www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 04-03-15 - n. 533

50 anni fa moriva Malcolm X

Un ricordo del suo storico incontro con Fidel Castro a New York

Cubadebate | cubadebate.cu - solidarite-internationale-pcf.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

02/03/2015



"Fino a quando lo zio Sam è contro di te, puoi star certo di essere un bravo ragazzo" fu uno dei commenti che fece Malcolm X a Fidel Castro il 19 settembre 1960, quando - per l'unica volta - si incontrarono presso l'Hotel Theresa a Harlem.

Fidel era venuto a New York per partecipare all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. La Rivoluzione cubana era al potere da poco più di un anno e mezzo, ma l'opposizione del governo degli Stati Uniti per la nuova esperienza era già evidente. Un clima ostile anticubano si era diffuso attraverso la stampa e le dichiarazioni del portavoce del governo degli Stati Uniti. I gestori dei principali alberghi di New York si rifiutavano di accogliere la delegazione cubana. L'unico che offrì i suoi servizi richiese condizioni umilianti.

Con zaino e tuta mimetica, il Primo ministro cubano fece improvvisamente ingresso alle Nazioni Unite affermando la sua volontà di accamparsi nei giardini della sede dell'organizzazione mondiale. Immediatamente si manifestò la solidarietà della comunità latina e afro-americana. La delegazione cubana fu invitata a scendere all'Hotel Theresa, nel cuore di Harlem, quartiere povero della popolazione nera di New York. Tra i coordinatori di questa azione si trovava Malcolm X, allora leader della Nation of Islam.

L'incontro tra i due leader nella stanza occupata da Fidel, fu fraterno e comprese molte riflessioni filosofiche e politiche. Parlarono dei cubani e degli afro-americani, di Lumumba e dell'Africa, del razzismo e della solidarietà. Le parole del Comandante in capo apposero un sigillo sulla ragione che univa i due uomini: "Stiamo lottando per gli oppressi".

Uno dei giornalisti invitati a questo incontro storico, Ralph D.Matthews scrisse un articolo per il settimanale New York Citizen-Call, pubblicato il 24 settembre 1960. Cubadebate lo riproduce per i suoi lettori.

Nella camera da letto di Fidel

Per incontrare il Primo ministro Fidel Castro dopo il suo arrivo presso l'Hotel Theresa a Harlem, bisognava superare una piccola forza di polizia di New York a guardia del palazzo e diverse guardie di sicurezza statunitensi e cubane. Ma un'ora dopo l'arrivo del leader cubano, Jimmy Booker del quotidiano Amsterdam News, il fotografo Carl Nesfield e io calammo nella tempesta della stanza caraibica per ascoltare lo scambio di idee con il leader musulmano Malcolm X.

Il dottor Castro non voleva perdere tempo con i giornalisti dei quotidiani, ma accettò di vedere due rappresentanti della stampa nera.

Malcolm X era uno dei pochi che poteva entrare perché era da poco stato nominato nel comitato di accoglienza dei dignitari in visita, istituito dal quartiere di Harlem dal Consiglio di quartiere del 28° distretto.

Seguimmo Malcolm e i suoi collaboratori, Joseph e John X, in fondo al corridoio del nono piano, brulicante di fotografi, frustrati per non essere in grado di vedere la barba di Castro e giornalisti respinti dagli agenti di sicurezza.

Passammo il controllo e, uno ad uno, ci lasciarono entrare nella stanza del dottor Castro che si alzò e strinse la mano a ognuno di noi. Sembrava di buon umore. L'accoglienza entusiasta che gli aveva riservato Harlem risuonava nelle sue orecchie.

Castro indossava una mimetica verde militare. Me l'aspettavo trasandata come appariva nelle foto delle riviste. Con mia grande sorpresa, la sua tenuta era stirata, immacolata, impeccabile.

La barba, nella penombra della stanza, era color caffè con qualche sfumatura rossiccia.

Dopo le presentazioni, si sedette in un angolo del letto e chiese a Malcolm X di sederglisi accanto. La conversazione si avviò in un curioso inglese stentato. Noi che eravamo attorno non cogliemmo le prime parole, ma Malcolm rispose: "A causa vostra è sceso il gelo in città ma qui è caldo".

