non abbia ancora voluto optare per la democrazia in «stile» statunitense. Nondimeno, è convinta che la Russia dovrebbe essere impegnata a risolvere le questioni internazionali importanti per gli Stati Uniti. Così, il ruolo da lei riservato alla Russia è quello di un assistente (che Mosca abbia una strategia sua propria deve essere qualche cosa di impossibile da immaginare).
 
Parlando dell'agenda delle relazioni estere di H. Clinton, si può concludere che gli obiettivi della politica internazionale degli Stati Uniti non sono cambiati da decenni. Perciò, non fa una grande differenza chi precisamente passa alla Casa Bianca.
 
* Il Generale Leonid Ivashov è vicepresidente dell’Accademia di Problemi Geopolitici. E’ stato capo del dipartimento Affari Generali del Ministero della Difesa dell’Unione Sovietica, segretario del Consiglio dei Ministri della Difesa della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), capo del Dipartimento di Cooperazione Militare del Ministero della Difesa della Federazione Russa. L’11 settembre 2001 ricopriva l’incarico di capo di Stato Maggiore delle forze armate russe.
 
Traduzione dall’inglese di Bf per www.resistenze.org