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N.  6 - 30 agosto 2005 - Tribunale Aia NOTIZIE

 

Cronache, Documentazioni, Informazioni, Aggiornamenti

Su e dal processo del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia, TPIJ
A cura di E. Vigna

 

Sommario :

 

ANSA :   13/05/05    TPI, rifiuto di deporre a processo Slobo, 4 mesi di carcere

IWPR :    20/06/04   Rifiutata la richiesta del leader serbo di avere più tempo per la sua difesa

ANSA :    14/04/04   TPI: Milosevic vuole Clinton e Blair testimoni a difesa

ANSA :     9/04/04   TPI, Ex Premier Montenegro vuole testimoniare a favore di Slobo
ICTY :     13/01/04   S. Milosevic, Dichiarazione alla Corte

ICTY :     13/05/02   Udienza: N. Peraj, ex capitano esercito jugoslavo, disertore

ICTY :       9/05/02   Udienza: A. Salihu, Testimone pulizia etnica

 

 

SUL TPIJ:   

     

Prof. Aldo Bernardini

(Docente di diritto internazionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Urbino):

Il diritto internazionale capovolto: la crisi jugoslava e il caso del Presidente Milosevic

 

 

International Action Center New York:

                                                        A proposito del Tribunale ONU per la Jugoslavia

 

DOCUMENTAZIONE per la memoria storica:

                                                     L'inganno del camion frigorifero, di F. J. Gil-White

 

 

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DAL TPIJ:

 

 

ANSA : 13/05/05  TPI, rifiuto di deporre a processo Slobo, 4 mesi di carcere

 

E' costata cara a Kosta Bulatovic, uno degli ex leader serbi del Kosovo, la decisione di non testimoniare al processo contro Slobodan Milosevic: il Tribunale penale internazionale sull'ex Jugoslavia lo ha condannato a quattro mesi di prigione, ritenendolo colpevole di oltraggio alla Corte dell'Aja. La sentenza di oggi e' la conseguenza del comportamento avuto lo scorso 20 aprile da Bulatovic, che era stato chiamato a testimoniare dalla difesa di Milosevic, ma che aveva rifiutato di prendere la parola e di rispondere alle domande in assenza di Milosevic. L'ex presidente jugoslavo non aveva pero' potuto comparire in aula a causa delle sue cattive condizioni di salute. Durante l'udienza, Bulatovic era rimasto in silenzio di fronte alle domande degli avvocati ed ha rifiutato di sottoporsi al contro-interrogatorio del procuratore Geoffrey Nice. I giudici hanno interpretato il suo atteggiamento come un tentativo di ''interferire appositamente nello svolgimento del processo '' e di aver ''sfidato la Corte ''. La Corte dell'Aja ha sospeso la sentenza contro Bulatovic, 63 anni, tenendo conto le condizioni di salute dell'imputato. Dalla creazione del Tpi, solo una condanna per oltraggio e' stata confermata in appello, mentre le altre sono state lasciate cadere in cambio di scuse ufficiali.

 

 

 

IWPR : 20/06/04  Rifiutata la richiesta del leader serbo di avere più tempo per la sua difesa
 
L'altro ieri, 18 giugno 2004, i "giudici" dell'Aia hanno formalmente rifiutato la richiesta di Milosevic di un prolungamento del tempo per preparare la sua "autodifesa". A Milosevic erano stati accordati 
solamente tre mesi - rispetto ai circa tre anni utilizzati dalla "pubblica accusa" per istruire il processo - ma di questi tre mesi Milosevic ne ha potuti usare appena la meta' a causa dei suoi problemi di salute.
Inoltre, i "giudici" dell'Aia hanno concesso solo 150 giornate di dibattimento per la "autodifesa", rispetto alle circa 300 usate per la "accusa", dichiarando candidamente che Milosevic non puo' "pretendere" che nel processo siano usati gli stessi standard per la difesa come per l'accusa. 
Nervosi e preoccupati per come Milosevic usera' l'opportunita' di questa "autodifesa" nell'aula del
tribunale dell'Aia, i "giudici" si sono premurati di diffidarlo dall'utilizzare "impropriamente" il microfono - che infatti gli e' stato spento piu'  volte mentre parlava.
Milosevic ha presentato una lista di 1631 testimoni a suo favore. La fase dibattimentale della "autodifesa" dovrebbe incominciare il prossimo 5 luglio.
 
ANSA : 14/04/2004  TPI: MILOSEVIC VUOLE CLINTON E BLAIR TESTIMONI DIFESA
L'ex presidente jugoslavo  Slobodan  Milosevic, sotto processo al Tribunale penale  internazionale dell'Aja  
per i crimini di guerra nella ex  Jugoslavia, ha intenzione di chiamare come testimoni per la  difesa l'ex presidente americano Bill Clinton e  il primo  ministro britannico Tony Blair. Lo afferma, stando alla  stampa serba, uno dei consiglieri  legali di Milosevic, Zdenko  Tomanovic. L'avvocato ha precisato   che nella lista dei testimoni  redatta dall'ex uomo forte di  Belgrado risultano oltre 1.600 persone, estratte da un iniziale elenco di circa 5.300 nominativi. Milosevic, che considera la corte dell'Aja un organo politico  e non giudiziario, ha rifiutato un avvocato difensore e cura da  solo la difesa, avvalendosi di un collegio di consiglieri. La procura del Tpi, che ha concluso la sua esposizione nel  febbraio scorso, ha citato come testimoni d'accusa, in due anni  di udienze, circa 290 persone.  
Saranno comunque i giudici  dell'Aja a stabilire se i testimoni voluti da Slobo siano o meno  ammissibili.   
 
 
ANSA :   9/04/2004    TPI, EX PREMIER VUOLE TESTIMONIARE A FAVORE DI SLOBO
 
L'ex primo ministro jugoslavo  Momir  Bulatovic, fedelissimo di Slobodan Milosevic ritiratosi  dalla vita  
politica dopo il crollo del regime dell'autunno 2000, si e' detto  pronto a testimoniare per la difesa del suo ex  mentore di fronte al  Tribunale penale internazionale dell'Aja.       
Il montenegrino Bulatovic ha di recente terminato  un'autobiografia politica nella quale ha difeso la politica di  Slobo di fronte al processo di disintegrazione della Jugoslavia  di Josip Broz Tito, intitolato 'le leggi del silenzio'. Bulatovic - uno dei pochissimi ex potenti del regime non  incriminato dal Tpi - si e' detto pronto a testimoniare per la difesa di Milosevic perche' ritiene che le accuse a suo carico  ''siano una montatura''.
 
 
ICTY : 13/01/04  S. Milosevic, Dichiarazione alla Corte, lettura del suo intervento al Parlamento jugoslavo prima degli accordi di Dayton per la guerra in Bosnia

 

“…Cercherò di essere molto breve, ma permettetemi, con il più alto grado possibile di responsabilità di dire alcune parole.

Prima di fare questo, desidero comunicare a voi le mie impressioni. Avete parlato apertamente e dal cuore.

La maggior parte delle cose da  voi dette sono riferite alle crudeltà ed alle ingiustizie provocate della guerra.

Nella storia del popolo serbo, purtroppo, ci sono tante testimonianze vissute degli orrori della guerra.

Tuttavia, tutti, che abbiamo sentito oggi le testimonianza degli orrori della guerra, tutto questo può essere sintetizzato con un solo argomento e una sola dichiarazione e messaggio: ed è quello che la guerra dovrebbe cessare immediatamente.

Tuttavia, torno alla questione che stiamo affrontando oggi. La domanda non è quanti orrori… quanti orrori ci sono stati in questa guerra. Ma quanto questo popolo ha dovuto sostenere sulle proprie spalle durante la sua storia.

La domanda oggi è se dobbiamo consolidare che cosa è stato realizzato  con un processo pacifico, in condizioni di sicurezza, realizzando che cosa rimane da essere fatto, quelle che sono indicate come "questioni eccezionali."

C’erano molte questioni in sospeso, ma il programma concordato aveva stabilito quali problemi dovessero essere trattati prioritariamente nelle trattative.

