www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 24-09-10 - n. 333

da www.michelcollon.info/Ocean-Indien-ici-se-joue-la-grande.html?lang=fr
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Oceano Indiano: dove si disputa la grande battaglia per il dominio mondiale
 
Il destino del mondo si gioca oggi nell'Oceano Indiano? Sovrastata dall'"arco islamico" (che va dalla Somalia all'Indonesia passando per i paesi del Golfo e l'Asia centrale), la regione è sicuramente diventata il nuovo centro di gravità strategico del pianeta. Questo nuovo capitolo della serie Comprendere il mondo musulmano, ci porta in crociera. Mohamed Hassan spiega come lo sviluppo economico della Cina, sconvolge i rapporti di forza mondiali e scioglie il Sud dalla dipendenza dell'Occidente. Ci rivela anche le strategie attuate dagli Stati Uniti per cercare di mantenere il suo dominio che è tuttavia destinato all'estinzione. Infine ci predice la fine della globalizzazione. Resta da capire se questa rapina planetaria finirà senza urti o se i banditi liquideranno gli ostaggi in questa avventura.
 
Dossier «Comprendere il mondo mussulmano»
 
Intervista a Mohamed Hassan di Gregoire Lalieu & Michel Collon
 
Dal Madagascar alla Thailandia passando per la Somalia, il Pakistan o la Birmania, il bacino dell'Oceano Indiano è particolarmente agitato! Come spiega queste tensioni?
 
II rapporti di forza nel mondo sono in subbuglio e la regione dell'Oceano Indiano è al centro di questa tempesta geopolitica.
 
Di quale regione parliamo?
 
E' un'area che si estende dalla costa orientale dell'Africa al sud dell'Asia. Con un lago (il Mar Caspio) e tre bacini: il mare del Golfo, il Mar Rosso e il Mar Mediterraneo.
 
Perché questa regione è così importante? Innanzitutto perché il 60% della popolazione mondiale è concentrata in Asia ed è connessa con l'Oceano Indiano. Da sole Cina e India contano il 40% della popolazione mondiale. Inoltre, la comparsa economica di queste due potenze rende l'Oceano Indiano una zona strategica. Oggi, il 70% del traffico mondiale di petrolio passa attraverso questo oceano. Tale percentuale è destinata a crescere per soddisfare le crescenti necessità di entrambi i paesi. Inoltre, il 90% del commercio mondiale viaggia su navi porta container e l'Oceano Indiano da solo accoglie la metà del traffico.
 
Come previsto dal giornalista statunitense Robert D. Kaplan, stretto consigliere di Obama e del Pentagono, l'Oceano Indiano diventerà il centro di gravità strategico del mondo del 21° secolo. Non solo questo oceano è un passaggio fondamentale per il commercio e le risorse energetiche tra Medio Oriente e Asia orientale, ma è anche lo snodo principale dell'asse di sviluppo economico tra la Cina da un lato e l'Africa e l'America Latina dall'altro.
 
L'incremento di queste nuove relazioni commerciali significa che il Sud si va affrancando dalla sua dipendenza dall'Occidente?
 
In effetti, alcune cifre sono impressionanti: il commercio tra Cina e Africa si è moltiplicato di venti volte dal 1997. Quello con l'America Latina di quattordici volte in meno di dieci anni! India e Brasile inoltre collaborano più strettamente con il continente nero. Sotto la spinta cinese, gli investimenti Sud-Sud sono aumentati rapidamente. Dopo essere stato depredato e razziato per secoli, il Sud esce finalmente dal suo torpore.
 
Perché Africa e America Latina si volgono verso la Cina?
 
Per secoli l'Occidente si è dedicato a un vero e proprio saccheggio delle risorse del Sud, impedendo a questi paesi di svilupparsi, soprattutto attraverso la politica odiosa del debito. La Cina sta offrendo prezzi migliori per le materie prime e investe nei paesi del Sud, sviluppando infrastrutture, programmi sociali, progetti di energia pulita. Ha anche abolito i dazi doganali all'importazione di molti prodotti africani, facilitando notevolmente la produzione e il commercio di questo continente. Infine, ha anche annullato il debito dei paesi più poveri dell'Africa.
 
Inoltre, a differenza delle potenze occidentali, la Cina non interferisce nella politica interna dei suoi partner economici. In una conferenza cino-africana, il Premier cinese Jiabao ha riassunto la politica del suo paese: "La nostra cooperazione economica e commerciale poggia sul vantaggio reciproco. (...) Non abbiamo mai posto condizioni politiche in Africa e non lo faremo in futuro". Che differenza con le potenze occidentali che ininterrottamente hanno fatto e disfatto i governi africani! Il Sud ha sete di indipendenza: l'alleanza con la Cina è una reale opportunità per placare quella sete.
 
Infine, i paesi capitalisti occidentali versano in gravi crisi economiche che seppur hanno ripercussioni in Cina, non impediscono al paese una crescita sana. In questa situazione, è normale che i paesi africani e dell'America Latina si rivolgano al partner economico più solido. Come ha rilevato in più di un occasione il Financial Times, il Brasile è stato colpito dalla crisi degli Stati Uniti. Ma nel 2009, la sua economia ha continuato a crescere. Non a caso la Cina è diventata il suo principale partner economico.
 
