www.resistenze.org - osservatorio - mondo - salute e ambiente - 18-09-21 - n. 799

Capitalismo verde: un nuovo incremento dello sfruttamento

Raúl Martínez | nuevo-rumbo.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/09/2021

Negli ultimi anni sono diventati di moda termini come "ecocapitalismo", "capitalismo verde" o "capitalismo sostenibile", resi popolari da costanti campagne mediatiche che hanno elevato a stella dell'attivismo figure come la giovane Greta Thumberg, che è riuscita ad influenzare buona parte della gioventù.

La teoria dell'ecocapitalismo nasce negli USA alla fine degli anni '60 del secolo scorso e, così come altre correnti di pensiero, serve da base per l'articolazione di quelli che si chiamarono "nuovi movimenti sociali", cercando soluzioni parziali ai problemi generati dal capitalismo attraverso la sua riforma, cioè, all'interno del sistema capitalista stesso.

Nel caso del capitalismo verde, si tratterebbe di introdurre una serie di cambi strutturali per cercare di ridurre l'impatto ambientale dei processi produttivi, attraverso una maggiore efficienza energetica e tecnologica. Lo strumento principale del capitalismo verde sarebbe il mercato stesso, al quale si sottometterebbero le risorse naturali attraverso la loro privatizzazione per convertirle in "capitale naturale". Così, si otterrebbe uno "sviluppo sostenibile" che renderebbe compatibile la conservazione dell'ambiente con il mantenimento di alti tassi di profitto, stabilendo un regime di accumulazione capitalista razionale. Le teorie sul capitalismo verde non si rivolgono solo alla sfera produttiva, ma si proiettono anche sul piano della distribuzione delle merci e del loro consumo, in quello che viene chiamato "consumo di prossimità", "consumo verde", ecc.

La crisi economica che scosse il capitalismo mondiale nel periodo 2008-2014 riaprì il dibattito su queste teorie che, in gran misura, si trasferirono nell'agenda per lo sviluppo sostenibile dell'ONU, approvata da 193 paesi nel 2015: quella che conosciamo come Agenda 2030, concretizzata in 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile e 169 mete che dicono di perseguire l'eradicazione dell'estrema povertà e della fame, di combattere la diseguaglianza e il cambiamento climatico, di assicurare l'uguaglianza di genere e i diritti umani in generale e delle donne in particolare, e garantire l'accesso universale a servizi della salute e dell'istruzione di qualità.

Con questo quadro ideologico, basato su obiettivi generali che tutti possono condividere, i paesi capitalisti e le loro differenti alleanze interstatali hanno formulato i propri piani di lavoro. Dopo la nuova crisi capitalista capitalizzata dalla pandemia del Covid-19, questi piani hanno ricevuto nuovo impulso e, in gran misura, servono da pretesto e giustificazione ideologica alle contundenti politiche di ristrutturazione capitalista avviate.

Nel'ambito dell'Unione Europea, senza andare lontani, sono stati approvati diversi quadri strategici e dichiarazioni che rappresentano i compromessi raggiunti tra la borghesia di ogni paese membro in funzione dei rapporti di forza al suo interno. Compromessi che successivamente sono applicati, non senza contraddizioni, dai vari paesi dell'Unione. Nel caso spagnolo, il 28 giugno 2018, il Consiglio dei Ministri approvò il Piano d'Azione per l'Implementazione dell'Agenda 2030, che alla fine porterà al Rapporto di Progresso 2021 e alla Strategia di Sviluppo Sostenibile 2030, una volta formato l'attuale governo di coalizione al cui interno si crea il Ministero dei Diritti Sociali e Agenda 2030, cui titolarità, in modo per nulla casuale, viene assunta da Unidas Podemos.

I nuovi strumenti di finanziamento "New Generation EU", approvati dall'Unione Europea per fronteggiare la crisi capitalista, si ispirano alla stessa logica del capitalismo verde, che si trasferisce pertanto nel "Piano di Ripresa, Trasformazione e Resilienza" approvato dal governo spagnolo per accedere ai 140 miliardi di euro in trasferimenti e crediti dell'UE durante il periodo 2021-2026. In generale, tutta la politica del governo ruota intorno a questi piani e, su questa base, si costruisce tutto un discorso politico e ideologico orientato a legittimare una profonda ristrutturazione del capitalismo, cercando allo stesso tempo di generare ampi consensi sociali, sulla base di obiettivi che qualsiasi persona potrebbe, in linea di principio, considerare giusti.

In assenza di una posizione politica indipendente, la classe operaia corre il rischio di vedersi intrappolata in un discorso diretto a perpetuare il sistema di sfruttamento. Ancor di più in un momento in cui il turno nella gestione del capitalismo è nelle mani della socialdemocrazia, che ha deciso di affidare la gestione degli aspetti più sensibili di questa materia alla forza presumibilmente più vicina ai lavoratori e alle lavoratrici. In sintesi, il capitalismo verde si dirige a perpetuare il sistema di sfruttamento con un ampio consenso sociale, anche tra gli sfruttati, sotto la direzione delle forze politiche che dicono di rappresentare i lavoratori e i settori sociali esclusi. Negli ultimi mesi abbiamo avuto alcuni chiari esempi.