Così dovremmo cercare di capire che cosa intendiamo con  'problemi in sospeso con la trattativa”; oppure rischiamo di distruggere ciò che è stato realizzato, a scapito del sacrificio enorme.

Questa è la questione reale che questa Assemblea dovrebbe decidere. Così la domanda vera quando si parla del programma, non è se stiamo partendo dai nostri obiettivi. Naturalmente no. La domanda è se quel programma rappresenta il percorso verso l' obiettivo supremo, quello della pace.

Il programma non è l'adempimento finale delle richieste, giustificate, della gente di Serbia, ma certamente rappresenta un percorso verso l'obiettivo finale. Ma ora dobbiamo fare molti più sforzi con la nostra saggezza e meno con la rabbia. Penso che dovrebbe essere un vantaggio, non uno svantaggio.

E questa Assemblea deve avere il coraggio e la sicurezza di sè in questa circostanza, sulla base del programma, che deve … che è una base sufficiente per realizzare il nostro obiettivo, piuttosto che commettere un errore tragico che tragicamente provocherà ostacoli e ne impedirà la realizzazione.

L'Assemblea opterà per un percorso ragionevole o irragionevole? Penso non ci sia nessuna necessità di persuadere questa Assemblea circa i suoi compiti.

Penso che la pace sia il ragionevole, l’obiettivo ragionevole. Al contrario, se il messaggio verrà inteso che i serbi non desiderano la pace, questo potrebbe giustificare altri crimini contro i serbi e questo è qualcosa che dovrete considerare.

Nel momento che la strada verso pace si sta aprendo, dovrete spiegare alla gente, perchè dovrebbero sacrificare ancora le loro vite, già provate dagli eventi crudeli vissuti finora?

Non riuscirete a  spiegarne i motivi al popolo serbo in Bosnia o in Serbia.

E lasciatemelo dire per concludere: uno deve sacrificare tutto per la gente tranne la gente. Non potete sacrificare la gente. Non avete il diritto di fare questo come Assemblea o come chiunque altro…”      S.Milosevic

 

 

ICTY : 09/5/2002  Abdullah Salihu,  Testimone pulizia etnica – Teste a difesa

 

…SM : [...]  Nella sua deposizione, lei dice che ha terminato la scuola elementare a Cirez, giusto?
T: Sì
SM: Tutti gli otto anni di scuola lì?
T: Sì. Ho terminato gli otti anni di scuola a Cirez, le superiori in un altro posto, e l'università a Pristina.
SM: Cosa ha studiato a Pristina?
T: Niente. Non ho studiato niente. Ho fatto solo le superiori, scusate.
SM: Un momento fa ho capito, quando lei ha detto che ha frequentato l'università di Pristina, che lei l'avesse fatto davvero. E' stato all'università o no?
T: No, no, no. Ho fatto -- ho fatto la scuola elementare a Cirez, le superiori a Pristina. Si chiama Medresa. Quello è un istituto superiore.

 [...]
SM: L'ha visto? Li ha visti mentre venivano uccisi?
T: Le ho detto che li ho sepolti. Non ho potuto vederli tutti mentre venivano uccisi. Sarebbe stato impossibile. Potrei averne visti tre o quattro, ma ho visto una persona di Kozhnice quando una granata ha colpito un albero, e padre e figlio sono stati uccisi quando l'albero è caduto su di loro.
SM: Quindi questo è ciò che ha visto con i suoi occhi: Ha visto queste due persone uccise quando un albero gli è caduto addosso. E' così?
T: Si trattava della granata che ha tagliato l'albero, l'albero non c'entra. Erano padre e figlio. Il padre è stato ucciso ed il figlio è ancora vivo.
SM: Capisco. Quindi questo è ciò che ha visto lei di persona.
T: Sì.  [...]

 

ICTY : 13/5/2002 Nike Peraj,  Ex-capitano Esercito jugoslavo, disertore -  Teste a difesa

 

G: Quando ha lasciato l'esercito?
T: Tre giorni… fino a tre giorni prima che l'esercito jugoslavo lasciasse il Kosovo.
SM: Appena dopo la fine della guerra, lei ebbe degli incontri con l'UCK, giusto?
T: Sì.
SM: Comunque, fino ad allora lei era nella lista di liquidazione dell'UCK, giusto?
T: Non lo so.
SM: Come fa a non saperlo quando a pag.14, paragrafo 4 della sua ultima frase del 12-15 febbraio 2002, è quello che dice? Come può succedere che lo sapeva allora, e non lo sa ora?
T: Non so se io ero in qualche lista. Forse loro hanno scritto delle liste. Hanno fatto varie liste. Non ho modo di sapere.
SM: Bene, le ho citato la parte della sua deposizione dove lei dice che lei sa che era sulla lista di liquidazione dell'UCK, ma non voglio discutere con lei. Quello che voglio fare è porle delle domande.
[...]

SM: E come lei dice nella sua deposizione, ha parlato con Ramush Haradinaj, pure. Mi dica, quante volte l'UCK ha parlato con lei, incluso quell'incontro nel quale ha visto Ramush Haradinaj?
T: Io conosco Ramush Haradinaj come persona, ma non ho mai parlato a lui in vita mia, così come lui non ha mai parlato a me.
SM: E' quello che c'è a pag.16, ultimo paragrafo della dichiarazione data dal 12 al 15 febbraio 2001. Ma lasciamolo da parte.
[...]

SM: Lei di ce che l'esercito jugoslavo ha provato a mettere tutte le unità sotto il suo controllo ma qualche singolo individuo stava lavorando per una "Serbia più Grande", perché quella era l'idea dei politici. Ora, chi chiedeva questa "Serbia più Grande"? Come - su quali basi poggia la sua dichiarazione, in effetti?
T: Sulle basi di ciò che ho detto nella mia dichiarazione. Non ero io, ma lei e i suoi allievi, i suoi politici, che avevano stabilito che il Kosovo fosse una culla della Serbia, e lo continuavano a dire in diverse forme di informazione. E poi c'era una canzone, "Da Vardar a Triglav, è tutta terra serba". Questo era sufficiente per noi per credere in questa teoria, perché la potevamo sentire dappertutto.
SM:... "Da Vardar a Triglav, da Djerdap all'Adriatico," quella era una canzone che si chiamava -- il cui titolo era "Jugoslavia" ed era una canzone molto popolare, un motivo molto allegro ed una canzone molto bella ed il nome di quella canzone era "Jugoslavia". E nessuno cantava quello che lei afferma che cantassero. Ma proseguiamo. Ho pochissimo tempo.
[...]

 

 

SUL TPIJ:

 

 

Il procedimento dell’Aja contro Slobodan Milosevic:

Questioni Emergenti nel Diritto Internazionale

ICDSM : L’Aja 26/02/2005  Conferenza Internazionale

 

Prof. Aldo Bernardini

(Docente di diritto internazionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Urbino):

Il diritto internazionale capovolto: la crisi jugoslava e il caso del Presidente Milosevic

 

Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini in ex Jugoslavia (ICTY) sta operando, è caratterizzato da un assoluto e totale capovolgimento del diritto internazionale. Tra gli scopi delle Nazioni Unite dice l'articolo 1 comma 1 della carta c'è il "mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed è a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violenze della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."

La prassi ha stabilito che questo principio non concerne con le misure ex capitolo 7 della Carta dell'Onu (che è quello che regola le azioni a tutela della pace N.d.R.): ma il significato delle limitazioni date dalla Carta alle misure previste nel capitolo 7 è che queste non possono violare a loro volta il diritto internazionale, né essere contrarie ai principi di giustizia; sono misure puramente esecutive, misure di polizia, per fermare e rimuovere situazioni pericolose contemplate dall'articolo 39 (il quale recita "Il Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa accomodazioni o decide quali misure debbano essere prese in conformità degli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale" N.d.R.). Alcuni scrittori affermano anche che il riferimento al concetto stesso di giustizia (un concetto sostanziale che dipende da interpretazioni soggettive) consenta un approccio meno rigido alle leggi internazionali. In realtà, il riferimento alla giustizia è interpretato solo in virtù degli scopi delle Nazioni Unite di cambiare il diritto internazionale. Il pilastro del sistema delle Nazioni Unite era l'azione del Consiglio di Sicurezza che agiva in virtù del capitolo 6 (soluzione pacifica delle controversie) facendo raccomandazioni seguite da accordi con gli Stati stessi, agendo in conformità alla Carta che all'articolo 24.2 specifica che il Consiglio non può oltrepassare gli specifici attributi dalla Carta indicategli. Ma dal 1989 1991, questo pilastro è e continua ad essere illegittimamente distrutto. Il Diritto Internazionale subisce costantemente delle violazioni nelle sue istanze principali. Si è passati dalla forza del diritto al diritto della forza. Il Consiglio di Sicurezza e i suoi organi sussidiari agiscono contro il diritto internazionale e contro la giustizia (nella sua accezione sostanziale). Può sembrare strano, ma è la verità.