Questo asse Sud-Sud sfida l'egemonia occidentale. Stati Uniti ed Europa lasceranno la Cina agire indisturbata nel loro cortile?
 
Nel complesso, lo sviluppo di questo asse Sud-Sud presenta due minacce concrete per gli interessi delle potenze imperialiste, e in particolare degli Stati Uniti. In primo luogo, sottrae dalla zona d'influenza dell'Occidente paesi ricchi di materie prime. In secondo luogo, consente alla Cina di disporre delle risorse necessarie per continuare il suo rapido sviluppo. In piena ascesa, Pechino sta per raggiungere la prima potenza economica, gli Stati Uniti. La Cina, a giudizio di Albert Keidel, a suo tempo economista della Banca Mondiale e membro del Consiglio Atlantico, potrebbe attuare il sorpasso nel 2035.
 
Oggi, Washington cerca quindi di contenere la crescita della Cina per mantenere il dominio. E il controllo dell'Oceano Indiano è al centro di questa strategia. La lotta contro la pirateria somala è in realtà un pretesto per dispiegare le forze NATO nell'Oceano Indiano e mantenere il controllo delle potenze occidentali in questo bacino. Persino il Giappone ha intrapreso la costruzione di una base militare a Gibuti per la lotta contro la pirateria.
 
Si parla di pirati come di terroristi islamici. Minaccia o pretesto?
 
Non sto dicendo che non vi siano minacce. Semplicemente, le potenze occidentali le strumentalizzano per asserire i loro interessi strategici nella regione. Come si è sviluppata la pirateria in Somalia? Da oltre vent'anni non esiste un governo nel paese. Alcune compagnie europee hanno colto l'occasione per saccheggiare il pesce al largo della costa, altre discaricano i loro rifiuti tossici. In queste condizioni, i pescatori somali, impossibilitati al lavoro, si sono dedicati alla pirateria per sopravvivere. Naturalmente, il fenomeno ha assunto un'altra dimensione rispetto alle sue prime manifestazioni. Ma se si vuole risolvere il problema della pirateria, occorre affrontare il problema alla radice e ristabilire un ordine politico legittimo in Somalia.
 
Ordine che gli Stati Uniti hanno contrastato fino ad oggi ...
 
Sì, e la loro politica insensata potrebbe creare problemi ben più gravi. Occorre tener presente che la Somalia è la culla storica dell'Islam in Africa orientale. In passato, l'influenza dei capi religiosi somali è stata molto importante. Avevano portato l'islam sunnita fino al Mozambico. Anche gli sciiti dell'Oman estesero la loro influenza in Africa orientale nel corso del 18° secolo, influenzando pesantemente la cultura della regione, senza tuttavia riuscire a convertire le popolazioni al Sciismo.
 
Oggi, un movimento islamico potrebbe svilupparsi nel Corno d'Africa a causa di errori commessi dagli Stati Uniti. Se i leader di questo movimento utilizzassero la loro storia comune per unire militanti da tutta l'Africa orientale e difendere la Somalia, culla dell'Islam africano, la minaccia si farebbe estremamente grave per gli Stati Uniti!
 
L'Oceano Indiano lambisce "l'arco islamico", che si estende dall'Africa orientale verso l'Indonesia attraverso i paesi del Golfo e l'Asia centrale. Come è accaduto che questo oceano, culla del potere musulmano, sia caduto sotto il dominio delle potenze occidentali?
 
Prima dell'apertura del Canale di Suez nel 1869, quattro grandi potenze dominavano la regione: l'impero turco ottomano, i persiani (oggi Iran), i Moghul (impero musulmano che fiorì in India) e la Cina. Attraverso l'Oceano Indiano, il commercio aveva posto in contatto le popolazioni mussulmane con altri popoli della regione, diffondendo l'Islam in Cina e in Africa orientale. Così si è formato "l'arco islamico" e l'Oceano Indiano è stato ampiamente dominato da potenze musulmane.
 
Ma un evento importante verificatosi in India, lancerà la dominazione europea sulla regione: la ribellione indiana del 1857. I Sepoy erano soldati indiani al servizio delle compagnie inglesi. Le ingiustizie inflitte dai padroni li hanno condotti alla ribellione che, molto rapidamente, ha contagiato un grande movimento popolare. Fu una rivolta cruenta: i Sepoy massacrarono molti inglesi ma questi ultimi alla fine riuscirono a reprimere il movimento. In Gran Bretagna una campagna propagandistica denunciava la barbarie dei Sepoy. Karl Marx analizzando l'evento trasse altre conclusioni: "I loro metodi sono barbari, ma dobbiamo chiederci chi li ha condotti a una tale brutalità: i coloni britannici insediati in India".
 
Oggi viviamo la stessa cosa con gli attentati dell'11 settembre. Tutta l'opinione pubblica occidentale è portata ad indignarsi per i metodi barbari dei terroristi islamici. Ma non si pone domande sui fattori che hanno dato origine a questa forma di terrorismo, ossia alla politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente negli ultimi cinquant'anni.
 
Infine, la repressione della rivolta dei Sepoy ebbe due importanti conseguenze: in primo luogo, la colonia indiana, precedentemente gestita da società private, ufficialmente passò sotto l'amministrazione del governo britannico. Poi, la Gran Bretagna depose l'ultimo leader musulmano dell'India, l'imperatore moghul Muhammad Bahâdur Shâh, esiliato in Birmania, dove finì i suoi giorni.
 
