www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 25-02-08 - n. 216

da People’s Democracy, organo settimanale del P.C. dell'India (Marxista) - http://pd.cpim.org/2008/0217 pd/02172008 econotes.htm
 
Il ruolo della Cina in Africa
 
C P Chandrasekhar
17/02/2008
 
Note economiche
 
Tra le buone notizie sull'economia globale negli ultimi anni vi sono quelle, minimazzate nei rapporti, che indicano una ripresa della crescita nell’Africa Sub-Sahariana. Dopo avere registrato la crescita del PIL, misurato in dollari, di meno del 2,5% all’anno durante il decennio degli anni novanta, la regione ha visto la crescita toccare il 4,2% nel 2003, il 5,2 nel 2004 ed una media di 5,4 durante il biennio 2005-06. Tutto ciò è significativo, perché segnala il ritorno ad una fase di crescita globale nella quale l’Africa Sub-Sahariana non è esclusa dalla crescita che rianima il resto del mondo.
 
Non meraviglia che ci si sforzi di capire perché una grande regione che è stata perdente alla lotteria della crescita globale, si sia ora ricongiunta al retroterra del mondo che è trascinato avanti dalla crescita nel resto dell'economia globale. La maggior parte degli osservatori hanno suggerito che l’Africa abbia ricevuto benefici dalla crescita globale in seguito al fatto che la Cina e l'India, specialmente la prima, siano emerse come i paesi a crescita più veloce e come i maggiori investitori globali. L'argomento sembra essere che quando la distribuzione del reddito globale si sposta a favore di paesi in rapida via di sviluppo (in opposizione a quelli sviluppati), gli altri paesi in via sviluppo traggono un guadagno maggiore.
 
Differenze strutturali
 
Fra le ragioni di questo c’è il fatto è che gran parte dell'Africa Sub-Sahariana, come incentivo per la crescita, sia ancora strutturata in un modo che la rende dipendente dalle esportazioni di prodotti agricoli e minerari di vario genere. Quando il volume del commercio di prodotti primari aumenta ed i prezzi relativi ai prodotti primari migliorano, l’Africa ne trae profitto e cresce. E dal momento che persiste una crescita elevata in Cina e in India, che fa di loro delle importanti fonti di domanda globale di prodotti primari, sia i volumi, sia i prezzi migliorano. I volumi, perché la taglia di questi paesi e la fase di sviluppo nella quale si trovano, rendono la loro crescita di prodotto primario intensiva. Il prezzo, perché la domanda accresciuta da nuove fonti non solo cambia il saldo della richiesta di approvvigionamento di prodotti primari, ma permette anche agli esportatori di trovare alternative ai canali commerciali che sono controllati dagli acquirenti monopsonistici (acquirenti unici, ndr) dei paesi industrializzati sviluppati, che sono in grado di tenere basso il prezzo del prodotto primario.
 
Va qui notato che la Cina e l’India, a questo riguardo, non possono essere messe sullo stesso piano. E questo in parte a causa delle differenze nella struttura della crescita nei due paesi. Mentre l'aumento cumulativo del PIL tra il 1991 ed il 2005 nel caso della Cina è per il 53% relativo all’industria (con il 40% proveniente dai servizi), nel caso indiano è per il 62% relativo ai servizi (con il 27% proveniente dall’industria). Queste differenze nel modello di crescita hanno le loro implicazioni. Essendo la crescita in Cina guidata dalla produzione manifatturiera, la ricaduta in termini di domanda derivata per i settori produttivi non-manifatturieri, di prodotti come quelli agricoli, è probabile che sia piuttosto significativa, se non forte. Questo determinerebbe anche la struttura della richiesta di importazioni della Cina. Questa caratteristica sarebbe meno vera per la crescita guidata dal terziario dell’India, che verosimilmente avrebbe un impatto solamente sulla domanda di beni industriali e altri servizi.
 
Questo sembra riflettersi allo stesso modo sulle fonti delle importazioni dei due paesi. Nel caso della Cina è evidente un rapido spostamento delle importazioni dai paesi sviluppati verso i paesi in via di sviluppo, che iniziò a metà degli anni 80. Nella seconda metà degli anni ottanta, il rapido cambiamento nelle fonti delle importazioni cinesi avvenne a favore dello sviluppo dell'Asia. In seguito la crescita si è distribuita su altre parti del mondo in via di sviluppo.
 