 

Nelle crisi Jugoslave ad essere a rischio sono prima di tutto la corretta definizione e il corretto approccio agli aspetti che riguardano la sovranità e l'autodeterminazione dei popoli. Contrariamente alle teorie più diffuse, nel sistema dell'ONU e in generale nel diritto internazionale, l'autodeterminazione dei popoli non può violare la sovranità dei singoli Stati, nonché con la loro integrità territoriale. Lo Stato sovrano, soggetto al diritto internazionale, è libero di difendere se stesso da secessioni, e interventi di Stati stranieri nei suoi affari sono proibiti. L'unica eccezione accettabile, e dal diritto internazionale accettata, è quella che riguarda le lotte e le guerre di liberazione dei popoli colonizzati o dei popoli che si trovano in situazioni simili: illegittima occupazione straniera o, persino in condizioni di discriminazione (apartheid) anche se ciò si verifica entro i confini nazionali. In altre parole, solo quando una popolazione o parte di essa, identificabile con un territorio compatto, unita in una regione, o che costituisce la maggioranza di uno Stato, è sotto oppressione nazionale o discriminazione, la sovranità di quello Stato appare non rappresentativo di quel settore di popolazione: non può essere considerato lo stato di quel popolo. Questo è il prerequisito per il diritto all'autodeterminazione. Una norma scritta, la quale definisce i possibili casi di autodeterminazione, è l'articolo 1.4 del primo Protocollo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra: " Le situazioni trattate nel precedente paragrafo includono i conflitti armati in cui i popoli combattono contro il dominio coloniale e un regime razzista nell'esercizio del loro diritto all'autodeterminazione". Penso che ciò non abbia nulla a che vedere con le secessioni interne, poiché queste riguardano la forma dello Stato o del Governo, le relazioni governo-popolo e così via, quindi un affare interno. In caso di "discriminazione delle nazionalità o d’oppressione" invece, fin dagli anni '60, il così detto diritto all'autodeterminazione è affare di diritto internazionale, così i popoli discriminati che lottano per cambiare la loro situazione, persino tramite la secessione, possono essere appoggiati in varie forme di azioni, anche aiuti militari, da Stati terzi, senza così violare la proibizione