Undici anni dopo la ribellione indiana, si apre il canale di Suez che collega il Mediterraneo e l'Oceano Indiano. Una spinta per la dominazione europea di questo oceano?
 
Certamente. La colonizzazione europea nel bacino dell'Oceano Indiano accelerò, la Francia prese Gibuti e la Gran Bretagna l'Egitto, successivamente il Bahrein per proteggere l'India dall'espansione russa.
 
Poi, dopo molti cambiamenti interimperialisti nel 19° secolo (unificazione della Germania e Italia, spartizione dell'Africa tra le potenze europee), l'Impero del sultanato di Oman fu l'ultima potenza araba attiva nell'Oceano Indiano. Per rovesciarla gli europei montarono una campagna propagandistica sul fatto che gli arabi riducevano in schiavitù gli africani. Con il pretesto della lotta alla schiavitù, l'Europa mobilitò le sue truppe nell'Oceano Indiano e rovesciò il sultanato di Oman. Così, la dominazione occidentale sull'Oceano Indiano divenne totale.
 
Ma oggi, tale egemonia è messa in discussione dalle potenze emergenti dell'Asia e l'Oceano Indiano potrebbe diventare il teatro di una competizione sino-americana. Il declino USA e la straordinaria ascesa della Cina: in quale modo Washington potrebbe bloccare il suo principale concorrente?
 
Il Pentagono è ormai impiantato nella regione: una grande base militare a Okinawa (Giappone), accordi con le Filippine con il pretesto della lotta al terrorismo, ottimi rapporti con l'esercito indonesiano, formato proprio da Washington per uccidere milioni di comunisti e instaurare una dittatura militare negli anni '60 ...
 
Inoltre, gli Stati Uniti possono contare sulla base militare Diego Garcia. Isola di corallo, situata nel cuore dell'Oceano Indiano con la sua spiaggia di sabbia bianca e palme farebbe sognare più di un turista. Tuttavia, la storia di questa isola è molto meno affascinante: nel 1965, Diego Garcia e il resto dell'arcipelago delle Isole Chagos sono state annesse nel territorio britannico; nel 1971, tutti gli abitanti dell'isola Diego Garcia sono stati espulsi dagli Stati Uniti, che costruirono una base militare: è da questa posizione strategica che Washington ha condotto alcune operazioni nel contesto di guerra fredda, le guerre in Iraq e Afghanistan. Oggi, nonostante i giudici inglesi abbiano dato ragione agli abitanti, il governo del Regno Unito impedisce loro di ritornare sull'isola.
 
Gli Stati Uniti hanno quindi una forte presenza militare. Da parte sua, la Cina ha due talloni d'Achille: gli stretti di Hormuz e di Malacca. Il primo (tra Oman e Iran) è l'unico accesso al Golfo Persico, ampio solo 26 km nel punto più stretto. Circa il 20% del petrolio importato dalla Cina attraversa questo luogo. L'altro punto debole è lo Stretto di Malacca (tra la Malaysia e l'isola indonesiana di Sumatra): molto trafficato e pericoloso, costituisce il passaggio principale per le merci provenienti dall'Oceano Indiano alla Cina. Circa l'80% delle importazioni di petrolio della Cina passa di qua. Gli Stati Uniti essendo ben impiantati nell'area, potrebbero bloccare lo Stretto di Malacca in caso di conflitto con la Cina. E sarebbe un disastro per Pechino.
 
Questo spiega perché la Cina cerca di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento energetico?
 
Certo. Di fronte a questo grave problema, la Cina ha sviluppato diverse strategie. La prima consiste nell'approvvigionarsi in Asia centrale. Un oleodotto collega ora il Turkmenistan alla provincia cinese di Xinjiang; nel 2015, a pieno regime, dovrebbe fornire 40 miliardi di metri cubi all'anno, quasi la metà del consumo attuale della Cina. Un oleodotto collega anche la Cina al Kazakistan, trasportando greggio dal Mar Caspio.
 
C'è anche l'Asia meridionale. Pechino ha firmato accordi con il Bangladesh per la fornitura di gas e petrolio. E' stata recentemente annunciata la costruzione di un oleodotto e un gasdotto che approvvigioneranno rispettivamente da Myanmar (Birmania), 22 milioni di tonnellate di petrolio e 12 miliardi di metri cubi di gas all'anno.
 
Infine, la terza strategia cinese, denominata "filo di perle", consiste nel costruire porti lungo la costa nord dell'Oceano Indiano in paesi amici. Obiettivo: disporre di un traffico navale autonomo in questa regione. In questo programma strategico si iscrive la costruzione in Pakistan del porto di Gwadar in acque profonde. Questo tipo di porto è adattato al traffico delle navi porta container e la Cina dovrebbe costruirne altri, soprattutto in Africa. Occorre sapere che alcune navi container verso la Cina provenienti dall'America Latina, sono troppo grandi per raggiungere l'Oceano Pacifico attraverso il Canale di Panama. Devono quindi passare attraverso l'Oceano Atlantico e l'Oceano Indiano prima di giungere a destinazione. Durante questo viaggio, non dovrebbero necessariamente transitare dall'Europa, come ora per raggiungere l'Oceano Indiano dal Canale di Suez. In una prospettiva Sud-Sud, queste navi container passerebbero dall'Africa, collegando America Latina e Asia.
 