La diminuzione delle importazioni dai paesi industrializzati è altrettanto reale nel caso dell'India, sebbene questa sia accompagnata da un ribasso delle importazioni dai paesi in via di sviluppo e da un aumento in categorie non determinate. Nel caso dell'India, prima di liberalizzare, il petrolio ebbe un ruolo estremamente importante nel definire le fonti delle importazioni. Con la liberalizzazione, il ruolo dell'Asia come fonte di importazioni è stato rapidamente incrementato, per le richieste dell’India di importazione di prodotti industriali per i servizi. Aree diverse dall’Asia, specialmente l'Africa, sembrano essere emarginate, ma su questo punto c’è un problema di dati, dal momento che le importazioni da una categoria di paesi non specificati stanno crescendo rapidamente. Dal momento che i dati provengono dell’FMI e sono basati sulla bilancia dei pagamenti, questo potrebbe riflettere in parte la difesa delle importazioni. Potrebbe anche essere il risultato di un aumento delle importazioni da Taiwan, dalla Cina.
 
I prezzi della merce
 
A causa dei suoi effetti sulla domanda di beni primari, uno degli impatti principali della rapida espansione della Cina ha rappresentato una condizione della fluttuazione dei prezzi della merce primaria. Sebbene altri fattori abbiano giocato un ruolo, se non fosse per la presenza della Cina, i prezzi della merce primaria non avrebbero potuto riflettere la fluttuazione che hanno. Nel corso degli ultimi cinque anni ci sono stati segni di un'inversione (comunque provvisoria) del trend di lungo termine dei prezzi globali della merce. All’inizio di questa decade i prezzi della merce primaria sono caduti rispetto ai prezzi al consumo (secondo la misurazione dell'Indice U.S. dei Prezzi al Consumo), per più di cinque decadi. Ma circa dal 2002, i prezzi della merce hanno cominciato a rialzarsi.
 
Mentre i paesi esportatori di petrolio hanno avuto rilevanti benefici, ora sta crescendo anche l'indice dei prezzi della merce non-combustibile. Nel commercio mondiale le merci primarie non-combustibili rappresentano una quota maggiore (circa il 14% nel periodo 2000-2004) rispetto a quelle combustibili (7% ). Inoltre, molti paesi in sviluppo sono estremamente dipendenti dall’esportazione di merce non-combustibile come fonte di guadagno-- 36 paesi hanno un tasso di esportazioni di merce non-combustibile di più del 10 % del PIL, ed in 92 paesi il tasso è sul 5%. Effettivamente, in molti paesi a basso reddito (Africa inclusa), una gran parte degli introiti dell’esportazione è generata solo da poche merci primarie.
 
In realtà, il principale beneficiario di questi trend di richiesta di merce e di rialzo dei prezzi è l’Africa, nella quale la presenza della Cina si è espansa notevolmente. Le esportazioni africane alla Cina cominciarono ad accelerare intorno al 2000, e da allora si sono elevate ad una percentuale di crescita annua di più del 50%. Nel 2004, le esportazioni africane alla Cina hanno toccato gli 11,4 miliardi di dollari, riflettendo un incremento più che triplicato rispetto al 2000. Nel 2006 la Cina è accreditata per l’8% del totale delle esportazioni africane verso il mondo esterno.
 
Una conseguenza della crescita del volume e del valore unitario delle esportazioni di merce dall'Africa, sono i segnali dell'inversione (per il presente) del deperimento di lungo termine delle condizioni di puro baratto del commercio affrontate dai paesi in sviluppo dipendenti dai prodotti primari per i loro redditi da esportazione, che vanno a finanziare le importazioni di prodotti manufatti. Con la competizione nel commercio di prodotti manufatti esportati (influenzato dalla Cina), che modera l’aumento del prezzo dei beni industriali, con l’impulso ai prezzi della merce dato dalla domanda della Cina, i paesi in via di sviluppo in generale, e l'Africa in particolare, che sono ancora sostanzialmente dipendenti dalle esportazioni di prodotti primari, hanno sperimentato un incremento nelle condizioni del loro commercio.
 