Il Primo ministro sorrise, annuendo: "Aaah, sì. Anch'io qui sento questo calore".

Poi il leader musulmano, sempre combattivo, disse: "Penso che troverete che la gente di Harlem non sia così influenzata dalla propaganda del centro città".

In un inglese esitante, il dottor Castro riprese: "Ammiro questo atteggiamento. So bene come la propaganda può cambiare le persone. La tua gente vive qui ed è costantemente esposta a questa propaganda eppure capisce le cose. E' molto interessante".

"Siamo 20 milioni" dichiarò Malcolm, "e ogni giorno capiamo meglio".

Dalla stanza adiacente entrarono gli altri membri della delegazione del partito di Castro, rendendo ancora più angusto lo spazio. La maggior parte dei cubani fumavano lunghi sigari e quando qualcosa li divertiva, piegavano la testa all'indietro e sbuffavano pennacchi di fumo ridendo.

I gesti che accompagnavano l'eloquio di Castro erano strani. Si toccava le tempie con le dita tese come se per sottolineare qualcosa o batteva il petto come per assicurarsi che fosse ancora lì.

L'interprete tradusse le frase più lunghe di Malcolm X in spagnolo e Castro ascoltò con attenzione, sorridendo educatamente.

Durante la conversazione, il Castro di Cuba e il Malcolm di Harlem spaziarono un un vasto campo filosofico e politico.

Sulla questione dell'accoglienza riservata dall'Hotel Shelbourgne, il dottor Castro disse: "Hanno preso i nostri soldi, 14.000 dollari. Non volevano che venissimo qui. Quando hanno saputo che saremmo venuti lo stesso, hanno voluto che fossimo accompagnati".

Sulla discriminazione razziale, disse: "Stiamo lottando per gli oppressi". Alzando una mano chiarì cautamente: "Non intendiamo intervenire nella politica interna del paese". Tornando sul tema della disuguaglianza razziale, il dottor Castro aggiunse: "Parlerò all'Assemblea (generale dell'Onu)".

Sull'Africa

"Abbiamo novità su Lumumba?" Malcolm X si aprì in un grande sorriso al nome del leader congolese. Castro alzò la mano: "Cercheremo di difendere (Lumumba) fortemente".

"Spero che Lumumba soggiornerà qui al Theresa".

"Ci sono 14 Paesi africani che entreranno all'Assemblea. Siamo latinoamericani. Siamo loro fratelli".

Sui neri nordamericani

"Castro lotta contro la discriminazione a Cuba e in tutto il mondo".

"Il nostro popolo sta cambiando. Ora siamo uno dei popoli liberi del mondo". "Voi siete privati dei vostri diritti e li reclamate".

"Negli Stati Uniti, i neri hanno una maggiore coscienza politica, una visione più chiara che chiunque".

Sui rapporti tra Stati Uniti e Cuba

In risposta l'affermazione di Malcolm "Fino a quando lo zio Sam è contro di te, puoi star certo di essere un bravo ragazzo" il dottor Castro rispose: "Non lo zio Sam, ma chi controlla riviste e giornali".

Sull'Assemblea generale delle Nazioni Unite

"Trarremo una lezione importantissima da questa sessione dell'Assemblea. Accadranno molte cose e la gente avrà un'idea più chiara dei propri diritti".

Il dottor Castro concluse la sua conversazione, cercando di citare Lincoln: "Si può ingannare una parte del popolo, un momento...", ma l'inglese lo tradì e alzando le braccia intese: "Sai cosa voglio dire".
[La citazione è: Si può ingannare una parte del popolo sempre, oppure tutto il popolo per un certo periodo di tempo. Ma non si può ingannare l'intero popolo per sempre, ndr]"

Malcolm, che si era alzato per i saluti, si intrattenne a spiegare ciò che era la sua organizzazione musulmana a un giornalista cubano appena arrivato: "Noi siamo seguaci di Elijah Muhammad, il quale ha detto che possiamo sederci e pregare per più di 400 anni. Ma se vogliamo i nostri diritti ora, bisogna...". Qui si fermò e sorridendo energicamente concluse: "Bene..."

