www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 13-09-14 - n. 511

La "dottrina Truman", ovvero come l'Italia del dopoguerra ricorda l'Egitto di oggi

D. Marie Nassif-Debs | An Nidaa - rivista bimestrale
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Agosto 2014

Da sessanta anni, e più precisamente a partire dal mese di marzo 1947, qualunque sia il partito al potere, la politica estera degli Usa è caratterizzata dall'applicazione della dottrina sostenuta da Harry Truman, il presidente statunitense ben noto per il suo anti-comunismo viscerale e i tentativi di dominare il mondo e mettere le mani sulle ricchezze in esso contenute.

La "dottrina Truman" difatti, basata sulla cosiddetta "difesa del mondo libero e dei diritti dei popoli", fu messa a punto alla fine della Seconda guerra mondiale al preciso scopo di sbarrare la strada al comunismo trionfante, ma anche di piazzare alla testa degli stati di recente liberazione delle dittature completamente asservite al capitalismo, per impedire ai popoli delle vecchie colonie di raggiungere l'autodeterminazione e i cambiamenti sociali rivendicati. Quindi il supposto "aiuto" offerto per lunghi decenni da Washington si può riassumere in una successione di interventi economici e militari, diretti o indiretti, negli affari interni di paesi liberi e sovrani: la politica del bastone e della carota, come si dice comunemente, a cominciare dal "piano Marshal", nel giugno 1947, seguito da numerosi colpi di stato militare, ma soprattutto dalla creazione, nel 1949, della Nato, le cui basi sono ora disseminate in tutto il mondo.

Cosa possiamo dire dell'attuale politica di Washington nei confronti del mondo arabo, soprattutto dopo gli sviluppi molto pericolosi verificatisi nel teatro iracheno? Come valutare la responsabilità dell'amministrazione di Barak Obama nella folgorante ascesa dello "Stato islamico in Iraq e in Siria", del suo dominio sulla regione di Mosul e della sua intenzione di creare un califfato sunnita che si estenderebbe su oltre metà della Siria e grande parte del Libano, dalle colline di Ersal al [distretto di] Akkar e alla regione di Tripoli? Ha lasciato fare certi suoi alleati arabi e regionali di cui si dice non si siano limitati a finanziare questo movimento terroristico, ma gli abbiano facilitato il compito procurando, attraverso la Turchia ed altri paesi arabi del Golfo, tutta l'assistenza in uomini e armi di cui aveva bisogno per imporre la sua legge?

Ci sono notizie - qualche "sentito dire" diplomatico - secondo cui influenti funzionari delle grandi compagnie petrolifere e degli armamenti negli Stati Uniti hanno un ruolo nella creazione dell'organizzazione "Stato islamico in Iraq e in Siria" (Isis). Lo scopo sarebbe di riprodurre l'esperienza dei "mujahidin" afgani degli anni ottanta del XX secolo (gli stessi che più tardi formarono l'organizzazione "Al Qaeda") e dei "talebani", vale a dire: impedire il cambiamento democratico nelle società arabe e, soprattutto, deviare la lotta di classe, espressa dallo slogan "il popolo vuole la caduta dei regimi", trasformandola in una lotta confessionale, tribale, etnica.

Infatti, il "Progetto del Nuovo Medio Oriente" - "grande" o "allargato" che sia - è un progetto che mira a integrare la corrente islamica, in particolare i "Fratelli musulmani", nella vita politica del mondo arabo allo scopo di sostituire nell'opera di repressione dei propri popoli i regimi militari, falsamente laici, che hanno fatto il loro tempo. Tale era il caso della Turchia e di altri paesi medio-orientali, come è il caso di più di un paese arabo, con il pretesto della nascita di una nuova generazione di islamisti, generazione che avrebbe una posizione differente riguardo i diritti di cittadinanza. Questa immagine riguarda anche la Palestina occupata, dove Washington è pronta a unirsi alla trasformazione di Israele nello stato degli ebrei nel mondo, cosa che permetterà a questo stato di cercare coloni "ebraici" di tutti i paesi per impedire per sempre il diritto al ritorno del popolo palestinese sulla terra dei suoi antenati e, forse, per sradicare i palestinesi presenti nel 1948.