La rapida espansione della Cina ha particolarmente aiutato un continente come l'Africa. Nel periodo 2001-2004 la crescita reale del PIL in Africa ha raggiunto un tasso percentuale annuo medio del 4,2 %, dal 3,3% degli anni 1997-2000. L’Africa Sub-Sahariana ha guadagnato anche di più, con la sua percentuale di crescita reale del PIL che ha toccato il 5,4% nel 2004. La Prospettiva Economica Africana 2005 (AfDB/OECD 2005), fra gli altri, attribuisce questo miglioramento sostanzialmente all'aumento dei prezzi della merce.
 
Alcuni critici hanno tuttavia argomentato che, alla disperata ricerca di materie prime, la Cina stia pompando investimenti nei settori estrattivi, replicando le relazioni di sfruttamento che hanno caratterizzato il commercio coloniale. È effettivamente vero che gli investimenti esteri diretti (FDI ) in Africa raggiungevano nel 1995 solo 6 miliardi di dollari, rispetto ai 18 miliardi di dollari nel 2001 e i 36 miliardi nel 2006. Questo ha implicato nella formazione di capitale lordo fisso una crescita dal 6 % circa a metà degli anni 90 a più del 20% nel 2001- anche se il rapporto è rimasto sotto questo livello fino a quando, nel 2006, si è di nuovo avvicinato al 20%. Comunque, una grande quota di questo aumento negli investimenti è venuta dai paesi industrializzati, con la Cina ancora responsabile di una piccola proporzione dell’investimento globale. Nel 2006 gli investimenti diretti verso l’estero della Cina furono solo di 16,13 miliardi di dollari, con flussi significativi verso i paesi industrializzati. A fronte di questo i FDI globali fluiti all’estero hanno totalizzato 1,2 trilioni di dollari.
 
Fusioni & acquisizioni (M&A)
 
Quello che recentemente ha attirato più attenzione sono i segnali di un rapido aumento in Africa delle fusioni e acquisizioni nel settore primario ( particolarmente petrolio e gas). Per esempio, secondo l’UNCTAD, il totale di M&A delle vendite di risorse in Africa si è alzato tra il 2005 ed il 2006 da 10,5 a 17,6 miliardi di dollari. Una componente importante di questa crescita è stato un incremento degli investimenti petroliferi, da 34 milioni di dollari a 4,3 miliardi di dollari, di riflesso ad alcune grandi acquisizioni. Nel recente passato la Cina ha giocato un ruolo importante negli investimenti petroliferi di paesi come il Sudan. Per esempio, un grande progetto è la partecipazione della Compagnia Petrolifera Nazionale della Cina (CNPC) nella Grande Compagnia Petrolifera del Nilo (GNPOC) in Sudan. La CNPC acquisì una quota del 40% nel consorzio della GNPOC nel marzo del 1997; attualmente l’indice dell'investimento della CNPC nella GNPOC è valutato più di 4 miliardi di dollari. Ma scambi come questi non dovrebbero essere esagerati. Secondo uno studio dalla società di consulenza Eurasia Group, la quantità di petrolio corrispettiva all’investimento relativo rifluita in Cina nel 2006 è stata solamente di circa 320.000 barili al giorno (bpd), in un contesto di importazioni totali di 3,6 milioni di bpd e di consumo cinese totale di 7,4 milioni di bpd.
 
L'interesse della Cina alle risorse naturali della regione ha dato luogo ad enormi flussi di aiuto ed investimento estero dalla Cina all’Africa, a sostegno delle infrastrutture delle regioni e con la concessione di prestiti molto necessari nel settore delle risorse naturali. Ma questo è ancora troppo poco per farne una nuova potenza imperiale. E’ forse questa una sfida al vecchio imperialismo? Lo è in quanto dà ad altri paesi in sviluppo un spazio per negoziare il processo di sviluppo. L’Africa resta ancora una terra arretrata ma con nuovi partner, diversi dalle potenze coloniali di un tempo, e in condizioni che stanno migliorando. Questo può spiegare la tendenza ad esagerare il ruolo della Cina come investitore in Africa.
 
Traduzione dall’inglese di Bf per www.resistenze.org