Ciò avrebbe conseguenze importanti per l'Africa. Paesi come Mozambico, Somalia, Sudafrica e Madagascar potrebbero far parte di questa grande rete dell'Oceano Indiano. Lo sviluppo di nuovi porti come Gwadar, darebbero il via a un boom economico nella regione africana, decretando però il declino delle attività nei principali porti europei, come Marsiglia e Anversa. Collegare l'Africa per il mercato asiatico attraverso l'Oceano Indiano sarebbe un vantaggio per il continente. Nelson Mandela, quando era presidente del Sudafrica, vedeva questo progetto di successo, ma gli Stati Uniti e l'Europa si opposero. Oggi, la Cina ha i mezzi per assumerene la guida. Questo asse Sud-Sud è avviato: i paesi del terzo mondo supereranno le divisioni attuali e coopereranno sempre più strettamente. Il mondo è in pieno fermento!

 

Come ha fatto la Cina a diventare una così grande potenza in così poco tempo?
 
Fino al 19° secolo, la Cina era una grande potenza. Vendeva merci di buona qualità e disponeva di più valuta estera, oro e argento che le potenze europee. Ma il paese non è mai stato veramente aperto al commercio internazionale. Pochi insediamenti sulle coste, per il disappunto della Gran Bretagna che in piena rivoluzione industriale, cercava uno sbocco per smerciare i suoi prodotti in tutta la Cina.
 
Così quando il viceré Lin Zexu ordinò la distruzione nel 1838 di casse di oppio che la Gran Bretagna importava illegalmente sul territorio cinese, i britannici colsero il pretesto per scatenare una guerra. Lord Melbourne inviò una spedizione a Canton: fu la prima guerra dell'oppio. Si concluse quattro anni dopo. Sconfitti, i cinesi furono costretti ad aprire ulteriormente il loro paese al commercio internazionale.
 
Ma le potenze imperialiste volevano penetrare più ancora all'interno della Cina, per vendere le loro merci. Esigevano la legalizzazione della vendita dell'oppio, nonostante la devastazione causata sulla popolazione, poiché questo lucroso commercio avveniva in lingotti d'argento, determinando una bilancia commerciale positiva per gli inglesi. Di fronte al rifiuto dell'Impero Cinese, Gran Bretagna e Francia avviarono la seconda guerra dell'oppio (1856-1860). In ginocchio, la Cina divenne una semicolonia delle potenze occidentali. Alla fine la vendita dell'oppio fu legalizzata e la Gran Bretagna e gli Stati Uniti vi si dedicarono con molto profitto.
 
Di tutto ciò non si parla in Europa, dove la storia della Cina è praticamente sconosciuta …
 
Non solo in Europa. E' importante comprender che queste guerre imperialiste e le distruzioni causate dalle potenze coloniali hanno provocato la morte di oltre cento milioni di cinesi. Alcuni furono fatti schiavi per le miniere del Perù, in condizioni di lavoro spaventose che causarono numerosi suicidi collettivi. Altri vennero utilizzati per costruire le ferrovie negli Stati Uniti. Mentre migliaia di bambini cinesi vennero rapiti per scavare i primi pozzi di petrolio della Shell nel Brunei, quando le tecniche di estrazione meccanizzate non erano ancora pronte. Fu un periodo terribile. Nessun popolo ha sofferto così tanto. Occorrerà attendere il 1949 e la rivoluzione condotta da Mao, per vedere la Cina tornare all'indipendenza e alla prosperità.
 
Alcuni attribuiscono la formidabile crescita cinese a Deng Xiaoping: la presa di distanza dal maoismo e l'apertura della nazione ai capitali stranieri avrebbero consentito alla Cina di svilupparsi…
 
Si dimentica che la Cina di Mao conosceva già un progressivo sviluppo, tra il sette e il dieci per cento! Certo Mao ha commesso degli errori durante la Rivoluzione Culturale. Ma ha anche consentito a un paese di un miliardo di persone di uscire da una povertà estrema. E ha permesso alla Cina di diventare uno stato indipendente dopo un secolo di oppressione. E' falso quindi attribuire lo sviluppo solo alla politica di apertura di Deng Xiaoping. Partendo dal nulla, questo paese ha continuato a crescere a partire dalla rivoluzione del 1949. E questo percorso non è concluso.
 
E' evidente che l'attuale apertura al capitalismo solleva molti interrogativi sul futuro della Cina. Si prospetteranno contraddizioni tra le diverse forze sociali, con il rafforzamento di una borghesia locale. La Cina potrebbe trasformarsi in uno stato pienamente capitalista, ma non dominato dall'imperialismo. In entrambi i casi, gli Stati Uniti cercheranno in tutti i modi di impedire che il paese diventi una grande potenza.
 
E' con ragione che alcuni sostengono che la Cina sia già una potenza imperialista, esportando capitali ai quattro angoli del pianeta e alla ricerca in tutto il Sud di materie prime?
 