Una purificazione etnico-religiosa!!!

E così, certe posizioni statunitensi possono sembrare un po' ambigue, soprattutto per quanto concerne l'appello alla lotta contro le posizioni dell'Isis nel nord dell'Iraq o in Siria, o ancora il permesso concesso all'Arabia Saudita di mitigare [i rapporti] con l'Iran e [la insorgenza shiita degli] huiti dello Yemen; bisogna dire che questa ambiguità non può durare a lungo, soprattutto se ci ricordiamo che la divisione dell'Iraq in tre vilayet [province in cui era diviso amministrativamente l'impero ottomano, ndt] è un progetto del tutto statunitense. Del resto, le truppe dell'Isis sono state bombardate solamente dopo avere oltrepassato i limiti, o le frontiere, fissati… Lo stesso principio fu applicato in Siria e, soprattutto, nello Yemen quando l'estensione della presenza di Al Qaeda rischiò di minacciare direttamente gli interessi petroliferi di Washington.

Ecco perché l'attuale situazione nel mondo arabo ricorda ciò che si impose in alcune repubbliche dell'ex Unione sovietica alla vigilia dell'implosione del 1990. Ci ricorda, soprattutto, il ruolo giocato dall'amministrazione Usa (sotto il paravento delle Nazioni unite) nel 2006 in Jugoslavia, con il pretesto di sostenere le aspirazioni all'indipendenza degli abitanti del Kosovo e del Montenegro. E non siamo i soli a dirlo… Difatti, anche l'ex ambasciatore Usa in Romania richiamava già tre anni fa i punti di somiglianza tra quanto accadde all'epoca delle elezioni legislative in Italia nel 1948 e la preparazione di quelle egiziane che portarono al potere i "Fratelli musulmani."

Questo ambasciatore diceva, in un articolo pubblicato dalla stampa del suo paese, che nel 1948 Washington aveva "dato pieno potere alla Cia (e noi aggiungiamo "con l'aiuto prezioso della Chiesa cattolica sotto la direzione del cardinale Wojtyla che divenne papa sotto il nome di Giovanni Paolo II) di aiutare la Democrazia Cristiana e gli altri partiti anticomunisti a raggiungere la vittoria". Egli aggiungeva che i risultati di queste elezioni furono "determinanti", poiché avevano impedito ai comunisti di accedere al potere, nonostante fossero maggioritari, trasformando così l'Italia in "una base essenziale della Nato e, più tardi, dell'Unione europea". Infine, traeva la seguente lezione: "ciò deve ispirare gli Stati Uniti a condurre la stessa politica in Egitto e nel Medio Oriente; una politica che miri a costruire delle democrazie stabili, anche in caso di battute d'arresto e di avanzate, a fornire a queste democrazie tutto l'aiuto materiale e tutte le garanzie di sicurezza necessarie, approfittando anche delle opportunità commerciali che queste possono procurare" a Washington. Detto più chiaramente questo significa: aiutiamo l'Egitto oggi come avevamo fatto per l'Italia, basandoci sullo stesso principio di fare accadere le cose a partire dalla religione.

Ma ciò che l'ex ambasciatore statunitense in Romania ha dimenticato è che la storia, se si ripete, lo fa sotto forma di farsa. Questo è quanto capitato in Egitto alla "nuova generazione dei Fratelli musulmani". E questo è ciò che rischia di accadere agli alleati di Washington negli altri paesi arabi, a cominciare dall'Iraq fino al piccolo Libano.

Articolo pubblicato in arabo nel bimestrale "An Nidaa" - Fine agosto 2014


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