www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 28-06-13 - n. 460

Capitalismo, democrazia ed elezioni

Richard D. Wolff | mrzine.monthlyreview.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

21/06/2013

Il capitalismo e l'autentica democrazia non hanno mai avuto molto a che fare l'uno con l'altra. Al contrario, la formalità delle elezioni ha operato egregiamente a favore del capitalismo. Dopo tutto, le elezioni hanno raramente posto, figuriamoci deciso, la questione del capitalismo, nel senso che raramente si è chiesto agli elettori se lo preferiscono a un sistema economico alternativo. I capitalisti hanno incentrato le elezioni altrove, su questioni e scelte non sistemiche. Ciò ha consentito loro prima di equiparare la democrazia alle elezioni e poi di celebrare le elezioni in paesi capitalisti come prova della democrazia. Naturalmente, le elezioni sono ammesse solo all'esterno delle imprese capitalistiche, poiché al loro interno - dove i dipendenti sono la maggioranza - non si verificano mai.

La democrazia autentica significa che le decisioni importanti che riguardano la vita delle persone sono prese realmente e ugualitariamente dalle persone interessate. L'organizzazione capitalistica delle imprese così contraddice direttamente la democrazia reale. All'interno delle corporazioni che dominano il capitalismo moderno, una piccola minoranza - i principali azionisti e i consigli di amministrazione da loro eletti - prendono decisioni chiave che riguardano quelli che nella gerarchia aziendale sono sottoposti: i dipendenti. Quella piccola minoranza decide quali prodotti la società produrrà, quali tecnologie saranno utilizzate, dove si svolge la produzione e come sarà distribuito il fatturato netto della società. La maggioranza è influenzata, spesso profondamente, da quelle decisioni, ma non partecipa al processo decisionale.

All'interno delle aziende capitalistiche moderne, la democrazia reale (come quella elettorale) è esclusa. Le società che celebrano il loro impegno alla democrazia e giustificano le politiche di governo (tra cui le guerre) con la promozione della democrazia, tuttavia la escludono dai luoghi di lavoro. Una forte contraddizione che pone seri problemi. Consciamente o inconsciamente, i lavoratori sentono ed esprimono insoddisfazioni che riflettono questa contraddizione.

Ad esempio, i lavoratori percepiscono la mancanza di rispetto da parte dei vertici delle imprese. Spesso sentono che le loro capacità e creatività non vengono riconosciute o restano inutilizzate o svalutate. Le manifestazioni di questi sentimenti sono l'assenteismo, le tensioni interpersonali e malfunzionamenti legati al lavoro (alcolismo, insubordinazione, furti, ecc.). L'esclusione della democrazia dai luoghi di lavoro spesso provoca risentimenti e resistenze che riducono la produttività e i profitti. Le aziende hanno da tempo risposto con l'assunzione di vari livelli di costosi supervisori sul posto di lavoro, a cui destinano grandi budget. Quelle spese aziendali sono tra i costi inutili del capitalismo: somme deviate dagli investimenti, dalla crescita economica, dal progresso tecnico e da altri preferibili usi sociali.

Le elezioni al di fuori del posto di lavoro si trovano in un rapporto ambivalente tra l'esclusione del capitalismo e la democrazia reale. Da un lato, le elezioni distraggono il popolo dai suoi turbamenti consci e inconsci sulle condizioni di lavoro, mentre si concentrano su candidati politici, partiti e politiche alternative, senza porre in discussione sistemi economici alternativi, senza mai richiamare le condizioni di lavoro. È per questo che i sostenitori del capitalismo apprezzano le elezioni. Elezioni ben controllate non mettono in discussione, tantomeno minacciano, il capitalismo. D'altra parte, portano sempre un rischio, potenzialmente in grado di portare grandi problemi al capitalismo.

