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Un vecchio gioco per una nuova ossessione e un nuovo nemico. E' il turno della Cina

John Pilger |
johnpilger.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

10/10/2013

I paesi sono "i pezzi di una scacchiera su cui si gioca la grande partita del dominio mondiale", scrisse Lord Curzon, viceré dell'India, nel 1898. Nulla è cambiato. Il massacro nel centro commerciale di Nairobi è la facciata dietro la quale si disputa la sanguinosa invasione su vasta scala dell'Africa e la guerra in Asia.

I killer di al-Shabaab che hanno compiuto l'attentato nel centro commerciale in Kenia provenivano dalla Somalia e se esiste un paese che incarni la metafora imperiale, questo è la Somalia. I somali, che condividono un linguaggio e una religione comune, sono stati divisi da inglesi, francesi, italiani ed etiopi. Decine di migliaia di persone sono passate di mano tra le potenze contendenti. "Quando si odieranno l'un l'altro", ha scritto un funzionario coloniale britannico, "sarà assicurato il buon governo".

Oggi la Somalia è un parco a tema: teatro di brutali e artificiose divisioni, è stata lungamente impoverita dai programmi di "aggiustamento strutturale" della Banca Mondiale e del FMI, oggi satura di armi moderne, in particolare di quelle preferite dal presidente Obama, i droni. L'unico governo somalo stabile, le Corti islamiche [1], fu "ben accolto dal popolo nelle zone che controllava", riferiva il Congressional Research Service degli Stati Uniti, "[ma] ha ricevuto una copertura mediatica negativa, soprattutto in Occidente". Obama schiacciò le Corti islamiche e nel mese di gennaio, l'allora Segretario di Stato, Hillary Clinton, presentò al mondo il suo uomo. "La Somalia resterà grata al sostegno incrollabile del governo degli Stati Uniti", effuse il Presidente Hassan Mohamud, "grazie America."

Le atrocità al centro commerciale sono una risposta a tutto questo, proprio come l'attacco alle Torri Gemelle e gli attentati di Londra sono state le reazioni esplicite all'invasione e all'ingiustizia. Una volta di poco conto, il jihadismo ora marcia di pari passo con il ritorno dell'imperialismo virulento.

Dacché la Nato ha ridotto la moderna Libia in uno stato hobbesiano [riferimento al filosofo britannico che nel seicento teorizzò homo homini lupus, ndt] nel 2011, gli ultimi ostacoli alla rincorsa all'Africa sono caduti. "I conflitti per l'energia, i minerali e le terre coltivabili sono suscettibili di verificarsi con sempre maggiore intensità", relazionano gli strateghi del Ministero della Difesa e, prevedendo "un alto numero di vittime civili", sottolineano che "è fondamentale per il successo la diffusione della percezione di una legittimità morale". Sensibile al problema di pubbliche relazioni connesso al piano di invasione di un continente, il colosso degli armamenti, la BAE Systems, insieme a Barclays Capital e BP, avverte che "il governo dovrebbe definire la missione internazionale, come rischio di gestione in nome dei cittadini britannici". Un cinismo letale. I governi britannici vengono ripetutamente messi in guardia, non da ultimo dalla commissione parlamentare di intelligence e sicurezza, che le avventure all'estero istigano la rappresaglia a casa.

Tra lo scarso interesse dei media, Africom (il commando degli Stati Uniti in Africa) intanto ha schierato truppe in 35 paesi africani, creando una rete familiare di postulanti autoritari desiderosi di tangenti e armamenti. Nei giochi di guerra, la dottrina da "soldato a soldato", integra gli ufficiali statunitensi a ogni livello di comando, dal generale al sergente maggiore. Gli inglesi fecero lo stesso in India. E' come se la fiera storia di liberazione dell'Africa, da Patrice Lumumba a Nelson Mandela, fosse destinata all'oblio da una nuova élite coloniale nera di padroni la cui "missione storica", avvertiva Frantz Fanon mezzo secolo fa, è la sottomissione del proprio popolo alla causa di "un capitalismo rampante anche se camuffato". Il riferimento si attaglia anche al Figlio dell'Africa alla Casa Bianca.