Castro sorrise. Sorrise di nuovo quando Malcolm raccontò una storia: "Nessuno conosce il suo padrone come chi lo serve. Siamo stati servi da quando siamo arrivati qui. Conosciamo tutti quei particolari... Capisci? Sappiamo tutto quello che farà il padrone prima che lo sappia lui stesso".

Il leader cubano ascoltò la traduzione in spagnolo e poi reclinò la testa all'indietro, ridendo di cuore, "si", disse entusiasta, "sì".

Dopo gli "addii", abbiamo riattraversato il corridoio affollato, preso l'ascensore che ci ha fatto uscire in strada, dove era ancora riunita una folla.

Un fiume febbrile si riversò nella notte di Harlem al solo grido: "Viva Castro!"



Dalla nota introduttiva dell'Autobiografia di Malcolm X (BUR, Rizzoli)

[...] Malcolm X aveva redatto la storia della sua vita insieme con un giornalista, Alex Haley, circa un anno prima di essere assassinato a New York, nel febbraio del 1965 .

Malcolm Little (questo era il suo vero nome) era nato a Omaha, Nebraska, il 19 maggio 1925. Suo padre, attivista della UNIA, un'associazione che si batteva per il «ritorno» dei neri in Africa, fu assassinato dai razzisti quando Malcolm aveva sei anni, ma i responsabili non furono mai identificati. Abbandonò la scuola a quindici anni, dopo avere sperimentato a proprie spese l'autoritarismo e le discriminazioni a favore dei bianchi .

Ebbe l'adolescenza travagliata e difficile di tutti gli abitanti del ghetto nero. A ventun anni fu imprigionato e scontò sette anni di reclusione per furto con scasso e rapina a mano armata . Fu in questo periodo che Malcolm cominciò a prendere coscienza della condizione del nero nella società americana e della necessità della sua lotta contro il bianco. Si accostò così alla Nazione dell'Islam, movimento noto anche come dei Black Muslims, dopo essere stato a lungo in corrispondenza con il loro capo, Elijah Muhammad, e dopo aver dato fondo freneticamente a libri di storia, filosofia, biologia .

«Quando Malcolm aderì alla setta dei Black Muslims, che esisteva sin dal 1931, i seguaci di Elijah Muhammad erano poche centinaia, - ha scritto Roberto Giammanco nell'Introduzione alla prima edizione Einaudi di questo libro. - Fu Malcolm, con la sua azione infaticabile, le sue straordinarie doti oratorie e soprattutto con la sua capacità di dare un senso nettamente politico e combattivo alla mitologia pseudoislamica di Elijah Muhammad, che fece dei Black Muslims una forza su scala nazionale, un gruppo potenzialmente capace di attrarre a sé le forze più avanzate del nazionalismo negro» .

Malcolm X fece proprio il rigorismo della setta e lo sposò all'esigenza propriamente politica di una effettiva unità tra i negri d'America. Il decennio tra il 1952, anno in cui Malcolm uscì dalla prigione, al 1963 vide Malcolm X stagliarsi sempre più nettamente come la personalità di maggior prestigio del movimento. Anche per questo, negli ultimi anni, tra Elijah Muhammad e Malcolm X sorsero dissapori, ma soprattutto divergenze sul piano della strategia politica . «Al punto in cui erano le cose nel 1963 - scrive ancora Giammanco - Elijah Muhammad doveva scegliere: o continuare nella polemica verbale restando saldamente legato ad una piattaforma religiosa, oppure trovare forme nuove di intervento nella lotta per i diritti civili ponendosi automaticamente su di un piano politico .