all'intervento. Irresoluta rimane la questione se lo Stato centrale è legalmente libero o meno, in virtù delle leggi internazionali, di reagire con mezzi militari alla guerra di liberazione, almeno questa lotta abbia raggiunto un riconosciuto livello o un internazionale riconoscimento (naturalmente, non abusivo ma seguendo i requisiti su menzionati).  La legittima repressione di un’illegittima secessione non è mai requisito per un’autentica auto-determinazione. Ma tutto ciò è vero solo nei casi di lotta contro uno stato costituito. In situazioni dove l'entità Statale non esiste, o è estinta, o il potere sovrano su un territorio e sulla sua popolazione è rimosso o fatto oggetto di rinuncia, il diritto all'auto-determinazione di un'entità territoriale compatta e unita è pieno e illimitato e non può essere contrastato da interventi esterni. Le differenti parti territoriali di una regione senza costituito potere sovrano hanno lo stesso diritto di creare e costituire il loro Stato, o comunque di determinare in un altro modo il loro status. Quando un potere sovrano non è venuto ancora ad esistenza, ma è coinvolto in un iter costituente, le varie entità territoriali hanno appunto lo stesso diritto a costituire un loro stato. Il principio dell’uti possidetis juris non è una regola generale di diritto internazionale: storicamente, è stato molto limitato in America Latina e in Africa durante il processo di decolonizzazione. Occorre far menzione di un significativo precedente: il West Virginia nella guerra civile americana. Una cosa è negare l'esistenza del diritto all'auto determinazione di una non discriminata popolazione in uno Stato costituito, altra cosa è imporre su una popolazione o parte di essa la forzata integrazione in uno Stato, il cui processo di formazione è ancora in corso. In questo caso si assiste ad un processo autonomo e non etero diretto. Un auto-determinazione pilotata è una contraddizione. Nelle crisi Jugoslave la secessione di alcune repubbliche era un problema di insurrezione locale contro lo Stato sovrano. In questa sede esaminerò la questione da un puro punto di vista giuridico. Di sicuro non c'erano i prerequisiti per l'autodeterminazione, cioè non si era verificata alcuna discriminazione contro la popolazione delle Repubbliche secessioniste. In tale situazione ogni interferenza esterna è assolutamente proibita. Nessun dubbio che la Federazione Jugoslava era ancora esistente, quando il riconoscimento di Slovenia, Croazia, Bosnia-Herzegovina arrivò dalle potenze occidentali. La caratteristica principale della Federazione Jugoslava era data dal fatto che era un unione di popoli costitutivi che attribuivano il nome alle repubbliche federate, più altre nazionalità e minoranze: ma non c'era mai la stretta coincidenza tra il popolo che assegnava il nome ad una determinata repubblica e la repubblica stessa. In altre parole, Croazia e Serbia furono costituite dai due popoli costitutivi, mentre la Bosnia-Herzegovina ospita tre popolazioni (Musulmana, Croata e Serba). Questo sistema era stato stabilito dalle Costituzioni degli Stati Federali, conformemente a quella del 1974. Questa carta nel preambolo riconosce il diritto di secessione, ma non alle repubbliche federate bensì ai vari popoli costituenti la nazione jugoslava, senza in ogni caso prevederne l'iter. Era possibile che l'eventuale secessione avvenisse in maniera trasversale in relazione alle singole repubbliche federate: così una singola popolazione dividendosi dal resto della nazione poteva coinvolgere più di una repubblica. Mentre per le stesse repubbliche federate la procedura era molto più complicata, poiché per cambiare propri confini interni, c'era bisogno del consenso di tutte le nazioni. E' fuori di dubbio che le secessioni delle singole repubbliche siano avvenute violando la Costituzione, come rilevato dalla Corte costituzionale Federale Jugoslava. L'intervento dell'esercito federale jugoslavo dopo la dichiarazione di indipendenza della Slovenia (25 giugno 1991) fu perciò legittimo. L'interferenza della Comunità Europea, che nella conferenza di Brioni optò per il ritiro dell'esercito federale dalla Slovenia, accompagnato da pressioni di ogni genere, presenta senza dubbio una violazione della legalità internazionale. In Croazia, di fronte ai graduali passi verso la secessione, culminata nella dichiarazione di indipendenza (anche in questo caso il 25 giugno 1991), la maggioranza serba in Krajina proclamò la sua repubblica e perciò fu attaccata dalle forze di polizia croate. Anche lì l'esercito federale agì legittimamente (luglio 1991). Le repubbliche secessioniste provocarono la paralisi delle istituzioni federali: dopo il blocco Serbo-Montenegrino, affrontarono col rischio della disintegrazione, e assunsero il controllo delle istituzioni (3 ottobre), provocando la protesta delle potenze occidentali; l'8 ottobre la Slovenia e la Croazia dichiararono definitivamente la loro indipendenza. Sebbene per un pò di tempo difendessero la stabilità, la sopravvivenza della repubblica Federale Jugoslava, gli stati europei cominciarono subito (già il 2 agosto 1991) a dare il via libera alla loro vera ma illegittima politica: in assenza di un accordo tra le repubbliche Federate, i confini internazionali, ma anche quelli interni in Jugoslavia, furono rispettati. La linea fu confermata in un altro meeting internazionale e persino dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione numero 713 del 1991 del 25 settembre, che definì la situazione Jugoslava come un pericolo per la pace. In modo particolare sotto la pressione di Germania, Austria e Vaticano, il 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia furono riconosciute come stati indipendenti, e Bosnia-Herzegovina e Macedonia seguirono la stessa strada, e ci fu poi l'ammissione nelle Nazioni Unite (22 Maggio). Questo processo fu stimolato dai Ministri degli affari esteri degli stati aderenti all'Unione Europea, che il 16 dicembre 1991 hanno pubblicato le linee guida " per il riconoscimento dei nuovi stati dell'Europa dell'est e dell'Unione Sovietica": un’incredibile iniziativa, che invita tali Stati ad agire per ottenere il riconoscimento. Le potenze occidentali stabilirono che la Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia dovesse finire, sebbene ci fossero ancora delle istituzioni, come l'esercito e la Presidenza Federale anche se tronca, che la stavano ancora difendendo. La posizione della Jugoslavia e di Milosevic (Presidente della Serbia dal 1989) fu in un primo tempo quella di non accettare che il paese fosse depennato, e poi che la Federazione dovesse sopravvivere per tutti i popoli e le regioni che vi volevano ancora vivere (ciò fu in malafede concepito come un piano per costruire la cosiddetta 'Grande Serbia'). In questo contesto le potenze riaffermarono il principio del rispetto dei confini interni, specialmente in relazione alla Krajina e la Bosnia Serba , dove i Serbi proclamarono la loro repubblica: loro non parteciparono al referendum sull'indipendenza della Bosnia. Il punto principale è che il processo di dissoluzione della Jugoslavia era senza dubbio in corso, ma non era consolidato, stabilizzato, condizione fondamentale per considerarlo effettivo. All'inizio della cessazione dell'opposizione attiva con riguardo ai nuovi sviluppi della situazione, dalle autorità legittime fu promulgata la Costituzione del 1992 della parte residua della Jugoslavia e successivamente fu deciso il ritiro dalla Bosnia e dalla Croazia. ciò significa che le azioni delle potenze occidentali erano illecite: furono un interferenza in affari interni dello stato, allo scopo di aiutare gli insorti nelle loro mire separatistiche. la fattispecie di crimine contro la pace fu escluso dallo statuto dell'ICTY non per caso. D'altra parte la forma dei nuovi stati non era ancora stata stabilita: il loro processo di formazione non era ancora concluso, non avevano ancora il libero e pieno controllo su tutto il territorio che reclamavano (fatta eccezione per Slovenia e forse Macedonia). Il prematuro riconoscimento (e le conseguenti attività di supporto, di condanna, sanzioni e limitazioni alle azioni costituzionali dell'esercito Federale), furono gli elementi dell'azione illegale condotta dagli Stati occidentali. Farò menzione del secondo protocollo alla Convenzione di Ginevra .  L'intervento in conflitti interni, il prematuro riconoscimento di stati ancora non completamente giunti a formazione: un giovane studioso italiano (Tancredi, Secessione p.464) espresse molto chiaramente il capovolgimento dei criteri fondamentali di effettività: un non esistente (a livello internazionale) diritto alla secessione fu creato dalla volontà politica di un gruppo di Stati stranieri mediante il riconoscimento, il quale ha dato alla questione rilievo internazionale, attribuendo il diritto all'auto-determinazione, sebbene non ci fossero le condizioni. " Il riconoscimento degli stati secessionisti della Jugoslavia, costituisce una nuova strategia, non più la passiva accettazione del fato, ma si pilotano gli eventi". Il tutto con illegali conseguenze: la proibizione per le autorità centrali di contrastare la secessione, la proibizione per stati terzi dare assistenza al potere centrale, mentre diventa legale per i secessionisti ricevere aiuto, anche militare, dall'esterno. Bene quindi, non l'indipendenza di fatto dichiarata che corrisponda alla reale situazione giuridica, ma una creazione giuridica artificialmente posta in essere i cui aiuti sono decisivi per ottenere l'indipendenza - non ancora ottenuta effettivamente. Cosicché la Jugoslavia passò per l'aggressore (in un primo momento per mantenere lo status quo, poi per aiutare i serbi di Croazia e di Bosnia cui era stato negato il diritto all'autodeterminazione). Chiaramente, se in un conflitto accadono episodi di crudeltà e financo criminali ad opera di entrambe le parti, è naturale e piuttosto automatico, attribuirli in toto all' "aggressore", ricorrendo alla calunnia e amplificando i singoli casi col beneficio dei mass-media e dei loro manipolatori. Dopo l'assoluto stravolgimento delle relazioni tra sovranità e auto-determinazione rispettivamente di Jugoslavia e repubbliche secessioniste, ecco che abbiamo anche la negazione all'autodeterminazione all'interno delle stesse repubbliche secessioniste, sebbene queste non fossero ancora definitivamente formate. Abbiamo già ricordato che quando uno stato è coinvolto in un processo di formazione, ogni componente etnica della popolazione (che sia identificabile con un'entità territorialmente compatta) ha il medesimo diritto di costituire il suo stato, o rimanere nel vecchio stato. Ma anche a questo proposito ci sono stati dei capovolgimenti del diritto: l'imposizione dell' uti possidetis elevò i confini interni a confini riconosciuti a livello internazionale, contrariamente a quanto sosteneva la Costituzione Jugoslava (che contemplava, ripeto, la secessione ma in relazione ai popoli, mentre la procedura per apportare modifiche ai confini delle Repubbliche era stabilita, così come i confini stessi e le condizioni per la convivenza tra differenti popolazioni nella stessa Repubblica, dalla Costituzione Federale, e la loro validità finì col cessare della Costituzione). Attraverso questo imbroglio, la repressione delle negate auto-determinazioni dei serbi di Croazia e di Bosnia furono considerate un affare interno delle Repubbliche (non ancora costituite), l'aiuto a tale auto-determinazione (da parte della Jugoslavia) invece illecito, di conseguenza persino l'intervento armato di Stati terzi o di organizzazioni fu legittimato contro l'assistenza Jugoslava. Assolutamente sbagliato, se non per meglio dire vergognoso, anche dal punto di vista del diritto internazionale, deve essere considerata la forzata formazione dall'esterno della cosiddetta Federazione di Bosnia-Herzegovina, un' entità artificiale, nemmeno realmente indipendente. Ma l'azione di moderazione del Presidente Milosevic durante gli accordi di Dayton non può essere dimenticata.

 

Un altro aspetto dello stravolgimento del diritto internazionale: la negazione della continuità della Repubblica Federale del 1992 rispetto alla Repubblica Socialista e l'affermazione che questo era ormai un'altro Stato, visto il venir meno dei membri originali e perciò delle caratteristiche originali dello stato membro, bisognava pertanto rifare la procedura di adesione. E' sufficiente affermare che, al contrario, si era di fronte semplicemente ad un caso di rimpicciolimento , non di una radicale modifica o sostituzione del vecchi sub strato sociale: non si trattava di smembramento, ma di una serie di secessioni di alcune repubbliche: secessioni che avevano visto l'opposizione attiva e legittima dello stato centrale, anche se stava progressivamente perdendo il suo controllo di fatto sul suo territorio, fino a quando sospese o rinunciò alla sovranità sui vari territori, ma non, almeno all'inizio, per il beneficio delle Repubbliche secessioniste. Inoltre non ci fu una contro-rivoluzione socio-economica, come nelle altre Repubbliche. Ma la cosa più sorprendente fu il diverso trattamento riservato alla Russia, considerata come entità avente continuità con l'Unione Sovietica anche per quanto riguarda il seggio presso permanente presso il Consiglio di Sicurezza. Forse avrebbe dovuto svilupparsi un lavoro teorico maggiore per quanto riguarda lo smembramento dell'URSS, dove nessuna attività di opposizione contro le secessioni fu mossa nel '91, mentre la Russia era attiva nel processo di estinzione della forma dello Stato precedente. Un fatto importante che non deve essere dimenticato sulla Jugoslavia "residuale": le Costituzioni di Serbia e di Jugoslavia (1990 e 1992) grazie all'attivo impegno politico del Presidente Slobodan Milosevic, non erano nazionalistiche, dando eguale diritto di cittadinanza ad ogni abitante, a differenza di quella croata, che sancisce la Croazia come stato dei croati, mentre gli altri gruppi sono considerati minoranze.