Per Obama, c'è una causa più pressante: la Cina. L'Africa è una storia di successo della Cina. Dove gli americani portano i droni, i cinesi costruiscono strade, ponti e dighe. Ciò che i cinesi vogliono sono le risorse, specialmente i combustibili fossili. I bombardamenti della Nato in Libia hanno allontanato 30.000 lavoratori cinesi dall'industria petrolifera. Più che lo jihadismo o l'Iran, la Cina è oggi l'ossessione di Washington in Africa, e altrove. Si tratta di una "politica" conosciuta come il "perno verso l'Asia", la cui minaccia di una guerra mondiale è maggiore di qualsiasi altra in epoca moderna.

La riunione di questa settimana a Tokyo del Segretario di stato John Kerry e del segretario alla difesa Chuck Hagel con i loro omologhi giapponesi ha accelerato la prospettiva di una guerra con il nuovo rivale imperiale. Il sessanta per cento delle forze USA e di quelle navali saranno dislocate in Asia entro il 2020, puntando alla Cina. Il Giappone si sta rapidamente riarmando sotto il governo di destra del Primo ministro Shinzo Abe, salito al potere nel mese di dicembre con l'impegno di costruire un "nuovo e forte apparato militare" e aggirare la "costituzione di pace". Un sistema anti-missili balistici USA-Giappone nei pressi di Kyoto viene puntato contro la Cina. Usando droni Global Hawk a lungo raggio, gli Stati Uniti hanno incrementato notevolmente le provocazioni nei mari della Cina orientale e della Cina meridionale, dove il Giappone e la Cina contendono la proprietà delle isole Senkaku/Diaoyu. Velivoli avanzati a decollo verticale sono ormai schierati in Giappone, con lo scopo di una blitzkrieg, guerra lampo.

Sull'isola di Guam nel Pacifico, da cui venivano sferrato gli attacchi con i B-52 contro il Vietnam, è insediata la più grande formazione militare dalle guerre di Indocina, con 9.000 marines. In Australia questa settimana, una fiera degli armamenti e un raduno militare che ha distratto molto Sydney, è in linea con una campagna di propaganda del governo per giustificare un inedito concentramento di forze militari statunitensi da Perth a Darwin, diretto contro la Cina. La grande base statunitense di Pine Gap vicino ad Alice Springs è, come ha rivelato Edward Snowden, un centro dello spionaggio USA nella regione e altrove, ed è anche uno snodo cruciale per gli omicidi compiuti in tutto il mondo dai droni di Obama.

"Dobbiamo informare gli inglesi per tenerli dalla nostra parte", disse una volta un assistente del segretario di stato USA, McGeorge Bundy: "Voi in Australia siete con noi, qualunque cosa accada". Le forze australiane hanno a lungo giocato un ruolo mercenario per Washington. Tuttavia, c'è un inghippo. La Cina è il principale partner commerciale dell'Australia ed è grazie alla Cina che l'Australia ha evitato la recessione del 2008. Senza la Cina, non ci sarebbe stato il boom minerario, con un'entrata settimanale di un miliardo di dollari.

I pericoli inerenti alla situazione raramente vengono discussi in pubblico in Australia, dove lo sponsor del premier Tony Abbott, Rupert Murdoch, controlla il 70 per cento della stampa. Di tanto in tanto, viene espressa l'ansia sulla "scelta" che gli Stati Uniti vorrebbero compisse l'Australia. Un rapporto dell'Istituto di pianificazione strategica australiano avverte che qualsiasi piano degli Stati Uniti volto a colpire la Cina "accecherebbe" i sistemi di sorveglianza, intelligence e di comando cinesi. "Di conseguenza aumenterebbe la possibilità di un'offensiva nucleare preventiva cinese... e una serie di errori di calcolo da entrambe le parti, se Pechino percepisse che gli attacchi convenzionali sul suo suolo fossero un tentativo di neutralizzare la sua capacità nucleare".

Nel suo discorso alla nazione il mese scorso, Obama ha detto: "Ciò che rende l'America diversa, ciò che ci rende eccezionali è che siamo pronti ad agire".

Questo articolo è stato pubblicato sul Guardian, UK

Il nuovo film di John Pilger, Utopia, viene proiettato nelle sale cinematografiche del Regno Unito il 15 novembre e sarà lanciato in Australia nel mese di gennaio.

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