La struttura stessa della Nazione dell'Islam, dipendente dal potere personale e da una gerarchia paternalistica, e soprattutto da interessi economici ben precisi, favoriva la tendenza conservatrice di Elijah Muhammad, prudentissimo amministratore per nulla disposto a rischiare le posizioni raggiunte. Se oggettivamente esisteva un'alternativa da cui dipendeva il futuro della setta e anche in parte lo stesso movimento negro, sul piano soggettivo non c'erano dubbi: Elijah Muhammad non avrebbe abbandonato la sua linea separatista di non impegno» .

La rottura definitiva fu segnata dalla sospensione da cui Malcolm X fu colpito nel dicembre 1963, dopo un discorso politico particolarmente violento. Contrariamente alle attese di molti Malcolm X non abbandonò l'Islam, anzi sentì l'esigenza di approfondire attraverso un pellegrinaggio alla Mecca le ragioni della sua scelta religiosa e politica .

«Nell'Islam - ha osservato Giammanco - Malcolm non cercava una risposta ad interrogativi esistenziali, ma la matrice psicologica adatta per unificare i negri, un legame con i popoli dell'Asia e dell'Africa in nome di una comune esigenza di liberazione. "Sto per costruire e dirigere una nuova moschea qui a New York, - dichiarava ai giornalisti il 12 marzo 1964. - si chiamerà Muslim Mosque Inc. Una tale organizzazione ci darà un fondamento religioso e la forza spirituale che occorre per liberare il nostro popolo dai vizi che distruggono la fibra morale della comunità negra... Ci sono molti tra noi che non hanno esigenze religiose e perciò la Muslim Mosque Inc. sarà organizzata in modo da consentire la partecipazione di tutti i negri... indipendentemente dalle loro credenze religiose o dal loro ateismo" .

Il programma della nuova moschea era generico, una larga base organizzativo-religiosa intorno a cui raccogliere il maggior numero possibile di militanti e che, in futuro, avrebbe potuto diventare il germe per quella soluzione alternativa che Malcolm aveva già da tempo intravisto. Comunque l'accento del suo pensiero era già sulla lotta per "i diritti umani" e sulla dimensione internazionale del problema negro. Il separatismo, l'esclusione dei bianchi dalla lotta erano già superati... Il pellegrinaggio alla Mecca e i viaggi in Africa furono decisivi non solo per la chiarificazione del pensiero di Malcolm, ma per la creazione di contatti ad alto livello con i rappresentanti della classe dirigente dei vari paesi. Per la prima volta nella storia, un negro americano si presentava come rappresentante del suo popolo e stabiliva rapporti non sentimentali né formalistici con i "fratelli dell'Africa, del Medio Oriente e dell'Asia"» .

Il 29 agosto 1964, dal Cairo, Malcolm X scrisse una lettera ai suoi collaboratori dell'Organizzazione per l'unità afroamericana, in cui diceva tra l'altro: «Nelle prossime settimane, a meno che non accada qualcosa di drastico che mi costringa a cambiare i miei progetti, visiterò parecchi paesi africani e avrò contatti con diversi leader politici e sociali. Presenterò loro il nostro problema senza riserve in modo che tutti comprendano la necessità di sottoporlo quest'anno alle Nazioni Unite.. .

Non dubito del loro appoggio, ma ho imparato per esperienza a non dare niente per sicuro per poi disperarsi quando non si concretizza. Dobbiamo imparare che siamo padroni del nostro destino solo quando facciamo il massimo sforzo per realizzare i nostri obiettivi . Comprendete benissimo che quello che sto cercando di fare è molto pericoloso perché rappresenta una minaccia diretta a tutto il sistema internazionale dello sfruttamento razzista. E' una minaccia alla discriminazione in tutte le sue forme su scala internazionale. Per questo se muoio o se sarò assassinato prima di tornare negli Stati Uniti, siate certi che quello che ho messo in moto non sarà fermato... Il nostro problema è stato INTERNAZIONALIZZATO...»

Purtroppo, l'oscura premonizione contenuta in questo brano doveva realizzarsi: tre mesi dopo il suo ritorno negli Stati Uniti, la mattina del 24 febbraio 1965 fu assassinato da sicari rimasti sconosciuti. Avrebbe dovuto ancora rivedere l'"Autobiografia", che venne invece ultimata da Haley [...]


Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.