www.resistenze.org - cultura e memoria resistente - antifascismo - 10.06.02

Il testo seguente è la traccia del discorso tenuto alla manifestazione del 25 aprile 2002 organizzata a Come dal Comune e dall'Anpi

IL 25 APRILE A COMO

Il 25 aprile, al pari di altri momenti dell'anno come il 25 luglio, l'8 settembre, il 2 giugno ed il quattro di novembre, rappresenta un elemento cardine del nostro vivere civile. La fine della seconda guerra mondiale, la fine di  una guerra crudele fra italiani di diverse fedi politiche, la fine di una guerra di liberazione del nostro Paese. Ed il lascito, importante, dei valori che unirono i combattenti per la libertà, i partigiani. Questo è il 25 aprile. Durante l'ultima guerra mondiale sono accaduti strazi orribili. Sopra tutti l'uccisione in massa di ebrei da parte dei nazi-fascisti. Un tentativo di far sparire una "razza" dal cuore dell'Europa occupata dai regimi di destra che imperversavano in quegli anni.
A combattere un piano tanto lucido, quanto tremendo e folle, vi erano eserciti che gli si opponevano, ma anche compagini di guerriglieri che, specialmente in Italia, hanno operato militarmente con grande impatto. I partigiani hanno avuto capacità militari e morali che li hanno distinti nettamente dai loro nemici nazi-fascisti. Capacità militari di guerriglia e di veloci spostamenti territoriali, uniti a fatiche sopportate con spirito di sacrificio, sovente con eroismo, per aiutare i compagni e le popolazioni civili e per abbreviare la loro agonia e contenere la ferocia del nemico.
Questi comportamenti sono oramai entrati nella "leggenda" della Resistenza. Ma ciò che interessa oggi sottolineare, in un mondo che si dibatte e soffre in situazioni simili a quelle della seconda guerra mondiale, in alcuni luoghi per lo meno, è l'alto valore morale delle pratiche di guerra partigiane.
Diversissimi tra loro erano i combattenti per la libertà. I loro riferimenti politici non erano unanimi. Ed anche se sono state le formazioni armate di sinistra a sostenere il maggior peso militare di tutto quel tempo, dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, erano presenti fra le fila dei combattenti uomini di altre fedi politiche, anche molto lontane dalla sinistra. La stessa composizione del CNL lo sta a dimostrare. Vi fu, tra tutti, il tentativo di addivenire ad una concordia di base che desse risultati in vista del fine comune. Uno scritto di  Fermo Solari, eminente esponente del Partito D'Azione, intitolava proprio "L'armonia discutibile della Resistenza" un suo libro che analizzava tale sforzo. Episodi di scontri nella stessa Resistenza, in alcune situazioni, frizioni e contrasti anche aspri tra le varie componenti, non hanno fatto però dimenticare ciò che era l'obiettivo comune unificante: la liberazione dell'Italia dall'oppressione nazi-fascista.
Poco dopo la guerra, nell'estate del 1946, vi fu un episodio, seppur limitato, di ritorno in montagna di alcune centinaia di partigiani in alcune aree del Italia settentrionale. I riarmati, al pari di molti altri partigiani, non erano soddisfatti di come le cose stavano procedendo in Italia. A proposito ricordo che subito dopo la seconda guerra mondiale, un anno prima quindi dell'episodio che stiamo rammentando, alla fine del conflitto armato, il "promemoria Parri", inviato a tutte le unità combattenti, aveva raccolto le profonde disillusioni di grande parte dei partigiani appena disarmati.  Coloro che ritornarono in montagna nel 1946 erano quasi tutti comunisti. Operarono una forzatura, ed armati, posero con forza queste problematiche all'opinione pubblica ed ai politici che guidavano il nostro governo di unione nazionale. Qui mi interessa sottolineare che ancora in quel momento, ben dopo quindi i momenti di forte impegno comune, pur in una situazione che si configura come una prolungamento  del grande fenomeno resistenziale, si possa notare come era ancora presente anche tra quelle fila un deciso spirito etico. Resoconti delle spese sostenute dai partigiani nei giorni dell'estate del 1946 danno nota pure di inezie quali l'acquisto di un chilo di cipolle oppure il prezzo di una lampadina che era da cambiare. La moralità e la nettezza del comportamento erano sempre all'ordine del giorno, una eredità che non si spegneva con lo scorrere del tempo. Come nel tempo si vennero a comporre  le differenze politiche che portarono cosμ alla promulgazione della Costituzione repubblicana, il 1° gennaio 1948, a cento anni esatti dall'entrata in vigore dello Statuto Albertino. La nostra Costituzione, spina