 

Altri elementi sullo a proposito dello stravolgimento: l'aggressione del 1999,la cosiddetta guerra del Kosovo. In questa non prenderò in considerazione i fatti come il presunto genocidio e il restringimento dell'autonomia regionale avvenuta nel 1989-90, che fu una decisione della Federazione e non di Milosevic. E' sufficiente riportare l'intervista al generale Heinz Loquai del contingente tedesco presso l'Osce: "Circa il genocidio, non solo "pianificato" ma "perpetrato" dal governo Jugoslavo, sia i parlamentari del Bundestag sia il Governo tedesco hanno dato il via libera a delle esagerazioni enormi.Ciò che le armi di distruzione di massa irachene rappresentano per Bush, la cosiddetta catastrofe umanitaria in Kosovo fu per la Germania la giustificazione per la guerra".Egli afferma pure che, il giorno prima dell'aggressione, esperti del ministero della difesa tedesco affermarono che "non era in corso nessuna pulizia etnica". E ancora: in Kosovo "c'era una guerra civile. La NATO è intervenuta unilateralmente contro una parte, la Jugoslavia: la guerra ha provocato una reale catastrofe umanitaria: 70000 rifugiati dal Kosovo nei vicini paesi all'inizio del conflitto, 800000 alla fine". In questo severo resoconto dei fatti troviamo ancora il capovolgimento del diritto internazionale. L'intervento umanitario - consentito dal diritto internazionale- è un'invenzione frutto della nuova epoca caratterizzata dal dominio imperialista. L'intervento in una guerra civile, o in un conflitto interno, i quali sono tipici affari interni di uno stato, è a livello di principio proibito (e mancava pure l'autorizzazione del consiglio di sicurezza che comunque non avrebbe lasciato la questione priva di dubbi). A tal proposito c'è una regola internazionale che conferma questa tesi, si tratta dell'art 3 del secondo Protocollo del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949, relativamente alla protezione delle vittime in conflitti non internazionali: "Nessun articolo di questo Protocollo può essere invocato per influire sulla sovranità degli Stati sulla responsabilità dei governi, sia direttamente che indirettamente, per nessuna ragione". Questo Protocollo è in vigore dal 7 dicembre 1978 ed è stato ratificato dalla Jugoslavia e poi dagli USA, Italia, Germania, Gran Bretagna. Si può stabilire un'importante analogia con la questione cecena. Fu un'aggressione, per il piacere dei gruppi criminali e terroristi: ora il Kosovo è illegalmente separato dalla Jugoslavia (Serbia), sono in corso pulizie etniche contro i Serbi e le altre minoranze etniche: nessuno pagherà delle "corti internazionali" per i crimini di aggressione (da parte della NATO) e altri criminali di guerra occidentali, e per i crimini perpetrati dai gruppi al potere oggi in Kosovo.

 

Legalità, imperatività delle norme di legge è prima di tutto l'affermazione della definizione dei crimini e delle sanzioni, delle procedure giuridiche , dei modi e dei mezzi per creare nuove regole e organi. Questo è particolarmente vero nel caso di norme internazionali e decisioni riguardanti l'individuo e non le attività tra stati.Le questioni sui diritti umani, stanno emergendo almeno nel sistema delle Nazioni Unite, non passare inosservate. Per quanto riguarda il cosiddetto delicta contra gentium , si deve assicurare che i diritti individuali sanciti dalle leggi internazionali siano rispettati (anzi, aggiungerei bisogna garantire anche il corretto adempimento da parte dello stato).