C'è confusione, anche all'interno della sinistra, sulla definizione leninista di imperialismo (Lenin è senza dubbio colui che ha studiato più a fondo il fenomeno). Alcuni ritengono che l'imperialismo si concretizzi sostanzialmente nell'esportazione di capitali all'estero. Si tratta di una componente certo essenziale. Infatti, grazie alle esportazioni di capitale, le potenze capitaliste si arricchiscono più velocemente e finiscono col dominare le economie dei paesi meno sviluppati. Ma nel contesto imperialistico, la dominazione economica è inscindibile dalla dominazione politica che costringe il paese in una condizione semicoloniale.
 
In altre parole, per l'imperialista è indispensabile installare nel paese in cui esporta capitali, un governo fantoccio che serva i suoi propri interessi. Magari può anche addestrare l'esercito della semi-colonia per organizzare colpi di stato militari, qualora il burattino non obbedisca. Ciò è accaduto di recente in Honduras, dove è stato deposto il presidente Manuel Zelaya da un esercito i cui agenti sono stati addestrati nelle accademie militari statunitensi. È anche possibile infiltrare nel sistema politico organizzazioni come la CIA per disporre di collaboratori interni. In breve, l'imperialismo si basa su una doppia posizione dominante: economica e politica. Non c'è l'una senza l'altra.
 
Questa è la grande differenza con la Cina. La Cina non interferisce negli affari politici dei paesi con i quali intrattiene relazioni commerciali. E l'esportazione di capitali non è destinata a dominare e soffocare le economie dei paesi partner. Così la Cina non solo non è una potenza imperialista, ma consente anche ai paesi sotto il giogo imperialista, di liberarsi e rovesciare i rapporti di dominazione stabiliti dall'Occidente.
 
Gli Stati Uniti possono ancora fermare il concorrente cinese? Il Pentagono è stabilmente impiantato nella regione, ma un confronto militare diretto con la Cina sembra improbabile: Washington è ancora impantanata in Medio Oriente e, secondo molti esperti, non sarebbe in grado di vincere un conflitto diretto con Pechino.
 
In effetti, bombardare e invadere la Cina non è un'opzione possibile. Gli Stati Uniti hanno quindi elaborato strategie alternative. La prima consiste nell'appoggiarsi a Stati vassalli in Africa per controllare il continente e impedire alla Cina l'accesso alle materie prime. Questa strategia non è nuova, era stata sviluppata dopo la seconda guerra mondiale per contenere lo sviluppo del Giappone.
 
Quali sono oggi questi Stati vassalli?
 
Nell'Africa del nord, l'Egitto. Nell'Africa orientale, l'Etiopia. Nell'Africa Occidentale, la Nigeria. Per il sud e l'Africa centrale, Washington contava sul Sudafrica. Ma questa strategia è un fallimento. Come abbiamo visto, gli Stati Uniti non riescono a impedire ai paesi africani di commerciare con la Cina e hanno perso una grande influenza sul continente. Lo attesta il colpo subito dal Pentagono che ha cercato invano un paese che ospitasse il quartier generale di AFRICOM. Tutti gli Stati del continente hanno rifiutato. Il Ministro della Difesa sudafricano ha spiegato che il rifiuto è "una decisione collettiva africana" e lo Zambia aveva risposto al Segretario di Stato USA: "Vorreste un elefante in salotto?" Attualmente, la sede del comando regionale di AFRICOM ha sede a Stoccarda ...! Una vergogna per Washington.
 
Un'altra strategia degli Stati Uniti per controllare l'Oceano Indiano sarebbe quella di usare l'India contro la Cina, esacerbando le tensioni tra i due paesi. Questa tecnica era stata usata per l'Iran e l'Iraq negli anni '80. Gli Stati Uniti avevano armato contemporaneamente le due parti ed Henry Kissinger aveva dichiarato: "Lasciate che si uccidono a vicenda!" Applicare questa ricetta per India e Cina consentirebbe agli USA di prendere due piccioni con una fava, indebolendo le due maggiori potenze emergenti dell'Asia. D'altra parte negli anni '60, gli Stati Uniti avevano già usato l'India in un conflitto contro la Cina. Ma l'India è uscita sconfitta e adesso non credo che i suoi dirigenti farebbero lo stesso errore, scendendo in guerra contro il vicino per gli interessi di una potenza straniera. Ci sono molte contraddizioni tra Pechino e New Delhi, ma non rilevanti. Queste due nazioni emergenti dal Terzo Mondo non dovrebbero ingaggiarsi in un conflitto dai contorni tipicamente imperialisti.
 
Niente da fare, quindi, per gli Stati Uniti in India o in Africa. Ma in Asia orientale, hanno molti alleati. Possono contare su di loro per contenere la Cina?
 
Anche là Washington ha fallito, a causa della sua avidità. Il Sud-Est asiatico ha conosciuto una crisi economica terribile nel 1997 causata da un grande "errore" degli Stati Uniti. Tutto è iniziato con una svalutazione della moneta tailandese, sotto l'attacco degli speculatori. I mercati azionari sono caduti in preda al panico e molte aziende sono fallite. La Thailandia aveva sperato nell'aiuto degli Stati Uniti, era un fedele alleato. Ma la Casa Bianca non si mosse. Respinse anche l'idea di creare un Fondo monetario asiatico per aiutare i paesi più colpiti. In effetti, le multinazionali statunitensi hanno beneficiato della crisi asiatica, per eliminare i concorrenti asiatici la cui ascesa li preoccupava.
 