dorsale di ogni riferimento giuridico e di vita civile, necessaria al nostro vivere comune, esprime benissimo questo alto livello etico quando parla di Italia fondata sul lavoro (articolo primo), quando riconosce pari dignità sociale a tutti i cittadini senza alcuna distinzione (articolo terzo), quando ripudia la guerra come strumento di offesa (articolo 11). E questo per fare solo pochi esempi. Concordia di fondo tra i Resistenti per obiettivi comuni. Necessità di parlarsi per arrivare a risultati che interessano la comunità. E ogni comportamento guidato da un alto livello di eticità. Un afflato di nobiltà morale indubitabile. Ecco che la Resistenza ed i suoi valori ci possono portare a considerare la lontananza di alcune situazioni che si sono venute sostanziando nel secondo dopo guerra. Per parlare dei giorni odierni non può non farci inorridire ciò che sta avvenendo in Medio Oriente. Pare che l'uomo, che è uno strano animale, abbia il dono di ricordare ma anche di dimenticare, quando questo torna utile a qualche piano politico, più o meno fondato. Durante l'Olocausto, milioni di ebrei, i più colpiti a livello quantitativo, ma non vanno dimenticati omosessuali, zingari, handicappati e prigionieri politici, in maggior parte comunisti e socialisti, ebrei a milioni, dicevo, hanno subito l'oltraggio più grave: una uccisione disumana. Non paia sorprendente unire al sostantivo uccisione l'aggettivo disumana. Anche le modalità di morte, che già si configura come un'uscita dall'umanità viva, e perciò immediatamente orrenda -  la vita è sacra -, si possono dare in diversi modi. Ma anche in situazioni di guerra, anche durante i combattimenti, vi dovrebbe essere rispetto per l'umanità del nemico. I limiti dell'umanità non dovrebbero mai essere superati. I Partigiani hanno insegnato anche questo. Al di là di episodi sporadici, l'attenzione per le vite dei civili, gli attacchi mirati al solo nemico in divisa o comunque "soldato" del campo avverso, sono stati punti di forza della loro guerra. In Medio Oriente siamo ormai al parossismo. Siamo alla follia pura. Repressioni di massa da parte di coloro che sono stati massacrati, gli ebrei israeliani, verso i palestinesi, che a loro volta adoperano sistemi di morte assolutamente al di là di qualsiasi limite "umano". L'uso di farsi saltare in aria per uccidere quanti più ebrei possibili è aberrante. Per questi stragisti un ebreo è pur sempre un nemico, senza discernere  tra chi gli sta sparando e chi sta acquistando un chilo di pane oppure sta mangiando una pizza in un ristorante. L'odio degli uni dà nutrimento all'odio degli altri, coinvolgendo tutti in una spirale che non lascia intravedere una via di uscita. Quando arriverà la fine di tutto ciò? Proprio in questa situazione la differenza con le modalità di guerra dei Partigiani è abissale.  Molte sono state le critiche a Togliatti al suo ritorno dall'URSS rispetto al suo lavorare per costruire uno stato democratico. Fra i partigiani c'era chi voleva fare "come in URSS". Ma tralasciando qui una discussione sulle particolari posizioni politiche, la volontà comune di giungere all'uscita ottimale dalla guerra mondiale era presente anche nelle posizioni politiche più radicali. L'Italia ne uscμ ed in mezzo a difficoltà, a volte pesanti, lo stesso attentato a Togliatti, nel 1948, riuscμ a costruire un Paese  democratico e civile. Ma venne abbandonato l'odio. Altro esempio di "uscita dal tempo dell'odio" è senza dubbio quello dell'odierno Sud Africa nel quale è al lavoro una commissione di riappacificazione tra bianchi e neri. I bianchi, da sempre in quel  Paese, hanno agito con quasi totale razzismo nei confronti della maggioranza nera, ma questa commissione cerca, con grande senso della misura, di chiudere un capitolo tragico per tutti, anche perché vi è un sola via da perseguire, una sola realtà di cui prendere atto: è obbligatorio vivere assieme. L'odio non serve a nulla. Dopo avere chiuso un capitolo occorre sancire una pace che tendenzialmente deve rimarginare anche le ferite più profonde. Non vi è altra strada. Certo, ognuno, individui o gruppi, pensa sempre di avere ragione sugli altri e la storia farà emergere le ragioni più profonde. Ma occorre vivere assieme. In Italia è stato cosμ nell'immediato dopo guerra e gli strascichi degli scontri armati sono stati gli anni della tensione e delle stragi. Ma ora quei momenti ci sembrano lontani tanto che ogni volta che purtroppo si ripresentano subito si va con il ricordo a quel periodo. All'uccisione di Aldo Moro, all'azione di concertazione