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da People's Weekly World Newspaper, 18/08/05

Cina e India: una questione di classe


di Wadi'h Halabi,

Cina ed India vengono spesso equiparate. Ambedue le nazioni superano il miliardo di abitanti, le loro università licenziano ogni anno un gran numero di ingegneri e di laureati in discipline scientifiche.  In una recente relazione dell’Economist,  Cina ed India vengono definite “le due tigri”. Tuttavia questa equiparazione è superficiale. Politicamente e, in conseguenza, socialmente ed economicamente i due stati sono di “specie” diverse. Lo Stato cinese deriva da una rivoluzione socialista, quello indiano è ancora capitalista.
I lavoratori indiani, i loro sindacati ed i loro partiti hanno, tuttavia, gli stessi interessi dei lavoratori e dei sindacati cinesi e dello stesso Stato  cinese.

Dal punto di vista economico le differenze tra la Cina e l’India sono sorprendenti. Nascosto tra i paragrafi e senza alcun commento, l’Economist, riporta che il reddito medio in India era sceso dai 619 dollari nel 1950 a meno di 410 dollari nel 2003 (in dollari del 1990) – il reddito medio è, dunque, caduto di un terzo!  Nel 1995 il manuale della US Army sull’India riportava che la popolazione sotto la soglia ufficiale della povertà era balzata, nei sei anni precedenti, dal 26% al 38%, coinvolgendo altri 130 milioni di persone. Come risposta il governo indiano ha, allora, abbassato i suoi standard di povertà! Ciò ha riportato sotto tale soglia solo il 25% della popolazione attuale, pari a 260 milioni di persone. Ma la Banca Mondiale ha smentito questa valutazione stimando che gli indiani che vivono sotto gli standard di povertà assoluta siano il 35% dell’intera popolazione.

All’opposto il reddito medio cinese è più che raddoppiato dal 1950,  più di 400 milioni di persone sono emerse dalla povertà assoluta e solo il 10% rimane sotto tale livello.  E non cresce solo il livello di vita. Crescono anche la sanità pubblica, la qualità dell’alimentazione, le condizioni di lavoro, l’edilizia abitativa, la scuola, la cura dell’ambiente, le infrastrutture dei trasporti, la rete elettrica, la condizione generale nelle campagne, ecc. Mentre gli esperti in questi campi sono in generale diminuzione in India e nel resto del mondo capitalista, Stati Uniti compresi, il loro numero cresce in Cina, anche se ancora non in modo uniforme (l’Economist ha rifiutato una lettera che sottolineava queste differenze).

La differenza tra la Cina e l’India è che la prima ha avuto una rivoluzione socialista nel 1949, mentre tale rivoluzione rimane nel futuro dell’altra. Di conseguenza lo Stato cinese è il prodotto di una rivoluzione storica  dalla quale dipendono tutti gli enormi cambiamenti che ne sono derivati. A differenza dell’India, la Cina può, dunque, superare le sfide – dalla povertà, disoccupazione, disuguaglianza, fino alla sanità pubblica ed i problemi ambientali – che, invece,  il capitalismo può solo cercare di nascondere.

Tra tali sfide bisogna considerare anche l’ antagonismo di classe che i capitalisti ed i loro stati coltivano nei confronti della Cina per proteggere il loro potere ed i loro profitti. Lo stesso antagonismo sviluppato nei confronti dell’Unione Sovietica e, sempre ed ovunque, verso i sindacati ed i partiti operai.

Così l’attitudine contro lo sviluppo della Cina cresce col crescere dei problemi di Wall Street e di Washington. L’esorbitante prezzo del petrolio imposto dai monopoli di Wall Street e dalla speculazione non solo colpisce la Cina ma ne disarticola la pianificazione, diffondendo incertezza ed instabilità sociale. La speculazione su altre merci importanti per la Cina, come la soia ed il nickel, ha riflessi analoghi.

L’incalzante sfida dell’imperialismo alla Repubblica Democratica della Corea del Nord, anch’essa prodotto di una rivoluzione socialista, è, in ultima analisi diretta contro lo Stato cinese. Allo stesso scopo sono diretti il riarmo USA di Taiwan, l’installazione di basi militari nell’Asia centrale, il crescente legame militare col Giappone ed i suoi sforzi per determinare analoghi rapporti con l’India diretti contro la Cina  e ovunque, contro i lavoratori e le loro organizzazioni. L’Unione Sovietica dovette sopportare una sfida analoga prima e durante quella II Guerra mondiale che fu sollecitata dalla crisi capitalista.
Negli anni ‘70 ed ‘80, la nuova ondata di problemi del capitalismo portarono ad un confronto sempre più generale economico, politico e militare contro l’URSS ed i suoi alleati, Cuba inclusa. Anche allora, il capitalismo cercò di diminuire il costo del lavoro e di indebolire le organizzazioni dei  lavoratori degli stessi paesi capitalisti, quelle sindacali negli Stati Uniti, quelle dei minatori in Inghilterra, ecc.  La lezione profonda che deriva dall’”uragano” capitalista contro la sopravvivenza dello Stato cubano è l’importanza di un forte partito di classe e di un movimento sindacale e della direzione, profondamente unita ed, in ultima analisi sotto il controllo della sua base operaia.

La crescita della Cina affronta una sfida generale dal mondo capitalista. La Cina può superare questa sfida, con l’appoggio dei lavoratori cinesi, indiani e del mondo.

Traduzione di Giuliano Cappellini