Infine, fu la Cina a salvare la regione dal disastro decidendo di non svalutare la propria moneta. Una moneta debole favorisce le esportazioni,. Se lo yuan fosse stato svalutato, l'aumento delle esportazioni cinesi avrebbero completamente annientato le economie dei paesi vicini già in cattive acque. Quindi, mantenendo il valore della sua valuta, la Cina ha permesso ai paesi della regione di rilanciare le esportazioni e risollevarsi. Molti governi asiatici provarono una certa amarezza verso Washington, per il suo ruolo in questa crisi e il Primo Ministro malese dichiarò: "La collaborazione con la Cina e il suo alto senso di responsabilità hanno preservato la regione da uno scenario ancora più catastrofico".
 
Da allora, le relazioni economiche tra la Cina e i suoi vicini hanno continuato a crescere. Nel 2007 Pechino è anche diventata il principale partner commerciale del Giappone, nonostante il paese nipponico sia uno degli alleati strategici degli Stati Uniti in Asia.
 
Inoltre, la Cina non ha pretese egemoniche nella regione. Gli Stati Uniti credevano che i paesi dell'Oceano Indiano si sarebbero spaventati della potenza cinese e avrebbero cercato protezione. Ma la Cina ha stabilito con i paesi vicini relazioni sulla base del principio di uguaglianza. Da questo punto di vista, gli Stati Uniti hanno perso la battaglia anche in Asia orientale.
 
Gli Stati Uniti non hanno dunque modo di impedire la competizione alla Cina?
 
Pare di no. Per crescere, la Cina ha un bisogno vitale di risorse energetiche. Gli Stati Uniti cercano quindi di controllare queste risorse ed evitare che raggiungano la Cina: questo era un obiettivo chiave delle guerre in Afghanistan e in Iraq, trasformatosi in un fiasco. Gli Stati Uniti hanno distrutto questi paesi per insediare dei governi docili, ma senza successo. La ciliegina sulla torta: i nuovi governi di Iraq e Afghanistan hanno relazioni commerciali con la Cina! Pechino non ha dovuto spendere miliardi di dollari in una guerra illegale per arrivare all'oro nero iracheno: le imprese cinesi si sono semplicemente aggiudicate delle concessioni petrolifere in aste del tutto regolari.
 
E' evidente che la strategia dell'imperialismo degli Stati Uniti è un fallimento su tutta la linea. Resta nondimeno un'opzione agli Stati Uniti: mantenere il caos per impedire che la stabilità di questi paesi favorisca la Cina. Ciò significa continuare la guerra in Iraq e Afghanistan ed estenderla ad altri paesi come l'Iran, lo Yemen e la Somalia.
 
Questo approccio miope potrebbe avere effetti catastrofici, perché indurrebbe i popoli su posizioni più spiccatamente anti-statunitensi, anti-NATO e anti-occidentali. Coloro che volessero perseverare sull'opzione militare, farebbero meglio a studiare la storia degli Stati Uniti degli ultimi sessant'anni: Washington non ha mai vinto una guerra, se si esclude quella contro la piccola isola di Grenada (1983).
 
Come è iniziato il declino dell'Impero statunitense?
 
Dopo la seconda guerra mondiale, gli USA vincevano il jackpot. Erano intervenuti alla fine del conflitto, dopo aver a lungo sostenuto, con gran lucro, i due campi avversi: gli alleati e il nazismo. Infine, Washington decise di venire in aiuto agli alleati. Alla fine della guerra, la Gran Bretagna era gravata da enormi debiti, il potere tedesco era distrutto e l'Unione Sovietica aveva pagato un prezzo pesante (più di venti milioni di morti) per sconfiggere l'esercito nazista. Per contro, gli Stati Uniti, che non avevano fatto praticamente alcun sacrificio, uscirono gran vincitori: disponevano di un vasto territorio, l'industria procedeva a pieno ritmo, le capacità nel settore agricolo erano ampie mentre i principali concorrenti erano in ginocchio. E' così che gli Stati Uniti sono diventati una superpotenza mondiale.
 
Ma poi, hanno speso tutto il jackpot vinto con la seconda guerra mondiale per combattere il comunismo. L'economia statunitense è stata militarizzata e le guerre si sono concatenate: dalla Corea all'Iraq passando per il Vietnam, solo per citarne alcune. Oggi, ogni dollaro messo a bilancio dal governo degli Stati Uniti, settanta centesimi sono per l'esercito. Un disastro! Le altre industrie principali del paese sono andate distrutte, le scuole e gli ospedali pubblici sono in pessime condizioni.
 
Cinque anni dopo l'uragano Katrina, gli abitanti di New Orleans vivono ancora nei campi. Possiamo paragonare questa situazione a quella del Libano: chi aveva perso l'abitazione a causa dei bombardamenti israeliani del 2006, ha trovato una casa grazie a Hezbollah. Cosa che ha indotto un mullah che vive negli Stati Uniti a dire che sarebbe meglio vivere in Libano che negli Stati Uniti, perché nel paese dei cedri hai almeno un tetto sopra la testa.
 
La militarizzazione ha fortemente indebitato gli Stati Uniti. Ma oggi, il loro principale creditore non è altri che ... la Cina! Curiosamente, il destino di questi due grandi competitori sembra intimamente legato.
 