sociale e politica dei partiti democratici per superare quel momento di profonda crisi democratica. Agli sforzi fatti per potere uscire da un momento tragico. Si pensa che anche in questo caso i valori della Resistenza hanno potuto offrire un saldo esempio di riferimento. Per superare quel momento molte e diverse sono stati le sinecure  politiche e sociali entrate in gioco, logicamente non tutte riconducibili al momento resistenziale. Ma ora, al 25 aprile, è d'obbligo ricordare soprattutto i segnali di riferimento alla lotta partigiana. Quindi sarebbe il caso, e lo auspichiamo, che anche in Palestina ritorni una pace frutto di una necessaria presa d'atto: ebrei e palestinesi debbono vivere assieme, o almeno confinanti. Sull'odio non si costruisce nulla, tanto meno uno stato democratico. Abbiamo anche in Europa esempi di guerriglie che da decenni continuano a lottare per i loro obiettivi. Ma si deve notare che molta poca fortuna hanno avuto e poca in prospettiva, analogicamente, avranno. Occorre rivalutare, anche dopo periodi di scontri armati l'arma della critica, quando la critica delle armi ha fatto il suo tempo. Per proseguire in questa direzione altro importante ingrediente è la memoria di quanto è accaduto e la conoscenza della storia nazionale. Due sondaggi svolti recentemente, uno dell'Anpi e l'altro della Fiap, hanno dato risultati simili. Il primo aveva come referenti gli studenti del scuole superiori della Lombardia. E' stato effettuato alla fine del 2000. L'altro, da pochissimo portato a termine, ha avuto invece come campione le classi di età che vanno dai trenta ai sessant'anni. Le domande vertevano sulla storia della Seconda guerra mondiale, sulla Resistenza, ma anche su questioni risorgimentali e della Prima guerra mondiale, questi ultimi aspetti erano presenti soprattutto nel secondo sondaggio. Le risposte sono state sorprendenti. Hanno denunciato una scarsissima conoscenza delle problematiche storiche proposte, rilevando notevoli fraintendimenti quali l'attribuire a partiti inesistenti nel periodo resistenziale, quali Alleanza nazionale o il Partito radicale, il maggior peso organizzativo militare della Resistenza, con l'aggiunta del Partito Fascista Repubblichino ( per una percentuale, delle tre risposte, di un 14% circa degli intervistati) mentre un 30 per cento circa non sapeva proprio cosa rispondere. Dal secondo sondaggio invece si viene a sapere, fra l'altro,  che Ferruccio Parri era per un 5% un uomo politico del Risorgimento o, per una medesima percentuale, un ministro fascista, mentre il 56% non sa cosa rispondere. Prendendo atto di questi deludenti risultati occorre quindi sostenere le organizzazioni partigiane che si sforzano di tenere contatti frequenti con le scuole per un lavoro di difesa della memoria partigiana e dire che bene fanno gli Istituti di ricerca storica, adibiti a questi scopi, a volere lavorare con gli studenti cercando di fare diminuire l'ignoranza e l'approssimazione rispetto alla storia contemporanea. Infatti la non conoscenza del passato, nella sua struttura di fondo, può portare poi, nel futuro, a comportamenti negativi dai quali magari si sono avute sofferenze anche pesanti, subiti quindi nel passato. Cosμ come gli ebrei israeliani dovrebbero ben ricordarsi del loro Olocausto e dell'aiuto avuto da altri nella difesa della loro esistenza e sopravvivenza. Il ricordo impedirebbe loro il ricorso agli stessi metodi distruttivi verso i palestinesi. Questi ultimi, a loro volta, dovrebbero pensare come empio ed impossibile il solo pensiero di annullamento degli ebrei in quelle terre. Chi ci ha provato si è trovato a dover soccombere, al fine, sotto l'urto di reazione del mondo democratico. Ed Hitler aveva mezzi sicuramente più distruttivi delle organizzazioni palestinesi integraliste. Ma anch'esso non ha potuto portare a termine questo pazzesco disegno. Non è possibile distruggere un popolo intero, ed anche laddove ci si è andati molto vicini, penso alla colonizzazione dell'America, i problemi che queste pratiche hanno lasciato in eredità sono sopravvissuti nel tempo, con immense conseguenze negative pure per i conquistatori. Insomma la Resistenza insegna la coesione civile e la presa di coscienza di ciò che è stato per poter vivere meglio nel futuro. Per potere dire, con Primo Levi "Ricordati che questo è accaduto" ed aggiungere "Ricordati che potrebbe accadere ancora". Ecco noi dobbiamo lavorare per togliere ogni possibilità alla seconda osservazione. Non deve più accadere!


Tiziano Tussi
Consiglio Nazionale dell'ANPI