Sottolineerei un punto che solitamente viene tralasciato: nella legislazione delle Nazioni Unite l'accettazione di obblighi internazionali da parte degli Stati è espressamente vincolato al rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio fondamentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di diritto internazionale, Alfred Verdross: l'ONU non ha sovranità direttamente sugli individui. In quest'ambito che bisogna rispettare la sovranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell'Onu sugli individui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello Stato, è esclusa. Ciò è essenziale, ragione strutturale perché un'iniziativa come l'ICTY è da respingere come totalmente illegale. Ma siamo in una fase storica dove la legge della forza prevale sulla forza del diritto. Il quale è, come vuole la vulgata, la base legale per la creazione da parte del Consiglio di sicurezza di tal straordinario, anzi meglio dire senza precedenti organo come l'ICTY (nonché il tribunale del Rwanda). Prima di tutto, il suo potere discrezionale sconfinato nel definire le minacce o i pericoli per la pace (non si parla di pace internazionale come invece si legge nella norma) ai sensi dell'articolo 39 della Carta, è il risultato di un'accezione erronea sfortunatamente corroborata da prassi fuorvianti e dalla acquiescenza degli stati. In secondo luogo, alla base della determinazione di questo strumento c'è l'affermazione che il Consiglio di Sicurezza abbia possibilità illimitate nell'adottare ogni sorta di misura che ritiene utile e necessaria. Ciò è stato confermato anche in anni recenti, dalla prassi illegale, ma ciò è profondamente falso. Gli articoli 41 e 42della Carta prevedono due tipi di misure (rispettivamente con e senza l'uso della forza), senza dubbio in maniera esemplificativa, in modo da limitare le tipologie connesse con funzione di auto tutela, in cui è proibita l'azione individuale degli stati, e dove ci si debba affidare all'azione collettivamente decisa. Attività del genere lo stato leso poteva mettere in opera, conformemente al vecchio diritto internazionale, che includeva tra le contromisure, rappresaglie,auto-tutela e così via. Ciò ora è rimpiazzato dalle iniziative collettive sempre dello stesso tipo. Con ciò si vorrebbe impedire l'auto tutela individuale per favorire quella collettiva, rimuovendo situazioni (reali o imminenti) minacciose per la pace, senza imporre soluzioni (previste dal capitolo 6 ma solo sotto forma di raccomandazioni). In questo senso, è una pura funzione esecutiva. Perciò nessun potere di modifica dell'esistente ordine legale, o di creazione di regole e di organi o di leggi è attribuito all'ONU e in particolare al Consiglio di Sicurezza in base al capitolo 7 (non è prevista nessuna funzione giuridica interstatale, tanto meno sugli individui). L'istituzione dei cosiddetti tribunali con lo scopo di giudicare i crimini perpetrati da individui è secondo me una questione che desta qualche dubbio. Il minimo requisito per un organo del genere dovrebbe essere che alla base ci sia un accordo tra gli stati, un accordo direi, che rientri nel quadro delle regole delle Nazioni Unite, che rispetti le istanze costituzionali dei paesi coinvolti e i principi fondamentali dei diritti umani. La convenzione sul genocidio del 1948, ovviamente accettata dagli Stati, prevede la costituzione di un tribunale, che non è mai stato costituito, la cui giurisdizione abbia l'esplicito consenso degli stati. Altri successive corti internazionali sono state istituite a seguito di accordi internazionali. La creazione dell'ICTY (e del tribunale del Rwanda) ad opera del Consiglio di Sicurezza è inammissibile da un punto di vista strettamente giuridico. L'opposta opinione, che corrisponde con quella dell'ICTY stesso, si basa sull'interpretazione degli articoli 39, 41, 42 tendente a dare ampio potere discrezionale al Consiglio di Sicurezza. Accettare questa dottrina equivale ad accettare una dittatura mondiale del Consiglio di Sicurezza su individui e Stati.Siamo consapevoli di essere già sulla buona strada: le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza lo testimoniano; lo stesso si dica della risoluzione 827 che da vita all'ICTY. Questo è un puro atto di giustizia dei vincitori, espressione del diritto della forza contro la forza del diritto. Sono i principi del Fuhrer espressi a livello planetario.Come tale istituzione può essere inclusa nella carta dell'ONU?La risoluzione 827 non è né una decisione collettiva che non implica la forza né una misura che la prevede ex.articolo 42.Non è, in generale, un mezzo collettivo di autotutela atto a impedire l'autotutela individuale ad opera degli stati stessi: avete mai visto un istituzione come un tribunale usata come contromisura o come rappresaglia da uno stato leso?Secondo la corretta interpretazione,il consiglio di sicurezza non ha tale potere:le istituzioni di un organo di questo tipo non è una misura esecutiva, ma normativa che implica il potere legislativo e potere giudiziario persino sugli individui, poteri mai conferiti al consiglio di sicurezza.Un fondamentale saggio di Gaetano Arangio-Ruiz, (''on the security counsil's law making'' ex membro della commissione diritto internazionale presso le nazioni unite nonché uno dei maggiori studiosi della dottrina sostiene: ''Si ha l'impressione che i giuristi internazionali tendano ad essere soddisfatti senza mostrare un minimo di senso critico, facendo solo qualche proposta marginale circa la procedura volta a far si che le azioni del Consiglio di Sicurezza siano meno problematiche, ma politicamente più gradite... non si nota, in dottrina, nessuna trattazione a proposito dei problemi che si pongono circa l'interpretazione e l'applicazione della Carta . Questa per mezzo secolo sono sempre state in balia di svariate letture... si percepiva, in quel tempo, nell' approccio alla materia, un' atteggiamento rinunciatario da parte dei giuristi in ossequio al potere politico e al 'realismo' ".  Le conclusioni di Arangio-Ruiz sull'ICTY sono perentorie: "Chiaramente, l'istituzione di un tribunale con le funzioni cui sono state date all'ICTY, rappresentano un duro impatto ai diritti e agli obblighi degli Stati, la cui sovranità e giurisdizione penale potrebbero risultare danneggiate dall'espletamento di tali funzioni.  Due possibilità -data l'impraticabilità del trattato- erano così aperte circa la questione del Consiglio. Una era quella di avviare un'azione militare nei territori coinvolti, aprendo in questo modo la possibilità di formare una corte penale nel contesto delle operazioni militari svolte dall'Onu, operando nell'ambito degli articoli 42 e 51; la seconda strada era quella di creare una corte penale come forma isolata riguardante solo gli stati in gioco. Prerogativa questa che avrebbe permesso di agire al di fuori di qualsiasi operazione militare vincolata ai dettami della Carta e del diritto internazionale. Non potendo, o non volendo seguire la prima opzione, e traviato da esperti in legge, il consiglio scelse la seconda. Così facendo il Consigli non intraprese una legittima azione di "peace-enforcement" prevista dal capitolo 7, ma si attribuì un potere legislativo, che viola il capitolo 7 dal momento che questo non prescrive una tale funzione. In questo modo l'Onu ha ignorato la distinzione di importanza capitale fatta dalla Carta tra peace-enforcement e il potere di creare, modificare e rinforzare le leggi, quest'ultime non sono attribuite agli organi delle Nazioni Unite da nessuna parte". Io aggiungerei questo- nemo dat quod non habet- il Consiglio di Sicurezza non può istituire un organo sussidiario ex art. 29 e attribuirgli poteri che lui stesso non possiede. Così ICTY è un puro strumento di natura politica. Ho lasciato da parte ogni sorta di commento circa il suo Statuto, sulla suo specifico modo di procedere, sull'infame rifiuto di giudicare i crimini della NATO (bombe, uranio impoverito ecc.), il vergognoso rapimento di Slobodan Milosevic, la violazione dello Stato e dell'immunità che spetta ai suoi organi (come previsto dalla decisione della corte Internazionale di giustizia il 14 Febbraio 2002: caso riguardante l'autorizzazione all'arresto del 11 aprile 2000 - Repubblica Democratica del Congo contro Belgio) e così via, per non parlare dei capi di accusa contro Slobodan Milosevic contrari ad ogni principio di diritto penale. Quello contro Milosevic è un processo politico: il crimine dell'ex Presidente è stato quello di non accettare il diktat delle potenze occidentali. I processi, quasi tutti contro personalità di nazionalità Serba (non si sono visti i leader delle altre Repubbliche come Tudjman o Itzebegovic e nemmeno i leader odierni albanesi), sono un avvertimento per tutti coloro che non si sottomettono al nuovo ordine mondiale: hanno bisogno di abbellire delle vere e proprie aggressioni, per poi condannare presunti crimini commessi da presunti mostri. La risoluzione 36/103 del 9 Dicembre 1981 dell'Assemblea Generale (dichiarazione di ammissibilità dell'intervento e di interferenza in affari interni agli stati) afferma: " Il dovere di ogni Stato di astenersi dal promuovere campagne diffamatorie o di propaganda ostile con lo scopo di intervenire o interferire negli affari interni" nonché " il dovere per ogni Stato di evitare ogni strumentalizzazione e distorsione di questioni riguardanti i diritti umani come mezzo per interferire in affari interni, per far pressione sugli altri stati, o per seminare distruzione e disordine tra stati o gruppi di Stati". Notate una certa somiglianza con l'atteggiamento delle potenze occidentali e dei media? Mai prima d'ora la differenza di atteggiamento tra le due parti era stata così evidente: uno Stato che rifiuta financo di accettare l'adesione alla convenzione del 1998 di Roma che istituiva la Corte Penale Internazionale con i suoi alleati che appoggiano un processo farsa contro le vittime dell'aggressione, e i leader che tentano di difendere la propria patria. Tale mancanza di legalità è equivalente ad una violenza sconfinata. Non c'è da stupirsi se la violenza e il terrorismo (vero o presunto) si stia spargendo su tutto il pianeta, se i più elementari principi di legalità vengono violati dall'Onu stesso.

 

Traduz. di Pacifico Scamardella    ( Forum Belgrado Italia)

 

 

 

International Action Center  New York: A proposito del Tribunale ONU per la Jugoslavia

 

E' merito esclusivo della crescente pressione internazionale per incriminare Bill Clinton e altri leaders della NATO per crimini di guerra contro il popolo jugoslavo se il procuratore capo del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia si è visto costretto ad annunciare che avrebbe preso in esame un rapporto su possibili crimini commessi dalla NATO. Chi si aspettasse l'incriminazione di qualcuno dei leaders della NATO andrebbe però incontro a sicura delusione. L'annuncio che la condotta della NATO viene scrutinata è solo una cinica manovra per accreditare l'imparzialità di un tribunale istituito per ordine dei paesi NATO e da essi finanziato.

Il 28 dicembre Carla Del Ponte, procuratore capo del tribunale speciale sui crimini di guerra con sede a L'Aia, annunciava che avrebbe preso in esame un rapporto sulla condotta dei piloti NATO e dei loro comandanti nel corso dei 78 giorni di bombardamento della Jugoslavia. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU aveva istituito il tribunale nel 1993 su istigazione di Madeleine Albright. Da allora esso è sempre dipeso nel suo funzionamento dal sostegno finanziario dei paesi NATO e ha fatto assegnamento sulla NATO per imporre le sue decisioni e arrestare quelli che indica come imputati. Questo Tribunale non ha niente a che fare con la Corte Internazionale di Giustizia e non ha il minimo fondamento nel diritto internazionale o nella Carta dell'ONU.

Lo IAC non ha mai ritenuto che un tale organismo potesse essere un tribunale imparziale e indipendente. Esso è stato istituito per stare agli ordini delle potenze occidentali con lo scopo in particolare di gettare il discredito sui dirigenti politici della Jugoslavia preparando così l'opinione pubblica alla guerra. Non ha rappresentato altro che uno strumento in più nella guerra di aggressione contro la Jugoslavia. Quasi tutte le sue accuse sono state mosse contro i Serbi e l'imputazione del presidente Slobodan Milosevic e di altri dirigenti jugoslavi è stata formulata proprio mentre le bombe della NATO piovevano su Pristina e le altre città e villaggi del Kosovo, su Belgrado, Novi Sad e tutta la Jugoslavia.