Sì, l'economia ha i suoi risvolti pazzeschi! In effetti, la Cina esporta molti prodotti verso gli Stati Uniti, incassando molti dollari. L'accumulo di valuta straniera consente alla Cina di mantenere un tasso di cambio stabile tra lo yuan e il biglietto verde, cosa che favorisce le esportazioni. Inoltre la disponibilità di dollari ha indotto Pechino a comprare buoni del Tesoro statunitensi che finanziano il debito USA. Con il finanziamento del debito degli Stati Uniti, possiamo dire che la Cina finanzia la guerra contro il terrorismo! Ma il Pentagono conduce in realtà questa guerra per controllare le risorse energetiche del mondo e cercare così di contenere la crescita della Cina. Vedete, la situazione è paradossale! Ma questa campagna è un fallimento degli Stati Uniti e la loro economia è sull'orlo del fallimento.
 
Non resta che una sola possibilità: ridurre le spese militari e utilizzare il bilancio per rilanciare l'economia. Ma l'imperialismo ha una logica dominata dal profitto immediato e la concorrenza sfrenata: continua la sua corsa fin quando muore. Lo storico Paul Kennedy ha studiato la storia dei grandi imperi: ogni qualvolta l'economia di una grande potenza è in declino, mentre le spese militari aumentano, questa grande potenza è destinata a scomparire.
 
Così è la fine dell'"Impero americano"?
 
Chi può dirlo? La Storia procede a zig-zag e io non ho la sfera di cristallo per predire il futuro. Ma tutto contribuisce a decretare la fine dell'egemonia USA. Non esisterà più una superpotenza mondiale e gli Stati Uniti, probabilmente, si trasformeranno in una importante potenza regionale. Assisteremo allora all'inevitabile ritorno del protezionismo e, quindi, alla fine della globalizzazione. I blocchi economici regionali stanno emergendo e tra questi l'Asia sarà il più forte. Oggi, ci sono sempre meno miliardari nell'occidente bianco. Sono in Asia, dove ci sono ricchezze e capacità produttive.
 
Che cosa succederà in Europa?
 
Ha forti legami con gli Stati Uniti. In particolare attraverso la NATO, una invenzione degli Stati Uniti apparsa dopo la seconda guerra mondiale per il controllo del vecchio continente. Tuttavia, penso che vi siano due tipi di dirigenti in Europa: filo-statunitensi ed europeisti genuini. I primi restano dipendenti da Washington. I secondi privilegiano gli interessi dell'Europa e guardano alla Russia. Con la crisi economica e il declino degli Stati Uniti, è razionale per l'Europa voltarsi verso l'Asia.
 
Nel suo famoso libro La Grande Scacchiera, il politologo statunitense Zbigniew Brzezinski temeva un'alleanza tra Europa e Asia. Ma diceva che questa alleanza probabilmente non avrebbe mai visto la luce del giorno, a causa delle differenze culturali.
 
Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno dominato la scena economica, in particolare in Europa, dove hanno esportato la loro cultura e lo stile di vita. L'economia genera legami culturali, ma la cultura non crea collegamenti se lo stomaco non è pieno. Non mangiamo cultura. Inoltre, quando lo stomaco è vuoto, la cultura viene dopo l'economia.
 
Così oggi, mentre il mondo capitalista è in crisi, l'Europa deve anteporre i suoi interessi economici ai legami culturali che la legano agli Stati Uniti. Sarebbe logico si voltasse ad oriente. Tanto più che i vincoli culturali tra Europa e Stati Uniti sono stati forgiati da Hollywood. Storicamente, possiamo dire che sono più forti i legami culturali tra, ad esempio, l'Italia e la Libia o tra la Spagna e il Marocco.
  
Henry Kissinger,  fino a quando non permise che iraniani e iracheni si uccidessero a vicenda, sostenne che l'egemonia degli Stati Uniti fosse essenziale per mantenere la pace e diffondere la democrazia in tutto il mondo. Molti specialisti come Brzezinski hanno sostenuto la stessa idea. La fine dell'"Impero Americano", non rischia di provocare conflitti maggiori?
 
La democrazia di cui parlano è quella dei paesi imperialisti occidentali, che rappresentano solo il 12% della popolazione mondiale. Inoltre, non possiamo davvero dire che l'egemonia degli Stati Uniti ha portato pace e stabilità nel mondo. Al contrario! Per rimanere l'unica superpotenza al mondo, ha scatenato e fomentato guerre in tutto il mondo.
 
Oggi, molti europei, anche se condannano gli eccessi degli Stati Uniti non desiderano veder cadere l'"Impero Americano". Sono sessant'anni che Washington domina militarmente il vecchio continente, affermando di proteggerlo. Molti europei hanno paura di rinunciare a quella "protezione" e di farsi carico della propria sicurezza.
 
Un esercito europeo richiederebbe l'investimento di gran parte dell'economia europea. Ma non essendo questo un settore produttivo, il rifinanziamento massiccio potrebbe innescare una nuova crisi. Inoltre, se si investisse nell'esercito, una questione si porrà: chi combatte? In caso di guerra, l'Europa andrebbe incontro a gravi problemi demografici.
 