I lavoratori a cui è negata la democrazia sul posto di lavoro, potrebbero concludere che problemi cruciali - come salari inadeguati, la sicurezza del lavoro e i diritti - derivino e siano mutuati da tale rifiuto. Data l'equazione capitalistica, democrazia uguale elezioni, i lavoratori possono guardare alle elezioni come un modo per rispondere all'assenza di democrazia sul posto di lavoro. Sapendo che sono la maggioranza dei votanti, i lavoratori potrebbero vedere le elezioni come un modo di cambiare le loro condizioni economiche. La politica elettorale potrebbe diventare il percorso per annullare le conseguenze di un sistema economico capitalista. La maggioranza potrebbe porre un referendum tra organizzazioni di lavoro capitaliste o democratiche. I lavoratori potrebbero usare le elezioni al di fuori delle imprese per portare finalmente la democrazia reale al loro interno. La politica elettorale convenzionale lascia aperta questa possibilità, un rischio perpetuo per la preoccupazione dei capitalisti.

I capitalisti, quale possibile soluzione a questo problema, finanziano candidati e partiti durante e tra le campagne elettorali. In cambio, i funzionari eletti sostengono i desideri dei loro finanziatori, soprattutto per quanto riguarda ciò che deve o non deve essere sottoposto al giudizio elettorale. Le imprese capitalistiche finanziano anche think tank, programmi accademici, mass media e campagne pubbliche che plagiano l'opinione pubblica a favore del capitalismo. Nell'ultimo mezzo secolo, è emersa un'altra soluzione: mantenere lo stato sulla difensiva, non solo ideologicamente ma anche finanziariamente attraverso deficit di bilancio e debiti.

Per esempio, il deficit totale dei governi succedutisi dal 1950-2009 ammontano a 6.600 miliardi di dollari: durante questo periodo, tre presidenti repubblicani (Bush padre, Reagan e Bush figlio) hanno concretizzato oltre il 92 per cento di quei deficit. Tutti gli altri presidenti (Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon/Ford, Carter e Clinton) insieme rappresentano il 12 per cento. I tre presidenti repubblicani maggiormente responsabili del deficit erano i più conservatori e asserviti ai grandi interessi capitalistici. Hanno varato tutti un aumento della spesa (soprattutto per scopi militari e anticrisi) a fronte di un taglio delle imposte (in particolare per le società e gli individui più ricchi). Tali politiche hanno determinato un enorme deficit federale e rialzi dei debiti nazionali. Con la sua politica di stimoli all'economia e costose guerre, senza la contropartita di aumenti delle tasse, Obama contribuisce con grandi deficit che innalzano il debito nazionale.

Ne sono seguite prevedibili tempeste ideologiche: (1) il deficit federale e i debiti sono stati definiti come il problema urgente e (2) i programmi di austerità per tagliare la spesa pubblica sono la soluzione adeguata. Repubblicani e democratici giocano il loro ruolo scontato, discutendo sulle dimensioni e gli obiettivi dell'austerità. Tutti i loro argomenti tengono la questione del capitalismo fuori dall'agenda popolare e dal dibattito politico nonostante la crisi del sistema.

Quando le soluzioni convenzionali falliscono e sempre più persone cominciano a porre questioni, a sfidare e opporsi al capitalismo, i capitalisti in genere accrescono la repressione poliziesca e militare. In situazioni estreme, pongono fine alla democrazia elettorale mediante un colpo di stato militare, una dittatura o in altro modo. Tuttavia, la fine della democrazia elettorale di solito provoca ansia anche tra i capitalisti che l'hanno determinata. Si preoccupano che l'assenza della democrazia elettorale provochi la critica sociale e l'opposizione sistemica. I capitalisti non vogliono perdere il vantaggio chiave delle elezioni adeguatamente controllate: distrarre i lavoratori dalla questione del capitalismo come sistema di sviluppo. Le elezioni sono il modo più economico e meno pericoloso per fissare la distanza tra il capitalismo e la vera democrazia.


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