Gli aggressori NATO hanno accusato le loro vittime di crimini di guerra. Non è un fatto senza precedenti storici. All'inizio degli anni '40 la Germania nazista di Adolf Hitler inscenò un processo per crimini di guerra contro il dirigente socialista francese Leon Blum. Blum e i socialisti furono accusati di aver provocato la seconda guerra mondiale. Lui e milioni di altri furono poi deportati nei campi di concentramento.

Nessuno dei resoconti mediatici sull'annuncio della Del Ponte ha avanzato la previsione che l'esame del rapporto possa sfociare nell'imputazione di persone associate alla NATO; già solo il fatto tuttavia che si possa ventilare questa eventualità rappresenta uno sviluppo di grande rilievo. Come ha osservato uno dei commentatori, non esiste nessun precedente di un responsabile politico o militare occidentale trascinato davati a un tribunale.

Il 31 luglio 1999 l'International Action Center diede vita a New York di fronte a 700 persone a una Commissione Indipendente di Inchiesta per indagare sui crimini di guerra USA e NATO contro il popolo jugoslavo. In quell'occasione l'ex ministro della giustizia statunitense Ramsey Clark formulò un'imputazione contenente 19 capi di accusa contro i dirigenti politici e militari degli USA e degli altri paesi NATO per crimini di guerra, crimini contro l'umanità e crimini contro la pace.

Dopo di allora molte assemblee dello stesso tipo si sono tenute in dieci città degli USA, a Roma, Berlino, Oslo, Parigi, Vienna, Novi Sad, Sydney, Tokyo e ad Atene si è visto il "Tribunale Popolare" più impressionante, con la partecipazione di 10.000 persone.

Altri, tra cui per esempio alcuni membri della Duma russa e illustri avvocati canadesi, greci e inglesi, hanno contribuito al "movimento per il tribunale" cercando di sottoporre testimonianze al Tribunale Internazionale istituito dal Consiglio di Sicurezza a L'Aia. Costoro hanno documentato i crimini della NATO e chiesto che il Tribunale esamini anche quelli. Altri ancora, per lo meno in Germania e in Italia, hanno presentato denunce contro i rispettivi governi per la violazione di norme costituzionali che impediscono una guerra di aggressione.

A ciò bisogna aggiungere che i mezzi di comunicazione dominanti hanno finalmente ospitato parecchie ricostruzioni corrette di avvenimenti relativi alla guerra, che espongono le potenze NATO alle peggiori accuse di crimini di guerra e confermano che si è trattato di una guerra di aggressione e che la NATO ha voluto colpire i civili. Ci riferiamo in particolare alle ricostruzioni comprovanti che:

(1) Gli USA e gli altri paesi NATO hanno provocato la guerra imponendo nel marzo 1999 a Rambouillet condizioni che prevedevano l'occupazione dell'intero territorio jugoslavo e che il governo jugoslavo non avrebbe mai potuto accettare (si veda per esempio l'articolo di Robert Fisk sul quotidiano inglese The Independent del 26 novembre 1999).

(2) I generali statunitensi che hanno diretto i bombardamenti NATO hanno colpito di proposito obiettivi economici civili per far pressione sul governo di Belgrado e costringerlo a capitolare (ai veda Dana Priest sul Washington Post del19, 20, 21 settembre 1999).

(3) Gli allarmi sul "genocidio" che i capi politici della NATO hanno utilizzato per giustificare l'intervento non avevano nessuna corrispondenza nella realtà. Funzionari statunitensi affermarono che 500.000 albanesi del Kosovo erano stati uccisi, poi scesero a 100.000, poi a 40.000. Ma le squadre di investigatori di 17 paesi che hanno scavato nel Kosovo per sei mesi per cercare le cosiddette "fosse comuni" hanno trovato 2.108 corpi, appartenenti si intende a persone di tutte le nazionalità e morti per tutte le cause. (Si veda il Toronto Star del 4 novembre e il New York Times del 10 novembre 1999)

Insomma, le testimonianze sempre più numerose contro le forze USA e NATO e le pressioni sempre più forti per accusare la NATO di crimini di guerra hanno costretto il Tribunale costituito dal Consiglio di Sicurezza a cercare almeno di mascherare la propria funzione di arma puntata contro la Jugoslavia.

Anche se non ci aspettiamo affatto che il Tribunale Internazionale sulla ex Jugoslavia metta sotto processo i criminali di guerra USA e NATO, noi dell'International Action Center siamo incoraggiati da questo ulteriore segnale dell'ostilità crescente contro la guerra di aggressione condotta dala NATO e daremo vita nel prossimo mese di giugno, come ci siamo proposti, al tribunale indipendente che sottoponga i criminali NATO e USA al processo dell'opinione pubblica mondiale.

31 dicembre 1999

 

 

DOCUMENTAZIONE per la memoria storica:

 

 

L'inganno del camion frigorifero

Come fece la NATO ad incolpare falsamente Slobodan Milosevic

Il problema della NATO   ( 1° parte)

di Francisco J. Gil-White (*)

 

La NATO giustificò il bombardamento indiscriminato della Yugoslavia denunciando che Slobodan Milosevic era sul punto di ammazzare  per lo meno 100.000 civili albanesi [1].

 

Alla fine del maggio 1999, durante il bombardamento, il Tribunale de L'Aia emise un'accusa contro Slobodan Milosevic per “crimini di guerra” [2]. In seguito, tra giugno e novembre 1999, dopo il bombardamento, gli investigatori della NATO e delle Nazioni Unite rivoltarono il Kosovo come un calzino, per trovare prove dell'assassinio di massa che permettessero loro di inviare Milosevic a L’Aia.

Si trovarono ad avere un solo problema: la NATO non presentò prova alcuna.

Citazione dell’AGENZIA REUTERS:

“Fino ad ora, gli investigatori ONU hanno esumato 2108 cadaveri in Kosovo, ma secondo quanto ha affermato mercoledì Carla Del Ponte, principale Pubblico Ministero delle Nazioni Unite [in realtà, del Tribunale per i Crimini di Guerra], la vera quantità di vittime di etnia albanese può essere molto superiore” [3].

 

Secondo la NATO, le forze di Milosevic avevano ucciso 100.000 civili albanesi. Ma 2108 corrisponde appena al 2% di 100 000. La NATO si sarà sbagliata niente meno che per un 98%? No, peggio.

 

Prima di lanciare il bombardamento, la NATO stimava che durante i combattimenti tra Esercito Yugoslavo e terroristi dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK, KLA in inglese), si erano avuti 2000 morti, contando entrambe le parti [4]. Pertanto, se durante la ricerca successiva al bombardamento trovarono 2108 cadaveri, secondo le cifre fornite dalla NATO, durante il suo attacco non possono essere morte più di 108 persone.

 

Ah, allora la NATO ha presentato 108 cadaveri dei 100.000 che dichiarava? Detto in altri termini: si saranno sbagliati solamente in un 99,9 percento? No. Peggio.

 

Primo: la cifra di 2108 che diffuse la Del Ponte si riferiva a “cadaveri esumati”. Includeva, pertanto, non solamente cittadini civili albanesi, bensì anche cittadini civili serbi, morti nel combattimento tra UCK e serbi, vittime delle bombe della NATO, vittime dell'UCK... includeva tutti quanti.

 

Inoltre, sappiamo che l'obiettivo di base dei bombardamenti della NATO sono stati bersagli civili, incluse carovane di trattori ed automobili strapiene di... civili albanesi.

 

Infine, l'UCK proclamò ripetutamente e con orgoglio la propria responsabilità negli attentati contro civili albanesi che si erano rifiutati di cooperare [5].

Cosicché non possiamo supporre che tutti i 108 “extra” fossero civili albanesi, né che li ammazzarono le forze serbe. Non possiamo supporre niente.

 

Che cosa abbiamo, allora? Abbiamo che, usando le stesse cifre della NATO:

 

1.                  La stima di civili albanesi assassinati fatta dalla NATO era errata del 100%.

 

2.                  È assolutamente possibile che qualsiasi civile albanese trovato tra i cadaveri esumati dalla Del Ponte sia stato vittima delle bombe NATO o del terrorismo dell'UCK.