A mio parere, questa situazione spiega la volontà di alcuni leader europei di avvicinarsi alla Russia. Questa è l'unica alleanza, pacifica e prospera, che è possibile per l'Europa. La Russia diventerebbe una grande potenza, in cui gli europei potrebbero investire le loro tecnologie. Ma gli Stati Uniti si sono opposti all'integrazione della Russia in Europa. Se questo dovesse succedere, ci sarà davvero qualcuno di troppo e Washington lascerà il vecchio continente.
 
Gli otto anni dell'amministrazione Bush, la sua politica guerrafondaia con delle spese militari faraoniche e i suoi miserabili fallimenti hanno accelerato il crollo degli Stati Uniti. Pensa che Barack Obama possa cambiare qualcosa?
 
La sua elezione è storica. Gli afro-americani hanno sofferto tanto in passato. Anche se hanno contribuito enormemente allo sviluppo degli Stati Uniti, i loro diritti politici sono stati traditi. Infatti, durante la guerra civile americana, gli afro-americani sono stati vittime della schiavitù nel Sud. La borghesia del Nord promise loro la libertà, se si fossero battuti per essa. Gli schiavi accettarono e la loro partecipazione al conflitto permise al Nord di vincere. Tra il 1860 e il 1880, gli Stati Uniti hanno conosciuto un periodo di prosperità, senza razzismo, definita ricostruzione dal famoso leader afro-americano William Edward Burghardt Du Bois. Ma ben presto, l'elite degli Stati Uniti si è allarmata nel vedere persone di colore, lavoratori e semplici cittadini riunirsi: le proprietà della minoranza borghese erano minacciate dalla solidarietà delle classi popolari. Quindi la segregazione ritorna. Essa aveva come obiettivo di rompere l'unità delle classi, spingere i cittadini comuni l'uno contro l'altro, per preservare l'elite da qualsiasi rivolta.
 
Data la storia degli Stati Uniti, l'ascesa di un uomo nero alla Casa Bianca è molto importante. Ma se Barack Obama è, per via del suo colore, un presidente liberale, ciò non è abbastanza: la natura reazionaria dell'imperialismo statunitense è riemersa, come si vede, sempre di più. Pertanto, non credo che Barack Obama potrà cambiare nulla nei mesi e negli anni a venire. L'imperialismo non può essere modificato o adattato. Dovrebbe essere rovesciato.
 
Qual è il ruolo del mondo musulmano nel grande confronto Stati Uniti - Cina? Il suo ruolo è veramente importante?
 
Molto importante. Come ho detto prima, gli USA hanno demonizzato il "pericolo islamico" in una serie di paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano: Somalia, Paesi del Golfo, Asia centrale, Pakistan, Indonesia ... L'obiettivo, legato agli interessi delle multinazionali degli Stati Uniti, è il controllo del petrolio, delle risorse energetiche e delle vie strategiche di comunicazione nella regione. Ma nel Medio Oriente e in tutto il mondo musulmano si è sviluppata una corrente antimperialista che resisiste al dominio degli Stati Uniti.
 
Si tratta di un fattore molto positivo. Tutti i popoli del mondo hanno interesse a stabilire rapporti basati su principi di uguaglianza e di porre fine al più presto all'egemonia occidentale che ha causato così tante aggressioni e crimini. Nel passato, molte personalità e correnti politiche hanno cercato di spingere il mondo musulmano tra le braccia degli Stati Uniti e della loro grande alleanza anti-comunista. Ma in realtà, gli interessi dei popoli dell'"arco islamico" e l'interesse dei musulmani si trova da un'altra parte. Se ognuno comprendesse e sostenesse il ruolo positivo della Cina nel riequilibrio degli attuali rapporti mondiali di potere sarebbe possibile una grande alleanza di tutti i paesi che cercano di svilupparsi in modo autonomo nell'interesse del proprio popolo, sfuggendo così al saccheggio e alle ingerenze delle potenze imperialiste.
 
Ognuno dovrebbero informare sulla questione per far prendere coscienza di questi cambiamenti importanti e positivi. Mettere fine all'egemonia delle potenze imperialiste aprirà grandi prospettive per la liberazione dei popoli.
 
Mohamed Hassan raccomanda le seguenti letture:
 
Robert D. Kaplan, Center Stage for the Twenty-first Century, in Foreign Affairs, March/April 2009
Robert D. Kaplan, The Geography of Chinese Power, in Foreign Affairs, May/June 2010
Chalmers Johnson, No longer the lone superpower – Coming to terms with China
Cristina Castello, “Diego Garcia”, pire que Guantanamo : L’embryon de la mort
Mike DAVIS, Génocides tropicaux. Catastrophes naturelles et famines coloniales.
Aux origines du sous-développement, Paris, La Découverte, 2003, 479 pages
Peter Franssen, Comment la Chine change le monde
Pepe Escobar, China plays Pipelineistan
Edward A. Alpers, East Africa and the Indian Ocean,
Patricia Risso, Merchants And Faith : Muslim Commerce And Culture In The Indian Ocean (New Perspectives on Asian History)
F. William Engdahl, A Century of War, Anglo-American oil politics and the new world order
Michel Collon, Media Lies and the Conquest of Kosovo (NATO’s Prototype for the Next wars of Globalization), traduction anglaise de Monopoly, Investig’Action

 


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