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da http://www.rebelion.org - 30 maggio 2005


Sarà sconfitta l’integrazione bolivariana dell’emisfero?

Heinz Dieterich

 

a cura di Sandra Mirna      

 

1. Si sta esaurendo l’energia integratrice bolivariana?

 

Si comincia ad osservare un preoccupante raffreddamento del “magma rivoluzionario” che il vulcano della Rivoluzione Venezuelana aveva cominciato a spargere per tutta l’America Latina.

 

Se questa ipotesi è corretta, si devono analizzare cinque probabili cause principali: 1) l’incessante offensiva antibolivariana di Washington in tutto il subcontinente; 2) il breve periodo di consolidamento del processo bolivariano; 3) la scarsa indagine scientifica sul carattere politico-economico della Rivoluzione che consente uno spropositato dominio dei discorsi superficiali che rendono difficile la comprensione delle possibilità e dei limiti oggettivi dell’evoluzione del processo e che, allo stesso tempo, subisce l’influenza di discorsi settari; 4) la considerevole inefficienza degli Stati latinoamericani, ad eccezione di quello cubano, come ad esempio si osserva nei loro deplorevoli apparati diplomatici che sono incapaci di difendere l’Amazzonia – che in meno di due anni potrebbe essere consegnata (!) dal cavallo di Troia di Bush, la Dottoressa Rosalia Arteaga della OTCA al Dipartimento di Stato statunitense, alla GTZ della Germania, al programma di Biocommercio dell’ONU, alla AECI e al CYTED spagnoli, al GEF della Banca Mondiale, alle varie agenzie di vigilanza satellitare dell’UE, alla Francia e attraverso a questa all’OMC, alla Bayer alla Novartys, tra le transnazionali; 5) l’incapacità teorico-pratica delle forze bolivariane del continente a convertire il Progetto Storico di Chavez in soggetto trasformatore della propria realtà nazionale.

 

Questo saggio è dedicato all’analisi della quinta variabile (indipendente) dell’ipotesi.

 

2. L’identificazione con la Rivoluzione Bolivariana

 

Il tipo di identificazione con la Rivoluzione Bolivariana che prevale fuori dal Venezuela può essere definito in differenti forme. Potrebbe essere chiamato un processo di identificazione soggettivista, formale o di materialismo meccanico, a seconda del linguaggio scientifico che si pretenda adottare per l’analisi.

 

Due aspetti predominanti del fenomeno, senza dubbio, sono immediatamente percepibili: a) una specie di attitudine millenarista combinata con aspetti di mercantilismo politico; e b) che l’identificazione dialettico-materialista con l’esperienza venezuelana, che sarebbe la più necessaria la più idonea per latinoamericanizzarla, praticamente non si è radicata nella Patria Grande.

 

L’atteggiamento mentale rispetto al processo venezuelano che prevale nel resto dell’America Latina è, essenzialmente, equivalente alla disposizione ad importare la rivoluzione. Però tremila anni di storia ci hanno insegnato che voler importare una rivoluzione è altrettanto futile che tentare di esportarla. E i primi risultati frustranti di questo esercizio inutile cominciano a manifestarsi con chiarezza.

 

3. Avanguardia e importazione della rivoluzione

 

Ai tempi della Rivoluzione Cubana era un desiderio generalizzato delle forze antimperialiste latinoamericane che apparisse un Fidel o un Che in ognuno dei nostri paesi, per dirigere i rispettivi processi di emancipazione. Il fondamento razionale che si dava a tale desiderio era la tesi secondo cui le condizioni oggettive per la rivoluzione esistevano in tutta l’America Latina e che, pertanto, mancava solamente il fattore soggettivo per sconfiggere i regimi borghesi. Su tali basi, Regis Debray divulgò la “teoria del fuoco”.