 

Di qui il problema della NATO. Poichè l'obiettivo del Tribunale de L'Aia era giudicare per crimini di guerra Slobodan Milosevic, non la NATO, né l'UCK.

 

Vi potete ben domandare: perché siamo di fronte ad un “problema”? Basterebbe ritirare le imputazioni contro Milosevic, ed in cambio giudicare la NATO (ed il suo alleato UCK) per crimini di guerra...

 

La questione è che il Tribunale de L'Aia ha un'altra funzione. È un tribunale illegale, finanziato dalla NATO col fine specifico di giudicare i serbi, non gli ufficiali della NATO. È così che, il 13 giugno del 2000, il tribunale de L'Aia ha annunciato: “L’Ufficio del Pubblico Ministero non avvierà alcuna indagine riguardante la campagna di bombardamenti della NATO” [6].

 

E’ per questo stesso motivo che, nella sua conferenza stampa del novembre 1999, Carla Del Ponte, Pubblico Ministero principale de L'Aia, ha espresso la sua speranza (!) che “la cifra reale delle vittime di etnia albanese possa essere molto maggiore”.

 

Ma i cadaveri nei quali la Del Ponte riponeva tanta speranza non si materializzarono, e nell’agosto del 2000, quando gli esperti forensi dell'ONU e della NATO conclusero le loro ricerche, il totale del corpi continuava ad essere... “al di sotto di” [7]. Come avrebbero portato Milosevic a L'Aia senza le  montagne di albanesi assassinati tanto promesse?

 

Occorse loro un anno per risolvere il problema, ma alla fine la NATO trovò una soluzione. All'improvviso si resero conto che le forze di Milosevic avevano usato camion frigoriferi per trasportare fuori dal Kosovo migliaia di albanesi assassinati, nascondendo i corpi in [altri punti della] Serbia.

 

Abracadabra! Si risolse il problema.

 

Non importa che prima dell’aprile del 2001, nel corso di due anni di ricerche, nessuno avesse sentito parlare di questa “teoria”; di più, non era nemmeno stata insinuata. Non importa che questa “teoría” fosse palesemente assurda. Non importa che questa “teoria” fosse tanto ma tanto conveniente alla NATO.

 

Non importa che questa “teoria” non trovi neanche fondamento in uno straccio di prove...

Sotto il “peso” di questa “teoria”, si sequestrò illegalmente Milosevic e lo si spedì a L'Aia.

 

 

 

Nelle seguenti parti farò quanto segue:

 

SECONDA PARTE - Studierò, nei termini propri, il racconto dei camion frigoriferi, e dimostrerò che sfida qualsiasi raziocinio.

 

TERZA PARTE. - Dimostrerò che, in tutti i sensi, la storia è apertamente falsa.

Per essere esatti, dimostrerò che tutto il racconto fu un inganno, perpetrato dal nuovo governo di Belgrado - installato dalla NATO - per inviare Milosevic a L’Aia e fare bella figura coi suoi padroni. Presenterò prove.

 

QUARTA PARTE. - Dimostrerò come la stampa occidentale ingannò la coscienza dei suoi lettori in relazione a queste accuse.

 

Dimostrerò come, con lirico entusiasmo, i mezzi d’informazione montarono la storia dei camion frigoriferi, ingrandendola, comunicando in ogni forma che tutti i suoi dettagli importanti erano fatti accertati, scartando in ogni momento le prove disponibili del contrario, perfino le prove che la stampa stessa aveva pubblicato.

 

Seguire i dettagli della storia dei camion frigoriferi equivale a imparare come funziona la struttura di un enorme sistema di propaganda, conosciuto abitualmente come la “stampa libera dell’Occidente.”

 

NOTE

 

[1] The Times (Londra), martedì 2 novembre 1999, Features, 553 parole, “L’ammontare dei cadaveri del Kosovo”.

 

[2] alla fine di maggio del 1999, il Tribunale de L'Aia decise di processare per crimini di guerra Slobodan Milosevic. Vedere: The New York Times, giovedì 27 maggio 1999, ultima edizione - Finale, Sezione A; Pagina 1; Colonna 6; Foreign Desk, 1323 parole, “La Crisi nei Balcani: Il processo; Il Tribunale citerebbe Milosevic per crimini di guerra”, di Roger Cohen, Bruxelles, 26 Maggio

 

[3] Reuters, 10 novembre 1999

 

[4] “Si stima che da febbraio dell'anno scorso fino a marzo del corrente anno siano morte circa 2000 persone come risultato dell'attacco contro i ribelli di etnia albanese scatenato dal Presidente Slobodan Milosevic”. The Daily Telegraph, sabato 5 giugno 1999. World; Pg. 20, 1026 parole, “Le ultime ore di un sogno malvagio... ma i leader della NATO seguono inquieti Milosevic”, Tom Hundley

 

[5] Un esempio per tutti: “In una dichiarazione pubblicata mercoledì, il movimento separatista albanese clandestino Esercito di Liberazione di Kosovo, UCK, giurò “multiplici vendette per le morti innocenti” nell'area della regione serba della Drenica centrale... L'UCK, un gruppo che persegue la secessione della provincia, si assunse la responsabilità di numerosi attacchi mortali contro civili serbi ed albanesi fedeli al regime di Belgrado”. Agence France Presse, 4 marzo 1998, Notizie internazionali, 243 parole, “I separatisti albanesi giurano molteplici vendette”

 

[6] “Basandosi sull'informazione disponibile, il comitato raccomanda che l'Ufficio del Pubblico Ministero non inizi alcuna indagine in relazione alla campagna di bombardamenti della NATO, od in relazione agli incidenti che ebbero luogo durante la stessa”.

 

Queste le ultime righe delle conclusioni della relazione finale consegnata al Pubblico Ministero del Tribunale Internazionale per i Crimini in Yugoslavia dal comitato addetto all'indagine sui bombardamenti contro la Repubblica Federale della Yugoslavia (ICTY - Finale Report to the Prosecutor by the Committee established to Review the Nato bombing Campaign Against the FRY, PR/P.I.S./510-e, 13 June 2000).

 

Il documento è rintracciabile in Krieger, H. (2001). The Kosovo conflict and international law: An analytical documentation 1974 - 1999, Cambridge International Documents Series, Volume II. Cambridge: Cambridge University Press. (pp.340-352).

 

[7] The Guardian, 18 agosto 2000, 989 parole, “L’Occidente ‘esagera’ i massacri serbi: verso la fine delle esumazioni, i reclamati 100.000 albanesi massacrati in Kosovo scendono a meno di 3000”, Jonathan Steele

 

(*) Francisco J.Gil-White è professore assistente di Psicologia all'Università della Pennsylvania, e membro del Centro Solomon Asch per lo studio dei conflitti etnicopolitici. E’ specializzato in questioni etniche e studio del conflitto etnico. È vicedirettore della redazione di Emperor's Clothes.

 

Da Emperor's Clothes,  19/09/02

 

Traduz. di Adelina e Luciano Salza ( Assoc. SOS Yugoslavia)

 

 

 

PRO MEMORIA :

 

“… i piloti della Nato, come ha detto il consigliere del Pentagono E. Luttwak, che se ne intende, “ …sono più al sicuro dei passeggeri delle linee aeree di certi paesi del Terzo mondo…”. Particolarmente odiosa è la posizione degli italiani che se ne stanno ben al riparo al di qua delle linee, col divieto assoluto di spingersi oltre, e però sono corresponsabili delle migliaia di morti civili, serbi e albanesi, dei bombardamenti…..Ma, a quanto pare,  a tacitare la coscienza sporca dei miei connazionali bastano le elemosine, la beneficenza a reti unificate e la Missione Arcobaleno propagandata da una pubblicità televisiva piuttosto disgustosa in cui una voce grave di donna ammonisce : “ una guerra devastante si svolge ai nostri confini “, come se quella guerra fosse il frutto di chissà quale accidente naturale e noi ne fossimo estranei, invece che corresponsabili…”.

 

Massimo Fini, giornalista de “ Il giorno”, “ Il Resto del Carlino” e “La Nazione”