www.resistenze.org - segnalazioni resistenti - appuntamenti - 22-01-12 - n. 393

Quando morì mio padre
Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943)
 
Casa della Cultura
Piazza Marconi, 5
Padulle di Sala Bolognese
 
La mostra rimarrà aperta sino al 5 febbraio 2012, con questi orari:
Mar e Giov 9-13 e 14. 30-19 - Sab e Dom 10-12
Visite guidate su prenotazione (tel. 051-6822535)
L’ingresso è gratuito.
 
"Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943)", preparata dall’Istituto Gasparini di Gorizia. La mostra illustra i i crimini fascisti italiani contro la comunita’ slovena e croata al confine orientale italiano. Nello specifico descrive le condizioni di vita nel campo di concentramento nell’isola di Rab, attraverso le testimanianze di bambini internati nel campo, raccolte tra il 1944 e il 1945. Si articola in 26 grandi pannelli in italiano e in serbo.
 
La mostra è nata così: Metka Gombac, nel suo lavoro all'Archivio di stato sloveno, dirige il reparto dedicato alla resistenza. E' uno degli archivi piu' ricchi di documentazione su questo fenomeno in Europa. Proprio collaborando con le colleghe di Venezia (scrivevano un articolo sulle donne e sui bambini nella seconda guerra mondiale) si e' riusciti a rintracciare una cinquantina di disegni e scritti datati nel 1944 e scritti da bambini sopravvissuti ai campi di concentramento che, tornati a casa, dovevano frequentare i corsi delle scuole riaperte dai partigiani. Il 'direttore' didattico, informato dalle maestre "che i bambini rimpatriati rivivevano i drammi trascorsi stando molto irrequieti e depressi e che bisognava fare qualcosa per rimuovere i patimenti patiti", imparti' alle maestre il consiglio di fare una specie di gara dove dovevano riscrivere e disegnare quello che avevano provato nei "campi", affinche' "dessero fuori il loro patimento". E' chiaro che si pensava a sanare il PTS (Post traumatic sindrom) e oggi i colleghi psicologi direbbero proprio cosi', ma allora si penso' solo di alleviare loro il peso del ricordo.
 
Ecco, alla mostra organizzata a Ljubljana sono stati invitati all'apertura quasi tutti i bambini sopravvissuti. Allora avevano l'eta' dai sette ai dieci anni e oggi ne contano settanta in piu'. Gli organizzatori sono riusciti a creare un ambiente incredibile. I bambini di allora rivedevano i propri compiti dopo decine di anni e rivivevano l'ambiente e la situazione di allora. I sopravvissuti hanno rivisto per la prima volta i propri compiti di scuola di 70 anni prima . Non potevano credere che la storia si fosse ricordata di loro, dei loro patimenti e della loro gioventu' provata dall'esperienza del lager.
 
La mostra verrà inaugurata sabato 21 gennaio 2012 alle ore 17. 00 alla casa della Cultura,
Piazza Marconi, 5
Padulle di Sala Bolognese
 
Saranno presenti:
Dr. Metka Gombač, Dr. Boris Gombač, curatori della mostra e ricercatori presso l’Archivio di Stato della Repubblica Slovena,
Prof. ssa Paola Ferroni, presidente dell’Associazione ALJ
i rappresentanti dell’Amministrazione del comune di Sala Bolognese
 
La mostra indaga l’odissea dei bambini sloveni deportati nei campi di Gonars, Visco, Arbe-Rab e Monigo (Treviso) tra il 1942 ed il 1943. Disegni e scritti dei bambini vennero composti durante i corsi di terapia post traumatica avviati in strutture mediche partigiane dopo la liberazione dai campi, successiva all’8 settembre 1943. Ai tentativi di terapia, attuati stimolando i bambini a far riemergere la memoria delle sofferenze patite per poterle elaborare, ed ai temi svolti nelle scuole elementari organizzate dalle forze partigiane, dobbiamo la conservazione di questi materiali che costituiscono oggi una delle testimonianze più preziose e drammatiche di una delle pagine più buie della nostra storia.
 

Prima del 1941
 
di Paola Ferroni
 
La situazione della Dalmazia nel XIX sec. si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti.
 
Con la rivoluzione francese e la conseguente delegittimazione del potere monarchico, gli stati trovarono la loro nuova legittimità nel concetto di popolo, inteso come una comunità cementata da una comunanza di razza, religione, lingua, cultura ed avente quindi il diritto a formare il proprio stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno Stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la madre patria. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo, da parte di molti Stati, di assimilare od espellere le proprie minoranze, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.
 
Prima del XIX secolo, in Venezia Giulia e Dalmazia, avevano convissuto popolazioni di lingua romanza e slava, e le diverse etnie erano in larga misura mischiate.Vi era una differenza di carattere linguistico - culturale fra città e costa (prevalentemente romanzo-italiche) e campagna ed entroterra (per lo più slavi o slavizzati). Le classi elevate (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche se di origine slava.
 
Nel 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana.Alla fine del processo si definirono le moderne identità nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi.
 