 

Senza dubbio, non disponendo sulla terra ferma di un’avanguardia del livello di quella cubana, il vuoto di direzione venne riempito dai settori più pieni di abnegazione e sensibilizzati dei popoli latinoamericani, con i tragici risultati che conosciamo. Non era una conseguenza deterministicamente inevitabile, come avrebbe affermato in seguito il riformismo, ma, dal punto di vista della dialettica materialista, era altamente probabile, perché, in ultima istanza, anche il fattore soggettivo rappresenta una condizione oggettiva.

 

Non si è potuto sostituire l’assenza di questa condizione oggettiva con la volontà di cambiamento dei più coscienti e coinvolti, né tanto meno con l’esportazione dell’ “avanguardia” sperimentata – come hanno dimostrato le esperienze del Che in Argentina (Salta), Africa e Bolivia – perché un’avanguardia non si può improvvisare. E’ un prodotto della lotta e come ogni prodotto ha tempi oggettivi che non si possono saltare, senza compromettere il risultato.

 

Senza dubbio, davanti al disperato bisogno del cambiamento necessario, i popoli non fanno caso a queste verità scientifiche, ma ricorrono a propri veicoli di trasformazione soggettivamente possibili, ed è per questo che oggi si ripete il processo di identificazione spontanea con l’avanguardia esterna, l’eroe-liberatore Hugo Chavez.

 

Però, la verità oggettiva non sparisce in presenza del desiderio ma si impone attraverso il suo fallimento. E’ per questo che tutti i tentativi di copiare la via cubana al potere sono naufragati sulla terra ferma continentale, in passato. E che, oggi cominciamo a vedere il pericolo di un nuovo fallimento regionale di una rivoluzione nazionale attraverso il meccanismo di identificazione descritto.

 

In tal senso, gli Zapatisti sono stati nel giusto quando hanno cercato di non ripetere in Messico il modello classico della guerriglia latinoamericana e, particolarmente, cubana, optando per una forma di lotta che potremmo intendere come “propaganda armata”. Sembrerebbe, comunque, che la carica iniziale di tale virtù creativa sia stata annullata nel corso del tempo, per aver essi mantenuto da oltre un decennio un atteggiamento di negazione astratta del vecchio problema dell’avanguardia con la conseguente caduta in illusioni anarcoidi e “autonomiste”.

 

L’atteggiamento di negazione astratta dell’avanguardia che si manifesta in determinati esponenti dell’EZNL, ha il suo contrario nell’avanguardismo presente in questo momento in Bolivia, dove un gruppo di leader promuove un’insurrezione che può solo terminare con una sconfitta delle forze popolari, perché il fattore soggettivo non ha raggiunto il grado di preparazione necessario per dirigere il paese dopo la caduta di Mesa.

 

4. Dal Libertador vivo all’Icona della Liberazione

 

Riassumendo l’inferenza centrale sul processo venezuelano: l’interpretazione e l’importazione non dialettica-materialista dell’esperienza venezuelana tende a procreare una nuova icona o totem della liberazione, con rispettivo culto e sacerdozio, prima di generare una forza materiale e un soggetto irresistibile di trasformazione anti-monroeista nella Patria Grande, a partire dai movimenti sociali e dalle direzioni di base.

 

In questo modo, i guardiani del culto, reclutati o autopromossi nella loro maggioranza tra gli intellettuali organici e i burocrati di Stato, rendono omaggio annuale in lussuosi alberghi non al Libertador e alla sua prassi, ma alla sua immagine. Tutto ciò viene incoraggiato dai mandarini dell’Impero che sono i primi interessati a sostituire la qualità espressiva e di direzione dell’eroe-guerriero nella semplice dimensione simbolica dell’icona che li faciliterà nella preparazione dell’offensiva iconoclasta, esattamente come fu fatto con successo durante la Prima Indipendenza della Patria Grande  

 

5. I “traditori” Lula e Kirchner

 

All’erronea aspettativa millenarista si sovrappone un secondo errore che consiste nel comparare la realtà nazionale e regionale con l’idealizzata figura e prassi dell’idolo, convertito in icona. Come in ogni comparazione di un ideale con la realtà, la realtà esce screditata.