Gli studi di mercato segnalano con chiarezza che i consumatori sono più fedeli alla marca produttrice e sono disposti a pagare prezzi più alti per quei prodotti che si percepiscono come sostenibili. Si aprono pertanto nuove nicchie di mercato, associate al capitalismo verde, che richiedono misure politiche che permettono la loro implementazione: tecnologia verde, imposte e tasse verdi, etichetta verde e imprese con politiche di "responsabilità sociale e coscienza verde". L'attività propagandistica del Ministero del Consumo, indipendentemente dalla sua puerilità, è un esempio dell'applicazione millimetrica di queste politiche di ristrutturazione capitalista, dirette a difendere gli interessi della classe dominante. (In ogni società divisa in classi sociali antagoniste, ogni azione politica ha una chiara prospettiva di classe).

La polemica sulla necessità di ridurre il consumo di carne per evitare l'emissione di gas serra associati all'alimentazione; la proposta del governo di imporre un sistema di pedaggi nelle autostrade autonome e statali dal 2024; la polemica sull'uso dell'aria condizionata o i consigli su come e quante volte dobbiamo fare la doccia, fanno parte di una immensa e multiforme campagna diretta a legittimare la nuova ristrutturazione capitalista, incluse le politiche di riconversione industriale che, sotto la stessa logica, colpiscono sezioni complete della nostra classe operaia.

La portata di queste politiche di ristrutturazione è evidente nello stesso Piano di Ripresa, Trasformazione e Resilienza approvato dal governo, che prevede di destinare il 40,29% dei fondi dell'UE alla promozione della "transizione energetica" e un 29,58% alla cosiddetta "trasformazione digitale". Si tratta di un piano completo di riforme strutturali nella base economica della società che stanno avendo un riflesso nei tipi di riforme legislative di ampio respiro. A livello delle relazioni lavorative, di pari passo con la cosiddetta "uberizzazione dell'economia" e della "flessicurezza", si cammina verso una nuova riforma lavorativa chiamata a configurare le relazioni di sfruttamento del XXI secolo. E questo, indipendentemente dal colore del governo di turno, come è stato già dimostrato con la riforma delle pensioni.

Le forze della classe operaia che si rifiutano di accettare il nuovo consenso capitalista sono sottoposte a un costante ricatto: chi si oppone ai piani di ristrutturazione capitalista diventa immediatamente un "difensore della distruzione del pianeta".

Evidentemente, l'argomento non resiste alla minima critica. Ma, ciò nonostante, funziona. Il capitalismo è incapace di frenare il deterioramente ambientale, perché si sviluppa sfruttandolo, ma i difensori del capitalismo verde lottano ferocemente contro chiunque voglia mettere in piedi una società alternativa al capitalismo con un chiaro obiettivo: se non c'è alternativa, la logica del male minore si impone, poiché sarà meglio un capitalismo verde che un capitalismo arido. La classe operaia rimane intrappolata.

Lo stesso avviene a livello dei rapporti di produzione e, più specificatamente, delle relazioni lavorative. Anche se trascende l'obiettivo di questo articolo, basta vedere i piani di ristrutturazione capitalista in implementazione come incrementano la composizione organica del capitale (relazione tra capitale costante e capitale variabile), cosa che comporta maggiori indici di monopolizzazione, di concentrazione e centralizzazione del capitale, e, alla fine, un'accelerazione della tendenza decrescente del tasso di profitto, che a sua volta comporta una maggiore aggressività del capitale per ridurre il tempo di lavoro socialmente necessario e incrementare il tasso di sfruttamento. Nei prossimi articoli affronteremo questi fenomeni e le conseguenze per i lavoratori e le lavoratrici.

L'unico modo per combattere questi piani del capitale è sollevare un'alternativa completa al sistema di sfruttamento, rompendo definitivamente con la logica del male minore. Cent'anni fa, noi comunisti formammo il nostro partito per formulare questa alternativa integrale. Il prossimo mese di novembre, il Congresso del PCTE approverà un Manifesto Programma in cui si formula la proposta socialista-comunista nelle condizioni contemporanee. Al di là di quello che ci dicono, sappiamo da Marx che il capitale, come lavoro morto, necessita come un vampiro di ravvivarsi succhiando lavoro vivo. Necessita anche di sfruttare le risorse naturali fino ai limiti del possibile, anche se questo implica a lungo andare l'annichilimento del genere umano. Se vogliamo sopravvivere, non c'è altra alternativa: conficchiamo il paletto nel cuore del vampiro, senza farci distrarre dal colore con cui si presenta.


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