Fu allora che il senso di identità nazionale, prima pregogativa di parti della nobiltà e della borghesia italiane, cominciò ad investire tutti gli ambienti urbani. L'affermarsi delle nazionalità portò a una suddivisione della società in chiave nazionale, divisione che coincise con la precedente divisione fra centri urbani (prevalentemente costieri) e comunità rurali (prevalentemente dell'interno). Si vennero a creare le contrapposizioni nazionali: le tradizionali élite economiche e politiche, già culturalmente italiane, lo divennero anche su un piano di identificazione nazionale. Dall'altra parte nacquero delle élite di sentimenti slavi, che si fecero portavoce delle rivendicazioni culturali e politiche slave. Le élite italiane cercarono di mantenere i tradizionali poteri e prerogative. Inizialmente si inseguì l'ideale di una nazione dalmata, che racchiudeva in sé radici slave e romanze.
 
Questa concezione venne combattuta dal Partito del Popolo croato, che richiedeva l'unione fra Dalmazia e Croazia, negava l'esistenza stessa di una componente italiana in Dalmazia e invocava l'eliminazione dell'uso dell'italiano nella vita pubblica e la croatizzazione delle scuole. Gli italiani venivano considerati una realtà estranea, frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria.
 
In conseguenza di questa politica, in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana: nel 1845 i censimenti austriaci registravano quasi il 20% di Italiani in Dalmazia, mentre nel 1910 erano ridotti a circa il 2,7%.
 
Tutto ciò spinse sempre più gli autonomisti ad identificare sé stessi come italiani, fino ad approdare all'irredentismo.
 
Dopo la nascita del Regno d'Italia, il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico, tanto in Dalmazia, quanto in Venezia Giulia, a favorire il nascente nazionalismo di sloveni e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani. Si intendeva così bilanciare non solo il potere delle ben organizzate comunità urbane italiane, ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud.
 
Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa, in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o del Regno d'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un governatorato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia.
 
Al termine della guerra, il regio esercito occupò i territori previsti dal trattato, cosa che provocò le reazioni opposte delle diverse etnie, con gli italiani che acclamarono alla "redenzione" delle loro terre, e gli slavi che guardavano con ostilità e preoccupazione i nuovi arrivati. La contrapposizione nazionale subì un nuovo e forte inasprimento. Successivamente la definizione dei confini fra l'Italia e il nuovo stato Jugoslavo fu oggetto di una lunga ed aspra contesa diplomatica, che trasformò il contrasto nazionale in una contrapposizione fra stati sovrani, che coinvolse vasti strati dell'opinione pubblica esasperandone ulteriormente i sentimenti. Forti tensioni suscito in particolare la questione di Fiume, che fu rivendicata all'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno jugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia. La questione dei confini fu infine risolta coi trattati di Saint Germain e di Rapallo. L'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso a Londra: in base alla dottrina Wilson, le fu rinfatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole). Col trattato di Rapallo Fiume venne eretta a stato libero, per poi essere annessa all'Italia nel 1924 (con l'esclusione di Sussak/Porto Barros). I territori annessi erano abitati da circa 480.000 slavi (sloveni e croati).
 
Nel 1919-20 avvamparono in Italia tensioni sociali che coinvolsero anche la Venezia Giulia, dove scoppiarono proteste e agitazioni. Questa tensioni, sommate alle preesistenti tensioni nazionali e allo spandersi del mito della "vittoria mutilata", furono fertile terreno per lo sviluppo, in regione, del movimento fascista. Gli squadristi fascisti compirono varie azioni violente, spesso con il tacito appoggio delle autorità, che li sfruttarono per sedare i disordini: i fascisti si presentarono infatti come i tutori dell'italianità e del mantentimento dell'ordine nazionale e sociale della Venezia Giulia.
 
L'italianizzazione fascista «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani» Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920. La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che comportò l'italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate, il divieto dell'uso della lingua straniera in pubblico, ecc. Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, tuttavia la politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo è stata considerata particolarmente pesante, anche perché l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, si accompagnava alle misure totalitarie del regime. L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia. Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.
 
L'invasione della Jugoslavia
 
Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Jugoslavia, la quale, dopo la resa dell'esercito, avvenuta il giorno 17, e l'inizio della politica di occupazione, fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi agli stati invasori.
 
A seguito del trattato di Roma l'Italia si annesse parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro, divenendo militarmente responsabile della zona che comprendeva la fascia costiera, ed il relativo entroterra, della ex-Jugoslavia.
 
In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata. La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelic.
 
Il fronte Jugoslavo
 
La resa dell'esercito jugoslavo non fermò i combattimenti ed in tutto il paese crebbe un'intensa attività di resistenza che proseguì fino al termine della guerra e che vide da un lato la contrapposizione tra eserciti invasori e collaborazionisti e dall'altro la lotta fra le diverse fazioni etniche e politiche. Durante tutta la durata del conflitto vennero perpetrate da tutte le parti in causa numerosi crimini di guerra.
 
Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonché di zingari ed ebrei, simboleggiata dall'istituzione del campo di concentramento di Jasenovac, e contro il regime e gli occupanti presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, ed i cetnici, monarchici ed a prevalenza serba, i quali perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente.
 
Nella Provincia di Lubiana fallì il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido: la repressione italiana fu dura ed in molti casi furono commessi crimini di guerra; furono istituiti campi di concentramento come quelli di Arbe e di Gonars ed anche nella Dalmazia, italiana e croata, si innescò dalla fine del 1941 una crudele guerra civile, che raggiunse livelli di massacro dopo l'estate 1942.
 
A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regno d'Italia, cominciarono inoltre a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d'occupazione italiane; venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un'alleanza tattica tra le forze italiane ed i vari gruppi cetnici: gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista, provocando fortissime tensioni con il regime ustascia.
 

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