 

Paragonando Lula e Kirchner a Chavez, generalmente in modo personalizzato, astorico e astratto, si giunge alla conclusione che il brasiliano e l’argentino, a differenza del leader venezuelano, sono dei “traditori” delle cause popolari, della rivoluzione e del socialismo. Questa affermazione viene ripetuta all’infinito, sebbene non si possano nutrire dubbi sullo status politico di entrambi i presidenti, dato che gli stessi Kirchner e da Silva si sono incaricati ripetute volte di acclarare pubblicamente il carattere di classe della loro politica, enunciando di non essere di “sinistra” e neppure “rivoluzionari”.

 

Di fronte a questa evidenza empirica, può solo partire da teste carenti di consistenza teorica l’accusa di “traditori”, perché costituisce un’impossibilità logica o contradictio in adiecto: è logicamente impossibile che un politico borghese “tradisca” la rivoluzione o il popolo, perché la sua missione di classe consiste precisamente nell’evitare la rivoluzione e la presa del potere da parte del popolo. Non tradisce un “compromesso”, perché non lo ha mai fatto. E ciò che non esiste, non si può tradire.

 

Partendo da questa logica occorre domandarsi: perché il settarismo – utilizzando fraudolentemente l’arcaica logica binaria del mito, del bene e del male – si sforza di continuare la discussione fino alla nausea in merito allo status di “traditori” di Lula e di Kirchner? La risposta è ovvia.

 

Discutere di questo tutto il tempo, come succede ad esempio in Argentina e, in parte, in Brasile, favorisce gli operatori ideologici e politici del sistema. Nel discutere in merito ad un falso problema – il carattere di classe di Lula e Kirchner -, falso problema perché gli stessi protagonisti hanno chiarito per quale classe sociale realizzano la loro missione politica, non lascia più il tempo per discutere del problema e della domanda reale:

 

In questo momento esistono in Argentina e Brasile operatori borghesi, in grado di generare condizioni migliori per la lotta degli oppressi, che abbiano una reale possibilità di sostituirli? Se la risposta è si, bisogna lavorare per metterli al potere. Ma se la risposta è no, occorre trovare un modus vivendi con Kirchner e con Lula che permetta di generare il soggetto trasformatore con un progetto storico percorribile, con l’obiettivo di sostituirli, cosa che ovviamente non si ottiene con un pensiero manicheo e la stralunata frase del “governo degli operai e dei contadini”.

 

6. Mancano gli strumenti per creare un soggetto bolivariano emisferico

 

Il fatto che i movimenti di solidarietà con il Venezuela in America Latina non abbiano conseguito di costituirsi in una forza reale all’interno dei loro paesi è evidente a molti livelli. Il più chiaro indicatore di questa situazione è, probabilmente, il fatto che la grande maggioranza dei movimenti sociali e dei partiti politici “progressisti” dei paesi latinoamericani, dove risiede l’autentico potere della base, continuano a promuovere politiche in termini esclusivamente nazionali.

 

Gli sforzi organizzativi dello Stato venezuelano di creare dinamiche internazionali a livello degli intellettuali e dei popoli latinoamericani hanno contribuito a divulgare in qualche modo il processo bolivariano, ma non hanno generato nessuna forza reale di trasformazione bolivariana in nessun paese.

 

Con la possibile eccezione del Movimento al Socialismo (MAS) di Evo Morales in Bolivia, tutti i grandi movimenti della Patria Grande, civici o armati, indigeni o civili, contadini o operai, assumono il bolivarianismo come qualcosa di collaterale, di non costitutivo della loro prassi politica nazionale-regionale.

 

Ciò vale tanto per il Brasile, quanto per l’Argentina, la Colombia, l’Ecuador e il Centroamerica. E il caso di Evo Morales, che appare come un’eccezione di fronte al modello regionale, non è dovuto all’efficienza degli strumenti di integrazione del bolivarianismo, ma al suo intenso e frequente contatto personale con Hugo Chavez e Fidel Castro.

 

7. Il dilemma teorico- affettivo

 

L’identificazione formal-millenarista con il Salvatore, che prevale tra la gente onesta dei movimenti di solidarietà internazionale con Chavez – a differenza dei mercantilisti che pretendono di usare la Rivoluzione Bolivariana come una franchigia per ottenere maggior ascolto e potere – impedisce l’identificazione dialettica materialista con l’eroe che permetterebbe di ricreare nel proprio paese le condizioni per la ripetizione del processo liberatore che ha avuto luogo in Venezuela.

 

E’ per questo che del protagonista liberatore Hugo Chavez si importa solo la raggiante immagine della sua prassi attuale trionfante, ma non il suo lavoro costruttivo di formica attuato per due decenni, né tanto meno l’analisi delle condizioni oggettive del processo venezuelano, dei contrattempi e degli errori commessi durante i vent’anni della sua esistenza.

 

L’ammirazione affettuosa, che è il centro di tutto il rituale di culto dei grandi miti fondativi, rende eterna la relazione tra l’omaggiato e i suoi seguaci e infonde forza emotiva, ma è una pessima guida per la teoria e la prassi della liberazione.

 

Oltre a questa disposizione soggettiva che rende estremamente difficoltosa l’applicazione creativa e razionale dell’esperienza venezuelana alla realtà di altri paesi, esiste una condizione favorevole nel processo venezuelano, che non esiste in nessun altro paese: l’identità tra la base ideologica del progetto di nazione di Chavez e quella del progetto continentale attraverso l’eroe Bolivar.

 

Mancando negli altri paesi questa coincidenza a priori tra la dimensione nazionale e regionale, gli attori sociali devono creare una “cerniera” teorica e affettiva per generare il soggetto di liberazione nazional-emisferico. Senza dubbio, tale obiettivo trascende le capacità e gli interessi del sacerdozio, fatto che spiega, nonostante i molti fondi che riceve, come sia stato incapace di elevare la prassi dei movimenti latinoamericani da nazionale a bolivariana.

 

Se tale situazione dovesse permanere, il bolivarianismo latinoamericano e internazionale, nonostante le sue solenni dichiarazioni annuali, sarà un gigante dai piedi di argilla incapace di sconfiggere l’offensiva monroeista che sta crescendo.

 

8. Esiste una soluzione per vincere?

 

Tutti i tentativi di creare un Blocco Regionale di Potere Latinoamericano (BRPL) sono stati sconfitti nel corso della storia latinoamericana, da Tupac Amaru alla Prima Indipendenza fino al duo Peron-Vargas.

 

Se non vogliamo tornare a subire il medesimo destino oggi, c’è un solo potere capace di impedirlo: l’alleanza tra i governi latinoamericani del “desarrollismo” democratico e i popoli latinoamericani, con l’appoggio degli intellettuali critici. Delle organizzazioni create per appoggiare Chavez all’estero o preesistenti, nessuna pare essere funzionale allo scopo.

 

La missione verrà raccolta allora, “per default”, dalle mani dei leader emergenti delle basi combattive della società latinoamericana, che hanno una reale vocazione antimperialista e che nel complesso sono l’unico soggetto capace di far “innamorare” i popoli per la causa bolivariana e garantirne, in tal modo, il suo trionfo.

 

Purtroppo, questi leader emergenti non appaiono nei fori degli organizzatori del bolivarianismo internazionale, che si raggruppano sempre di più in assemblee di rappresentanti di vertice, intellettuali organici degli Stati e “franchi tiratori”, vale a dire, rappresentanti del culto.

 

Di fronte a questa situazione di inefficienza, la domanda decisiva è: avremo il tempo necessario per la maturazione del soggetto liberatore bolivariano, dell’avanguardia di massa continentale cosciente, organizzata e disponibile, o saremo ancora una volta sbaragliati dall’offensiva del Monroeismo?

 

[Le grassettature nel testo sono del traduttore]

 

Traduzione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare